Ordinanza annullata dalla Cassazione: il giudice del rinvio può essere lo stesso che l'ha pronunciata?

15 Maggio 2023

Una situazione di incompatibilità del giudice penale può insorgere solo quando questi è chiamato a pronunciarsi sul merito dell'accusa: è solo la decisione sul merito del giudizio che non può essere o apparire condizionata dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa.

Le censure del rimettente. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lett. a), c.p.p., nella parte in cui non prevedono l'incompatibilità, a partecipare al giudizio di rinvio, del giudice che abbia concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o di rigetto della richiesta di riesame, annullata dalla Cassazione. Ad avviso del giudice a quo, la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con l'art. 111, comma 2, Cost., sotto il profilo della violazione del principio di terzietà e imparzialità del giudice. Non sarebbe, infatti, terzo e imparziale, né apparirebbe tale, il giudice che, dopo essersi pronunciato nel “giudizio cautelare”, adottando una decisione di merito circa la sussistenza del fumus criminis e del periculum in mora (presupposti applicativi della misura cautelare), venisse nuovamente chiamato a decidere la medesima questione, essendo fisiologico che il giudice possa avere la propensione a “tenere fermo” quanto deciso in precedenza. Inoltre, le norme impugnate contrasterebbe con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento tra la fase di cognizione e quella cautelare, in quanto, nell'ipotesi in cui il giudice abbia deciso il giudizio con sentenza in sede di cognizione, l'annullamento con rinvio di tale pronuncia comporta l'impossibilità per quel giudice, persona fisica, di pronunciarsi di nuovo sulla vicenda; di contro, al giudice che definisce il giudizio cautelare mediante ordinanza, poi annullata dalla Cassazione, non è preclusa un'ulteriore pronuncia in sede di rinvio.

Terzietà del giudice ed incompatibilità. Nel processo penale, l'imparzialità e la terzietà del giudice sono assicurate, per un verso, dalla disciplina dell'astensione e della ricusazione (che elenca le ipotesi “sospette”, accomunate dalla ricorrenza di una situazione pregiudicante da verificare in concreto), e, per altro verso, dalla disciplina dell'incompatibilità (incentrata su un catalogo di situazioni pregiudicanti in astratto). In particolare, la disciplina dell'incompatibilità dettata dall'art. 34 c.p.p. si articola lungo una triplice direttrice:

a) incompatibilità orizzontale (divieto di esercitare le funzioni di giudice del dibattimento per colui che ha svolto nello stesso procedimento, prima di queste, funzioni di pubblico ministero o di giudice che ha emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare o ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna o ha deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere);

b) incompatibilità verticale (divieto di esercitare le funzioni di giudice in altro grado per il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento giudicando nel merito);

c) incompatibilità per funzioni (divieto di esercitare le funzioni di giudice in altro grado per il magistrato che ha già preso parte allo stesso procedimento svolgendo funzioni di pubblico ministero).

Mentre l'incompatibilità “orizzontale” è stata quella più problematica, dando luogo a diverse declaratorie di incostituzionalità, l'incompatibilità “verticale” è risultata meglio definita perché contenuta in una regola generale a carattere tassativo e non suscettibile di estensione analogica: il giudice che ha pronunciato (o ha concorso a pronunciare) la sentenza in un grado del procedimento non può esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, né partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento o al giudizio per revisione. Occorre, quindi, che ci sia una “sentenza”, che è la tipica forma con cui il giudice definisce il giudizio nel merito, ossia decidendo in ordine all'incolpazione penale.

Sentenza ed ordinanza “pari non sono”. L'art. 623 c.p.p., nel disciplinare l'annullamento con rinvio, risponde proprio alla logica sottesa all'incompatibilità “verticale”: se è annullata la “sentenza” di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini preliminari, la Cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo tribunale, ma il giudice persona fisica deve essere diverso da quello che ha pronunciato la decisione annullata; se è annullata una “ordinanza”, la Cassazione ordina che gli atti siano trasmessi al giudice che l'ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento, ma non è richiesto che il giudice persona fisica sia diverso da quello che ha pronunciato la decisione annullata. In altri termini, una situazione di incompatibilità del giudice può insorgere solo quando questi è chiamato a pronunciarsi sul merito dell'accusa penale (cfr. C.cost., n. 66/2019): è la decisione sul merito del giudizio che non può essere o apparire condizionata dalla forza della prevenzione, ossia dalla naturale tendenza a confermare una decisione già presa (C.cost., n. 224/2001). La distinzione non è formale: con la “sentenza” il giudice si pronuncia nel merito dell'incolpazione penale; con la “ordinanza” decide, invece, su misure cautelari.

Le valutazioni espresse nei procedimenti cautelari possono sempre cambiare. Con riferimento ai procedimenti cautelari, la Consulta ha costantemente affermato che è del tutto ragionevole che, all'interno di ciascuna delle fasi processuali, resti, in ogni caso, preservata l'esigenza di continuità e di globalità, venendosi altrimenti a determinare un'assurda frammentazione del procedimento, che implicherebbe la necessità di disporre, per la medesima fase del giudizio, di tanti giudici diversi quanti sono gli atti da compiere (cfr., ex plurimis, C.cost., n. 153/2012, C.cost., n. 177/1996 e C.cost., n. 131/1996). In particolare, il procedimento del riesame, in generale, e, più specificamente, quello concernente le misure cautelari reali, si pone quale fase incidentale eventuale, all'interno della quale il collegio giudicante adotta, attraverso il provvedimento tipico dell'ordinanza, decisioni rebus sic stantibus, perché fondate su valutazioni circoscritte alla situazione di fatto e di diritto prospettata attraverso il mezzo di gravame. Tale situazione è, infatti, suscettibile di cambiamenti per il naturale evolversi degli esiti delle indagini preliminari (soprattutto in caso di sequestro preventivo) e della fase del giudizio (in particolare, quando si tratta di sequestro conservativo) e di essere nuovamente valutata in via incidentale in caso di sopravvenienze, nei limiti del “giudicato cautelare”.

Inoltre, le misure cautelari reali, pur raccordandosi necessariamente ad un reato, possono prescindere totalmente da qualsiasi profilo di colpevolezza, proprio perché la funzione preventiva non si proietta necessariamente sull'autore del fatto criminoso ma su cose che, postulando un vincolo di pertinenzialità col reato, vengono riguardate dall'ordinamento come strumenti la cui libera disponibilità può costituire situazione di pericolo (così C.cost., n. 48/1994). Sulla base di queste considerazioni, la Consulta ritiene che la decisione adottata dai giudici del riesame in materia cautelare reale non rivesta capacità pregiudicante della successiva decisione cautelare in sede di rinvio, nella quale i componenti del collegio devono uniformarsi alle regole prescritte dalla Corte di Cassazione. Conseguentemente, deve escludersi il denunciato contrasto delle norme censurate con i parametri costituzionali evocati dal rimettente.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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