Alterazione del decoro architettonico a seguito di opere su parti private

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

Opere su parti di proprietà o uso individuale

Come sottolineato dall'art. 1122 c.c., nell'unità immobiliare di sua proprietà oppure nelle parti normalmente destinate all'uso comune che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. In ogni caso, come sottolineato dal comma 2 della disposizione in commento, è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea. La nozione di opere cui si riferisce il comma 1 dell'art. 1122 c.c. è in astratto suscettibile di interpretazioni più o meno ampie: l'espressione “opere” può, cioè, intendersi o meno in senso ampio ed estensivo, come comprensiva anche della modificazione della destinazione d'uso dell'unità immobiliare oggetto di proprietà solitaria. Dunque, in mancanza di norme limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, la norma dell'art. 1122 c.c. non vieta cioè di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare lo parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune. Pertanto, le opere realizzate violando tali prescrizioni sono illegittime e, seppur realizzate all'interno della proprietà esclusiva, possono essere oggetto di contestazione da parte degli altri condomini.

La preventiva comunicazione all'amministratore

Come indicato dal comma 2 dell'art. 1122 c.c., quando si tratta di eseguire lavori su parti dell'edificio condominiale di proprietà esclusiva non è necessaria la preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale. Questo non vuol dire, però, che il singolo proprietario possa eseguire tutti gli interventi che vuole in piena libertà. Occorre comunque rispettare gli interessi della restante parte della collettività condominiale. Innanzitutto, il condomino deve avere l'accortezza di dare preventiva notizia all'amministratore dei lavori che intende eseguire; sicché, tali lavori non devono recare danno alle parti comuni; non devono determinare un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. Ulteriore precisazione di questa norma è che questa “comunque” risulta priva di ogni sanzione, in quanto si contempla un mero onere di comunicazione da parte del singolo nei confronti dell'amministratore, il quale, a sua volta, è tenuto esclusivamente ad informarne l'assemblea, e peraltro non vengono nemmeno specificati quali poteri competano al massimo organismo gestorio eventualmente convocato per tale incombente. In particolare, la notizia, da parte del condomino, deve essere “preventiva”, ossia deve avvenire – non “a cose fatte”, bensì – prima di dar corso alla realizzazione delle opere; di talché, l'iniziativa dell'amministratore non opera come una sorta di condizione di procedibilità all'esecuzione dei lavori da parte del singolo. Per meglio dire, stando al tenore letterale della norma in commento, l'amministratore deve riferire “all'assemblea”, e non ai condomini, precludendo che lo scopo dell'informativa sia raggiunto, ad esempio, mediante una lettera circolare fatta “girare” dal portiere tra gli abitanti dello stabile o attraverso un avviso affisso nella bacheca posta nell'androne dello stabile. In definitiva, l'eventuale giudizio negativo dell'assemblea sull'esecuzione delle opere non dovrebbe considerarsi vincolante per il condomino, il quale potrebbe comunque dar corso materiale alle sue intenzioni, salvo eventualmente impugnare la delibera per eccesso di potere, chiedendo, al contempo ed in via prudenziale, al giudice l'accertamento del suo diritto alla medesima esecuzione.

Differenza tra aspetto architettonico e decoro architettonico del fabbricato

Nella disciplina positiva vigente, l'aspetto architettonico viene in rilievo, in tema di sopraelevazioni, nel comma 3 dell'art. 1127 c.c., laddove si stabilisce che i condomini possono validamente opporsi alla sopraelevazione se questa pregiudica l'aspetto architettonico del fabbricato; il decoro architettonico, invece, è menzionato nell'art. 1120 c.c., nel quale, in materia di innovazioni, si prevede il divieto assoluto di realizzare quelle innovazioni che possano pregiudicare (oltre che la stabilità e la sicurezza dell'edificio), appunto, il decoro architettonico dell'intero immobile. In particolare, posto che entrambi possono ritenersi beni comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c., e come tali meritevoli di tutela, mentre l'aspetto architettonico può essere definito come lo stile e la fisionomia del fabbricato, impresse all'edificio dal progettista (Cass. VI, n. 22156/2018), la nozione di decoro architettonico non è correlata alla sola estetica del fabbricato, ma anche allo stato di conservazione di singoli elementi o parti di esso, ed ha, dunque, una portata più ampia e generale. Più precisamente, la definizione di decoro architettonico attiene alla struttura ed alla fisionomia estetica ed armonica che contribuiscono a dare all'edificio una sua specifica identità (Cass. II, n. 17398/2004: il decoro architettonico – allorché possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia – è un bene comune il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare; pertanto, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell'originaria fisionomia, ma alterano quest'ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l'accertamento – del tutto opinabile – del risultato estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand'anche nel suo complesso possa apparire a taluno gradevole).

La tutela del decoro dell'edificio

Per decoro architettonico, deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture architettoniche che connotano il fabbricato e che gli imprimono una determinata, armonica fisionomia. L'alterazione di tale decoro può correlarsi alla realizzazione di opere che modifichino l'originario aspetto soltanto di singoli elementi o punti dell'edificio tutte le volte che l'immutazione sia suscettibile di riflettersi sull'insieme dell'aspetto del fabbricato che non necessariamente deve avere un particolare pregio artistico (Trib. Roma 12 febbraio 2020).

La tutela del decoro architettonico, quindi, viene apprestata in considerazione della diminuzione del valore che la sua alterazione arreca all'intero stabile e, quindi, anche alle singole unità immobiliari che lo compongono. Ne deriva che il giudice del merito, al fine di stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni ad un'utilità che compensi l'alterazione architettonica che non sia di grave ed appariscente entità (Trib. Arezzo 30 novembre 2018). Il decoro architettonico è un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini, che concorre a determinare il valore sia delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti comuni, potendo quindi essere oggetto di discussione assembleare ai sensi del combinato disposto degli artt. 1120,1122 e 1127, comma 3, c.c. (Trib. Vercelli 29 settembre 2021).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quali tutele hanno i condomini in caso di lesione del decoro architettonico dell'edificio a seguito di interventi sulle parti private dei condomini?

Le facoltà dei singoli condomini

Costituisce facoltà del singolo condomino eseguire opere che, ancorché incidano su parti comuni dell'edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare, sotto i profili funzionale e spaziale, in virtù del combinato disposto degli artt. 1102 c.c. (facoltà del comunista di servirsi delle cose comuni), 1105 c.c. (concorso di tutti i condomini alla cosa comune) e 1122 c.c. (divieto al condomino di realizzare opere che danneggino le cose comuni), con la conseguenza che egli va considerato come soggetto avente titolo per ottenere a nome proprio l'autorizzazione relativa a tali opere (TAR Lazio – Roma 22 giugno 2022). Premesso ciò, il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali (Cass. II, n. 2126/2021). Inoltre, il condomino può creare accesso al lastrico solare in uso esclusivo, a condizione che non si pregiudichi la funzione di copertura e di protezione che il lastrico ha rispetto alle sottostanti strutture (App. Genova13 gennaio 2021). Quindi, ciascun condomino può servirsi altresì dei muri perimetrali comuni, purché non alterino il decoro architettonico del fabbricato, come statuito espressamente dall'art. 1120 c.c. in tema di innovazioni e dall'art. 1122 c.c. per le opere su parti di proprietà esclusiva (Trib. Teramo 17 marzo 2021). In definitiva, il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non può eseguire nella sua proprietà esclusiva opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 c.c., rechino danno alle parti comuni dell'edificio stesso, né, a maggior ragione, opere che, attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le parti di una unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino (Cass. II, n. 15186/2011); quindi, il proprietario di un appartamento non può costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell'edificio condominiale, la quale raggiunga l'altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell'aria e della luce al proprietario del piano contiguo (Cass. II, n. 1132/1985). Inoltre, costituisce danno per le cose comuni anche il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento (Cass. II, n. 870/1995).

I danni alle parti comuni

Per comprendere poi in cosa consista il danno (ex art. 1122 c.c.) che preclude la possibilità di eseguire l'opera sulla porzione esclusiva è doveroso far ricorso all'art. 1120, comma 4, c.c., norma che ha individuato gli interessi condominiali che non possono essere lesi neppure con le innovazioni deliberate a maggioranza dall'assemblea condominiale. Questo, infatti, è il percorso logico che giustifica l'applicabilità dell'art. 1120 c.c., alle attività del singolo su cosa propria comunque finalizzate all'uso più intenso della cosa comune. Di ciò si è reso consapevole anche il legislatore della riforma (l. n. 220/2012) che ha completato l'art. 1122 c.c., recependo nel testo novellato l'insegnamento giurisprudenziale che aveva già interpretato la norma nel senso esposto (Cass. II, n. 18350/2013). Dunque, il divieto, sancito dall'art. 1122 c.c., di eseguire, nelle porzioni di proprietà individuale, opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio, comporta una limitazione di fonte legale intrinseca alle singole unità immobiliari, assimilabile ad un'obbligazione propter rem, cui corrisponde, dal lato attivo, una situazione giuridica soggettiva che non ha natura di diritto reale di godimento su cosa altrui; ne consegue che non occorre che la domanda diretta ad ottenere la relativa tutela venga trascritta, agli effetti indicati dall'art. 2653 c.c. (Cass. II, n. 3123/2012: nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, si è confermata la sentenza di merito, la quale aveva escluso la necessità della trascrizione della domanda giudiziale di riduzione in pristino di un'unità abitativa realizzata in uno spazio di proprietà comune, ai fini dell'opponibilità della pronunziata sentenza all'avente causa dell'originario convenuto).

La lesione del decoro dell'edificio

L'art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, quelle opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio. Nella nozione di danno non rientra solo il danno materiale, inteso come modificazione della conformazione esterna o della intrinseca natura della res comune, ma anche il danno conseguente alle opere che elidono o riducono apprezzabilmente le utilità ritraibili dalla res comune, anche se di ordine edonistico od estetico. Ne deriva che ricadono nel divieto tutte quelle modifiche costituenti un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato. Decoro da correlarsi non soltanto all'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata armonia, ma anche all'aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e formale autonomia o siano comunque suscettibili per sé di considerazione autonoma. Tra l'altro, le limitazioni alle opere che ciascun condomino voglia eseguire sull'unità immobiliare di sua esclusiva proprietà possono derivare anche dalle clausole contenute nel regolamento condominiale, atto di natura convenzionale (App. Potenza 30 maggio 2020). Diversamente, in mancanza di regolamento, come sottolineato dai giudici di Milano, l'art. 1122 c.c. trova applicazione “solamente” in mancanza di norme regolamentari di natura contrattuale limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale (Trib. Milano 15 febbraio 2021; Trib. Milano 15 febbraio 2020). In argomento, inoltre, a parere dei giudici, non occorre, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, comma 2 c.c. e dall'art. 1122, comma 1 c.c., che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall'innovazione, abbia un particolare pregio artistico, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (Trib. Roma 20 novembre 2020). Invero, sono vietate, ai sensi dell'art. 1122 c.c., le opere realizzate dal condomino nella proprietà esclusiva che comportino una lesione del decoro architettonico dell'edificio, non trovando al riguardo applicazione la norma dettata dall'art. 1120 c.c. in tema d'innovazione delle parti comuni (Trib. Crotone 9 giugno 2020). In definitiva, in caso di alterazione del decoro architettonico dell'edificio, il giudice condannare il condomino alla demolizione dell'opera in caso di un manufatto di non modeste dimensioni e di colori difformi da quelli che connotano il fabbricato, a parziale chiusura di un balcone aggettante scoperto sito sul prospetto principale dell'immobile, in quanto tale da determinare una violazione dell'aspetto architettonico dello stesso, comportandone un effetto peggiorativo, determinante la necessità di rimozione dell'opera (Trib. Roma 12 settembre 2016).

La rimozione della pergotenda

Il regolamento di condominio può prevedere che, stante l'unitarietà architettonica del complesso, è vietato apportare qualsiasi modifica alle facciate esterne ed interne degli edifici condominiali e alle tende anche di proprietà di ogni singolo condomino. Qualora modifiche di tal genere dovessero ritenersi necessarie, le stesse dovranno essere preventivamente approvate dall'assemblea condominiale con le maggioranze indicate nel quarto comma dell'art. 1136 c.c. (Trib. Livorno 10 agosto 2024, n. 912: nella vicenda non risultava che la condomina aveva mai richiesto al condominio l'autorizzazione alla collocazione della pergotenda in sostituzione delle tende a braccio presenti sul terrazzo; pertanto, è stata dichiarata la rimozione del manufatto).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

L'amministratore di condominio comunica al condomino, il quale ha eseguito dei lavori sulle parti private, che deve provvedere all'eliminazione degli interventi effettuati nella misura in cui gli stessi ledono il decoro architettonico dell'edificio, ripristinando la situazione preesistente, poiché in difetto, provvederà ad evocarlo in giudizio chiedendone la condanna in tale senso e, dunque, al pagamento dei relativi costi occorrenti, con il possibile ulteriore aggravio alla refusione delle spese di lite in favore del condominio.

Funzione e natura del giudizio

È un ordinario giudizio a cognizione ordinaria che l'amministratore del condominio intraprende nei confronti del condomino proprietario delle parti comuni interessate dall'esecuzione di lavori risultati essere lesivi del decoro architettonico dell'edificio condominiale, al fine di conseguirne la condanna al ripristino della situazione preesistente e, per l'effetto, al pagamento dei relativi costi di ripristino.

Aspetti preliminari

Mediazione

La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente dal legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71-quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli articoli da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

L'onere di proporre la domanda di mediazione ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo, all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'abrogazione dei commi 2, 4, 5 e 6, e stabilendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice” siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in ambito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione.

Competenza

Il Tribunale, ai sensi dell'art. 9 c.p.c., è il giudice competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice e, in generale, per quelle di valore indeterminabile, come nel caso dell'atto di citazione per conseguire la condanna del condomino all'eliminazione delle lavorazioni eseguite sulle proprie parti private lesive del decoro architettonico dell'edificio, al fine di ripristinare la situazione preesistente, in quanto nella fattispecie lesiva di un diritto soggettivo dell'intero condominio concernente l'anzidetta tutela del decoro dell'edificio.

Legittimazione

La legittimazione attiva spetta all'amministratore condominiale, per effetto dell'interesse ad agire sussistente in capo al medesimo, nella fattispecie, ravvisato nella condanna del condomino responsabile dell'esecuzione dei lavori sulle parti private all'eliminazione della lesione arrecata al decoro architettonico dell'edificio.

Profili di merito

Onere della prova

L'amministratore di condominio, il quale intenda evocare in giudizio il condomino responsabile dei lavori eseguiti sulle parti private all'eliminazione della lesione arrecata al decoro architettonico dell'edificio, ha l'onere di allegare le ragioni sulla cui scorta può addivenirsi alla condanna dell'anzidetto condomino al ripristino della situazione preesistente. Lo stesso amministratore deve dunque assolvere all'onere di allegare tutte quelle circostanze, anche di mero fatto, che possano essere utili per confermare la propria tesi difensiva, volta a conseguire l'eliminazione delle opere o dei manufatti eseguiti dal condomino sulle parti private, siccome lesive del decoro architettonico dell'edificio.

Contenuto dell'atto di citazione

L'atto di citazione deve contenere la vocatio in jus del condomino – che, per effetto di quanto enunciato nell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022, il termine in essa indicato è elevato a centoventi giorni liberi che necessariamente devono decorrere tra il giorno della notificazione dell'atto e quello dell'udienza di comparizione – e deve altresì contenere gli avvertimenti previsti espressamente dall'art. 163, comma 3, n. 3-bis), c.p.c. e dunque, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; e, che in base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022, occorre indicare insieme al giorno dell'udienza di comparizione, anche l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al Tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

In base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del citato d.lgs. n. 149/2022, l'art. 163 c.p.c., al n. 4), deve contenere l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni.

Nelle conclusioni dell'atto di citazione, la parte istante dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate alla condanna della parte convenuta.

L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e notificato telematicamente – o in cartaceo laddove risulti sprovvisto di un valido indirizzo digitale attivo – al condomino.

In particolare, l'attore, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, in base all'art. 165 c.p.c. – modificato anch'esso dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 – entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d'iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il Tribunale, o indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica.

Richieste istruttorie

L'amministratore di condominio può chiedere l'ammissione dell'interrogatorio formale del condomino sulle posizioni articolate nella narrativa dell'atto di citazione, con il quale lo ha evocato in giudizio per conseguirne la condanna all'eliminazione delle lavorazioni eseguite sulle parti private lesive del decoro architettonico dell'edificio e, dunque, al ripristino della situazione preesistente, volte essenzialmente a confermare la ricostruzione dei fatti esposta nella narrativa dell'atto di citazione.

Sulle stesse posizioni, l'istante può chiedere anche l'ammissione di una prova testimoniale a mezzo dei condomini, e può altresì produrre idonea documentazione volta a comprovare la fondatezza della domanda oltre alla richiesta di c.t.u. per la determinazione del genere di lavori – unitamente ai relativi costi – occorrenti per il ripristino della situazione preesistente alla lesione arrecata al decoro architettonico dell'edificio.

4. Conclusioni

L'art. 1120 c.c. vieta le innovazioni comportanti un pregiudizio arrecato al decoro architettonico, inteso come estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture architettoniche che connotano il fabbricato condominiale e che gli imprimono una determinata, armonica fisionomia.

In particolare, costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio (Cass. II, n. 17102/2018).

Ciò significa che l'alterazione di tale decoro è integrata da qualunque intervento che alteri in modo visibile e significativo la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono all'edificio una sua propria specifica identità (Cass. II, n. 9957/2020).

L'opera deve, quindi, rispettare lo stile del fabbricato e non rappresentare, rispetto al preesistente complesso, una rilevante disarmonia percepibile da qualunque osservatore, senza che occorra che l'edificio sia dotato di particolare pregio artistico, ma soltanto di una fisionomia propria, non avendo influenza, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., il grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell'edificio, ovvero alla presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate.

Al riguardo, non appare dunque corretta una valutazione che, ad esempio, si fondi solo sulla differente collocazione della facciata su cui insiste la nuova opera, poiché del condominio edilizio tutte le facciate del fabbricato – o, sia la parte anteriore, frontale e principale, che gli altri lati dello stabile – contribuiscono a connotarne l'insieme delle linee e delle strutture ornamentali, imprimendogli una fisionomia autonoma ed un particolare pregio estetico (Cass. II, n. 7864/2022).

In tale ottica, premesso che in ordine alla valutazione della lesione di cui si discorre occorre guardare alla nozione di decoro architettonico ex art. 1120 c.c. distinguendola da quella concernente l'aspetto architettonico ex art. 1127 c.c. – sebbene le stesse, pur differenti tra loro, siano comunque strettamente complementari, ragione per cui non possono prescindere l'una dall'altra (Cass. VI, n. 15675/2020), sicché anche l'intervento edificatorio in sopraelevazione deve rispettare lo stile del fabbricato, senza recare una rilevante disarmonia al complesso preesistente, sì da pregiudicarne l'originaria fisionomia ed alterarne le linee impresse dal progettista (Cass. II, n. 33104/2021) – l'amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di un'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, ad instaurare il giudizio relativo all'azione finalizzata alla tutela e conservazione delle parti comuni, tra cui rientra anche la tutela del decoro architettonico dell'edificio (Cass. II, n. 18207/2017).

Ai fini dell'opportunità di intraprendere l'azione di ripristino per quanto attiene alla possibilità di un suo accoglimento, va però considerato che il giudice, trovandosi a valutare se sussista la lesione del decoro architettonico di un fabbricato condominiale, a cagione di un intervento operato dal singolo condomino sulla struttura, deve tenere anche conto delle condizioni nelle quali versava l'edificio prima del contestato intervento, potendo anche giungersi a ritenere che l'ulteriore innovazione non abbia procurato un incremento lesivo, ove lo stabile fosse stato decisamente menomato dai precedenti lavori.

Ovviamente, ciò non toglie che possa riconoscersi l'attualità di un apprezzabile decoro architettonico per effetto della lesione apportata successivamente dal condomino all'edificio nonostante i precedenti interventi (Cass. II, n. 11177/2017).

In sintesi, sul piano dell'ammissibilità dell'azione, l'alterazione del decoro architettonico dell'edificio condominiale deve essere apprezzabile, tale essendo ove si traduca in un pregiudizio comportante un deprezzamento economicamente rilevante sia dell'intero fabbricato che delle porzioni in esso comprese, basato su un'analisi cromatica e strutturale, a prescindere dall'esistenza o meno di un particolare pregio artistico dell'edificio per cui, sotto tale aspetto occorre tenere conto dello stato estetico del fabbricato al momento in cui l'innovazione viene attuata dal condomino.

L'appoggio della canna fumaria allo stabile condominiale non vìola l'art. 1102 c.c., non essendo alterato il decoro architettonico né impedito il pari uso agli altri condomini, atteso che la locazione a terzi di una unità immobiliare compresa in un edificio in condominio pone il conduttore in una posizione non diversa da quella del proprietario, in nome del quale egli detiene il bene, ragione per cui gli è quindi consentito installare una canna fumaria funzionale all'esercizio dell'attività commerciale cui sia adibito l'immobile locato (Cass. II, n. 21483/2024).

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