Abbaiare ripetuto del cane del vicino

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

Animali domestici in condominio

A seguito della riforma del condominio (l. n. 220/2012), nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il termine animali “da compagnia” è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale “di affezione”. Infatti, sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell'applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l'animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive. Dunque, attualmente, l'art. 1138, comma 5, c.c. prevede che “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. Secondo le prime interpretazioni, con questa disposizione, il Legislatore ha recepire il mutato sentimento dell'essere umano verso gli animali d'affezione, cui ha fatto seguito un'interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, la quale impone di ritenere che l'animale non possa essere più collocato nell'area semantica concettuale delle “cose”, ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”, e in tale ottica esprimendo la contrarietà per quelle norme del regolamento condominiale che dovessero prevedere il divieto per il singolo condomino di possedere o detenere animali domestici. Quindi, secondo la posizione favorevole all'interpretazione estensiva del comma 5 dell'art. 1138 c.c., tutti i regolamenti, anche quelli non assembleari, non possono menomare, non possono derogare, e comunque non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Tuttavia, esiste anche una posizione interpretativa differente di coloro che ritengono che il vecchio regolamento, contrattuale e trascritto, manterrebbe la propria efficacia in caso di divieto alla detenzione animali (ad esempio, divieto di cani di grossa taglia).

Tutela dei condomini in caso di immissioni intollerabili

L'esistenza di animali all'interno di unità immobiliari poste in un edificio in condominio potrebbe essere fonte di immissioni ex art. 844 c.c. e, al contempo, potrebbe recare disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, ai sensi dell'art. 659 c.p. che disciplina la contravvenzione di disturbo alla quiete pubblica. Quanto agli aspetti di natura civilistica, con riguardo alle condizioni di vita nel condominio devono comunque sempre privilegiarsi le esigenze personali di vita connesse all'abitazione e cioè il diritto – costituzionalmente tutelato – al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria abitazione ed alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiana (Cass. S.U., n. 2611/2017). Quindi, in tema di rumori molesti, nei rapporti tra i condomini di uno stesso edificio è invocabile l'art. 844 c.c., ragion per cui è preciso compito del giudice di merito individuare i limiti della “normale tollerabilità” (Trib. Benevento 29 aprile 2020). Premesso ciò, in mancanza di un regolamento di tipo contrattuale che vieti al singolo di detenere animali nell'immobile di sua esclusiva proprietà, la legittimità di tale detenzione, teoricamente possibile in quanto esplicazione del diritto di proprietà ex art. 832 c.c., deve essere accertata alla luce dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni. In tutte queste situazioni – raggiungimento di livelli insostenibili e non mero fastidio – appare evidente la necessità di ricorrere in via d'urgenza al magistrato per ottenere un provvedimento di allontanamento dell'animale molesto, soprattutto nel caso di abbandono degli animali in totale libertà ed incuria (all'interno delle abitazioni o negli spazi comuni), o nel caso di mancata osservanza delle più elementari regole di buon governo, provocando disagi al resto della compagine condominiale, a causa di latrati, pericoli di aggressioni, e quant'altro. Diversamente, quando l'attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento della tranquillità nel godimento del bene, da parte degli altri partecipi, tutelato espressamente dal regolamento condominiale, non occorre accertare, al fine di ritenere l'attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ai sensi dell'art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono limitare il godimento della proprietà esclusiva in misura anche superiore rispetto a quelle stabilite dalla norma generale. Alla luce delle considerazioni esposte, in presenza di immissioni intollerabili (latrati dei cani dei vicini), il ricorso al provvedimento cautelare inibitorio ex art. 700 c.p.c. è ancor più giustificato, considerando, da un lato, i tempi lunghi di un giudizio ordinario, durante il quale il diritto alla salute degli abitanti nello stabile de quo potrebbe essere minacciato da un pregiudizio “imminente ed irreparabile” e, dall'altro, lo stato di coazione personale fisica e psicologica che i condomini potrebbero subire per la serie di abusi che si ripetono secondo tempi e modalità indeterminati ed imprevisti, ma permanenti.

Tutela penale da disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone

Quanto alla tutela penale, l'art. 659, comma 1, c.p. prevede che chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a euro 309,00. Ebbene – come sottolineato dai giudici – la contravvenzione di cui all'art. 659, comma 1, c.p. è reato solo eventualmente permanente, il quale si può consumare anche con un'unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l'idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui (Cass. pen. III, n. 8351/2015: fattispecie in cui la Suprema Corte ha ritenuto penalmente rilevante l'insistente abbaiare di un cane per una notte intera, sebbene ad intervalli). L'interesse specifico tutelato dalla norma è quello della pubblica tranquillità e, pur non essendo richiesto, trattandosi di reato di pericolo, che il disturbo sia stato effettivamente recato a una pluralità di persone, è necessario tuttavia che i rumori siano obiettivamente idonei a incidere negativamente sulla tranquillità di un numero indeterminato di persone (Cass. pen. I, n. 1394/2000).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Quali tutele hanno i condomini in caso di rumori molesti provenienti dall'abbaiare ripetuto del cane del vicino?

Accertamento delle immissioni intollerabili provenienti dai latrati del cane

Le immissioni possono essere sopportate sino al limite della tollerabilità, superato il quale la legge consente di porvi rimedio attraverso la specifica disciplina dettata dall'art. 844 c.c. che lascia all'interprete la verifica in concreto, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, se le immissioni debbano o meno ritenersi intollerabili. Il legislatore, infatti, non sanziona ogni forma di immissione (sonora, vibrazionale, olfattiva, ecc.), ma solamente quelle che, in considerazione di ogni elemento e peculiarità specifica che differenzia ogni caso, superino la normale tollerabilità. Spetta, poi, al giudice accertare in concreto se vi sia il superamento della normale tollerabilità, utilizzando ogni elemento di prova, ivi comprese le presunzioni o le prove testimoniali oppure, in alternativa, mediante l'espletamento di prove tecniche (App. Palermo 3 ottobre 2019). Non v'è dubbio che il criterio della “normale tollerabilità”, indicato dall'art. 844 c.c. per verificare la liceità delle immissioni sia un criterio relativo, poiché esso non trova il suo punto di riferimento in dati aritmetici fissati dal legislatore, ma ha riguardato a tutte le caratteristiche del caso concreto. In tema – secondo i giudici – la previsione dell'art. 844 c.c. va interpretata senza dar maggiore importanza alla valenza generale e patrimonialistica, giacché la proprietà è soggetta a vari tipi di limiti; nel tener conto dei diritti degli altri cittadini, alla salute e al riposo, non basta accertare che le immissioni non superino i limiti fissati da norme di interesse generale ma è necessario appurare che l'inquinamento acustico – ancorché non vietato nell'interesse della quiete pubblica – non sia intollerabile per il vicino secondo i criteri di normalità, nel rispetto del principio del neminem laedere e prescindendo da estremi di specifica e personale sensibilità (Giud. Pace Ancona 30 luglio 2003: nella specie, è stata ravvisata l'intollerabilità del latrare di due grossi cani in un piccolo giardino a tre metri di distanza dalla finestra di chi ne era disturbato). Questi principi trovano piena applicazione anche in relazione ai rumori prodotti dagli animali dei singoli condomini; tuttavia, il codice civile non fissa una misura di decibel oltre la quale l'abbaiare del cane è vietato, né tantomeno fissa un orario oltre il quale i latrati non sono consentiti. Difatti, la detenzione di un animale può integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 c.c., in quanto tale norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che abbiano carattere materiale, mediato o indiretto e provochino una situazione di intollerabilità attuale (Trib. Piacenza 10 aprile 1990).

I condomini hanno il dovere di impedire gli strepiti degli animali a prescindere dal formale titolo di proprietà

Configura il reato di cui all'art. 659 c.p. la detenzione presso la propria abitazione di alcuni cani che abbaiano continuamente nottetempo, impedendo il riposo e le occupazioni delle persone residenti nelle adiacenze. Il dovere d'impedimento di strepiti di animali deriva dal mero possesso degli animali medesimi, a prescindere dal formale titolo di proprietà, essendo l'obbligo di impedimento collegato all'effettiva signoria sugli animali, i cui strepiti non sono impediti. Inoltre, la verifica del superamento della soglia della normale tollerabilità non deve essere necessariamente effettuato mediante perizia o consulenza tecnica, ben potendo il giudice fondare il suo convincimento in ordine alla sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, occorrendo, ciò nondimeno accertare la diffusa capacità offensiva del rumore in relazione al caso concreto (Cass. pen. III, n. 38901/2018).

I proprietari dei cani che vivono negli appartamenti condominiali devono cercare di farli abbaiare poco, specie se hanno la tendenza ad agitarsi facilmente latrando e abbaiando al minimo rumore

La presenza di un cane all'interno di una struttura condominiale non deve essere lesiva dei diritti degli altri condomini, sicché i proprietari dell'animale devono ridurre al minimo le occasioni di disturbo e prevenire le possibili cause di agitazione ed eccitazione dell'animale stesso, soprattutto nelle ore notturne; occorre, però, tenere presente che la natura del cane non può essere coartata al punto da impedirgli del tutto di abbaiare e che episodi saltuari di disturbo da parte dell'animale possono e devono essere tollerati dai vicini, in nome dei principi del vivere civile (Cass. II, n. 7856/2008: dall'istruttoria testimoniale, era emerso con certezza che il cane di proprietà dei convenuti aveva la tendenza ad abbaiare ogniqualvolta sentiva suonare il campanello o quando avvertiva la presenza di persone all'interno dello stabile, e spesso anche nelle ore notturne). Anche i giudici penali hanno osservato che il reato di cui all'art. 659 c.p. è ravvisabile anche in relazione all'abbaiare dei cani, poiché la norma incriminatrice impone ai padroni degli animali di “impedirne lo strepito”, senza che possa essere invocato, in senso contrario, un “istinto insopprimibile” ad abbaiare dell'animale per sostenere l'insussistenza del reato (Cass. pen. III, n. 54531/2016).

È risarcibile il disturbo provocato dall'abbaiare di un cane della vicina di casa

La detenzione di un animale può integrare la fattispecie di cui all'art. 844 c.c., poiché tale norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che provochino una situazione di intollerabilità attuale (Trib. Bari 12 aprile 2006: nella specie, si trattava di inibire la condotta illecita del proprietario del cane, a causa del danno alla tranquillità e alla qualità della vita conseguenti all'abbaiare rivelatosi improvviso nel manifestarsi e persistente nel tempo, anche in ore destinate al riposo). Quindi, le immissioni di rumore provocate dall'abbaiare continuo del cane non occasionale, ma continuo sia di giorno che di notte, anche fino a tarda ora, non può che risultare intollerabile (Trib. Lucca 10 gennaio 2014: nella vicenda, il cane di grossa taglia veniva dalla padrona tenuto costantemente chiuso all'interno dell'appartamento e che, lasciato solo e incustodito per gran parte del giorno e della notte, abbaiava, ululava e guaiva incessantemente sia nelle ore diurne che nel cuore della notte; procedendo alla quantificazione del danno alla stregua delle risultanze peritali, nonché adottando come parametro di liquidazione le tabelle del Tribunale di Milano, il giudice ha riconosciuto il risarcimento per gli attori, a titolo di danno biologico – o non patrimoniale alla persona – permanente di circa 35 mila euro; nel caso degli attori, l'esposizione all'evento stressante per cui è causa e la rielaborazione delle situazioni di vita conseguenti a tale fatto “ingiusto” avevano determinato lo sviluppo di un episodio di malattia con caratteristiche sintomatologiche a comune con quelle tipiche del “disturbo dell'adattamento con ansia”; dunque, secondo il provvedimento in esame, se è raggiunta la prova che gli attori a causa delle immissioni rumorose subite abbiano riportato danni alla loro integrità psicofisica risarcibili ex art. 32 Cost. e art. 2059 c.c., il superamento dei limiti di tollerabilità delle immissioni può essere valutato come danno ingiusto a fini risarcitori). Anche i giudici penali hanno sostenuto che è responsabile il proprietario del cane che, producendo rumori, pone in essere una condotta idonea a ledere della quiete di una pluralità di persone che abitano nelle vicinanze, a cui è pertanto tenuto a risarcire il danno, anche nel caso in cui a lamentarsi sia stata soltanto una di queste (Cass. pen. VII, n. 26107/2006).

Tutela d'urgenza per l'allontanamento dei cani in assenza di regolamento

Nel caso in cui il regolamento non contenga disposizioni in merito alla detenzione di animali, se essi disturbino o provochino danni al vicino, il giudice può, con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali molesti dal condominio, affidando l'esecuzione ad organi pubblici, con divieto assoluto di ritorno nell'edificio condominiale, poiché i miagolii ed i latrati notturni sono considerati ai sensi dell'art. 844 c.c. delle immissioni sonore le quali superando le normali tollerabilità possono dare àdito ad un allontanamento dell'animale stesso (Trib. Napoli 8 marzo 1994). In ogni caso, in mancanza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale che vietasse al singolo condominio di detenere animali nell'immobile di sua esclusiva proprietà, la legittimità di tale detenzione deve essere accertata alla luce dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni (Trib. Piacenza 10 aprile 1990: nella specie, il conflitto nasceva tra un singolo condomino e l'inquilino di un appartamento contiguo, il quale aveva adibito il cortile dell'immobile da lui occupato a ricovero e pensione di cani in numero rilevante, e le immissioni provocate da tale situazione si traducevano nel fastidio causato dai continui latrati degli animali, da indurre il vicino ad abbandonare il proprio immobile).

Tutela d'urgenza per l'allontanamento dei cani in presenza di regolamento

Nel caso in cui un regolamento condominiale di tipo contrattuale vieti di tenere animali che possano recare disturbo ai condomini, il giudice, accertati tali disturbi, può ordinare, con provvedimento di urgenza, l'allontanamento degli animali dagli appartamenti in cui sono tenuti (Trib. Napoli 25 ottobre 1990). Pertanto, in presenza di norma regolamentare che faccia divieto assoluto di tenere animali, il giudice ben può – con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. – ordinare l'allontanamento dal condominio di due cani di razza pitt bull, da un condomino detenuti nel locale adibito a cantina sito al piano terraneo dell'edificio, e ciò a prescindere dalla ricorrenza o meno degli estremi per la configurabilità di immissioni intollerabili ex art. 844 c.c. (per odori e rumori provocati dagli animali), stante la più intensa tutela contrattuale preordinata (Trib. Salerno 22 marzo 2004).

L'amministratore può agire solo per il rispetto del regolamento

L'amministratore di condominio non è legittimato ad intraprendere, in forza di delibera adottata a maggioranza, un giudizio di natura risarcitoria volto alla tutela del diritto alla salute dei condomini, rientrando tale diritto tra quelli esclusivi e personali (Trib. Napoli 29 giugno 1999). Diversamente, l'amministratore del condominio è legittimato ad agire giudizialmente (solo) per il rispetto del regolamento e per la cessazione di molestie derivanti dalla detenzione di animali negli appartamenti (Trib. Parma 11 novembre 1968); in tal caso, in presenza di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi natura, il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale norma regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c. (Trib. Milano 28 maggio 1990).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

Il condomino rende noto al proprio vicino proprietario dell'unità abitativa adiacente posta nello stesso stabile che, il continuo abbaiare del cane sia di giorno, nelle opere pomeridiane, sia di notte, rende impossibile il riposo, ragione per cui gli intima di prendere adeguate misure per fare sì che, tale situazione cessi immediatamente, preavvisandolo che, in difetto, sarà costretto ad adire il competente giudice, con possibile aggravio di costi.

Funzione e natura del giudizio

È un procedimento cautelare atipico, proposto in via d'urgenza da un condomino per il continuo abbaiare del cane del vicino, al fine di conseguire l'immediata cessazione della situazione che impedisce il riposo sia nelle ore diurne sia in quelle notturne.

Aspetti preliminari

Mediazione

Trattandosi di procedimento cautelare – sebbene con effetti anticipatori – non è necessario instaurare preventivamente il procedimento di mediazione, non essendo quest'ultimo condizione di procedibilità per le azioni proponibili in via d'urgenza dalla parte interessata.

Competenza

Il Tribunale, ai sensi dell'art. 9 c.p.c., è il giudice competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice, e, in generale, per quelle di valore indeterminabile.

Legittimazione

Il condomino, proprietario dell'unità abitativa adiacente a quella del vicino proprietario del cane che abbaia nel corso dell'intera giornata, è legittimato a proporre l'azione cautelare con ricorso d'urgenza nei confronti del suddetto condomino.

Profili di merito

Onere della prova

Il condomino istante deve provare che il vicino è il proprietario del cane che abbaia e che quest'ultimo è effettivamente quello a cui imputare tale evento, associato alla sua presenza nell'unità abitativa adiacente a quella del ricorrente.

Contenuto del ricorso d'urgenza

La domanda cautelare proposta in via d'urgenza assume la forma del ricorso, il quale, oltre a contenere le indicazioni di cui all'art. 125 c.p.c., deve altresì indicare il giudice dinanzi al quale l'azione è proposta; il nome, cognome, residenza e codice fiscale della parte ricorrente e del difensore, il quale deve anche indicare il numero di fax e l'indirizzo pec presso il quale intende ricevere le comunicazioni di cancelleria; il nome, cognome, codice fiscale, residenza, o domicilio o dimora della parte resistente; l'esposizione dei fatti integranti rispettivamente il fumus boni juris ed il periculum in mora, quest'ultimo, rilevante specificamente sotto l'aspetto del pregiudizio imminente ed irreparabile.

In particolare nel ricorso, da un lato, vanno allegati i fatti oggetto d'indagine da parte del giudice, in forma chiara e circostanziata come peraltro esige la recente riforma del processo civile, e, dall'altro, va specificato in cosa consiste per il ricorrente, il fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per fare valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, a tale fine, indicando le circostanze sulla cui scorta verosimilmente il giudice adìto potrebbe concedere la richiesta tutela cautelare in via d'urgenza.

Il ricorso, unitamente alla procura alla lite, va sottoscritto dalla parte ricorrente e dal proprio difensore, quest'ultimo anche per autentica della sottoscrizione del suo cliente.

Richieste istruttorie

Il condomino ricorrente può chiedere l'assunzione di informatori in persona degli altri condomini dello stabile condominiale al fine di provare il fumus boni juris riferito alla circostanza che il cane del vicino abbaia in continuazione a tutte le ore del giorno e della notte, il quale è altresì presente nell'appartamento del condomino evocato in giudizio.

In particolare, sotto la lente d'ingrandimento, può finire lo stesso comportamento del vicino proprietario del cane, al fine di verificare in concreto se lascia solo per troppo tempo l'animale in casa oppure chiuso fuori sul balcone, specie durante la notte, dovendone preservare l'umore, al fine di evitare per l'animale l'insorgenza di cause di eccitazione e di nervosismo o l'ansia da solitudine che lo inducano a lamentarsi abbaiando per manifestare l'insoddisfazione di un determinato bisogno.

Ciò in quanto l'obbligo di fare smettere il cane di abbaiare ricade sul padrone, il quale non può scusarsi dicendo di avere redarguito l'animale, perché è suo dovere fare di tutto, anche lasciarlo entrare ed accarezzarlo finché non si rabbonisce.

Il medesimo ricorrente deve altresì allegare la documentazione – fotografica e audiovisiva – comprovante la presenza del cane nell'unità immobiliare adiacente, nella quale si verifica l'anzidetto evento, ed il connesso periculum in danno dello stesso istante, attesa la necessità del contestuale riscontro di entrambi gli anzidetti presupposti per l'accoglimento dell'azione cautelare proposta in via d'urgenza.

Significativa può essere anche l'allegazione di ripetute segnalazioni ricevute dalla polizia locale.

4. Conclusioni

Il condomino, che intende agire nei confronti del proprio vicino proprietario del cane il cui continuo abbaiare ha reso necessaria la proposizione del ricorso d‘urgenza al fine di conseguire la cessazione di tale situazione, deve allegare l'esistenza dei presupposti occorrenti per la proposizione di tale azione, consistenti nel fumus e nel periculum derivante dalla condotta anzidetta, resa possibile per effetto del disinteresse e mancanza di responsabilità della parte resistente evocata dinanzi al giudice della cautela.

In particolare, occorrerà dimostrare che, a causa dell'abbaiare durante il tempo occorrente per fare valere il diritto in via ordinaria, si profila il verificarsi di un pregiudizio imminente ed irreparabile per il medesimo condomino in forza del quale, si giustifica il ricorso alla procedura d'urgenza, a tale fine, dimostrando, non solo che il cane del vicino abbaia ad ogni ora e che si sente nel vicinato, ma che da ciò deriva un danno per la sua salute psico-fisica, non potendo dormire la notte.

Con questa azione, il giudice ordina al condomino-proprietario dell'animale di prendere adeguate misure idonee a fare cessare la situazione denunciata che rende impossibile il riposo del vicino a causa delle continue immissioni canore dell'animale d'affezione a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Con il medesimo provvedimento reso in forma di ordinanza, e su richiesta ad hoc del ricorrente, il magistrato può anche prevedere un'astreinte, vale a dire una sanzione pecuniaria per ogni giorno in cui non verrà rispettato il suddetto obbligo di consentire il riposo altrui, la cui funzione è quella di quantificare in anticipo il danno non patrimoniale prodotto al condomino ricorrente.

In particolare, con il provvedimento d'urgenza emesso nei confronti del proprietario del cane per l'adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, su richiesta di parte, fissa la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione od inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento (ad esempio, per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento che impone l'addestramento, condannando il proprietario del cane a pagare al vicino 10 euro).

Ciò non impedisce all'istante di conseguire un maggiore risarcimento del danno instaurando un successivo giudizio di merito, avente ad oggetto la domanda relativa al danno patrimoniale come quello dell'inquilino del ricorrente che disturbato dall'abbaiare del cane del vicino chieda la risoluzione anticipata della locazione, adducendo come causa proprio l'invivibilità dell'appartamento per via dei continui latrati, oppure che incide su un diritto inviolabile della persona, quale il superamento dei limiti di tollerabilità delle immissioni che può essere apprezzato quale danno ingiusto, oltre che a fini inibitori, anche a fini risarcitori, unitamente alla presenza degli altri elementi della responsabilità aquiliana.

Al riguardo, premesso che il suddetto comportamento al ricorrere di determinate condizioni, può anche integrare una fattispecie di reato – quando, ad esempio, esista un riscontrato danno biologico da ansia e stress provocati dal rumore, accertabili anche in sede medico-legale – è opportuno precisare la pericolosità della situazione in questione per quanto attiene alla salute psico-fisica dell'istante la cui abitazione si trovi nelle immediate vicinanze di quella al cui interno vive il cane responsabile dell'anzidetto disagio.

In sintesi, posto che il proprietario del cane deve assumersi la responsabilità del comportamento del proprio animale, poiché l'espletamento delle sue necessità fisiologiche – tra le quali rientra quella dell'abbaiare – è un istinto non sopprimibile né tantomeno gestibile, l'unica cosa che può fare il condomino-proprietario è addestrarlo con l'ausilio di personale esperto in servizio presso centri specializzati cinofili, in tale modo, adempiendo all'obbligo impartito dal giudice.

Sul piano della proponibilità del ricorso d'urgenza, il quale deve essere adeguatamente motivato e provato, è importante considerare che la natura del cane non può essere coartata al punto da impedirgli del tutto di abbaiare, e che episodi saltuari di disturbo da parte dell'animale che non superino una determinata soglia di tollerabilità, possono e devono essere tollerati dal vicino, in nome dei principi del vivere civile nello spazio condominiale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario