Diversa convenzione per la ripartizione delle spese1. Bussole di inquadramentoAspetti generali sul regolamento di condominio Il regolamento di condominio è lo strumento di regolamentazione della vita della collettività. L'art. 1138 c.c. – che, preme sùbito chiarire, fa esclusivo riferimento ai regolamenti di condominio assembleari – individua un elenco di materie che necessitano di essere regolamentate: l'elencazione non è, però, da intendersi come tassativa, ben potendo, come nella prassi accade, che i regolamenti di condominio disciplinino questioni ulteriori rispetto al contenuto minimo essenziale prescritto dal legislatore. Dunque, in base al suo contenuto, il regolamento condominiale si distingue in assembleare e contrattuale. Il contenuto del primo si rinviene nell'art. 1138 c.c. e si estrinseca nelle norme relative all'uso delle cose comuni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio ed alla amministrazione condominiale. Il regolamento assembleare non può in alcun modo comprimere le facoltà dei singoli condomini connesse alle proprietà esclusive o al godimento delle proprietà comuni. Nel regolamento contrattuale, invece, si rinvengono norme che comprimono le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive o che limitano (o estendono) il godimento di quelle comuni. Solitamente, questo tipo di regolamento “esterno” viene predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario dell'immobile ed accettato dai condomini al momento dell'acquisto delle singole unità. Nulla vieta, tuttavia, che regole limitative o estensive dei diritti possano essere assunte in un momento successivo, dai condomini, con l'unanimità dei consensi. Le clausole del regolamento Nell'àmbito dei regolamenti contrattuali (di origine sia esterna sia interna), occorre distinguere le clausole con contenuto tipicamente “regolamentare”, dirette a disciplinare la conservazione, l'uso ed il godimento delle parti comuni, nonché l'apprestamento e la fruizione dei servizi comuni – di regola, concernenti il contenuto c.d. necessitato del regolamento di cui al comma 1 dell'art. 1138 c.c. – e le clausole di natura “contrattuale”, che incidono sull'utilizzabilità e destinazione delle parti esclusive o che comportino restrizioni al diritto di proprietà dei singoli sulle cose comuni. Ad esempio, rivestono natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, il divieto di occupare temporaneamente alcune parti comuni dell'edificio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile, o l'obbligo di uso turnario del lastrico solare), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l'appartamento a sala da ballo o discoteca). Le regole sulla diversa ripartizione delle spese L'art. 1123, comma 1, c.c. stabilisce che le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini “in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”. La previsione in esame va completata con l'art. 68 disp. att. c.c. che, per gli effetti indicati dagli artt. 1123,1124,1126 e 1136 c.c., assegna al regolamento di condominio il compito di precisare in apposita tabella il valore proporzionale, espresso in millesimi, di ciascuna porzione di proprietà esclusiva. Dunque, l'art. 1123, comma 1, c.c., nella parte in cui specifica “salvo diversa convenzione” (ultimo periodo del comma 1), dà la possibilità ai condomini di derogare all'applicazione dei criteri legali di ripartizione delle spese in favore di altri criteri di natura convenzionale, efficaci inter partes. Tale possibilità offerta dal Legislatore non è altro che espressione dell'autonomia privata dei condomini. Una regola derogatoria alla disciplina legale può, ad esempio, stabilire un criterio particolare di ripartizione delle spese, sia in generale, sia per alcuni servizi e manutenzioni, vincolante per tutti i partecipanti al condominio; può, altresì, esonerare alcuni condomini dal pagamento dei contributi, in misura parziale e anche totale; come esempio pratico, si potrebbe prevedere che, alla manutenzione del lastrico solare, provvedano tutti i condomini secondo i millesimi, a prescindere che siano o meno coperti dalla porzione di lastrico oggetto di lavori (Cass. II, n. 4183/2017). Le regole sulla ripartizione delle spese tra i condomini sono generalmente contenute nel regolamento di condominio, il quale deve specificatamente contenere le disposizioni che consentono la distribuzione proporzionale degli oneri tra i vari partecipanti della comunione edilizia, nonché la definizione dei valori proporzionali delle singole proprietà attraverso le tabelle millesimali. Il regolamento condominiale definisce, di solito, i criteri in base ai quali, nelle ipotesi di beni, impianti o servizi destinati a servire i condomini in misura diversa, deve effettuarsi la ripartizione, e contiene tabelle differenziate in base alle quali è stabilita la ripartizione delle spese in relazione ad alcune “voci”, in modo da rendere possibile una ripartizione che tenga conto delle differenti modalità di utilizzazione. Premesso quanto innanzi esposto, atteso che la disciplina sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni è suscettibile di deroga, ne deriva che, in assenza di una tale previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condomini alle decisioni concernenti detto bene (Cass. II, n. 14697/2015). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
I condomini possono derogare ai criteri generali di ripartizione delle spese con una delibera assunta con la maggioranza dei consensi?
Le modalità della deroga sui criteri generali di ripartizione L'art. 1138 c.c. non include, tra le norme inderogabili, quelle di cui agli artt. 1123,1124,1125 e 1126 c.c. Pertanto, l'assemblea, in virtù della propria autonomia negoziale, può derogare ai predetti criteri di ripartizione delle spese – ad esempio, prevedendo che contribuiscano tutti i condomini, in base ai millesimi, alla manutenzione del lastrico solare in deroga a quanto previsto dall'art. 1125 c.c. (Cass. VI, n. 4183/2017) – con delibera assunta all'unanimità dei partecipanti alla comunione (Cass. II, n. 470/2019; Trib. Roma 27 settembre 2018) o con regolamento condominiale contrattuale predisposto dall'originario unico proprietario o dal costruttore e richiamato nei singoli atti di acquisto (Trib. Roma 13 maggio 2019) che operi sia la modifica dei criteri legali di cui all'art. 1123 c.c. sia la modifica di un precedente regolamento contrattuale (Cass. II, n. 19651/2017; Cass. II, 6714/2010; Trib. Latina 2 marzo 2018), oppure con regolamento di origine assembleare approvato da tutti i condomini. Le condizioni di un valido accordo sulla deroga dei criteri di ripartizione L'art. 1123 c.c. prevede espressamente che i criteri legali stabiliti per la ripartizione delle spese comuni possano essere derogati solo da una diversa convenzione, ossia da un regolamento condominiale di carattere contrattuale o da un accordo tra tutti i condomini. Detto accordo, peraltro, potrà risultare da un verbale di assemblea condominiale o sottoscritto da tutti i partecipanti al condominio o in cui si dia atto comunque dell'unanimità dei consensi. Sarebbero pertanto illegittime eventuali delibere condominiali, con cui venisse adottato un criterio di ripartizione diverso da quello legale, in assenza dell'unanimità dei consensi dei partecipanti al condominio (Trib. Genova 7 luglio 2004). Il principio espresso è conforme all'orientamento giurisprudenziale, secondo cui la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio è, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che deve ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale, oppure nella deliberazione dell'assemblea, quando approvata da tutti i condomini (Cass. II, 6735/2020; Cass. II, n. 641/2003). Pertanto, l'art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno di essi dall'obbligo di partecipare alle spese medesime. In tale ultima ipotesi, la clausola del regolamento di condominio, che stabilisca per una determinata categoria di condomini l'esenzione dal concorso in qualsiasi tipo di spesa in ordine a una determinata cosa comune, comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su detta parte del fabbricato (App. Bari 27 ottobre 2021). In assenza di una diversa convenzione adottata all'unanimità, la ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente avvenire nel rispetto del criterio legale di proporzionalità indicato all'art. 1123 c.c., non essendo consentito all'assemblea, mediante la deliberazione a maggioranza, di suddividere con criterio “capitario” gli oneri necessari per la prestazione di servizi nell'interesse comune (Trib. Pordenone 24 aprile 2020). La validità della delibera sulla diversa ripartizione o dell'esonero per alcuni condomini La disciplina contenuta negli artt. 1123-1125 c.c., sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale e, quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale. In particolare, deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime. In quest'ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l'esenzione totale dall'onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine ad una determinata cosa comune – come, ad esempio, l'ascensore – si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato proprietà (Cass. II, n. 14697/2015; Cass. II, n. 5975/2004). Anche la deroga al dettato codicistico di cui all'art. 1126 c.c. da parte dell'assemblea dei condomini, così come la modifica del regolamento di condominio o, comunque, la disapplicazione dello stesso in deroga altresì ai criteri legali di ripartizione delle spese comuni, può essere effettuata in presenza di una convenzione contrattuale resa all'unanimità dai condomini, oppure attraverso comportamenti concludenti e reiterati nel tempo da cui sia possibile riscontrare la volontà inequivoca di adottare differenti criteri di riparto delle spese condominiali (Trib. Campobasso 7 agosto 2014). La nullità della delibera che modifica i criteri senza l'unanimità dei consensi È affetta da nullità – la quale può essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ed ancorché abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine di impugnazione previsto dall'art. 1137 c.c. – la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri legali o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune, e ciò perché il riparto in base all'uso differenziato, previsto dal secondo comma del citato art. 1123 c.c., non è applicabile alle spese generali (Cass. II, n. 126/2000). Sono, inoltre, nulle le delibere prese consapevolmente in deroga ai criteri di legge e senza l'unanimità richiesta (Cass. II, n. 2301/2001). I giudici, in tema di supercondominio, hanno ritenuta nulla la delibera che accolli ai condomini gli oneri relativi ad un altro fabbricato sul solo fondamento delle disposizioni regolamentari di quest'ultimo in assenza di espressa adesione (Cass. II, 23688/2014: il regolamento di un condominio non integra, rispetto ad altro condominio facente parte del medesimo supercondominio, la “diversa convenzione” di cui all'art. 1123, comma 1, ultima parte, c.c., che si riferisce esclusivamente ad una ripartizione convenzionale tra gli interessati, diversa da quella legale, delle spese che i condomini di un edificio sono tenuti a sopportare). L'annullabilità della delibera che adotta un criterio di ripartizione in violazione di quelli legali Quando nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., vengono in concreto ripartite le spese medesime, queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili (Cass. II, n. 1455/1995; Cass. II, n. 1213/1993). Quindi, è illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un onere di contribuzione, delle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro più intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni. Invero, la delibera assunta nell'esercizio delle attribuzioni assembleari previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., relativa alla ripartizione in concreto tra i condomini delle spese condominiali, ove, in mancanza di tabelle millesimali del condominio, adotti un criterio provvisorio, deve considerarsi annullabile, non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c., e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza di cui all'art. 1137 c.c. (Trib. Campobasso 7 agosto 2014). Pertanto, nell'ipotesi di un regolamento condominiale non contrattuale, la delibera assembleare che approvi una ripartizione delle spese in difformità a quanto previsto dall'art. 1123 c.c., ai sensi del quale le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, è annullabile (App. Firenze 14 settembre 2011). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Il condomino, deducendo la nullità della deliberazione condominiale adottata in relazione al riparto delle spese comuni alla quale non aveva partecipato per ragioni personali, poiché non assunta all'unanimità dei consensi necessaria per derogare ai criteri legali di ripartizione, chiede all'amministratore di procedere ad una nuova convocazione assembleare con urgenza, al fine di revocare quanto precedentemente deliberato dai condomini, in modo da evitare il ricorso all'impugnazione giudiziale dell'anzidetta delibera. Funzione e natura del giudizio L'impugnazione della delibera condominiale che si assume essere stata presa illegittimamente e, dunque, per tale ragione affetta da nullità, ha natura di un ordinario giudizio di cognizione, la cui funzione è quella di annullare la delibera adottata dal condominio in quanto pregiudizievole degli interessi del condomino opponente. Aspetti preliminari Mediazione La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente al legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5 comma 1 del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71 quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile. L'onere di azionarla ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 l'abrogazione del comma 2, 4, 5, 6, e stabilendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole, “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice”, siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità per contrasto con l'art. 1138 c.c. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in ambito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione. Competenza La competenza ad impugnare una delibera assembleare condominiale, il cui valore è indeterminabile, attualmente appartiene al Tribunale, al riguardo considerando che, secondo un orientamento, ai fini della determinazione della competenza per valore, in relazione ad una controversia avente ad oggetto il riparto di una spesa approvata dall'assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentire dichiarare l'inesistenza del suo obbligo di pagamento sull'assunto dell'invalidità della deliberazione assembleare, bisogna fare riferimento all'importo contestato ex art. 12 c.p.c., relativamente alla sua singola obbligazione, e non all'intero ammontare risultante dal riparto approvato dall'assemblea di condominio, poiché, in generale, allo scopo dell'individuazione dell'incompetenza, occorre avere riguardo al thema decidendum, invece che al quid disputandum, da ciò derivando che l'accertamento di un rapporto che costituisce la causa petendi della domanda, in quanto attiene ad una questione pregiudiziale della quale il giudice può conoscere in via incidentale, non influisce sull'interpretazione e qualificazione dell'oggetto della domanda principale e, conseguentemente, sul valore della causa (Cass. VI, n. 21227/2018; Cass. VI, n. 16898/2013; Cass. II, n. 6363/2010; contra, Cass. II, n. 1201/2010; Cass. II, n. 23559/2007; Cass. II, n. 6617/2004; Cass. II, n. 8447/2000). In particolare, per Cass. VI, n. 15434/2020, quando si chiede l'annullamento di una deliberazione dell'assemblea condominiale, se il vizio ha carattere meramente formale e la delibera impugnata non ha ex se alcuna incidenza diretta sul patrimonio dell'attore, la domanda giudiziale appartiene alla competenza residuale del Tribunale, non avendo ad oggetto la lesione di un interesse suscettibile di essere quantificato in una somma di denaro per il danno ingiustamente subito ovvero per la maggiore spesa indebitamente imposta. Successivamente, Cass. II, n. 19250/2021, ha quindi sostenuto che la domanda di impugnazione di una delibera assembleare introdotta dal singolo condomino, anche ai fini della stima del valore della causa, non può intendersi ristretta all'accertamento della validità del rapporto parziale che lega l'attore al condominio e dunque al solo importo contestato, ma si estende necessariamente alla validità dell'intera deliberazione e, dunque, all'intero ammontare della spesa, giacché l'effetto caducatorio dell'impugnata deliberazione dell'assemblea condominiale, derivante dalla sentenza con la quale ne viene dichiarata la nullità o l'annullamento, opera nei confronti di tutti i condomini, anche se non abbiano partecipato direttamente al giudizio promosso da uno o da alcuni di loro. Secondo un più recente orientamento emerso nella giurisprudenza di legittimità, nell'azione di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea di condominio, che sia volta ad ottenere una sentenza di annullamento avente effetto nei confronti di tutti i condomini, il valore della causa deve essere determinato sulla base dell'atto impugnato, e non sulla base dell'importo del contributo alle spese dovuto dall'attore in base allo stato di ripartizione, non operando la pronuncia solo nei confronti dell'istante e nei limiti della sua ragione di debito (Cass. II, n. 9068/2022). Legittimazione La legittimazione attiva è del condomino che decide di impugnare la delibera condominiale adottata dall'assemblea in violazione dei criteri legali concernenti il riparto delle spese, mentre dal lato passivo, legittimato a contraddire è l'amministratore di condominio in rappresentanza dei condomini. Profili di merito Onere della prova L'onere di provare l'esistenza della violazione grava sul condomino impugnante, il quale, in tale ottica, deve prima di tutto allegare agli atti del giudizio una copia della delibera che assume di essere viziata, individuando specificamente i parametri legali che assume essere stati violati, unitamente alle relative circostanze ricorrenti nella fattispecie concreta. L'amministratore del condominio è, invece, onerato della prova contraria. Contenuto dell'atto di citazione L'atto di citazione deve contenere la vocatio in jus del condominio in persona del suo amministratore pro-tempore – che per effetto di quanto enunciato nell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022 il termine in essa indicato è elevato a 120 giorni liberi che necessariamente devono decorrere tra il giorno della notificazione dell'atto e quello dell'udienza di comparizione – e deve altresì contenere gli avvertimenti previsti espressamente dall'art. 163, comma 3, n. 3-bis e dunque, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; e, che in base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 occorre indicare insieme al giorno dell'udienza di comparizione, anche l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del citato d.lgs. n. 149/2022, l'art. 163 c.p.c., al n. 4), deve contenere l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. Nelle conclusioni dell'atto di citazione, la parte opponente dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate all'annullamento della delibera condominiale impugnata. L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e notificato telematicamente – o in cartaceo laddove risulti sprovvisto di un valido indirizzo digitale attivo – all'amministratore pro-tempore del condominio. In particolare, l'attore, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, in base all'art. 165 c.p.c. – modificato anch'esso dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 – entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d'iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il tribunale, o indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica. Richieste istruttorie L'opponente, oltre a chiedere l'interrogatorio formale dell'amministratore di condominio sui capitoli specifici riguardanti la narrativa del fatto sulla cui scorta si è introdotto il giudizio di impugnazione della delibera assembleare, all'esito del quale può formulare altresì richiesta di ammissione della prova testimoniale sui medesimi capitoli a mezzo dei condomini, deve produrre la delibera assembleare impugnata dalla quale si evince la presenza non totalitaria dei condomini e la decisione presa a maggioranza, a cui si aggiunge la produzione di idonea documentazione volta a comprovare la violazione di legge. 4. ConclusioniLe spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, indicate nell'art. 1117 c.c., per la loro funzione necessaria all'uso collettivo, sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, salvo diversa convenzione. Pertanto, se le cose comuni sono destinate a servire i condomini di un edificio in misura diversa, le spese, a norma dell'art. 1123, comma 2, c.c., vanno ripartite in misura proporzionale all'uso che ogni condomino può farne, salvo eventuali accordi, approvati all'unanimità dei condomini, con cui si preveda la ripartizione in misura proporzionale ai millesimi di proprietà. Conseguentemente, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, sono da ritenersi nulle, mentre sono invece annullabili e, come tali, impugnabili nel termine di cui all'art. 1137, ultimo comma, c.c. le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all'art. 1123 c.c. (Cass. II, n. 6714/2010; Cass. II, n. 3704/2011; Cass. II, n. 17101/2006; Trib. Milano 17 giugno 2005; App. Lecce 27 agosto 2004; Cass. II, n. 2301/2001; Trib. Cagliari 7 marzo 1997; Cass. II, n. 7359/1996; Cass. II, n. 1213/1993; Trib. Milano 10 febbraio 1992; Cass. II, n. 3920/1989; Cass. II, n. 4851/1988; Cass. S.U., n. 2928/1980). Ciò premesso, in materia di condominio degli edifici, le innovazioni, per le quali è consentito al singolo condomino, ai sensi dell'art. 1121 c.c., di sottrarsi alla relativa spesa per la quota che gli compete, sono quelle che, oltre a riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata, hanno natura voluttuaria, oppure risultano molto gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni ed all'importanza dell'edificio (Cass. II, n. 428/1984), ragione per cui le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, indicate nell'art. 1117 c.c., per la loro funzione necessaria all'uso collettivo, sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, salvo diversa convenzione. Ove trattasi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese vanno ripartite in proporzione dell'uso che ciascun condomino può farne, mentre le spese relative alla cosa che in alcun modo, per ragioni strutturali od attinenti alla sua destinazione, possano servire ad uno o più condomini non vanno poste a carico di quest'ultimi (Cass. II, n. 24166/2021). |