Autorizzazione dell'assemblea all'uso delle parti comuni

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

Aspetti generali sul regolamento di condominio

Il regolamento di condominio è lo strumento di regolamentazione della vita della collettività. L'art. 1138 c.c. – che, preme sùbito chiarire, fa esclusivo riferimento ai regolamenti di condominio assembleari – individua un elenco di materie che necessitano di essere regolamentate: l'elencazione non è, però, da intendersi come tassativa, ben potendo, come nella prassi accade, che i regolamenti di condominio disciplinino questioni ulteriori rispetto al contenuto minimo essenziale prescritto dal legislatore. Dunque, in base al suo contenuto, il regolamento condominiale si distingue in assembleare e contrattuale. Il contenuto del primo si rinviene nell'art. 1138 c.c. e si estrinseca nelle norme relative all'uso delle cose comuni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio ed alla amministrazione condominiale. Il regolamento assembleare non può in alcun modo comprimere le facoltà dei singoli condomini connesse alle proprietà esclusive o al godimento delle proprietà comuni. Nel regolamento contrattuale, invece, si rinvengono norme che comprimono le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive o che limitano (o estendono) il godimento di quelle comuni. Solitamente, questo tipo di regolamento “esterno” viene predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario dell'immobile ed accettato dai condomini al momento dell'acquisto delle singole unità. Nulla vieta, tuttavia, che regole limitative o estensive dei diritti possano essere assunte in un momento successivo, dai condomini, con l'unanimità dei consensi.

Le clausole del regolamento

Nell'àmbito dei regolamenti contrattuali (di origine sia esterna sia interna), occorre distinguere le clausole con contenuto tipicamente “regolamentare”, dirette a disciplinare la conservazione, l'uso ed il godimento delle parti comuni, nonché l'apprestamento e la fruizione dei servizi comuni – di regola, concernenti il contenuto c.d. necessitato del regolamento di cui al comma 1 dell'art. 1138 c.c. – e le clausole di natura “contrattuale”, che incidono sull'utilizzabilità e destinazione delle parti esclusive o che comportino restrizioni al diritto di proprietà dei singoli sulle cose comuni. Ad esempio, rivestono natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, il divieto di occupare temporaneamente alcune parti comuni dell'edificio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile, o l'obbligo di uso turnario del lastrico solare), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l'appartamento a sala da ballo o discoteca).

La modifica delle clausole del regolamento

Il regolamento di condominio può essere oggetto di modifiche nel tempo in relazione ai nuovi interessi di gestione; tuttavia, anche per quanto concerne la modifica del suddetto regolamento, è opportuno operare una distinzione tra le possibili tipologie. Infatti, il regolamento assembleare può essere modificato, integrato o abrogato in parte, dalla stessa assemblea, con la maggioranza richiesta per la sua approvazione – ossia con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio, come dispone il comma 2 dell'art. 1136 c.c. richiamato dal comma 3 dell'art. 1138 c.c. – e con i medesimi quorum possono essere approvate, di volta in volta, delibere in deroga, ossia disattendendo il precetto per un caso concreto, o in contrasto, ossia fissando un nuovo canone regolamentare, con le clausole originariamente statuite (Cass. II, n. 5626/2002; Cass. II, n. 1057/1999). Anche se, per ipotesi, fosse stato approvato in assemblea dall'unanimità dei consensi, il regolamento assembleare può essere modificato a maggioranza purché sia quella prescritta dalla legge, a meno che non contenga clausole di natura “convenzionale”, che incidano sui diritti e sugli obblighi dei condomini, che dovranno essere modificate solo con il consenso di tutti i partecipanti. Invero, in tale ultima ipotesi, secondo la Suprema Corte, il regolamento predisposto dall'originario unico proprietario o dai condomini con consenso totalitario può non avere natura contrattuale se le sue clausole si limitano a disciplinare l'uso dei beni comuni, pure se immobili. Conseguentemente, mentre è necessaria l'unanimità dei consensi dei condomini per modificare il regolamento convenzionale, avendo questo la medesima efficacia vincolante del contratto, è invece sufficiente una deliberazione maggioritaria dell'assemblea dei partecipanti alla comunione per apportare variazioni al regolamento che non abbia tale natura. E poiché solo alcune clausole di un regolamento possono essere di carattere contrattuale, l'unanimità dei consensi è richiesta per la modifica di esse e non delle altre clausole per la cui variazione è sufficiente la delibera assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, comma 2, c.c. (Cass. II, n. 17694/2017).

L'uso delle parti comuni dell'edificio

La norma regolatrice, in tale materia, è costituita dall'art. 1102 c.c. – dettata in tema di comunione, ma applicabile anche al condominio stante il richiamo dell'art. 1139 c.c. – il quale consente al condominio di servirsi della cosa comune, “purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Quindi, secondo il precetto in commento, la libertà del condomino di usare la cosa comune soggiace a due ordini di limitazioni: di ordine oggettivo (o qualitativo), ossia attinenti alla res, volendo evitare che la funzione della cosa comune sia distolta da quella sua propria, nonché di ordine soggettivo (o quantitativo), nel senso che viene posto l'accento sul potere degli altri comproprietari di usare ugualmente la cosa in conformità del diritto di comproprietà del quale anche essi risultano titolari. Dunque, il singolo partecipante può servirsi della stessa, sempre con i due limiti oggettivi e soggettivi di cui sopra, anche modificando la cosa comune, per il miglior godimento della stessa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalità, e ciò ai sensi dell'art. 1102, comma 1, ultima parte, c.c. Ne consegue il divieto per i condomini di utilizzare arbitrariamente le cose comuni a danno degli altri condomini, oppure in modo tale da rendere non più utile quella cosa agli interessi di tutti. Oltre a ciò, il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso (art. 1102, comma 2, c.c.). Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, richiedente un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, al riguardo del pari uso che prevede uno sviluppo estensivo delle esigenze abitative, non si può intendere la clausola del “pari uso della cosa comune” come veicolo per giustificare impedimenti all'estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo. All'uopo, si evidenzia che la valutazione della violazione del pari uso deve essere nel concreto ravvisabile nel senso che l'uso privato toglierebbe reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti. Di talché, spetta a chi si oppone all'utilizzo del bene comune dimostrare il minore uso da parte degli altri o di chi vi ha interesse (Trib. Cosenza 22 agosto 2020). In definitiva, il singolo partecipante può usare – con i citati limiti – la cosa comune nella sua interezza, indipendentemente dal fatto che sia titolare di una quota maggiore o minore della comproprietà ragguagliata al valore dell'appartamento di sua pertinenza.

Derogabilità delle norme condominiali

Il regolamento approvato da tutti i condomini non può derogare alle disposizioni richiamate dall'art. 1138, comma 4, c.c. e non può menomare i diritti che ai condomini derivano dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre è possibile la deroga alle disposizioni dell'art. 1102 c.c. non dichiarato inderogabile (Cass. II, n. 11268/1998). Invero, costituisce orientamento consolidato il principio secondo cui ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, salvo il limite della non alterazione della destinazione, chiarendosi che l'art. 1102 c.c. non pone una norma inderogabile, potendo detto limite essere reso perfino più rigoroso dal regolamento condominiale, o da delibere assembleari adottate con il quorum prescritto dalla legge, fermo restando che non è consentita l'introduzione di un divieto di utilizzazione generalizzato delle parti comuni (Cass. II, n. 2957/2018; Cass. II, n. 2114/2018; Cass. II, n. 15894/2016; Trib. Milano 22 gennaio 2021; Trib. La Spezia 21 aprile 2020; App. Milano 26 febbraio 2020).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Cosa accade se i condomini utilizzano il parcheggio comune in maniera difforme dal regolamento condominiale?

Destinazione del cortile condominiale a parcheggio

I regolamenti assembleari possono contenere solo norme che disciplinano l'uso e le modalità di godimento delle cose/servizi/ impianti comuni (Cass. II, n. 10289/1998: sulla destinazione di aree condominiali scoperte a sosta di autovetture dei singoli partecipanti al condominio; Cass. II, n. 9649/1998: circa il parcheggio di roulottes in un'area esterna comune adibita a parcheggio delle autovetture dei condomini). La delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condomini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 5, c.c., non essendo all'uopo necessaria l'unanimità dei consensi, ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento di condominio, di natura non contrattuale, relative all'utilizzazione e ai modi di fruizione delle parti comuni (Cass. II, n. 9877/2012).

Possibile utilizzo del parcheggio delle auto in maniera temporanea

Quando il regolamento condominiale non preclude ai condomini di parcheggiare temporaneamente auto, moto e biciclette, tale divieto non si può ricavare dall'art. 1102 c.c., né tanto meno dal regolamento condominiale, a maggior ragione se le norme che regolano il condominio non sono vincolanti, perché non sono state accettate nei singoli contratti di acquisto delle relative porzioni dell'immobile (Cass. II, n. 1547/2009: nella specie, la Corte territoriale aveva respinto il ricorso di una proprietaria contro la sentenza del Tribunale che aveva dato ragione ai condomini; secondo i giudici del merito, lo spazio comune poteva essere utilizzato come parcheggio temporaneo delle autovetture dei comproprietari, a condizione, però, che fosse consentito l'accesso agli esercizi commerciali).

Utilizzo turnario del cortile condominiale

L'uso del bene comune spetta a tutti, sicché, se il cortile interno adibito a parcheggio condominiale ha una capienza insufficiente per tutte le auto, come nel caso di specie in cui l'originaria unità immobiliare era stata frazionata in più unità e in un numero di unità maggiore rispetto allo spazio presente nel cortile interno, l'amministrazione condominiale, previa delibera, potrà al più indicare un'utilizzazione turnaria per permettere a tutti i condomini di fruire del bene comune in ugual modo. Ovverosia l'assemblea condominiale potrà al più deliberare per disciplinarne la modalità di godimento, nel rispetto però della regola ex art. 1102 c.c. (Trib. Ivrea 2 aprile 2024, n. 417).

Diritto del condomino di parcheggiare solo una autovettura nello spazio adibito a parcheggio

La disciplina dell'uso della cosa comune è prerogativa dell'assemblea purché nella regolamentazione sia rispettato il diritto di tutti i condomini di far uso delle cose comuni e non si nascondano surrettizi limiti ad personam, in considerazione della conformazione e destinazione della cosa in comunione. Tra i modi di utilizzo vi è l'uso alternativo che ciascuno può fare per trarre dai beni comuni il migliore e più intenso godimento in relazione al godimento della propria unità immobiliare, per l'esercizio di tale facoltà la norma di riferimento è l'art. 1102 c.c. che costituisce disposizione derogabile nel senso che un regolamento contrattuale può limitare i diritti dei singoli sulle cose comuni, ma l'uso del bene comune da parte di ciascuno deve essere compatibile con i diritti degli altri (Trib. Cosenza 20 luglio 2020). Premesso ciò, sono legittime le clausole contenute nel regolamento di condominio che disciplinano l'uso della cosa comune, purché, ex art. 1102 c.c., non si alteri la sua destinazione e non si impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, mentre sono vietate le clausole che impongono sanzioni a carico dei trasgressori come la rimozione del veicolo (Cass. II, n. 820/2014: nella specie, si faceva riferimento alla clausola regolamentare che permetteva al singolo condomino di parcheggiare solo una autovettura negli spazi condominiali adibiti a parcheggio e la stessa era da ritenere legittima nella misura in cui regolamentava l'utilizzo del bene comune da parte dei singoli proprietari).

Divieto dei condomini di servirsi del bene a proprio esclusivo vantaggio

La nozione di pari uso della cosa comune, agli effetti dell'art. 1102 c.c., non va intesa nei termini di assoluta identità dell'utilizzazione del bene da parte di ciascun comproprietario, in quanto l'identità nel tempo e nello spazio di tale uso comporterebbe un sostanziale divieto per ogni partecipante di servirsi del bene a proprio esclusivo o particolare vantaggio, pure laddove non risulti alterato il rapporto di equilibrio tra i condomini nel godimento dell'oggetto della comunione (Cass. II, n. 27043/2016). Premesso ciò, la sosta di un'autovettura negli spazi comuni condominiali configura una modalità di uso di detti beni, onde la controversia nella quale si discuta della legittimità o meno di tale forma di utilizzazione, perché contraria ad una espressa esclusione posta dal regolamento condominiale o da una deliberazione assembleare ovvero perché incompatibile con l'esercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti facoltà della stessa natura sul medesimo bene, concerne non il diritto di comproprietà o il diritto di esercitarne in generale le relative facoltà, ma soltanto il limite qualitativo o quantitativo a seconda della contestazione sollevata della particolare facoltà di utilizzare in tal guisa il bene comune (Cass. II, n. 9654/2013). Pertanto, il fatto che il cortile sia comune non vuol dire che ogni condomino possa servirsene senza limiti, essendo tenuto a non alternarne la destinazione e a non impedire agli altri il pari uso. È, quindi, possibile escluderne l'utilizzo come parcheggio di veicoli se per conformazione e dimensioni risulti idoneo solo al passaggio delle persone ed al transito delle auto nelle rimesse da lì aventi accesso (App. Napoli 18 febbraio 2020).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

Un condomino impedisce ad un altro di parcheggiare nello spazio condominiale e chiede all'amministratore di convocare l'assemblea per discutere l'individuazione della modalità per usufruire correttamente dello spazio comune adducendo l'esistenza nel regolamento condominiale del divieto per adibire l'area ad uso di parcheggio delle autovetture, precisando che, in difetto, sarà costretto ad adire la competente autorità giudiziaria evocando in giudizio il condomino trasgressore del regolamento, al fine di conseguire il rispetto del proprio diritto all'uso concorrente con gli altri condomini dell'anzidetta area.

Funzione e natura del giudizio

L'istanza proposta in forma di ricorso ha la funzione di introdurre un giudizio avente natura di cognizione piena sebbene sulla scorta di un'istruttoria sommaria o semplificata, per effetto della semplicità della relativa attività istruttoria, la quale può risolversi anche nella mera produzione documentale.

Aspetti preliminari

Mediazione

In tema di mediazione – alla luce delle modifiche apportate dall'art. 7 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 – l'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 prevede che l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità, ragione per cui, prima di introdurre un'azione per le controversie in materia di condominio di cui all'art. 71-quater disp. att. c.c. la parte interessata ad agire in giudizio deve preventivamente esperire l'anzidetto procedimento. Secondo l'orientamento espresso dalla prevalente giurisprudenza formatasi nella vigenza del processo sommario di cognizione di cui all'art. 702-bis c.p.c. (Trib. Roma 10 maggio 2017; Trib. Torino 23 marzo 2015; Trib. Varese 20 gennaio 2012; Trib. Genova 18 novembre 2011), anche con riferimento al procedimento semplificato di cognizione può concludersi che trova applicazione la mediazione quale condizione di procedibilità, non essendo anche in questo caso il rito a determinare l'obbligatorietà del procedimento di mediazione, bensì la natura della controversia. In caso di più domande di mediazione relative alla stessa controversia, il procedimento si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. La competenza dell'organismo è derogabile su accordo delle parti. Per determinare il tempo della domanda, si ha riguardo alla data del deposito.

Competenza

Secondo l'opinione giurisprudenziale dominante, la controversia in cui si discute della negazione del diritto d'uso nei confronti di un singolo condomino di un determinato servizio o bene comune rientra, attualmente, nella competenza del Tribunale (Cass. VI, n. 36967/2021: per la quale, le controversie in cui viene messo in discussione il diritto del condomino ad un determinato uso della cosa comune non rientrano nella competenza del Giudice di Pace, ai sensi dell'art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c., come “cause relative alla misura e alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case”, ma del Tribunale).

In tema di controversie tra condomini, posto che a seguito della modifica introdotta all'art. 7 c.p.c., appartengono alla competenza per materia del Giudice di Pace le cause relative alla misura ed alle modalità di uso dei servizi di condominio, rientrano tra le prime, quelle che riguardano le riduzioni o le limitazioni quantitative del diritto dei singoli condomini ed hanno ad oggetto quei provvedimenti degli organi condominiali che, esulando dalla disciplina delle modalità qualitative di uso del bene comune, incidono sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli condomini; appartengono invece alle seconde, quelle che concernono i limiti qualitativi di esercizio delle facoltà comprese nel diritto di comunione, ossia quelle relative al modo più conveniente ed opportuno con cui tali facoltà debbono esercitarsi, nel rispetto delle facoltà di godimento riservate agli altri condomini, in proporzione delle rispettive quote, secondo quanto stabilito dalla legge o dalla volontà della maggioranza oppure da eventuali disposizioni del regolamento condominiale. Da queste cause, ora attribuite entrambe alla competenza per materia del Giudice di Pace a norma dell'art. 7 c.p.c., come sostituito dall'art. 17 della l. 21 novembre 1991, n. 374, vanno tenute distinte, però, le controversie che vedono messo in discussione il diritto stesso del condomino ad un determinato uso della cosa comune e che, quindi, rimangono soggette agli ordinari criteri della competenza per valore (Cass. II, n. 8420/2024).

Legittimazione

La legittimazione attiva spetta al condomino ricorrente mentre quella passiva al condomino convenuto per l'osservanza del divieto sancito nel regolamento di condominio di adibire l'uso dell'area a parcheggio di autovetture.

Profili di merito

Onere della prova

L'onere di provare l'esistenza del divieto in parola spetta al condomino ricorrente, mentre quello di usare l'area comune a parcheggio di autovetture al condomino resistente.

Contenuto del ricorso

Ai sensi dell'art. 281-decies c.p.c., quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un'istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato di cognizione.

L'atto introduttivo del giudizio ex art. 281-undecies c.p.c. è predisposto in forma di ricorso contenente nella premessa l'indicazione i cui ai nn. 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), e 6), nonché l'avvertimento di cui al n. 7) del comma 3 dell'art. 163 c.p.c. e dunque, tra le altre cose, la compiuta enunciazione delle esatte generalità della parte ricorrente e del relativo codice fiscale, nonché di quelle dell'avvocato da cui la medesima è patrocinata, il quale, oltre ad indicare il domicilio eletto nel distretto in cui ha sede l'ufficio giudiziario adito ed il proprio codice fiscale, deve anche indicare il numero di fax e l'indirizzo di posta elettronica certificata per le comunicazioni o notificazioni riguardanti il medesimo procedimento, deve altresì curare l'indicazione sintetica ma al tempo stessa precisa e esaustiva dei fatti di causa, con le relative argomentazioni in diritto in virtù delle quali, ex art. 1102 c.c. si ritiene violato il criterio legale di pari possibilità di uso dello spazio comune, rispettando il principio di sinteticità nella redazione degli atti giudiziari fatto proprio dalla recente riforma del processo civile.

Nelle conclusioni del ricorso, la parte istante dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate all'emanazione dell'ordine al convenuto di non parcheggiare nell'area del cortile unitamente alla statuizione correlata di condanna ulteriore al pagamento di una somma per le eventuali violazioni successive dell'ordine di inibitoria, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c.

L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte, autenticata dallo stesso difensore, unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e, dopo essere stato depositato telematicamente contestualmente alla nota d'iscrizione a ruolo, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, unitamente alla documentazione menzionata nell'atto anzidetto, presso l'ufficio giudiziario adito, va notificato alla controparte – o in cartaceo laddove quest'ultima risulti sprovvista di un valido indirizzo digitale attivo – unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di comparizione. Tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell'udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di quaranta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all'estero.

Richieste istruttorie

Il ricorrente deve allegare prima di tutto la prova del regolamento condominiale da cui trae fonte il divieto di uso del cortile comune a parcheggio di autovetture, e la correlata violazione da parte del condomino resistente. La prova è per tabulas quanto al primo aspetto sopra considerato, mentre in ordine alla dimostrazione del secondo elemento, premessa l'esperibilità dell'interrogatorio formale del convenuto, può assumersi sugli stessi capitoli la prova testimoniale a mezzo dei condomini e di eventuali terzi frequentanti abitualmente il complesso condominiale.

4. Conclusioni

Con ricorso ex art. 281-undecies c.p.c. – che, per effetto dell'abrogazione del capo III-bis del titolo I del libro IV del codice di procedura civile disposta dall'art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 149, è denominato “procedimento semplificato di cognizione” – un condomino può convenire in giudizio dinanzi al Tribunale i condomini lamentando che quest'ultimi parcheggiano la loro autovettura nel cortile condominiale in violazione del divieto stabilito dal regolamento di condominio, di natura contrattuale, chiedendo che fosse ordinato ai suddetti convenuti di non parcheggiare nell'area del cortile e la loro condanna al pagamento di una somma per le eventuali violazioni successive dell'ordine di inibitoria, ai sensi dell'art. 614-bis c.p.c., nonché che all'amministratore del condominio venga ordinato di munire il cancello di entrata sul cortile di apposita chiusura, con consegna delle chiavi ai soli condomini proprietari dei locali esistenti sul cortile a cui il regolamento condominiale consente il transito veicolare.

In forza di un noto orientamento giurisprudenziale, le clausole del regolamento di condominio che disciplinano l'uso dei beni comuni, laddove hanno natura regolamentare, possono essere modificate dall'assemblea a maggioranza, diversamente da quelle che limitano i diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni, la cui natura negoziale richiede per la loro modificazione la volontà di tutti i condomini (Cass. II, n. 8239/2019).

In questo caso, il ricorrente agisce in giudizio nei confronti della parte convenuta per ottenere l'accertamento del superamento dei limiti del pari uso della cosa comune, di cui all'art. 1102 c.c. di contro, le deduzioni, da parte dei convenuti, della legittimità dell'utilizzo del bene nella specie, mediante parcheggio di autovetture, che si limitano a contestare le avverse domande, senza invocare a loro favore fatti o titoli diversi, impeditivi, limitativi o estintivi del diritto azionato dalla parte ricorrente, costituiscono mere difese od eccezioni in senso improprio, le quali non comportano alcuna preclusione relativa ai meccanismi di proposizione delle domande (Cass. VI, n. 35213/2021).

In sintesi, l'utilizzo dell'area cortilizia va giudicato alla stregua della disciplina del condominio di edifici, costruita sulla base di un insieme di diritti ed obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell'altro (Cass. II, n. 24189/2021).

In tale ottica, la violazione dei limiti nell'uso delle cose comuni stabiliti dal regolamento condominiale, nella specie del divieto di occupazione anche temporanea del cortile mediante il parcheggio di autovetture, va apprezzata tenendo presente la nozione stessa di occupazione, e dunque, verificando l'esistenza di una condotta materiale implicante una presa di possesso attuata con modalità tali da sottrarre ogni possibilità di godimento da parte degli altri condomini, accertando che la sosta di mezzi meccanici nel cortile comune, ovvero la stabile occupazione dello stesso mediante parcheggio per lunghi periodi di autovetture, ne pregiudichi la transitabilità o la contemporanea fruibilità da parte degli altri condomini (Cass. VI, n. 7618/2019).

In effetti, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condòmino, in mancanza di una diversa disciplina di origine regolamentare, è sottoposto a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini, considerando altresì che tali limiti, tuttavia, non impediscono al singolo condòmino, ove rispettati, di servirsi del bene anche a proprio esclusivo o particolare vantaggio, ragione per cui l'illecito uso della cosa comune per violazione dell'art. 1102 c.c., in ragione del transito e del parcheggio su aree condominiali di autovetture, non comporta in re ipsa la prova di un concreto aggravio, in conseguenza di siffatto utilizzo, sui beni comuni, ai danni degli altri condòmini (Cass. II, n. 3849/2020).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario