Rispetto della quiete e del riposo degli abitanti

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

Aspetti generali sul regolamento di condominio

Il regolamento di condominio è lo strumento di regolamentazione della vita della collettività. L'art. 1138 c.c. – che, preme subito chiarire, fa esclusivo riferimento ai regolamenti di condominio assembleari – individua un elenco di materie che necessitano di essere regolamentate: l'elencazione non è però da intendersi come tassativa, ben potendo, come nella prassi accade, che i regolamenti di condominio disciplinino questioni ulteriori rispetto al contenuto minimo essenziale prescritto dal legislatore. Dunque, in base al suo contenuto, il regolamento condominiale si distingue in assembleare e contrattuale. Il contenuto del primo si rinviene nell'art. 1138 c.c. e si estrinseca nelle norme relative all'uso delle cose comuni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio ed alla amministrazione condominiale. Il regolamento assembleare non può in alcun modo comprimere le facoltà dei singoli condomini connesse alle proprietà esclusive o al godimento delle proprietà comuni. Nel regolamento contrattuale, invece, si rinvengono norme che comprimono le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive o che limitano (o estendono) il godimento di quelle comuni. Solitamente questo tipo di regolamento “esterno” viene predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario dell'immobile ed accettato dai condomini al momento dell'acquisto delle singole unità. Nulla vieta, tuttavia, che regole limitative o estensive dei diritti possano essere assunte in un momento successivo, dai condomini, con l'unanimità dei consensi.

Le clausole del regolamento

Nell'àmbito dei regolamenti contrattuali (di origine sia esterna sia interna), occorre distinguere le clausole con contenuto tipicamente “regolamentare”, dirette a disciplinare la conservazione, l'uso ed il godimento delle parti comuni, nonché l'apprestamento e la fruizione dei servizi comuni – di regola, concernenti il contenuto c.d. necessitato del regolamento di cui al comma 1 dell'art. 1138 c.c. – e le clausole di natura “contrattuale”, che incidono sull'utilizzabilità e destinazione delle parti esclusive o che comportino restrizioni al diritto di proprietà dei singoli sulle cose comuni. Ad esempio, rivestono natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, il divieto di occupare temporaneamente alcune parti comuni dell'edificio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile, o l'obbligo di uso turnario del lastrico solare), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l'appartamento a sala da ballo o discoteca).

Le limitazioni del regolamento a tutela della quiete e del riposo dei condomini

Ferme restando le disposizioni contenute nelle leggi statali e regionali, è fatto divieto a chiunque, con il proprio comportamento nei luoghi pubblici come nelle private dimore, di disturbare la pubblica quiete e la tranquillità delle persone, anche singole, in rapporto al giorno, all'ora ed al luogo in cui il disturbo è commesso, secondo il normale apprezzamento. Invero, anche in presenza di norme amministrative (Regolamento comunale), durante gli orari stabiliti, dovrà essere adottata ogni cautela e usato ogni accorgimento affinché i rumori siano contenuti al minimo e non oltrepassino i limiti della normale tollerabilità. Premesso ciò, a prescindere dalla normativa di carattere generale, un aspetto specifico della materia è quello dei rapporti tra le immissioni di rumori e le prescrizioni da parte del regolamento di condominio. A tale proposito, devono essere considerati differentemente il regolamento di natura contrattuale e quello di natura assembleare. Difatti, solo il regolamento contrattuale può fissare in materia di immissioni acustiche nell'ambito del condominio regole più rigorose di quella generale legata al criterio della normale tollerabilità fissato dalla legge. Per meglio dire, il regolamento contrattuale di condominio, accettato dagli iniziali acquirenti delle singole unità immobiliari e trascritto nei pubblici registri, vincola anche i successivi acquirenti (e i conduttori delle unità) non solo per le clausole che disciplinino l'uso dei servizi e delle parti comuni ma anche per quelle che limitino i poteri dei condomini sulle loro proprietà esclusive venendo a costituire su queste ultime delle servitù reciproche, potendo il regolamento contrattuale porre limiti al godimento della proprietà esclusiva anche diversi e più stretti rispetto a quelli stabiliti dall'art. 844 c.c. Di solito, i divieti ed i limiti di destinazione delle proprietà individuali sono formulati nei regolamenti condominiali sia mediante elencazione delle attività vietate – pensione, locanda, discoteca, cinema, sala da ballo, scuola di canto o di musica, studio medico, postribolo, ambulatorio per malattie infettive e contagiose, uffici aperti al pubblico, ecc. – sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare – turbamento della quiete, dell'amenità e della tranquillità dei condomini, contrarietà all'igiene, alla signorilità ed al decoro dell'edificio, ecc. – non escludendo che si possa anche imporre specifiche destinazioni – attività industriali o commerciali, vendita al minuto o all'ingrosso, ecc. – stabilendo, quindi, degli obblighi di fare. Pertanto, nel caso in cui l'attività posta in essere da uno dei condomini sia idonea a determinare il turbamento del bene della tranquillità degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento condominiale, non occorre accertare, per ritenere l'attività illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ex art. 844 c.c. in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono imporre limiti al godimento della proprietà esclusiva anche maggiori di quelli fissati dalla norma generale predetta: se si invochi il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sulle unità in proprietà esclusiva, la legittimità o meno della immissione va valutata non sotto la lente dell'art. 844 c.c. ma in base alle previsioni negoziali del regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù (Cass. VI, n. 1064/2011).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Cosa accade se alcuni condomini disturbano la quiete e il riposo degli abitanti in condominio in spregio alle norme del regolamento?

Disturbo della quiete dei condomini in presenza di regolamento

Quando l'attività posta in essere da uno dei condomini di un edificio è idonea a determinare il turbamento della tranquillità nel godimento del bene, da parte degli altri partecipi, tutelato espressamente dal regolamento condominiale, non occorre accertare, al fine di ritenere l'attività stessa illegittima, se questa costituisca o meno immissione vietata ai sensi dell'art. 844 c.c., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale possono limitare il godimento della proprietà esclusiva in misura anche superiore rispetto a quelle stabilite dalla norma generale. Dunque, quando si invoca, a sostegno del non facere, il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sui piani o sulle porzioni di piano in proprietà esclusiva, il giudice è chiamato a valutare la legittimità o meno dell'immissione non sotto ai sensi dell'art. 844 c.c., ma esclusivamente in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca (Trib. Milano 5 dicembre 2018). Di talché, qualora a sostegno dell'obbligazione di non fare, si invoca il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale, il giudice è chiamato in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento. In tal senso, nel caso concreto la previsione del regolamento condominiale che fa divieto assoluto ai condomini di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi natura in un orario ben determinato, è certamente più restrittiva di quella di cui all'art. 844 c.c. (Trib. Milano 3 maggio 2016: nella specie, il disturbo dei vicini in condominio ha comportato il risarcimento dei danni per insonorizzazione, e anche per l'ammontare dei canoni e degli oneri accessori che il proprietario della casa affittata avrebbe incassato se il rapporto fosse proseguito per la normale durata e non si fosse interrotto a causa del disturbo). In altra vicenda, i giudici hanno sottolineato che in presenza di norma regolamentare che faccia divieto assoluto di tenere animali, il giudice ben può – con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. – ordinare l'allontanamento degli animali (Trib. Salerno 22 marzo 2004: il provvedimento ha autorizzato l'allontanamento dal condominio di due cani di razza pitt bull, da un condomino detenuti nel locale adibito a cantina sito al piano terraneo dell'edificio, e ciò a prescindere dalla ricorrenza o meno degli estremi per la configurabilità di immissioni intollerabili ex art. 844 c.c., stante la più intensa tutela contrattuale preordinata). Inoltre, grazie al regolamento, sono stati sanzionati (cessazione) i rumori provocati dall'attività di una sala giochi (Trib. Milano 21 gennaio 1991) e dei suoni del pianoforte provenienti da un appartamento (Pret. Torino 27 dicembre 1990).

Rapporto tra la normativa pubblica sull'inquinamento acustico e le norme sulla proprietà fondiaria

Attesa l'importanza del regolamento, la Suprema Corte ha evidenziato che in tal caso (presenza di regolamento) non è applicabile la normativa sull'inquinamento acustico prevista dalla legge n. 447/1995 (limiti di intensità dei rumori a tutela della collettività con la prescrizione di sanzioni amministrative in caso di violazioni), perché questa attiene a rapporti di natura pubblicistica tra la P.A., preposta alla tutela dell'interesse collettivo della salvaguardia della salute in generale, ed i privati esercenti le attività contemplate, prescindendo da qualunque collegamento con la proprietà fondiaria (Cass. II, n. 4963/2001). Di conseguenza, nel caso di un'unità immobiliare sita nello stabile condominiale, adibita a bar, laddove il regolamento preveda un orario di chiusura, un conto è il rispetto di quest'ultimo, altro e diverso conto è il fatto che, oltre detto orario, anche a bar chiuso, gli avventori dell'esercizio (o soggetti diversi) continuino a stazionare nello spazio antistante al bar, arrecando disturbo alla compagine condominiale per immissioni di rumore e/o tenendo condotte moleste. In tal caso, al gestore dell'esercizio pubblico si può chiedere di rispettare l'orario di chiusura, ma non di rispondere delle condotte di chi staziona all'esterno del locale, specie una volta che questo sia chiuso (Trib. Monza 24 marzo 2022). In questa situazione, difatti, l'amministratore condominiale, su sollecitazione anche scritta dei condomini, può denunciare all'autorità giudiziaria l'attività rumorosa di un bar (Cass. pen. III, n. 14750/2020: l'art. 659 c.p. è procedibile di ufficio e non necessità la proposizione di una querela, preventivamente autorizzata dall'assemblea condominiale).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

Un condomino, lamentando la condotta illecita di altro condomino per le immissioni ed i rumori provenienti dall'unità immobiliare di quest'ultimo peraltro posti in essere in spregio alla disciplina del regolamento di condominio che le vieta, rende edotto il vicino dell'impossibilità di ignorare le conseguenze derivanti da tale condotta, e lo avverte che, provvederà quanto prima ad agire giudizialmente nei suoi confronti per conseguire l'immediata cessazione delle immissioni e dei rumori pregiudizievoli per la quiete domestica nel condominio.

Funzione e natura del giudizio

È un procedimento cautelare atipico, proposto in via d'urgenza dal condomino nei confronti dell'autore delle immissioni acustiche vietate dal regolamento di condominio al fine di conseguire l'immediata cessazione di quest'ultime.

Aspetti preliminari

Mediazione

Trattandosi di procedimento cautelare – sebbene con effetti anticipatori – non è necessario instaurare preventivamente il procedimento di mediazione, non essendo quest'ultimo condizione di procedibilità per le azioni proponibili in via d'urgenza dalla parte interessata.

Competenza

La domanda giudiziale rientra nella competenza del Tribunale essendo fondata sull'opponibilità di uno specifico divieto contenuto nel regolamento contrattuale condominiale, ragione per cui la stessa è estranea alla competenza del Giudice di Pace stabilita dall'art. 7, comma 3, n. 3), c.p.c.

Legittimazione

Il condomino, il quale lamenta la lesione di un proprio diritto soggettivo posto in pericolo per effetto dell'altrui condotta illecita vietata dal regolamento di condomino a tutela della quiete domestica, è legittimato a proporre l'azione cautelare nei confronti dell'autore dell'anzidetta violazione.

Profili di merito

Onere della prova

L'onere di allegare gli elementi addotti a sostegno dell'azione cautelare intrapresa dal condomino grava su quest'ultimo, il quale dovrà considerare la sommarietà del rito propria dell'azione proposta in via d'urgenza, e di conseguenza, deve tenere conto che il relativo onere rileva sotto il duplice profilo riguardante l'esistenza del fumus e del periculum.

Contenuto del ricorso proposto in via d'urgenza

La domanda cautelare proposta in via d'urgenza assume la forma del ricorso, il quale, oltre a contenere le indicazioni di cui all'art. 125 c.p.c., deve altresì indicare il giudice dinanzi al quale l'azione è proposta; il nome, cognome, residenza e codice fiscale della parte ricorrente e del difensore, il quale deve anche indicare il numero di fax e l'indirizzo pec presso il quale intende ricevere le comunicazioni di cancelleria; il nome, cognome, codice fiscale, residenza, o domicilio o dimora della parte resistente; l'esposizione dei fatti integranti rispettivamente il fumus boni juris ed il periculum in mora, quest'ultimo, rilevante specificamente sotto l'aspetto del pregiudizio imminente ed irreparabile.

In particolare, nel ricorso, da un lato, vanno allegati i fatti oggetto d'indagine da parte del giudice, in forma chiara e circostanziata come peraltro esige la recente riforma del processo civile, e dall'altro, va specificato in cosa consiste per il ricorrente, il fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per fare valere il suo diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, a tale fine, indicando le circostanze sulla cui scorta verosimilmente il giudice adito potrebbe concedere la richiesta tutela cautelare in via d'urgenza.

Il ricorso, unitamente alla procura alla lite, va sottoscritto dalla parte ricorrente e dal proprio difensore, quest'ultimo anche per autentica della sottoscrizione del suo cliente.

Richieste istruttorie

La sommarietà del rito propria della domanda cautelare proposta in via d'urgenza dalla parte ricorrente circoscrive in misura significativa il ventaglio dei probabili mezzi istruttori che la medesima può chiedere al giudice della cautela, essendo gli stessi incentrati per lo più all'assunzione di sommarie informazioni da parte di condomini od anche di soggetti terzi laddove a conoscenza dei fatti di causa, ed al libero interrogatorio delle stesse parti costituite.

Soltanto eccezionalmente, la parte ricorrente può chiedere al giudice della cautela l'ammissione di una c.t.u., considerato che quest'ultima è un mezzo istruttorio e non un mezzo di prova, e sempre che non risulti di ostacolo alla celere definizione del procedimento.

4. Conclusioni

La giurisprudenza di legittimità (Cass. VI, n. 7330/2015) ha affermato che l'art. 7, comma 1, n. 3) c.p.c. deve intendersi comprensivo di tutte le controversie che attengono a rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione nelle quali si lamentino immissioni che oltrepassino la soglia della normale tollerabilità, sia quando la domanda è diretta ad ottenere l'inibitoria di cui all'art. 844 c.c., sia quando l'azione è proposta per conseguire il risarcimento del danno sofferto a causa delle immissioni e che la competenza per materia del giudice di pace sussiste non solo in caso di azione diretta a fare cessare le immissioni ritenute eccedenti la normale tollerabilità, ma anche quando l'attore domandi, in via accessoria od esclusiva, la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti a causa delle immissioni stesse.

Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità (Cass. VI, n. 1064/2011) ha affermato che la materia affidata al Giudice di Pace è esclusivamente quella delle immissioni, disciplinata e regolamentata secondo i meccanismi delineati dall'art. 844 c.c., il quale impone di valutare la normale tollerabilità e di tenere conto, a tale fine, dei criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso (Cass. II, n. 15583/2007) e che, se la domanda giudiziale è invece fondata sull'opponibilità di uno specifico divieto contenuto nel regolamento contrattuale condominiale, essa è estranea alla competenza stabilita dall'art. 7, comma 3, n. 3), c.p.c. ragione per cui consegue che, quando si invoca, a sostegno dell'obbligazione di non fare, il rispetto di una clausola del regolamento contrattuale che restringa poteri e facoltà dei singoli condomini sui piani o sulle porzioni di piano in proprietà esclusiva, il giudice è chiamato a valutare la legittimità o meno dell'immissione, non sotto la lente dell'art. 844 c.c., ma esclusivamente in base al tenore delle previsioni negoziali di quel regolamento, costitutive di un vincolo di natura reale assimilabile ad una servitù reciproca.

Appare evidente, dunque, che non esiste alcun contrasto tra le sopra richiamate pronunce del giudice di legittimità, le quali hanno concordemente identificato la regola di competenza in esame avendo riguardo alla causa petendi, sulla cui scorta, se la domanda mira ad ottenere la valutazione della normale tollerabilità dell'immissione in base ai criteri del contemperamento delle contrapposte esigenze e della priorità di un determinato uso la competenza è del giudice di pace; se invece la domanda mira invece a fare valere anche il rispetto di una clausola del regolamento condominiale, in questo caso si è al di fuori dell'àmbito applicativo della citata norma del codice di rito (Cass. VI, n. 22730/2017).

In punto di ammissibilità, la sussidiarietà propria della misura cautelare urgente fa sì che la stessa, da un lato, è diretta alla tutela di un diritto soggettivo e dall'altro, implica l'assenza dei presupposti per l'applicazione – nella stessa fattispecie – di un'azione cautelare tipizzata dal legislatore, ragione per cui non può farsi ricorso al provvedimento d'urgenza quando la stessa finalità cautelare possa essere raggiunta attraverso rimedi aventi carattere provvisorio od interinale previsti ad hoc da specifiche disposizioni di legge.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario