Detenzione di animali in spregio al divieto contenuto nel regolamento1. Bussole di inquadramentoAspetti generali sul regolamento di condominio Il regolamento di condominio è lo strumento di regolamentazione della vita della collettività. L'art. 1138 c.c. – che, preme subito chiarire, fa esclusivo riferimento ai regolamenti di condominio assembleari – individua un elenco di materie che necessitano di essere regolamentate: l'elencazione non è, però, da intendersi come tassativa, ben potendo, come nella prassi accade, che i regolamenti di condominio disciplinino questioni ulteriori rispetto al contenuto minimo essenziale prescritto dal legislatore. Dunque, in base al suo contenuto, il regolamento condominiale si distingue in assembleare e contrattuale. Il contenuto del primo si rinviene nell'art. 1138 c.c. e si estrinseca nelle norme relative all'uso delle cose comuni, alla ripartizione delle spese, alla tutela del decoro dell'edificio ed alla amministrazione condominiale. Il regolamento assembleare non può in alcun modo comprimere le facoltà dei singoli condomini connesse alle proprietà esclusive o al godimento delle proprietà comuni. Nel regolamento contrattuale, invece, si rinvengono norme che comprimono le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive o che limitano (o estendono) il godimento di quelle comuni. Solitamente, questo tipo di regolamento “esterno” viene predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario dell'immobile ed accettato dai condomini al momento dell'acquisto delle singole unità. Nulla vieta, tuttavia, che regole limitative o estensive dei diritti possano essere assunte in un momento successivo, dai condomini, con l'unanimità dei consensi. Le clausole del regolamento Nell'àmbito dei regolamenti contrattuali (di origine sia esterna sia interna), occorre distinguere le clausole con contenuto tipicamente “regolamentare”, dirette a disciplinare la conservazione, l'uso ed il godimento delle parti comuni, nonché l'apprestamento e la fruizione dei servizi comuni – di regola, concernenti il contenuto c.d. necessitato del regolamento di cui al comma 1 dell'art. 1138 c.c. – e le clausole di natura “contrattuale”, che incidono sull'utilizzabilità e destinazione delle parti esclusive o che comportino restrizioni al diritto di proprietà dei singoli sulle cose comuni. Ad esempio, rivestono natura regolamentare quelle clausole che concernono le modalità d'uso delle cose comuni e, in genere, l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi condominiali (ad esempio, il divieto di occupare temporaneamente alcune parti comuni dell'edificio, la regolamentazione del gioco dei bambini nel cortile, o l'obbligo di uso turnario del lastrico solare), mentre hanno natura negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini (ad esempio, quelle che vietano di adibire l'appartamento a sala da ballo o discoteca). Animali da compagnia Quanto alla normativa italiana, il Legislatore, con la l. n. 281/1991, ha inteso inquadrare determinati principi e competenze. In particolare, l'art. 1 della presente legge afferma che “Lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono, al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale”. Successivamente, con il d.P.C.M. del 28 febbraio 2003 (art. 1, comma 2, lett. a, dell'accordo del 6 febbraio 2003 recepito dal citato d.P.C.M.), il nostro legislatore ha previsto che ai fini del presente accordo, si intende per animale da compagnia: “ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall'uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi o alimentari, compresi quelli che svolgono attività utili all'uomo, come il cane per disabili, gli animali da pet-therapy, da riabilitazione, e impiegati nella pubblicità. Gli animali selvatici non sono considerati animali da compagnia”. Infine, la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia sottoscritta a Strasburgo il 13 novembre 1987, ratificata in Italia con l. n. 201/2010, il legislatore europeo ha stabilito che “per animale da compagnia si intende ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto dall'uomo, in particolare presso il suo alloggio domestico, per suo diletto e come compagnia”. Animali domestici in condominio A seguito della riforma del condominio (l. n. 220/2012), nella stesura finale del nuovo testo dell'art. 1138 c.c., il termine animali “da compagnia” è stato sostituito con quello di animali “domestici” dai confini più incerti sotto il profilo del relativo inquadramento, al fine di estenderne la definizione ad un più ampio genus di animale “di affezione”. Infatti, sebbene la legge non definisca la nozione di animale domestico, in mancanza di una precisazione normativa, ai fini dell'applicazione della nuova norma, per animale domestico va inteso l'animale che ragionevolmente e per consuetudine è tenuto in appartamento per ragioni affettive. Dunque, attualmente, l'art. 1138, comma 5, c.c. prevede che “Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”. Secondo le prime interpretazioni, con questa disposizione, il Legislatore ha recepire il mutato sentimento dell'essere umano verso gli animali d'affezione, cui ha fatto seguito un'interpretazione evolutiva ed orientata delle norme vigenti, la quale impone di ritenere che l'animale non possa essere più collocato nell'area semantica concettuale delle “cose”, ma debba essere riconosciuto come “essere senziente”, e in tale ottica esprimendo la contrarietà per quelle norme del regolamento condominiale che dovessero prevedere il divieto per il singolo condomino di possedere o detenere animali domestici. Quindi, secondo la posizione favorevole all'interpretazione estensiva del comma 5 dell'art. 1138 c.c., tutti i regolamenti, anche quelli non assembleari, non possono menomare, non possono derogare, e comunque non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. Tuttavia, esiste anche una posizione interpretativa differente di coloro che ritengono che il vecchio regolamento, contrattuale e trascritto, manterrebbe la propria efficacia in caso di divieto alla detenzione animali (ad esempio divieto di cani di grossa taglia). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
I condomini possono detenere nel proprio immobile animali domestici in presenza di limitazioni presenti nel regolamento di condominio?
Orientamento positivo alla presenza di animali in condominio in presenza di clausole limitative del regolamento Dopo la riforma del condominio il divieto di animali domestici è illegittimo anche se votato all'unanimità La nuova norma è destinata ad operare non solo per i regolamenti futuri, ma anche per quelli attualmente in uso, facendo caducate tutti i divieti e le limitazioni vigenti. Di conseguenza, è evidente che non sia ammissibile la tesi della presunta derogabilità del divieto di cui all'art. 1138, ultimo comma, c.c., da parte dell'assemblea dei condomini che decida con l'unanimità dei consensi (Trib. Piacenza 22 novembre 2016: la nuova norma non si traduce, però, in una licenza a fare ciò che si vuole, ma, al contrario, lascia invariate tutte le forme di tutela civile e penale che l'ordinamento già prevede a favore dei terzi che, concretamente, subiscano un danno dall'animale. In ambito civilistico, non viene meno il principio generale del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c. e dunque, in caso di oggettive e certificate molestie da parte degli animali, i vicini condomini conservano la piena facoltà di agire in giudizio per il risarcimento del danno). Invero, con la l. n. 220/2012 è stato introdotto il principio applicabile a tutte le disposizioni contenute sia nei regolamenti di tipo contrattuale che assembleare, precedenti o successivi alla citata riforma. Quindi, il regolamento condominiale che si discosti da tale disposizione è affetto da nullità anche perché contrario ai principi di ordine pubblico, individuabili nella necessità di valorizzare il rapporto uomo-animale e nell'affermazione di quest'ultimo principio anche a livello europeo (Trib. Cagliari 22 luglio 2016: il giudice ha ritenuto viziata da nullità sopravvenuta la disposizione del regolamento del condominio impugnato). In definitiva, secondo questo orientamento, qualunque divieto alla detenzione di animali previsto da un previgente regolamento condominiale deve intendersi caducato ex art. 1138, ultimo comma, c.c., configurandosi una forma di nullità, sopravvenuta delle clausole contrarie al nuovo disposto normativo (Giud. Pace Pordenone 21 luglio 2016). Orientamento negativo alla presenza di animali in condominio in presenza di clausole limitative del regolamento Divieto di animali in condominio secondo l'orientamento precedente alla Riforma del 2012 Le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà incidono sui diritti dei condomini, venendo a costituire su queste ultime una servitù reciproca; ne consegue che tali disposizioni hanno natura contrattuale, in quanto vanno approvate e possono essere modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica. Ciò posto, il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non può essere contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo detti regolamenti importare limitazioni delle facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva (Cass. II, n. 3705/2011; Cass. II, n. 12028/1993). Pertanto, nell'ipotesi di violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale di destinare i singoli locali di proprietà esclusiva dell'edificio condominiale a determinati usi (nella specie detenzione di animali), il condominio può richiedere la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore (Cass. II, n. 4920/2006). Ciò porta alla considerazione che il giudice può, con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali molesti dal condominio, con divieto assoluto di ritorno nell'edificio condominiale già solo ove esista una norma regolamentare che faccia divieto agli inquilini di tenere animali molesti. Pertanto, sussistendo tale norma regolamentare non sono ulteriormente richiesti gli estremi della immissione rumorosa e intollerabile di cui all'art. 844 c.c. (Trib. Salerno 23 marzo 2004; Trib. Napoli 8 marzo 1994). In definitiva, secondo questo orientamento (precedente alla riforma introdotta con la l. 220/2012) non può l'assemblea, con voto di maggioranza, imporre ad un condomino il divieto di detenere cani negli appartamenti, ma occorre che il divieto sia posto nel regolamento condominiale (Trib. Parma 11 novembre 1968). Divieto di animali in condominio secondo l'orientamento successivo alla Riforma del 2012 Secondo questo orientamento, la disposizione contenuta nell'ultimo comma dell'art. 1138 c.c. non si applica al regolamento condominiale di natura contrattuale, ma al solo regolamento approvato dall'assemblea con la maggioranza prevista dall'art. 1137 c.c. quale disciplina d'uso delle cose comuni. Difatti, una lettura sistematica di detta disposizione risponde alla ratio di consentire all'assemblea di determinare l'utilizzazione dei beni comuni con snellezza, senza tuttavia permettere alla maggioranza di intaccare il diritto di proprietà esclusiva dei condomini in mancanza di consenso (abdicativo) dell'interessato, dovendosi invece ritenere che, laddove il regolamento sottoscritto da tutti i condomini contenga il divieto di tenere animali domestici, ciascuno di loro abbia abdicato a un diritto disponibile, rinunciando a detenere animali domestici nella propria porzione di proprietà esclusiva (Trib. Lecce 15 settembre 2022: annullata la delibera assembleare tesa ad individuare un'area del cortile condominiale da adibire a stazionamento dei cani dei condomini sulla base del divieto imposto dal regolamento contrattuale del condominio che vietava di detenere animali domestici). La disposizione di cui all'art. 1138, ultimo comma, c.c. non trova applicazione in presenza di una opposta prescrizione contenuta nel regolamento condominiale di natura contrattuale. Infatti, la collocazione sistematica di tale “divieto di vietare” disciplina il regolamento condominiale di natura assembleare, ne determina e limita l'operatività in relazione a tale tipologia di atto, tenuto anche conto che tale comma non contiene l'inciso “in nessun caso” presente invece nella previsione del precedente comma 4 e tale da escludere la possibilità di deroga per qualunque tipo di regolamento (Trib. Piacenza 28 febbraio 2020). Infine, secondo altro provvedimento, la clausola limitativa (uso di ascensore in presenza di cani) è legittima in quanto il regolamento contrattuale può prevedere limitazioni all'uso di parti comuni da parte di determinati condomini (Trib. Monza 28 marzo 2017: a parere del Tribunale, nonostante il divieto espresso, gli attori potranno comunque mantenere integro il diritto di possedere o detenere i loro cani, come li rassicura l'art. 1138, comma 5, c.c., ma dovranno servirsi delle scale per spostarsi in compagnia degli animali). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Il condomino tenta di fare recedere l'amministratore ed i restanti condomini dal porre in esecuzione il regolamento di condominio contenente il divieto di detenere qualsiasi genere di animali domestici anche se “da compagnia”, adducendo prima di tutto l'irragionevolezza della relativa disposizione pattizia, ormai divenuta anacronistica alla luce della luce della l. n. 220/2012, evidenziando che il regolamento condominiale di natura assembleare non può vietare il possesso o la detenzione di animali domestici da parte del singolo condominio, e che un'eventuale delibera condominiale assunta in tale senso dall'assemblea può essere impugnata dinanzi al giudice chiedendone l'annullamento con le conseguenze di legge anche in ordine al pagamento delle spese di lite. Funzione e natura del giudizio La proposizione dell'azione di annullamento della delibera assembleare adottata dal condominio volta ad affermare l'osservanza del divieto per il singolo condomino di tenere con sé animali domestici in casa dà vita ad un ordinario giudizio a cognizione piena, soggetto alle regole proprie del codice di rito per quanto attiene al rispetto dei fondamentali principi del contraddittorio e del rispetto dei termini previsti ex lege per la formulazione delle relative istanze di impugnazione della delibera anche sul piano squisitamente probatorio. Aspetti preliminari Mediazione La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente al legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71-quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile. L'onere di azionarla ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo, all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'abrogazione del comma 2, 4, 5, 6, e prevedendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole, “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice”, siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità per contrasto con l'art. 1138 c.c., il quale dispone che le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in àmbito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione. Competenza Secondo l'opinione giurisprudenziale dominante, la controversia in cui si discute della negazione del diritto d'uso nei confronti di un singolo condomino di un determinato servizio o bene comune rientra, attualmente, nella competenza del Tribunale (Cass. VI, n. 36967/2021: per la quale, le controversie in cui viene messo in discussione il diritto del condomino ad un determinato uso della cosa comune non rientrano nella competenza del Giudice di Pace, ai sensi dell'art. 7, comma 3, n. 2, c.p.c., come “cause relative alla misura e alle modalità d'uso dei servizi di condominio di case”, ma del Tribunale). Legittimazione La legittimazione attiva compete al condomino che impugna la delibera assembleare adottata in violazione dell'art. 1138 c.c. per carenza dei relativi presupposti, mentre la legittimazione passiva compete all'amministratore del condominio, legittimato a resistere nello stesso giudizio. Profili di merito Onere della prova Sulla parte istante, ricade l'onere di provare l'esistenza nella singola fattispecie dei presupposti in fatto ed in diritto per potere legittimamente invocare l'annullamento della delibera condominiale, in quanto assunta in violazione dell'art. 1138 c.c., mentre sul condominio convenuto, in persona dell'amministratore pro-tempore, grava l'onere di provare che la delibera impugnata è invece stata adottata nel rispetto delle vigenti norme di legge. Contenuto dell'atto di citazione La costituzione del condomino si realizza con la notifica ed il successivo deposito nel rispetto dei termini di legge per l'iscrizione a ruolo della causa di un atto in forma di citazione, contenente in premessa l'indicazione compiuta delle esatte generalità della parte attrice e del relativo codice fiscale, nonché di quelle dell'avvocato da cui la medesima è patrocinata, il quale, oltre ad indicare il domicilio eletto nel distretto in cui ha sede l'ufficio giudiziario adito ed il proprio codice fiscale, deve anche indicare il numero di fax e l'indirizzo di posta elettronica certificata per le comunicazioni o notificazioni riguardanti il medesimo procedimento, deve altresì curare l'indicazione sintetica ma al tempo stessa precisa e esaustiva dei fatti di causa, con le relative argomentazioni in diritto in virtù delle quali, ex art. 1138 c.c. si ritiene del tutto insussistente la pretesa violazione del regolamento di condominio così come addotta dalla controparte, rispettando il principio di sinteticità nella redazione degli atti giudiziari fatto proprio dalla recente riforma del processo civile. L'atto di citazione deve, inoltre, contenere la vocatio in jus del condominio in persona del suo amministratore pro-tempore – che, per effetto di quanto enunciato nell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022, il termine in essa indicato è elevato a 120 giorni liberi che necessariamente devono decorrere tra il giorno della notificazione dell'atto e quello dell'udienza di comparizione – e deve altresì contenere gli avvertimenti previsti espressamente dall'art. 163, comma 3, n. 3-bis, e dunque, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; e che in base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 occorre indicare insieme al giorno dell'udienza di comparizione, anche l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del citato d.lgs. n. 149/2022, l'art. 163 c.p.c., al n. 4), deve contenere l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. Nelle conclusioni dell'atto di citazione, la parte opponente dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate all'annullamento della delibera condominiale impugnata. L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e notificato telematicamente – o in cartaceo laddove risulti sprovvisto di un valido indirizzo digitale attivo – all'amministratore pro-tempore del condominio. In particolare, l'attore, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, in base all'art. 165 c.p.c. – modificato anch'esso dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 – entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d'iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel Comune ove ha sede il Tribunale, o indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica. Richieste istruttorie La parte opponente ha l'onere di indicare nel rispetto dei prescritti termini di legge, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi per dimostrare la fondatezza dell'actio proposta volta a conseguire l'annullamento della impugnata delibera assembleare per contrarietà al regolamento di condominio, in un'ottica volta a dimostrare che il preteso divieto ex adverso posto a fondamento della stessa delibera in realtà contrasta con il chiaro disposto dell'art. 1138 c.c. La prova in questa particolare ipotesi potrà desumersi per tabulas, producendo il regolamento condominiale con al suo interno la clausola contenente il divieto in parola raffrontando la natura dello stesso regolamento con la ratio sottostante alla previsione normativa sopra citata. 4. ConclusioniLa Cassazione è recentemente pervenuta alla conclusione che le clausole contenute in un regolamento condominiale di formazione contrattuale, le quali limitino la facoltà dei proprietari delle unità singole di adibire il proprio immobile a determinate destinazioni, hanno natura contrattuale e, pertanto, ad esse deve corrispondere una tecnica formativa di pari livello formale e sostanziale, che consiste in una relatio perfecta attuata mediante la riproduzione delle suddette clausole all'interno dell'atto d'acquisto della proprietà individuale, non essendo sufficiente, per contro, il mero rinvio al regolamento stesso (Cass. II, n. 24526/2022). A ciò aggiungasi che occorre stabilire se l'opponente abbia acquistato il proprio immobile dal costruttore o da un precedente condomino, essendo ciò rilevante in quanto, in tale sola ultima ipotesi, è necessario che le limitazioni di cui si discute, ove non espressamente contenute nell'atto stesso di vendita, risultino trascritte contro detta proprietà in data anteriore all'acquisto. Una recente pronuncia di merito ha, quindi, ritenuto che sia legittimo il divieto di tenere animali domestici in casa se previsto da un regolamento condominiale di natura contrattuale, cioè approvato o accettato da tutti i condomini (Trib. Lecce 15 settembre 2022). In questo caso specifico, l'assemblea non potrebbe neppure modificare il regolamento condominiale avente natura contrattuale, senza il consenso unanime dei condomini atteso che, ciascuno dei comproprietari, trattandosi di un diritto disponibile, ha legittimamente rinunciato al diritto di possedere animali domestici, tra cui i cani, nella propria porzione di proprietà esclusiva, ragione per cui, una delibera che pur senza modificare direttamente tale regolamento di fatto approvi che una zona del cortile possa essere destinata ad area per lo stazionamento di cani a spese di ciascun proprietario, ponendosi in contrasto con la norma pattizia precedentemente approvata all'unanimità, si porrebbe in evidente contrasto con tale disposizione di natura contrattuale. Tuttavia, posto che il testo dell'art. 1138 c.c. è stato introdotto dalla l. n. 220/2012, potrebbe non essere indifferente stabilire se rispetto a quest'ultima la norma regolamentare di natura contrattuale sia anteriore o successiva alla modifica normativa al fine di stabilire la priorità della relativa applicazione, posto il chiaro tenore espresso nella norma anzidetta volto a contrastare a priori proprio l'inserimento di non giustificati divieti riguardanti esseri “senzienti” piuttosto che semplici cose. A ciò aggiungasi l'ulteriore osservazione che ragionando diversamente la stessa ratio normativa sottostante all'attuale testo dell'art. 1138 c.c. – secondo cui le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici – non avrebbe alcuna ragione di esistere se destinata ad essere superata con la mera enunciazione del divieto in parola che la stessa norma sopra citata intende bandire. |