Accertamento della vessatorietà delle clausole di esonero

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

Condominio-consumatore

Secondo alcuni provvedimenti, il condominio è equiparato al consumatore. Invero, al condominio deve essere applicata la disciplina relativa alla tutela dei consumatori, atteso che lo stesso è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti ed agendo, pertanto, l'amministratore come mandatario dei singoli condomini. Questi ultimi, difatti, devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale, salvo il caso in cui si verifichi una diversa destinazione delle unità abitative (Cass. VI, n. 10679/2015; Trib. Varese 5 settembre 2022). Il Tribunale di Milano, inoltre, ne valorizzava il carattere di “entità plurisoggettiva a composizione mista”, in relazione alla quale bisogna valutare il criterio della prevalenza residenziale rispetto a quella commerciale, laddove esistente (Trib. Milano 26 novembre 2020). Quindi, mentre il condominio è un mero ente di gestione che opera attraverso l'amministratore (il quale agisce come mandatario dei condomini), i singoli condomini possono essere considerati consumatori e, pertanto, l'art. 33 del d.lgs. n. 206/2005 è applicabile ai contratti conclusi dall'amministratore del condominio (Trib. Genova 21 settembre 2012).

Valutazione delle clausole di esonero dagli oneri comuni da parte del costruttore

Secondo alcuni provvedimenti, il condominio non può farsi scudo della normativa a tutela dei consumatori per reagire alle contestazioni sollevate dall'impresa costruttrice che sia ancora proprietaria di una o più unità immobiliari e che sia in mora nei pagamenti; sicché, in tal caso, la clausola di esonero dagli oneri comuni non è vessatoria. Invero, su tale argomento, i giudici di legittimità hanno sottolineato che la clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore o originario unico proprietario dell'edificio e richiamato nel contratto di vendita della unità immobiliare concluso tra il venditore professionista e il consumatore acquirente, può considerarsi vessatoria, ai sensi dell'articolo 33, comma 1, d.lgs. n. 206/2005, ove sia fatta valere dal consumatore o rilevata d'ufficio dal giudice nell'àmbito di un giudizio di cui siano parti i soggetti contraenti del rapporto di consumo e sempre che determini a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, e dunque se incida sulla prestazione traslativa del bene, che si estende alle parti comuni, dovuta dall'alienante, o sull'obbligo di pagamento del prezzo gravante sull'acquirente, restando di regola estraneo al programma negoziale sinallagmatico della compravendita del singolo appartamento l'obbligo del venditore di contribuire alle spese per le parti comuni in proporzione al valore delle restanti unità immobiliari che tuttora gli appartengano (Cass. VI, n. 20007/2022). Pertanto, seguendo questa posizione, l'eventuale disposizione contenuta nel regolamento condominiale contrattuale nella quale il costruttore abbia previsto l'esonero dal pagamento degli oneri comuni per gli appartamenti invenduti non può essere sindacata dal punto di vista della violazione della disciplina del Codice del consumo in materia di clausole vessatorie. Quest'ultima può essere “eventualmente” invocata soltanto laddove il contenzioso riguardi l'impresa e il condomino acquirente dell'unità immobiliare. Nonostante questa posizione della giurisprudenza, la questione della validità delle clausole regolamentari che esonerano il costruttore dell'edificio condominiale dal pagamento delle spese rimane d'attualità, probabilmente perché risulta sempre alquanto indigesta ai condomini.

Deroga ai criteri di legge

L'assemblea, in virtù della propria autonomia negoziale, può derogare ai predetti criteri di ripartizione delle spese – ad esempio, prevedendo che contribuiscano tutti i condomini, in base ai millesimi, alla manutenzione del lastrico solare in deroga a quanto previsto dall'art. 1126 c.c. (Cass. VI, n. 4183/2017) – con delibera assunta all'unanimità dei partecipanti alla comunione (Cass. II, n. 470/2019) o con regolamento condominiale contrattuale predisposto dall'originario unico proprietario o dal costruttore e richiamato nei singoli atti di acquisto (Trib. Roma 13 maggio 2019) che operi sia la modifica dei criteri legali di cui all'art. 1123 c.c. sia la modifica di un precedente regolamento contrattuale (Cass. II, n. 19651/2017); ovvero con regolamento di origine assembleare approvato da tutti i condomini (Cass. VI, n. 29220/2018).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
L'assemblea, ritenendo la clausola del regolamento vessatoria, può a maggioranza modificare il criterio di ripartizione di esonero delle spese e, di conseguenza, addebitare gli oneri condominiali al costruttore?

Vessatorietà della clausola relativa al pagamento delle spese condominiali inserita nel regolamento di condominio predisposto dal costruttore

La disciplina delle clausole vessatorie può risultare pertinente unicamente con riguardo a convenzioni che introducano vincoli di destinazione di natura reale, incidenti in via diretta sulla consistenza della proprietà condominiale e della frazione di proprietà esclusiva oggetto dei rispettivi programmi negoziali sinallagmatici di compravendita, determinando contrattualmente le modalità di utilizzazione del bene ceduto. Solo l'anzidetta tipologia di convenzioni condominiali potrebbe, infatti, rientrare nella categoria dei contratti di acquisto di beni a scopo di consumo, realizzando una funzione economica unitaria rispetto alla prestazione di dare assunta dal venditore, nonché strumentale al soddisfacimento delle esigenze di consumo proprie dell'acquirente (Trib. Milano 9 novembre 2018: nella specie, è stata rigettata la domanda di declaratoria di nullità o inefficacia della clausola del regolamento condominiale per violazione dell'art. 1469-bis c.c., in quanto concernente l'obbligo del costruttore di contribuire al pagamento delle spese di gestione condominiale; peraltro, posto che il regolamento è stato accettato dai partecipanti e anche trascritto, la relativa domanda dovrebbe essere esperita dai condomini e non dal condominio).

Il regolamento contrattuale può contemplare la clausola di esonero dalle spese condominiali prevista per il proprietario di appartamenti invenduti

La convenzione sulle spese, ex art. 1123 c.c., contenuta e approvata negli atti di acquisto delle porzioni di proprietà esclusiva comprese in un condominio, la quale esonera un condomino dal “partecipare ad alcuna delle spese condominiali fino a quando rimanga proprietario di unità immobiliari dell'edificio invendute”, in quanto ha sostanza di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, è oggetto di interpretazione alla stregua degli artt. 1362 ss. c.c., e affidata all'apprezzamento di fatto della volontà negoziale rientrante nelle prerogative del giudice del merito, ed insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure omesso esame di fatti storici decisivi (Cass. VI, n. 19779/2017: nel caso di specie, i giudici hanno ritenuto che il regolamento contrattuale del condominio poteva contemplare la clausola di esonero dalle spese condominiali prevista per il proprietario di appartamenti invenduti; tuttavia, il giudice di merito è tenuto a decidere caso per caso della validità di simile previsione, trattandosi di una dichiarazione negoziale; premesso ciò, in applicazione dell'enunciato principio, la Suprema Corte, rigettando il ricorso, ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata contenente una interpretazione da parte della corte del merito, secondo la quale la clausola convenzionale di esonero di un condomino dal partecipare alle spese condominiali fino a quando rimanesse proprietario di unità immobiliari dell'edificio invendute non fosse riferibile altresì alle spese dal medesimo dovute, in proporzione di un terzo, per il rifacimento della terrazza a livello rientrante nella sua proprietà esclusiva, trattandosi di spese aventi origine non già nell'obbligo di contribuzione pro quota agli oneri di conservazione delle parti comuni, bensì nella proprietà individuale dell'appartamento di cui la terrazza sia il prolungamento).

L'esonero non può avere una durata superiore ai primi due anni finanziari del condominio a decorrere dalla data del primo atto di compravendita

È legittimo l'esonero, parziale o totale, dalle spese condominiali in favore dell'originario costruttore che maturano sulle unità immobiliari invendute, se tale accordo è previsto dal regolamento contrattuale o da tutti i titoli di compravendita, atteso che le disposizioni di cui all'art. 1123 c.c. sono derogabili esclusivamente attraverso un atto di convenzione. L'esonero, tuttavia, non può avere una durata superiore ai primi due anni finanziari del condominio, a decorrere dalla data del primo atto di compravendita. Infatti, in caso di durata illimitata dell'esonero, questa pattuizione deve ritenersi vessatoria per il consumatore/acquirente (Trib. Brescia

11 luglio 2020: nelle ipotesi come nel caso di specie, nelle quali l'esonero delle spese condominiali per il costruttore e per le unità immobiliari invendute, è previsto per un periodo potenzialmente illimitato e contenuto in un regolamento contrattuale da tutti sottoscritto al momento del rogito, non è legittimo, in considerazione del carattere vessatorio della clausola liberatoria). Quindi, l'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell'edificio è propter rem, essendo strettamente connessa alla contitolarità del diritto di proprietà che i partecipanti alla comunione hanno su di esse. Pertanto, l'esonero delle spese condominiali per il costruttore e per le unità immobiliari invendute, solo se contenuto in un regolamento contrattuale da tutti sottoscritto al momento del rogito è legittimo e, tale tipo di liberatoria diventa vessatoria quando è prevista per un periodo illimitato (Giud. Pace Milano 31 ottobre 2016).

L'assemblea non può a maggioranza modificare il criterio di ripartizione di esonero delle spese e, di conseguenza, addebitare gli oneri condominiali al costruttore

Il pagamento delle quote condominiali, necessarie per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio e per l'erogazione dei servizi, è uno dei doveri ai quali il condomino è sottoposto. Tuttavia, se i criteri di riparto degli oneri sono in contrasto con il regolamento condominiale, il condomino può esimersi dal pagamento. Ciò, in particolare, accade con il classico caso dell'impresa costruttrice che si riserva di non partecipare alle spese condominiali sinché non sia stato venduto l'ultimo appartamento (Cass. II, n. 19832/2019: nella specie, il condominio assumeva la vessatorietà della clausola di esonero del costruttore dalle spese condominiali, in ragione sia della durata illimitata dell'esonero, sia della posizione di consumatore del condominio; premesso ciò, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il ragionamento del Tribunale, in grado di appello, il quale aveva ritenuto che la delibera era nulla perché a maggioranza aveva previsto criteri di riparto degli oneri in contrasto con il regolamento condominiale, sicché era valida la clausola prevista dal regolamento condominiale richiamato nei contratti di acquisto dei singoli condomini, che esonerava il costruttore dal pagamento degli oneri condominiali su tutte le unità immobiliari di sua proprietà rimaste invendute, se non utilizzate). Quindi, la clausola, mediante la quale si prevede che il costruttore venditore degli appartamenti facenti parte di un condominio sarà esente dalle spese condominiali in ordine alle unità immobiliari rimaste invendute ed inserita nei singoli contratti di acquisto, deve considerarsi legittima, tenuto conto che l'art. 1123 c.c. prevede che tutti i condomini sono tenuti a partecipare alla ripartizione delle spese in base alle tabelle millesimali salvo diversa convenzione (Giud. Pace Perugia 14 ottobre 2013: nella fattispecie, avente ad oggetto una siffatta questione, si è rilevato come i condomini avessero inteso modificare la convenzione con cui il venditore degli appartamenti era stato esonerato dal pagamento delle spese condominiali per le unità immobiliari rimaste invendute, non mediante un atto negoziale, bensì mediante una delibera assembleare, non in grado, per le ragioni suesposte, di produrre effetti negoziali; conseguentemente, tale delibera è stata annullata in quanto violava i criteri di riparto stabiliti in via convenzionale).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

Il condomino comunica all'amministratore che, qualora non venga riconvocata l'assemblea per rivedere il precedente deliberato relativo all'approvazione del conto consuntivo, è sua intenzione proporre opposizione avverso la suddetta delibera, con la quale il condominio gli addebita determinati contributi condominiali, ritenendo invece tutt'ora valida la clausola prevista dall'originario regolamento condominiale che, esonera il medesimo condomino dal pagamento di alcuni oneri condominiali, atteso che il relativo criterio convenzionale di riparto delle spese condominiali può essere modificato all'unanimità e non a semplice maggioranza.

Funzione e natura del giudizio

L'impugnazione della delibera condominiale che si assume essere stata presa illegittimamente ha natura di un ordinario giudizio di cognizione, la cui funzione è quella di annullare la delibera adottata dal condominio in quanto pregiudizievole degli interessi del condomino opponente.

Aspetti preliminari

Mediazione

La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente al legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71-quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

L'onere di proporre la domanda di mediazione ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo, all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'abrogazione dei commi 2, 4, 5 e 6, e stabilendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice” siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in ambito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione.

Competenza

Il Tribunale, ai sensi dell'art. 9 c.p.c., è il giudice competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice e, in generale, per quelle di valore indeterminabile, come nel caso di impugnazione della delibera assembleare per conseguirne la dichiarazione giudiziale di invalidità in quanto nella fattispecie, adottata per modificare a maggioranza un criterio convenzionale – stabilito nell'originario regolamento – per la determinazione della ripartizione dei contributi condominiali anziché all'unanimità.

Legittimazione

La legittimazione ad impugnare la delibera assembleare condominiale appartiene al condomino che abbia l'interesse ad agire, nella fattispecie, ravvisato nella lesione del proprio diritto all'esonero dal pagamento di determinati contributi in forza della ritenuta validità della clausola convenzionale convenuta ad hoc nell'originario regolamento condominiale.

Profili di merito

Onere della prova

Il condomino, il quale intenda impugnare la delibera assembleare per l'invalidità della stessa, ha l'onere di allegare le ragioni sulla cui scorta può addivenirsi alla relativa declaratoria giudiziale. Lo stesso opponente, deve dunque assolvere all'onere di allegare tutte quelle circostanze, anche di mero fatto, che possano essere utili per confermare la propria tesi difensiva, volta a contrastare quanto deliberato siccome ingiustificatamente lesivo del criterio convenzionale stabilito nell'originario regolamento contrattuale.

Contenuto dell'atto di citazione

L'atto di citazione deve contenere la vocatio in jus del condominio in persona del suo amministratore pro-tempore – che, per effetto di quanto enunciato nell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022, il termine in essa indicato è elevato a centoventi giorni liberi che necessariamente devono decorrere tra il giorno della notificazione dell'atto e quello dell'udienza di comparizione – e deve altresì contenere gli avvertimenti previsti espressamente dall'art. 163, comma 3, n. 3-bis, c.p.c. e, quindi, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; e che, in base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022, occorre indicare insieme al giorno dell'udienza di comparizione, anche l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

In base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del citato d.lgs. n. 149/2022, l'art. 163 c.p.c., al n. 4), deve contenere l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni.

Nelle conclusioni dell'atto di citazione, la parte opponente dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate all'annullamento della delibera condominiale impugnata.

L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e notificato telematicamente – o in cartaceo laddove risulti sprovvisto di un valido indirizzo digitale attivo – all'amministratore pro-tempore del condominio.

In particolare, l'attore, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, in base all'art. 165 c.p.c. – modificato anch'esso dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 – entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d'iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il tribunale, o indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica.

Richieste istruttorie

Il condomino può chiedere l'ammissione dell'interrogatorio formale dell'amministratore in carica sulle posizioni articolate nella narrativa dell'atto di citazione con il quale ha impugnato la delibera, volte essenzialmente a confermare l'assunto secondo cui il medesimo opponente, per effetto della modifica della clausola convenzionale contenuta nel regolamento di condominio approvata a maggioranza anziché all'unanimità ha addebitato illegittimamente al medesimo condomino il pagamento di alcuni oneri condominiali, in tale modo, violando il relativo criterio di ripartizione contenuto nella suddetta disposizione pattizia. Sulle stesse posizioni, l'istante può chiedere anche l'ammissione di una prova testimoniale a mezzo di persone a conoscenza dei fatti di causa, e può altresì produrre idonea documentazione volta a comprovare la fondatezza dell'opposizione proposta avverso la delibera assembleare.

4. Conclusioni

La quaestio posta a fondamento del presente scenario sollecita una risposta in ordine al quesito “se” e “quando” una clausola contenuta nel regolamento di condominio può considerarsi vessatoria.

In linea generale, le norme del Codice del consumo sono applicabili alle convenzioni di ripartizione delle spese condominiali predisposte dal costruttore, o dall'originario unico proprietario dell'edificio condominiale, in quanto oggettivamente ricollegabili all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale da quello svolta, se il condomino acquirente dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva rivesta lo status di consumatore, agendo per soddisfare esigenze di natura personale, non legate allo svolgimento di un'attività imprenditoriale o professionale.

Ciò premesso, secondo una nota posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, è nulla la delibera che modifica a maggioranza, e non all'unanimità, il criterio convenzionale di riparto delle spese condominiali in contrasto con il regolamento condominiale, e quindi in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale (Cass. II, n. 19832/2019).

In questo caso, si può chiedere l'accertamento giudiziale della vessatorietà della clausola che si ritenga comporti uno squilibrio tra le parti del rapporto, fermo restando il rispetto del limite concernente le attribuzioni riconducibili alla sovranità dell'organo deliberativo del condominio.

In sintesi, il giudice chiamato a verificare la regolarità della delibera – anche in via incidentale nell'àmbito di un procedimento d'opposizione a decreto ingiuntivo – può ritenere invalida la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini, si modifichino i criteri convenzionali contenuti nel regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune, dal momento che eventuali deroghe, venendo ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della parte di edificio di sua esclusiva proprietà, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli presti adesione (Cass. VI, n. 27016/2011).

Al riguardo, nel sopra richiamato precedente giurisprudenziale, si è altresì affermato il principio che, la radicale nullità di detta delibera, ancorché non impugnata nel rispetto del termine previsto ex lege, non preclude al giudice della cognizione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la possibilità di verificare incidenter tantum la sussistenza del predetto vizio – sganciato dal termine decadenziale previsto dall'art. 1137 c.c. – in relazione al quale, non può ritenersi precluso, nel percorso logico che dovrebbe condurre alla valutazione del titolo – costituito dalla deliberazione dell'assemblea – in base al quale è stato concesso il provvedimento monitorio impugnato, di accertare l'esistenza di vizi patologici genetici del titolo stesso, in misura tale da inficiarlo e determinare la caducazione della ragione di credito da esso dipendente.

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