Rivendicazione della proprietà del giardino comune

Alberto Celeste
Vito Amendolagine
Maurizio Tarantino

1. Bussole di inquadramento

L'azione di rivendicazione

Dell'azione di rivendicazione si occupa l'art. 948 c.c., il quale, al comma 1, prevede che il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a ricuperarla per l'attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno. Ebbene, l'azione è esperibile da parte del proprietario nei confronti di chi possegga o detenga una cosa: pertanto, è il mezzo previsto dall'ordinamento per conseguire il ricongiungimento tra il diritto di proprietà (potere di diritto sul bene) e il possesso (potere di fatto sullo stesso bene); trattasi di azione petitoria, concessa a colui che si afferma proprietario di una cosa, avente carattere generale, di natura reale ed esperibile erga omnes. L'azione di rivendicazione è imprescrittibile, perché anche il non uso è una manifestazione dell'ampiezza dei poteri che spettano al proprietario, ma la stessa domanda va disattesa se il convenuto dimostra di avere acquistato la proprietà della cosa rivendicata per usucapione ex art. 948, comma 3, c.c. Circa la differenza tra l'azione di rivendicazione e le azioni possessorie – in particolare, l'azione di reintegrazione nel possesso – è agevole rilevare come queste ultime, semplicemente finalizzate al ripristino di uno stato di fatto, non presuppongono l'accertamento della titolarità di un diritto dominicale sul bene oggetto della pretesa restitutoria. L'azione di rivendicazione va, altresì, distinta dall'azione di restituzione in quanto hanno natura e presupposti diversi: con la prima, di carattere reale, l'attore assume di essere proprietario della cosa, e di non averne più il possesso, sicché agisce contro chiunque di fatto la possegga e la detenga, sia al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto di proprietà, sia al fine di conseguire il possesso della cosa stessa; invece, l'azione di restituzione, di natura personale, ha il suo fondamento nel venir meno del titolo in base al quale la cosa è stata trasferita, e tende solo alla riconsegna della cosa stessa, sicché l'attore può limitarsi a fornire la dimostrazione dell'avvenuta consegna della cosa in base ad un titolo e del successivo venir meno di quest'ultimo per qualsiasi causa, per accertata invalidità, inefficacia, per esaurimento della sua funzione, per decorso del termine di durata, per esercizio della facoltà di recesso, ecc. (Cass. II, n. 2092/2000).

La tutela in àmbito condominiale

In ordine alla legittimazione attiva dell'amministratore di condominio riguardo all'azione di rivendicazione relativa alle parti comuni dell'edificio, occorre partire dal disposto dell'art. 1131, comma 1, c.c., secondo cui i poteri processuali dell'amministratore, dal lato attivo, coincidono con la sfera delle sue attribuzioni, salvo che più ampi poteri non gli derivino dal regolamento o da una determinazione assembleare ad hoc. Quindi, nella maggior parte dei casi, l'àmbito della predetta legittimazione attiva viene delimitato in relazione alla generale previsione dell'art. 1130 c.c.: in altri termini, l'amministratore è legittimato al promovimento del giudizio soltanto con riferimento a quelle azioni che costituiscono diretta esplicazione delle sue attribuzioni ordinarie, e ciò senza bisogno di autorizzazione da parte dell'assemblea. Invero, non si è ravvisato il litisconsorzio necessario quando l'azione sia stata proposta a difesa dei diritti reali del condominio nei confronti di terzi (Cass. II, n. 6119/1994), o per la tutela della proprietà comune. Nelle ipotesi in cui, invece, il merito della controversia esuli dalla sfera di attribuzioni precisate dal citato art. 1130 c.c. e, comunque, attenga ad obblighi esclusivi dei singoli condomini, la predetta rappresentanza processuale attiva dell'amministratore è esclusa (Cass. n. 9378/1997; Cass. II, n. 1750/1984), e resta subordinata all'esistenza di una manifestazione di volontà dei condomini. Legittimato passivo dell'azione di rivendica è chiunque di fatto possegga o detenga il bene rivendicato, ed abbia la facultas restituendi, anche se ne ha temporaneamente consentito ad altri la precaria utilizzazione (Cass. II, n. 8748/1997).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
Cosa accade se i condomini si appropriano di locali appartenenti al condominio?

La prova dell'attitudine funzionale al servizio collettivo

Al fine di tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall'art. 1117 c.c., non è necessario che si dimostri, con il rigore richiesto per la rei vindicatio, la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e, cioè, sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova (Cass. II, n. 20111/2022; Cass. II, n. 20593/2018; Cass. II, n. 12346/2002). Infatti, spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova. In altri termini, in presenza di un bene comune che sia collegato funzionalmente o strutturalmente alle singole proprietà, l'onere probatorio ricade sul condomino che ne sostiene la proprietà esclusiva, il quale dovrà produrre un titolo di acquisto da cui possa risultare l'esclusione del bene dalla comunione (Trib. Salerno 25 agosto 2020). Pertanto, se in occasione della prima vendita la proprietà di un bene potenzialmente rientrante nell'àmbito dei beni comuni risulti riservata a uno solo dei contraenti, deve escludersi che tale bene possa farsi rientrare nel novero di quelli comuni (Cass. II, n. 9035/2016).

Onere dei rivendicanti affermare la comproprietà indivisa del bene rivendicato

Per il cortile esterno all'edificio condominiale il quale, ex art. 1117, comma 1, n. 1), c.c., è già astrattamente oggetto di proprietà comune di tutti i condomini e che non risulta, per le sue caratteristiche strutturali, diversamente destinato in concreto al servizio di una o più proprietà esclusive soltanto, l'affermazione di condominialità può essere impedita soltanto da un titolo contrario. Altrimenti, esso, ex art. 948, comma 1, c.c., può essere oggetto dell'azione di rivendicazione proposta dai condomini esclusi dal suo uso e dal suo godimento; azione che dev'essere accolta dal giudicante se i condomini rivendicanti affermano di essere titolari del diritto dedotto in giudizio ed i condomini convenuti non provano la proprietà esclusiva del cortile stesso o per le sue caratteristiche strutturali o perché derivante da titolo contrario (Trib. Roma 22 aprile 2020). Anche l'azione di rivendicazione di un vano condominiale può essere validamente proposta sia dal condominio che dal singolo condomino. In tal caso, gli attori sono tenuti a fornire la prova certa della comunione del vano dimostrando l'acquisto a titolo originario, anche risalendo tramite gli acquisti dei loro danti causa c.d. probatio diabolica (Trib. Bari 24 febbraio 2020).

Autorizzazione dell'assemblea con la maggioranza qualificata

La proposizione di azioni a difesa dei diritti dei condomini sulle cose o parti comuni che esulano da novero degli atti meramente conservativi, al cui compimento l'amministratore è legittimato per espressa previsione di legge ex art. 1130 c.c., e dunque di azioni reali contro singoli condomini o terzi, dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale, richiede l'autorizzazione dell'assemblea condominiale ex art. 1131, comma 1, c.c. con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. Qualora, invece, si tratti di azioni a tutela dei diritti esclusivi dei singoli condomini, la legittimazione dell'amministratore può trovare fondamento soltanto nel mandato ad esso conferito da ciascuno dei partecipanti alla comunione e non nel meccanismo deliberativo dell'assemblea. La ratio di una tale disciplina rinviene il suo fondamento nel fatto che l'assemblea può deliberare con le prescritte maggioranze solo sulle questioni concernenti parti comuni dell'edificio o il condominio nel suo complesso, ovvero sulle liti attive e passive che, esorbitando dalle attribuzioni istituzionali dell'amministratore, riguardino pur sempre la tutela dei diritti dei condomini su tali parti, ma non anche sulle questioni concernenti l'esistenza, il contenuto o l'estensione dei diritti spettanti ai condomini in virtù dei rispettivi acquisti, i quali restano nella esclusiva disponibilità dei titolari (Trib. Monza 16 gennaio 2013).

Difetto di legittimazione passiva dell'amministratore in caso di rivendicazione della proprietà di beni comuni

Pertanto, a fronte di una domanda diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, non sussiste la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio; ciò, in quanto, tale domanda è volta a limitare l'estensione del diritto di proprietà dei singoli condomini, diritto che ha ad oggetto oltre alle parti dell'immobile di proprietà esclusiva, anche le parti comuni dell'edificio. In ipotesi di instaurazione di una siffatta domanda nei confronti dell'amministratore, il contraddittorio non può ritenersi validamente instaurato e, in difetto di giudicato esplicito o implicito sul punto, tale invalida costituzione del contraddittorio può essere denunciata o essere rilevata d'ufficio anche in sede di legittimità (Trib. Terni 23 giugno 2020). Dunque, l'amministratore di condominio è carente di legittimazione passiva nella controversia avente ad oggetto l'istanza, formulata da alcuni dei condomini, tesa al riconoscimento della loro esclusiva proprietà su una determinata parte di bene condominiale (Trib. Aosta 28 gennaio 2011: nella specie è stata dichiara la declaratoria del difetto di legittimazione passiva del convenuto amministratore condominiale in ordine alla formulata domanda del condomino diretta all'accertamento della proprietà esclusiva del sottotetto). Tuttavia, posto che nell'azione di rivendicazione non ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario anche ove il fondo da rivendicare appartenga a più proprietari – essendo ciascun comproprietario legittimato sia attivo che passivo all'esercizio di tale azione – ove l'amministratore abbia esercitato un'azione reale in assenza di una delibera adottata con il consenso unanime dei condomini, il suo operato ben potrà essere ratificato mediante l'intervento in giudizio anche di una sola parte dei condomini (Trib. Cassino 7 gennaio 2009).

Legittimazione di un singolo condomino a difesa della proprietà comune e ipotesi di litisconsorzio necessario

Deve ritenersi legittimato anche un solo condomino a proporre le azioni reali a difesa della proprietà comune senza che questo comporti la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i partecipanti ad eccezione dell'ipotesi in cui il convenuto eccepisca, in rivendica, che la proprietà del bene rivendicato non sia comune ai sensi dell'art. 1117 c.c. ma appartenga a lui soltanto, dal momento che in tale evenienza si configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario con conseguente integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini stante la ininfluenza, ai fini della decisione, della partecipazione di tutti al giudizio (Trib. Vicenza 29 febbraio 2016).

3. Azioni processuali

Tutela stragiudiziale

L'amministratore di condominio rende edotto il condomino, il quale si è appropriato di un vano condominiale che intende procedere con l'azione di rivendicazione, al fine di recuperare la disponibilità del bene comune, se quest'ultimo, non verrà spontaneamente restituito alla comunità condominiale, nel termine di quindici giorni dalla ricezione della relativa comunicazione, inoltrata nelle forme di legge.

Funzione e natura del giudizio

L'azione reale di rivendicazione ha la funzione di recuperare la materiale disponibilità del bene e, con essa, l'istante assume di essere proprietario del bene ragione per cui, non essendone in possesso, agisce contro chiunque di fatto ne disponga, al fine di conseguirne il possesso, previo riconoscimento del suo diritto di proprietà, la cui prova deve essere fornita in modo rigoroso.

Aspetti preliminari

Mediazione

La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente dal legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71-quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile.

L'onere di proporre la domanda di mediazione ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo, all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'abrogazione dei commi 2, 4, 5 e 6, e stabilendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice” siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in ambito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione.

Competenza

Il Tribunale, ai sensi dell'art. 9 c.p.c., è il giudice competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice, e, in generale, per quelle di valore indeterminabile.

Legittimazione

L'amministratore del condominio è legittimato a proporre l'azione per la rivendicazione del vano condominiale contro il condomino e chiunque di fatto ne disponga.

Profili di merito

Onere della prova

Il condominio in persona dell'amministratore pro-tempore, che voglia rivendicare il bene in qualità di suo proprietario, deve dimostrare di essere titolare del diritto di proprietà sullo stesso cespite immobiliare oggetto dell'azione di rivendicazione o in forza di un titolo originario od in forza di un valido titolo derivativo, acquisito dall'effettivo e precedente dominus del suddetto bene immobile.

Contenuto dell'atto di citazione

L'atto di citazione deve contenere la vocatio in jus del condomino – che, per effetto di quanto enunciato nell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022, il termine in essa indicato è elevato a centoventi giorni liberi che necessariamente devono decorrere tra il giorno della notificazione dell'atto e quello dell'udienza di comparizione – e deve altresì contenere gli avvertimenti previsti espressamente dall'art. 163, comma 3, n. 3-bis), c.p.c. e, dunque, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; e, che in base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022, occorre indicare insieme al giorno dell'udienza di comparizione, anche l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

In base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del citato d.lgs. n. 149/2022, l'art. 163 c.p.c., al n. 4), deve contenere l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni.

Nelle conclusioni dell'atto di citazione, la parte convenuta dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate al rigetto della domanda attorea.

L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e notificato telematicamente – o in cartaceo laddove risulti sprovvisto di un valido indirizzo digitale attivo – al condomino.

In particolare, l'attore, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, in base all'art. 165 c.p.c. – modificato anch'esso dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 – entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d'iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel Comune ove ha sede il Tribunale, o indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica.

Richieste istruttorie

L'amministratore pro-tempore del condominio può chiedere l'ammissione dell'interrogatorio formale del condomino sulle posizioni articolate nella narrativa dell'atto di citazione, con il quale ha proposto l'azione di rivendicazione del bene condominiale, volte essenzialmente a confermare l'assunto sulla cui scorta, il medesimo istante chiede dichiararsi l'abusiva ed illegittima occupazione dell'immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con la conseguente condanna di quest'ultimo al rilascio del bene. Sulle stesse posizioni, l'istante può chiedere anche l'ammissione di una prova testimoniale a mezzo di persone a conoscenza dei fatti di causa, e può altresì produrre idonea documentazione volta a comprovare per tabulas la fondatezza della proposta azione di rivendicazione.

4. Conclusioni

L'azione reale di rivendicazione tende a conseguire o stesso risultato dell'azione personale di restituzione, che è quello di ottenere la disponibilità materiale del bene, la cui diversa natura – attesa l'identità di petitum, ma la diversità della causa petendi – tradisce la differenza esistente tra le due azioni.

Infatti, l'azione di restituzione ha ad oggetto una prestazione derivante da un rapporto di carattere obbligatorio, a cui si contrappone l'azione di rivendicazione la quale ha invece carattere reale e petitorio, esperibile erga omnes, nei confronti di chiunque possieda o detenga la res, il cui fine è l'accertamento del diritto di proprietà vantato dal legittimo titolare ex art. 948 c.c. per conseguirne nuovamente il possesso. Con l'azione di restituzione, di natura personale, l'attore mira invece ad ottenere non il riconoscimento del proprio diritto, del quale non deve fornire la prova, ma la riconsegna del bene, e, a tal fine, è sufficiente che alleghi l'insussistenza ab origine o la cessazione sopravvenuta della giusta causa che aveva dato luogo allo spostamento patrimoniale a favore del convenuto.

La domanda con cui l'attore chiede dichiararsi l'illegittimità dell'occupazione di un'immobile di sua proprietà da parte del convenuto, con la conseguente condanna di quest'ultimo al rilascio dell'anzidetto cespite, debba qualificarsi come azione di rivendicazione, essendo volta a difendere la proprietà ed avendo come causa petendi la reintegrazione piena ed esclusiva del diritto reale.

La stessa giurisprudenza di legittimità ha precisato che l'azione esercitata per ottenere il rilascio di un bene occupato sine titulo è un'azione di rivendicazione e, come tale, comporta la necessità per l'attore di provare non solo il possesso abusivo del convenuto, ma anche la pienezza e la legittimità del proprio diritto.

In ordine a tale punto, le Sezioni Unite hanno chiarito altresì che l'azione personale di restituzione non può sostituirsi a quella di rivendicazione, con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio od alla consegna viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell'assenza anche originaria di ogni titolo. In questo caso, la domanda è qualificabile come rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes (Cass. S.U., n. 7305/2014).

In ordine alla portata dell'onere probatorio del condominio che rivendichi la proprietà di un bene comune, per tutelare la titolarità dello stesso in quanto appartenente a quelli indicati dall'art. 1117 c.c., non è necessario che il medesimo condominio – in persona dell'amministratore pro-tempore – dimostri con il rigore richiesto per la rei vindicatio l'appartenenza del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente, con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova (Cass. II, n. 20593/2018; Cass. II, n. 11195/2010; Cass. II, n. 15372/2000).

La natura condominiale del bene può essere dedotta anche in caso di mancata menzione del locale per cui è causa nel regolamento di condominio.

Infatti, la presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l'onere di fornire la prova di tale diritto. A tale fine, è necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, né l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino (Cass. II, n. 5633/2002; Cass. II, n. 8152/2001).

Premesso che l'azione di rivendicazione è disciplinata dall'art. 948 c.c., sul versante squisitamente processuale, il proprietario non deve essere in possesso della cosa che vuole recuperare, atteso che, diversamente, colui che invece possiede il bene immobile esperirà l'azione di accertamento della proprietà, che lo esime dall'onere della probatio diabolica propria della rei vindicatio, poiché in questa ipotesi, sarà sufficiente allegare o provare il titolo del proprio acquisto, perché questa tipologia di azione non mira ad una modifica dello stato di fatto, ma solo all'eliminazione di uno stato di incertezza circa il potere di fatto sulla cosa di cui l'attore ha già il possesso.

In sintesi, nell'azione di rivendicazione, grava sull'attore l'onere di provare non soltanto il proprio titolo di acquisto, bensì anche quelli riferiti ai precedenti proprietari, fino a giungere ad un acquisto a titolo originario, non essendo sufficiente a tale fine la mera produzione di documentazione di carattere amministrativo, ovvero l'assenza di contestazioni da parte del convenuto, sul quale, non può ritenersi gravante alcun onere di allegazione circa la legittimità del suo possesso.

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