Negatoria servitutis a tutela della proprietà condominiale1. Bussole di inquadramentoL'azione negatoria Il Legislatore, con l'art. 949 c.c., ha previsto che il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Pertanto, secondo la disposizione in esame, se sussistono anche turbative o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la condanna al risarcimento del danno. L'interesse a proporre l'azione sorge allorquando venga posta in essere dal terzo un'attività implicante in concreto l'uso, che si assume abusivo, di una servitù a carico del fondo di proprietà di colui che agisce, o allorché, pur senza alcuna concreta attività materiale, il terzo pretenda in maniera esplicita di esercitare una determinata servitù; in ogni caso, l'azione negatoria è esperibile non soltanto per respingere le turbative che abbiano il contenuto di una servitù, ma anche ogni pretesa di diritto sulla cosa di proprietà dell'attore, che ne menomi la libertà e pienezza. Dunque, l'actio negatoria servitutis è un'azione di accertamento negativo e, in quanto tale, l'interesse ad esperirla sorge allorché il convenuto, con azioni concrete, determini una situazione di incertezza circa l'esistenza o meno della servitù che ritiene sussistere a vantaggio del proprio fondo; ne deriva che detta azione intanto è promovibile, in quanto si sia creata una situazione che implichi l'esercizio, assunto abusivo, di servitù a carico del fondo dell'attore, il quale tende alla declaratoria della sua libertà attraverso l'accertamento dell'inesistenza di quella servitù. Se la domanda rivolta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di proprietà non sia accompagnata dalla contestuale richiesta di declaratoria del medesimo diritto di proprietà, si esorbita dai limiti della negatoria servitutis, e la domanda può assumere una duplice veste: azione possessoria, qualora sia diretta al ristabilimento di un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà sul bene, o azione personale, se intesa al ristabilimento di un'attività esercitata sulla base del diritto di proprietà. L'azione negatoria è – del pari a quella di rivendicazione – imprescrittibile e, salvo gli effetti dell'eventuale usucapione, può essere sperimentata in ogni tempo dal proprietario dell'immobile preteso servente, sia che tenda solo all'accertamento negativo del preteso diritto di servitù, sia che venga invocata anche la demolizione di opere in cui si sostanzia l'esercizio della pretesa servitù (Cass. II, n. 864/2000). La tutela in àmbito condominiale La legittimazione processuale, attiva e passiva, nell'actio negatoria servitutis spetta esclusivamente ai proprietari ed ai titolari di un diritto reale di godimento sui fondi dominante e servente. Invero, l'actio negatoria servitutis, ex art. 949 c.c., può essere diretta sia all'accertamento dell'inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione di turbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un'opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell'opera stessa, ma non l'ordine di esecuzione di opere eccedenti la finalità dell'azione, che è quella di rimuovere una situazione comportante una menomazione del godimento del fondo oggetto del pregiudizio. Secondo i giudici, l'interesse ad agire in negatoria servitutis sussiste anche quando, pur non denunciandosi l'avvenuto esercizio di atti materialmente lesivi della proprietà dell'attore, questi, a fronte di inequivoche pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa, intenda far chiarezza al riguardo con l'accertamento dell'infondatezza delle dette pretese (Trib. Napoli 4 febbraio 2021). L'amministratore del condominio di un edificio, invece, è legittimato ad esercitare la actio confessoria servitutis in favore del condominio e nei confronti di un terzo con l'autorizzazione dell'assemblea, la quale una volta concessa deve ritenersi operante anche per i gradi di giudizio successivi e quindi anche per la proposizione del ricorso per cassazione (Cass. III, n. 9573/1997). Difatti, l'esperibilità da parte dell'amministratore di un condominio della actio negatoria servitutis richiede, ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c., l'autorizzazione dell'assemblea o il mandato espresso dei singoli condomini, vertendosi in tema di azione a carattere reale, con finalità non meramente conservative, che esula dalle normali attribuzioni dell'amministratore stesso (Cass. II, n. 12557/1992). Diversamente, quanto alla legittimazione passiva, l'amministratore può agire senza necessità di estendere il contraddittorio ai singoli condomini, venendo in considerazione la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
I condomini possono chiedere la cessazione del vincolo di destinazione di un immobile situato in un edificio condominiale ad alloggio per il portiere?
Interesse ad agire per l'azione negatoria L'actio negatoria servitutis, ex art. 949 c.c., può essere diretta sia all'accertamento dell'inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione di turbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un'opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell'opera stessa, ma non l'ordine di esecuzione di opere eccedenti la finalità dell'azione, che è quella di rimuovere una situazione comportante una menomazione del godimento del fondo oggetto del pregiudizio. L'interesse ad agire in negatoria servitutis sussiste anche quando, pur non denunciandosi l'avvenuto esercizio di atti materialmente lesivi della proprietà dell'attore, questi, a fronte di inequivoche pretese reali affermate dalla controparte sulla stessa, intenda far chiarezza al riguardo con l'accertamento dell'infondatezza delle dette pretese (Trib. Napoli 4 febbraio 2021). Dunque, l'actio negatoria servitutis ha, come essenziale presupposto, la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa, essendo apprestati in tal caso a favore del proprietario altri rimedi di carattere essenzialmente personale (App. Milano 28 dicembre 2021). Cessazione del vincolo di destinazione di un locale di un edificio condominiale ad alloggio per il portiere L'azione per far accertare la cessazione del vincolo di destinazione di un'unità immobiliare, situata in uno stabile condominiale, ad alloggio per il portiere, qualificabile come actio negatoria servitutis in quanto tesa a negare l'esistenza di pesi sull'immobile costituente oggetto del diritto di proprietà, non costituisce un'azione che riguarda l'estensione del diritto di proprietà, o di comproprietà, dei singoli condomini, ma attiene all'accertamento ed osservanza dei divieti o dei limiti contrattuali di destinazione d'uso delle unità immobiliari di proprietà esclusiva nell'àmbito di un condominio edilizio, con la conseguenza che l'unico legittimato passivo è il condominio in persona dell'amministratore, senza necessità di estendere il contraddittorio ai singoli condomini, venendo in considerazione la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato (Cass. VI, n. 30302/2022: l'oggetto della controversia de qua era rappresentato dall'accertamento della cessazione del vincolo di destinazione che gravava su di un immobile di proprietà esclusiva ed in favore dei condomini dell'edificio; la controversia, pertanto, pur riguardando interessi comuni non aveva ad oggetto l'accrescimento o la diminuzione del diritto di proprietà del locale, il quale rimaneva totalmente in capo al legittimo proprietario non essendo stato oggetto di rivendica da parte del condominio e/o di qualche condomino; la lite, invece, era diretta a verificare se l'immobile di proprietà esclusiva fosse ancora gravato da una servitù che consisteva nel vincolo di destinazione ad alloggio del portiere per l'utilità delle altre unità immobiliari e delle parti comuni; in buona sostanza, trattandosi di accertare se erano stati rispettati i divieti od i limiti contrattuali di destinazione d'uso dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva nell'àmbito di un condominio edilizio, non poteva che configurarsi nel giudizio la legittimazione processuale dell'amministratore). Domanda di accertamento del superamento dei limiti del pari uso della cosa comune Ove l'attore agisca in giudizio nei confronti di un convenuto per ottenere l'accertamento del superamento dei limiti del pari uso della cosa comune, di cui all'art. 1102 c.c., nonché nei confronti di altro convenuto con actio negatoria, volta a dichiarare il superamento dai limiti di esercizio di una servitù gravante sullo stesso fondo, le deduzioni, da parte dei convenuti, della legittimità dell'utilizzo del bene (nella specie, mediante parcheggio di autovetture, deposito di pallets, posizionamento di fioriere), che dunque si limitano a contestare le avverse domande, senza invocare a loro favore fatti o titoli diversi, impeditivi, limitativi o estintivi del diritto azionato dall'attore, costituiscono mere difese o eccezioni in senso improprio, le quali non comportano alcuna preclusione relativa ai meccanismi di proposizione delle domande (Cass. II, n. 20830/2022). Cause esorbitanti dalle attribuzioni dell'amministratore In tema di rappresentanza dell'amministratore condominiale, la necessità dell'autorizzazione o della ratifica assembleare per la costituzione in giudizio va riferita soltanto alle cause che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1131, commi 2 e 3, c.c. tra le quali figura anche la controversia riguardante l'incidenza di diritti reali su cosa comune, non rientrante tra quelle per le quali l'amministratore medesimo è autonomamente legittimato ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c. (Cass. II, n. 1794/2022: nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta tra due condomini in conseguenza dell'esercizio di un'actio negatoria servitutis, volta all'accertamento dell'inesistenza di una servitù di passaggio nonché di una servitù di stillicidio, la Suprema Corte, accogliendo l'eccezione sollevata dal condominio controricorrente per difetto di autorizzazione dell'assemblea condominiale, trattandosi di controversia esorbitante dalle attribuzioni dell'amministratore, ha dichiarato inammissibile ricorso per cassazione proposto dall'amministratore del condominio ricorrente). Legittimazione passiva dell'amministratore La legittimazione passiva dell'amministratore del condominio, ex art. 1131, comma 2, c.c. non incontra limiti e sussiste – anche in ordine all'interposizione d'ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario – in relazione a ogni tipo d'azione, anche reale o possessoria, promossa da terzi o da un singolo condomino nei confronti del condominio medesimo relativamente alle parti comuni dello stabile condominiale (tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purché adibite all'uso comune di tutti i condomini), trovando ragione nell'esigenza di facilitare l'evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini. (Cass. II, n. 22911/2018: nella specie, la Suprema Corte ha cassato la decisione di merito che, negata la natura condominiale di un'area cortilizia, esterna al fabbricato ma adibita ad uso comune, aveva escluso la legittimazione passiva dell'amministratore rispetto a un'actio negatoria proposta da un condomino relativamente a tale area). Dunque, nell'ipotesi di esercizio da parte di un terzo o di un singolo condomino dell'actio negatoria servitutis, sussiste la legittimazione passiva all'amministratore del condominio, con esclusione della necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini (App. Napoli 13 luglio 2020); cioè, in tema di azioni negatorie e confessorie, la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste tutte le volte in cui sorga controversia sull'esistenza e sull'estensione di servitù prediali costituite a favore o a carico dello stabile condominiale nel suo complesso o di una parte di esso (App. Milano 9 dicembre 2015). Litisconsorzio necessario passivo Ciascun partecipante del condominio è legittimato a proporre l'actio negatoria servitutis a tutela della libertà del bene comune, senza che sia necessario l'intervento in giudizio degli altri partecipanti alla comunione o dell'amministratore del condominio, non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario (Cass. II, n. 10478/1998: l'actio negatoria servitutis dà luogo a litisconsorzio necessario passivo solo se, appartenendo il fondo servente pro indiviso a più proprietari, sia diretta anche ad una modificazione della cosa comune, laddove la possibilità che la modifica o la demolizione della res di proprietà del solo convenuto incida, in sede esecutiva, sulla sfera giuridica di soggetti terzi, richiedendone la necessaria cooperazione, non impone l'integrazione del contraddittorio nei confronti di questi ultimi). Ne consegue che non sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i partecipanti al condominio in ordine alla domanda proposta da un condomino al fine di ottenere la rimozione dal proprio appartamento delle tubazioni di scarico delle acque provenienti dalla soprastante unità abitativa di proprietà individuale (Cass. VI, n. 2170/2013). Inoltre, in presenza di domanda di condanna all'eliminazione d'opere, ai fini della pregiudiziale decisione concernente la negatoria servitutis, non è necessaria l'integrazione del contraddittorio, dalla legge non richiesta per tale tipo di pronuncia, che bene è pertanto resa nei confronti del condominio rappresentato dall'amministratore, dovendo in tal caso essere essa intesa quale utilitas afferente all'intero edificio condominiale e non già alle singole proprietà esclusive dei condomini (Cass. II, n. 22886/2010). Diversamente, la partecipazione dei condomini, concorrente con quella dell'amministratore, secondo la Suprema Corte, si rende semmai necessaria nella diversa ipotesi di pronunzia emessa sia sulla questione pregiudiziale di accertamento dell'inesistenza della servitù evocata con la proposizione della negatoria servitutis – che sul merito – domanda di rimozione dell'opera sulla cosa comune integrante la servitù – in presenza di proposizione congiunta di entrambe le questioni (Cass. II, n. 9206/2005). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale Un condomino chiede all'amministratore di indire l'assemblea condominiale, il cui o.d.g. preveda la votazione sulla cessazione del vincolo di destinazione di un appartamento sito nello stabile condominiale, ad alloggio per il portiere, anticipandogli che, in difetto, procederà ad evocarlo in giudizio con l'actio negatoria servitutis volta a negare l'esistenza di pesi sull'immobile costituente oggetto del diritto di proprietà comune. Funzione e natura del giudizio È un ordinario giudizio a cognizione ordinaria, instaurato da un condomino nei confronti dell'amministratore pro-tempore del condominio per far accertare la cessazione del vincolo di destinazione di un immobile, situato in uno stabile condominiale, ad alloggio per il portiere, tesa a negare l'esistenza di pesi sull'immobile costituente oggetto del diritto di proprietà, venendo in considerazione la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. Aspetti preliminari Mediazione La mediazione è uno strumento fortemente voluto dal legislatore prima in chiave alternativa al processo civile e successivamente dal legislatore del PNRR in funzione complementare della giustizia civile, in entrambi i casi al fine di perseguire una finalità dichiaratamente deflattiva del contenzioso e, per tale ragione, è prevista obbligatoriamente quale condizione di procedibilità della domanda attorea ex art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 28/2010 nella materia condominiale per le controversie previste dall'art. 71-quater disp. att. c.c., le quali si intendono quelle derivanti dalla violazione od errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II del codice civile e degli artt. da 61 a 72 delle disposizioni di attuazione del codice civile. L'onere di proporre la domanda di mediazione ex art. 71-quater disp. att. c.c. – sul quale recentemente il legislatore è intervenuto disponendo, all'art. 2 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, l'abrogazione dei commi 2, 4, 5 e 6, e stabilendo, al comma 3 della norma sopra citata, che le parole “previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all'articolo 1136, secondo comma, del codice” siano sostituite dalle seguenti: “secondo quanto previsto dall'articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28” – prima di intraprendere la strada giudiziale, grava sulla parte istante, dunque in questo specifico caso l'attore, ovvero la parte che impugna la delibera condominiale assumendone l'illegittimità. In questa particolare fattispecie, la mediazione può costituire un utile strumento per ricercare un'idonea soluzione ai rispettivi interessi contrapposti al di fuori del processo, ed in ogni caso prima ancora che quest'ultimo abbia inizio attesa l'obbligatorietà della stessa. Tuttavia, stante la non uniformità della giurisprudenza formatasi sulla questione concernente l'esatto dies a quo da considerare ai fini della sospensione del termine di trenta giorni per proporre l'impugnazione avverso la delibera, frutto della mancanza di una norma ad hoc di raccordo tra la previsione generale sull'obbligatorietà della mediazione in ambito condominiale e quella disciplinante la perentorietà del termine stabilito a pena di decadenza per l'impugnazione della delibera, sovente si verifica che la parte interessata decida di impugnare quest'ultima e successivamente, o contestualmente, di proporre l'istanza di mediazione. Competenza Il Tribunale, ai sensi dell'art. 9 c.p.c., è il giudice competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice e, in generale, per quelle di valore indeterminabile, come nel caso dell'atto di citazione spiccato dal condomino nei confronti dell'amministratore pro-tempore del condominio per conseguire la cessazione del vincolo di destinazione di un immobile, situato nello stabile condominiale, ad alloggio per il portiere, a salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. Legittimazione Nell'actio negatoria servitutis, proposta al fine di fare accertare la cessazione del vincolo di destinazione di un'immobile parte dell'edificio, l'unico legittimato passivo è il condominio in persona dell'amministratore, senza necessità di estendere il contraddittorio ai singoli condomini, venendo in considerazione la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale unitariamente considerato. Profili di merito Onere della prova L'attore che intende far accertare la cessazione del vincolo di destinazione di un immobile, situato in uno stabile condominiale, ad alloggio per il portiere, qualificabile come actio negatoria servitutis, in quanto tesa a negare l'esistenza di pesi sull'immobile costituente oggetto del diritto di proprietà, ha l'onere di provare i presupposti costitutivi del relativo diritto, e, per l'effetto, l'inesistenza di diritti altrui sulla stessa res. Contenuto dell'atto di citazione L'atto di citazione deve contenere la vocatio in jus dell'amministratore pro-tempore del condominio – che, per effetto di quanto enunciato nell'art. 3 del d.lgs. n. 149/2022, il termine in essa indicato è elevato a centoventi giorni liberi che necessariamente devono decorrere tra il giorno della notificazione dell'atto e quello dell'udienza di comparizione – e deve altresì contenere gli avvertimenti previsti espressamente dall'art. 163, comma 3, n. 3-bis, c.p.c. e, dunque, l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; e, che in base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022, occorre indicare insieme al giorno dell'udienza di comparizione, anche l'invito al singolo convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall'art. 166 c.p.c. ed a comparire, nell'udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell'art. 168-bis c.p.c., con l'avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c., e che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'art. 86 c.p.c. o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare l'istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. In base al nuovo testo modificato dall'art. 7 del citato d.lgs. n. 149/2022, l'art. 163 c.p.c., al n. 4), deve contenere l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. Nelle conclusioni dell'atto di citazione, la parte istante dovrà enunciare distintamente le proprie richieste finalizzate alla condanna della singola parte convenuta. L'atto in parola va, quindi, sottoscritto dal difensore, e corredato della procura ad litem, contenente la sottoscrizione della parte autenticata dallo stesso difensore unitamente all'indicazione della documentazione ad esso allegata e notificato telematicamente – o in cartaceo laddove risulti sprovvisto di un valido indirizzo digitale attivo – all'amministratore pro-tempore del condominio. In particolare, l'attore, previo versamento del contributo unificato, sempre telematicamente, in base all'art. 165 c.p.c. – modificato anch'esso dall'art. 7 del d.lgs. n. 149/2022 – entro dieci giorni dalla notificazione della citazione alla parte convenuta, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d'iscrizione a ruolo ed il proprio fascicolo contenente l'originale della citazione, la procura ed i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel Comune ove ha sede il Tribunale, o indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica. Richieste istruttorie Il condomino istante – premessa la richiesta di interrogatorio formale dell'amministratore pro-tempore convenuto su circostanze volte a comprovare l'esistenza dei fatti oggetto della richiesta di negatoria servitutis, e sulle stesse circostanze capitolate, la prova testimoniale a mezzo di persone in grado di riferire sui medesimi fatti – ha l'onere di chiedere l'ammissione di una c.t.u. al fine di accertare lo stato giuridico dell'immobile. L'istante ha anche l'onere di allegare idonea documentazione tecnica volta a comprovare lo stato della res risultante dai pubblici registri immobiliari. 4. ConclusioniNell'azione proposta da un condomino qualificata quale actio negatoria servitutis, sussiste la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio, con esclusione della necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, in relazione all'esercizio da parte di un terzo o di un singolo condomino dell'azione di negazione della servitù (Cass. II, n. 31510/2019). In particolare, è stato chiarito che la legittimazione passiva dell'amministratore di condominio sussiste, con riguardo ad azioni negatorie e confessorie di servitù, anche nel caso in cui sia domandata la rimozione di opere comuni oppure l'eliminazione di ostacoli che impediscano o turbino l'esercizio della servitù medesima, anche in tale ipotesi, non rendendosi necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini (Cass. II, n. 128/2019). Ciò premesso, nell'azione negatoria, la titolarità del bene si pone come requisito di legittimazione attiva per cui, se è contestata, la parte che agisce, se non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, dimostrando il suo titolo di acquisto e quello dei suoi danti causa fino ad un acquisto a titolo originario, deve comunque dare la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, dell'esistenza di un valido titolo di proprietà del bene (Cass. II, n. 1905/2023). In tale ottica, la verifica della validità del titolo di chi agisce in negatoria servitutis, involge anche l'idoneità del titolo dei suoi danti causa poiché, se tale titolo è inidoneo, la sua invalidità implica di conseguenza anche quella dell'attore. Nell'azione negatoria, in effetti, la titolarità del bene – che, il giudice, specie se contestata, deve sempre accertare, sia pur in via incidentale, anche se la relativa domanda non è stata espressamente proposta – si pone come requisito di legittimazione attiva, e non come oggetto della controversia, sicché ciò giustifica perché la parte che agisce in giudizio non ha l'onere di fornire, come nell'azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà, essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il bene in forza di un titolo valido, e ciò sul presupposto che l'azione non mira necessariamente all'accertamento dell'esistenza della titolarità della proprietà ma all'ottenimento della cessazione dell'attività lesiva, spettando, per contro, al convenuto l'onere di provare l'esistenza del diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore. Al riguardo, una volta che sia stata esercitata l'azione negatoria per fare dichiarare l'inesistenza di un diritto di servitù su una cosa di proprietà dell'attore ed il convenuto eccepisca di essere il proprietario del bene che si assume gravato, oggetto del giudizio resta l'accertamento della libertà del bene dagli altrui diritti, mentre l'accertamento della proprietà del medesimo ha valore soltanto strumentale, per cui, non essendo la domanda volta al recupero del bene, l'onere della prova che grava sull'attore nel possesso del bene è meno rigoroso che nell'azione di rivendica e la prova, in caso di insufficienza dei titoli di provenienza, può essere data con ogni mezzo ed anche con presunzioni. Soltanto se l'azione negatoria sia stata proposta da chi non abbia il possesso del bene, l'accertamento della proprietà, ove contestata dalla controparte che se ne assuma a sua volta titolare, soggiace allo stesso onere probatorio della rei vindicatio, di cui ha analogo effetto recuperatorio. A ciò aggiungasi che l'actio negatoria servitutis è ravvisabile non solo in caso di domanda diretta al mero accertamento dell'inesistenza della pretesa servitù ma anche se la domanda è volta all'eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dal terzo mediante la rimozione delle opere lesive del diritto di proprietà realizzate dal medesimo, così da ottenere l'effettiva libertà del bene, ed impedire che il potere di fatto del terzo, corrispondente all'esercizio di un diritto, protraendosi per il tempo prescritto dalla legge, possa comportare l'acquisto per usucapione di un diritto reale su cosa altrui. Conseguentemente, l'actio negatoria servitutis può essere diretta sia all'accertamento dell'inesistenza di diritti vantati da terzi sia alla cessazione di turbative o molestie e, in tale ultima ipotesi, ove la turbativa o la molestia sia attuata mediante la realizzazione di un'opera, può anche determinare la condanna alla trasformazione o demolizione dell'opera stessa, ma non l'ordine di esecuzione di opere eccedenti la finalità dell'azione, che è quella di rimuovere una situazione comportante una menomazione del godimento del bene oggetto del pregiudizio (Cass. II, n. 24183/2021). |