Installazione dell'autoclave privato nell'area comune1. Bussole di inquadramentoL'autoclave condominiale L'autoclave del condominio è fondamentale per garantire la giusta portata idrica in impianti di grandi dimensioni. Questo apparecchio è, quindi, in grado di aumentare la pressione dell'acqua per distribuirla a tutti gli appartamenti del condominio. L'installazione dell'autoclave condominiale comporta anche la presenza di componenti per il doppio pompaggio. Grazie a questi elementi di riserva l'autoclave può funzionare in continuazione. Di solito, l'autoclave per condominio è composta da cisterna per l'acqua, elettropompe per il pompaggio e da un “polmone”, ossia una cassa d'aria in pressione. L'installazione dell'autoclave condominiale serve proprio a garantire che l'acqua arrivi sempre anche agli appartamenti dei piani più elevati. Ciò significa che i condomini, grazie alla cisterna di accumulo, potranno avere l'acqua anche in caso di mancata fornitura dall'acquedotto comunale. Per contro però, se dovesse mancare la corrente, verrebbe interrotta anche la fruizione di acqua, per via della presenza dell'elettropompa. La gestione dell'autoclave del condominio deve essere svolta da tecnici specializzati. Come per le caldaie anche in questo caso si può parlare di manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria. Rientrano nel primo caso interventi come i controlli della pressione, dell'elettropompa, la pulizia dei serbatoi ecc. Mentre alla seconda categoria appartengono le sostituzioni di componenti dell'impianto. Non ci sono obblighi di legge precisi sulla periodicità della manutenzione, ma la responsabilità è sempre dell'amministratore condominiale. Pertanto, è fortemente consigliabile effettuare dei controlli periodici per verificare il corretto funzionamento dell'impianto e la qualità dell'acqua erogata. Per installare un'autoclave in condominio è necessario che la questione venga sottoposta alla decisione dell'assemblea, non potendo l'amministratore provvedere autonomamente. Affinché la spesa possa essere approvata, è necessario il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti all'assemblea, in rappresentanza di almeno la metà dei millesimi (500/1000). La spesa dev'essere suddivisa in base ai millesimi di proprietà, indipendentemente dall'altezza di ciascun piano dal suolo (Cass. II, n. 7172/1983). L'autoclave del singolo condomino Se l'assemblea non provvede a deliberare sull'installazione dell'autoclave, può procedere a tanto il singolo condomino che ne sia direttamente interessato, ad esempio il proprietario che vive all'ultimo piano e che riceve uno scarso approvvigionamento idrico. L'installazione di un'autoclave da parte del singolo condomino può dunque essere ricondotta all'interno dell'alveo di cui all'art. 1102 c.c. riguardante l'uso della cosa comune. L'autoclave condominiale va installata in un'area comune, sia che venga deliberata dall'assemblea, sia che venga installata autonomamente dal singolo condomino. In tema, i giudici hanno acconsentito, in mancanza di altro posto, all'installazione dell'autoclave all'interno della sala riunioni (Trib. Chieti 8 marzo 2022: secondo i giudici, questa soluzione, ove si renda necessaria, non comporta una privazione dell'uso della cosa comune – la sala riunioni – agli altri condomini, ma semplice mutamento di destinazione di uso sempre comune, in una logica di funzionalizzazione sociale della proprietà privata, nel caso di specie a tutela di diritti costituzionali altamente qualificati, com'è quello a godere del servizio idrico per le più comuni esigenze personali). L'uso delle parti comuni dell'edificio La norma regolatrice, in tale materia, è costituita dall'art. 1102 c.c. – dettata in tema di comunione, ma applicabile anche al condominio stante il richiamo dell'art. 1139 c.c. – il quale consente al condominio di servirsi della cosa comune, “purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto”. Quindi, secondo il precetto in commento, la libertà del condomino di usare la cosa comune soggiace a due ordini di limitazioni: di ordine oggettivo (o qualitativo), ossia attinenti alla res, volendo evitare che la funzione della cosa comune sia distolta da quella sua propria, nonché di ordine soggettivo (o quantitativo), nel senso che viene posto l'accento sul potere degli altri comproprietari di usare ugualmente la cosa in conformità del diritto di comproprietà del quale anche essi risultano titolari. Dunque, il singolo partecipante può servirsi della stessa, sempre con i due limiti oggettivi e soggettivi di cui sopra, anche modificando la cosa comune, per il miglior godimento della stessa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalità, e ciò ai sensi dell'art. 1102, comma 1, ultima parte, c.c. Ne consegue il divieto per i condomini di utilizzare arbitrariamente le cose comuni a danno degli altri condomini, oppure in modo tale da rendere non più utile quella cosa agli interessi di tutti. Oltre a ciò, il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso (art. 1102, comma 2, c.c.). Essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, richiedente un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione, al riguardo del pari uso che prevede uno sviluppo estensivo delle esigenze abitative, non si può intendere la clausola del “pari uso della cosa comune” come veicolo per giustificare impedimenti all'estrinsecarsi delle potenzialità di godimento del singolo. All'uopo, si evidenzia che la valutazione della violazione del pari uso deve essere nel concreto ravvisabile nel senso che l'uso privato toglierebbe reali possibilità di uso della cosa comune agli altri potenziali condomini-utenti. Di talché, spetta a chi si oppone all'utilizzo del bene comune dimostrare il minore uso da parte degli altri o di chi vi ha interesse (Trib. Cosenza 22 agosto 2020). In definitiva, il singolo partecipante può usare – con i citati limiti – la cosa comune nella sua interezza, indipendentemente dal fatto che sia titolare di una quota maggiore o minore della comproprietà ragguagliata al valore dell'appartamento di sua pertinenza. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quali conseguenze si verificano per i condomini che realizzano un impianto privato di autoclave nell'area comune con alterazione della normale destinazione d'uso?
Consentito lo spostamento dell'ubicazione autoclave condominiale I condomini, seppur titolari di un fondo configurato come dominante nell'ambito di una servitù costituita per la fruizione di un servizio condominiale, possono decidere di modificare il servizio – nella specie, spostando l'ubicazione dell'autoclave, dell'elettropompa e della cisterna della riserva dell'impianto idrico – con le maggioranze richieste dall'art. 1136 c.c. In tal caso, infatti, non costituisce oggetto della delibera la rinuncia della servitù, la cui estinzione consegue eventualmente ad essa, piuttosto, quale effetto legale tipico della nuova situazione di fatto venutasi a creare tra i fondi per il venir meno dei requisiti oggettivi che caratterizzano la servitù; salvo che la trasformazione del servizio non richieda l'unanimità per altre ragioni, derivanti dalle regole che disciplinano l'estrinsecazione della volontà condominiale in materia di innovazioni vietate, determinando, in base ad apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, una sensibile menomazione dell'utilità ritraibile dalla parte comune (art. 1120, comma 2, c.c., nella formulazione ratione temporis applicabile, antecedente alle modifiche apportate dalla l. n. 220/2012) (Cass. II, n. 23741/2020). L'assemblea con deliberazione a maggioranza ha quindi il potere di modificare, sostituire o eventualmente sopprimere un servizio anche laddove esso sia istituito e disciplinato dal regolamento condominiale se rimane nei limiti della disciplina delle modalità di svolgimento e, quindi, non incida sui diritti dei singoli condomini. In particolare, l'assemblea può deliberare di modificare il servizio di autoclave spostandone l'ubicazione precedente che comportava una posizione di servitù attiva anche se la nuova ubicazione determina una situazione di fatto da cui deriva la mancanza di utilità della servitù (Cass. II, n. 6915/2007). Illegittimo lo spostamento dell'ubicazione dell'autoclave condominiale se altera il vano scala condominiale Nell'àmbito del condominio, per innovazioni devono intendersi le modifiche che, determinando il mutamento della destinazione originaria, implicano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere seguite, vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti. Nella fattispecie, lo spostamento di tutte le vasche di raccolta dell'acqua potabile e dell'impianto autoclave alterava l'uso ordinario tanto del locale tecnico quanto del vano sottoscala, mutando così la destinazione di suddetti locali, che non avrebbero potuto ancora essere utilizzati dai condomini per le stesse finalità. Si ravvisavano, pertanto, delle innovazioni in senso tecnico – giuridico, superando il limite delle mere modificazioni che mirano solo a potenziare (o a rendere più comodo) il godimento della cosa comune, ma ne lasciano immutata la destinazione. La delibera assembleare impugnata e relativa all'approvazione di tali innovazioni doveva, dunque, essere approvata, come non era accaduto, dalla maggioranza qualificata ex art. 1136, comma 5, c.c., richiedente un numero di voti rappresentante la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio. Non essendo stati rispettati tali criteri, la delibera censurata veniva annullata (Trib. Catania 20 gennaio 2020). L'installazione dell'autoclave da parte del singolo condomino non costituisce innovazione Nel caso di richiesta da parte di un condomino di essere autorizzato alla installazione di autoclave in locale comune, in ragione del fatto che l'approvvigionamento idrico dell'appartamento di detto condomino è insufficiente, con conseguente nocumento per le esigenze della vita quotidiana oltre che per le esigenze di igiene e sicurezza, che dovrebbero interessare l'intera collettività condominiale, occorre valutare la materiale possibilità di installare detta autoclave su locale comune a servizio del solo condomino richiedente (Trib. Chieti 12 aprile 2021). Difatti, l'installazione, nel seminterrato di un fabbricato condominiale, di un`autoclave autonoma, da parte del singolo condomino, per il sollevamento dell'acqua in favore del suo appartamento, non costituisce – di per sé innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, in quanto tale, rientrante nel potere di modifica spettante ad ogni condomino, ove non precluda, agli altri condomini, la possibilità di utilizzare la cosa comune, e non alteri la destinazione della stessa, mentre le spese relative restano esclusivamente a carico del condomino procedente (Cass. II, n. 1389/1998). Ciò trova conferma anche nella giurisprudenza di merito secondo cui l'installazione di un'autoclave non costituisce innovazione non importando alcuna modificazione materiale della forma o della sostanza di una parte comune dell'edificio (Trib. Napoli 15 luglio 1992). Pertanto, non sussiste violazione dell'art. 1119 c.c. qualora un condomino per insufficiente erogazione di acqua decida lo stacco da un'autoclave multiservente per installarne un'altra autonoma e monoservente (Trib. Milano 21 dicembre 1989). Legittima la richiesta di idoneo impianto di autoclave in caso di mancata pressione necessaria per le esigenze personali degli abitanti e per il funzionamento degli elettrodomestici Infine, è ammissibile l'emissione del provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. per l'installazione di idoneo impianto di autoclave in un condominio nel quale un condomino lamenti che l'impianto idrico esistente determina la presenza di notevole quantità di aria nelle condutture e priva l'erogazione dell'acqua della pressione necessaria per le esigenze personali degli abitanti e per il funzionamento degli elettrodomestici. La spesa per l'installazione dell'autoclave va ripartita fra i vari condomini in base agli stessi criteri già in vigore per l'impianto idrico (Pret. Taranto 26 marzo 1985). L'installazione dell'autoclave del singolo condomino nel cortile comune costituisce innovazione vietata Le modificazioni della cosa comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.), eseguite dal singolo condomino ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un migliore e più intenso godimento della cosa medesima, costituiscono una consentita esplicazione del diritto di comproprietà ex art. 1102 c.c., ove non implichino alterazioni della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Diversamente, si risolvono in una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c., e nel caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave per il servizio di una singola unità abitativa seppure consentita con deliberazione della assemblea dei condomini a norma del quinto comma dell'art. 1136 c.c., quando comporta sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all'uso e godimento degli altri condomini (Cass. II, n. 1911/1987: l'installazione di un'autoclave autonoma, per il sollevamento dell'acqua in favore dell'appartamento di un singolo condomino è consentita, ai sensi dell'art. 1102 c.c., fintantoché non comporti riduzione di afflusso dell'acqua nei locali od appartamenti degli altri condomini con pregiudizio del loro concorrente diritto di pari godimento del servizio comune). 3. Azioni processualiTutela stragiudiziale L'amministratore comunica al condomino che intende ricorrere in Tribunale esperendo l'azione di manutenzione del possesso, affinché il giudice ordini la cessazione della turbativa ravvisata nell'avere installato il medesimo condomino in un locale condominiale, un'autoclave autonoma – per il sollevamento dell'acqua in uso solo al suo appartamento – la quale, per effetto del collegamento non autorizzato all'impianto idrico condominiale, comporta una riduzione dell'afflusso di acqua nelle altre unità immobiliari, realizzando in tale modo un turbamento delle singole facoltà d‘uso di tutti gli altri condomini, alterandone la normale destinazione. Funzione e natura del giudizio È un rimedio processuale avente ad oggetto specifico la tutela del possesso, proposto dall'amministratore di condominio nei confronti del condomino che autonomamente ha installato un'autoclave in un locale condominiale, per l'effetto, alterandone la consueta destinazione, al fine di conseguire con la tutela del possesso del bene comune la cessazione della molestia, e con essa, il ripristino della pari facoltà d'uso per tutti i condomini. Aspetti preliminari Mediazione La mediazione obbligatoria di cui all'art. 5, comma 1, lett. c), d.lgs. n. 28/2010 non si applica nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'art. 703, comma 3, c.p.c. Competenza Il Tribunale, ai sensi dell'art. 9 c.p.c., è il giudice competente per tutte le cause che non sono di competenza di altro giudice, e, in generale, per quelle di valore indeterminabile. Legittimazione L'amministratore del condominio è legittimato a proporre l'azione per la manutenzione del possesso nei confronti del condomino, per fare cessare la molestia costituita in tale ipotesi dalla realizzazione di un'autoclave nella proprietà comune alterandone la destinazione d'uso. Profili di merito Onere della prova L'amministratore deve provare che il condomino ha illegittimamente realizzato l'impianto dell'autoclave, a tale fine appropriandosi del bene comune, dimostrando la dedotta molestia nel possesso in relazione alla quale agisce con l'azione di manutenzione. Contenuto del ricorso per la manutenzione del possesso La domanda cautelare proposta per la manutenzione del possesso assume la forma del ricorso, il quale, oltre a contenere le indicazioni di cui all'art. 125 c.p.c., deve altresì indicare il giudice dinanzi al quale l'azione è proposta; il nome, cognome, residenza e codice fiscale della parte ricorrente e del difensore, il quale deve anche indicare il numero di fax e l'indirizzo pec presso il quale intende ricevere le comunicazioni di cancelleria; il nome, cognome, codice fiscale, residenza, o domicilio o dimora della parte resistente; l'esposizione dettagliata dei fatti integranti la turbativa del possesso. In particolare, nel ricorso, da un lato, vanno allegati i fatti oggetto d'indagine da parte del giudice, in forma chiara e circostanziata come peraltro esige la recente riforma del processo civile, e, dall'altro, va specificato in cosa consiste la dedotta turbativa del possesso per il ricorrente, a tale fine, indicando le circostanze sulla cui scorta verosimilmente il giudice adito potrebbe concedere la richiesta tutela possessoria. Il ricorso, unitamente alla procura alla lite, va sottoscritto dalla parte ricorrente e dal proprio difensore, quest'ultimo anche per autentica della sottoscrizione del suo cliente. Richieste istruttorie L'amministratore di condominio unitamente alla produzione di materiale fotografico e tecnico costituito da una perizia di parte redatta a seguito di sopralluogo, può chiedere l'assunzione di informatori in persona dei condomini dello stabile condominiale al fine di provare il fatto costituente la dedotta turbativa del possesso, e di conseguenza, la richiesta di ripristino dello status quo ante da parte del condomino evocato in giudizio la quale, costituisce una molestia al possesso del bene comune. Lo stesso ricorrente deve allegare la natura condominiale del bene interessato dall'azione di manutenzione del possesso producendo la relativa documentazione. 4. ConclusioniIl condomino non può autonomamente appropriarsi del bene comune per la realizzazione di un impianto autonomo di autoclave, in quanto ciò costituisce un evidente abuso del diritto del medesimo condomino che impedisce ai restanti condomini di usufruire dello stesso bene comune, per l'effetto, ciò integrando gli estremi di una molestia per la cui tutela, l'amministratore è legittimato a proporre il ricorso per la manutenzione del possesso, in relazione al quale, il giudice può adottare qualsiasi provvedimento risulti idoneo nella fattispecie concreta. Infatti, la funzione e la destinazione del bene condominiale non è certamente quella di servire una singola unità abitativa causando pregiudizio alla possibilità di pari uso dello stesso bene comune da parte degli altri condomini. Questa particolare ipotesi è quella presa in esame nella fattispecie, in cui si è reso necessario per l'amministratore ricorrere all'azione possessoria al fine di conseguire l'immediato ripristino dello status quo ante. La legittimazione attiva ad esperire l'azione di manutenzione spetta esclusivamente al possessore – nella fattispecie in esame all'amministratore in qualità di mandatario dei condomini – non anche al detentore a differenza dell'azione di reintegrazione del possesso che muove, invece, da presupposti differenti. In tale ottica, l'azione di manutenzione è data al possessore che vanti un possesso annuale, continuo e non interrotto, non violento, né clandestino, situazione ricorrente nella fattispecie. La molestia in relazione alla quale si agisce in possessoria sul piano giuridico consiste allora nel compimento di un'azione priva di fondamento giuridico – l'appropriazione di un bene condominiale diretta ad incidere sul normale uso degli altri condomini – non potendo altrimenti ravvisarsi la lesione antigiuridica della posizione del possessore volta ad ostacolarne od impedirne l'esercizio legittimo del possesso. In questo caso, l'attività materiale è un'ingerenza di fatto lesiva del possesso che può accompagnarsi anche a minacce finalizzate ad ostacolare o comunque impedire l'esercizio del possesso del bene comune. È importante, altresì, tenere presente che tale azione è soggetta al termine annuale di decadenza decorrente dal giorno in cui ha avuto inizio l'attività integrante la turbativa del possesso. In buona sostanza, l'appropriazione di una parte comune posta in essere da un condomino in violazione dell'art. 1102 c.c. configura un abuso ovvero, nella specie, una turbativa del possesso rispetto alla normale destinazione della res, poiché preclude ad altri condomini dello stabile di partecipare all'utilizzo dello stesso bene, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà. In conseguenza di ciò, l'amministratore e/o gli altri condomini possono ricorrere in Tribunale esperendo l'azione di manutenzione del possesso, affinché il giudice ordini la cessazione della turbativa, che potrebbe ravvisarsi anche nell'ipotesi specifica in cui si verifichi l'installazione in un locale condominiale, di una autoclave autonoma da parte di un condomino – per il sollevamento dell'acqua in uso solo al suo appartamento – la quale, per effetto del collegamento non autorizzato all'impianto idrico condominiale, comporti l'inutilizzo del bene ed una riduzione dell'afflusso di acqua nelle altre unità immobiliari, sempre secondo una valutazione della situazione concreta per constatare se, a fronte di una determinata condotta, possa sussistere e realizzarsi una privazione o turbamento delle singole facoltà d‘uso di tutti gli altri condomini, in tale modo, alterandone la normale destinazione, costituente una modifica non rientrante, a norma dell'art. 1102 c.c., nei poteri spettanti ad ogni condomino. |