Risarcimento per morte o grave lesione di una persona legata da fidanzamento: danno da perdita parentale o da perdita di un legame qualificato?

19 Maggio 2023

La necessità che il risarcimento sia vincolato alle sole situazione giuridiche “prese in considerazione” dall'ordinamento, ossia esclusivamente alle ipotesi nelle quali una o più norme apprestino una qualsiasi forma di tutela, escludendo la risarcibilità alla lesione di mere situazioni o rapporti di fatto non tutelate in alcun modo dall'ordinamento, porta ad escludere la legittimazione a agire per il risarcimento del danno conseguente alla morte o grave lesione di una persona legata da rapporto di fidanzamento, trattandosi di vincolo affettivo non previsto da alcuna normativa né soggetto a specifica tutela.

Introduzione

Come già affermato dal prof. Scognamiglio, le questioni inerenti la risarcibilità del danno da perdita del rapporto parentale costituiscono “un punto di osservazione privilegiato per indagare nel momento presente, ed alla luce delle tante sollecitazioni che provengono soprattutto dal laboratorio del diritto giurisprudenziale, la categoria del danno non patrimoniale” (si veda C. Scognamiglio, Il danno da perdita del rapporto parentale e la più recente evoluzione della giurisprudenza di legittimità, in www.revista-aji.com).

Si deve, infatti, all'elaborazione dottrinale, ma soprattutto alla giurisprudenza, la costruzione della fattispecie di danno non patrimoniale cd. da perdita del rapporto parentale e la sua progressiva definizione, sia in ordine alla sua struttura normativa, sia in ordine alla sua concreta applicazione.

Fin dalle prime battute, l'assetto sistematico sancito dalla giurisprudenza in ordine all'individuazione dei soggetti legittimati ad agire per il risarcimento dei danni derivanti dalla morte del prossimo congiunto, è stato costruito sulla nozione della causalità e sulla propagazione intersoggettiva delle conseguenze di uno stesso fatto illecito (cfr. Cass. n. 11396/1997): da qui la definizione di illecito "plurioffensivo".

Attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni generali in tema di danno non patrimoniale, quali gli artt. 1223, 1226 e, in particolare, l'art. 2059 c.c. - con riferimento all'intangibilità della sfera degli affetti e alla valorizzazione del rapporto familiare ex artt. 2, 29, 30 e 31 Cost.) - è stata, quindi, riconosciuta la possibilità di chiedere il risarcimento del danno qualora a causa di un fatto illecito venisse meno il legame esistente tra il defunto (o macroleso) ed i suoi più prossimi congiunti.

I legittimati e la definizione di “prossimo congiunto”

Incontestabile ormai la sussistenza di tale danno nel nostro ordinamento giuridico non poche problematiche ancora sussistono segnatamente in tema di soggetti legittimati ad agire in giudizio per conseguirne il ristoro.

A ben vedere, scorrendo le numerose le sentenze della Suprema Corte e le definizioni di volta in volta usate nelle diverse pronunce che si sono interessate di tale voce di danno, sembrerebbe escludersi la risarcibilità del danno non patrimoniale per la morte di una persona che non sia legata da vincoli di coniugio o parentela.

La giurisprudenza, infatti, ha sempre fatto riferimento ai termini “parente”, “familiare” “coniuge” o “prossimo congiunto” ed è proprio su tale ultima definizione che si delineano le prime spinose questioni.

Basti solo in questa sede ricordare che, seppur le fonti normative in cui si legge di “prossimi congiunti” o di “prossimo congiunto”, sono più di un centinaio, tuttavia in ambito civilistico non esiste una precisa definizione della locuzione che invece rinveniamo solo per la materia penalistica, e precisamente nell'art. 307, c.p., che sotto la rubrica “Assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata” al suo quarto comma così statuisce: “Agli effetti della legge penale, s'intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un'unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”.

Tuttavia, a seguire l'incipit del citato comma detta definizione sembrerebbe utilizzabile soltanto “agli effetti della legge penale”, con la conseguenza che in sede civile non è definito normativamente cosa si debba intendere quando il legislatore fa riferimento ai “prossimi congiunti” (sull'argomento si segnala l'articolo del Prof. Avv. Giovanni Francesco Basini su cfnews.it, La nozione di prossimi congiunti al di fuori della legge penale).

Nelle lingua italiana, il dizionario Treccani, definisce la parola congiunto quale affine, consanguineo, familiare, parente.

Fatta questa doverosa premessa, anche semantica, le questioni in ordine all'individuazione dei criteri delimitativi della legittimazione ad agire nelle ipotesi di danno da morte o grave lesione di un congiunto non può dirsi definitivamente risolta e chiarita e, in particolare, resta ancora da esplorare la configurabilità di tale danno in capo ad un soggetto legato alla vittima principale da un mero vincolo di fidanzamento.

I rapporti c.d. giuridificati

Se infatti si dovesse ritenere, come a dir il vero sembra delinearsi dal tenore della maggiore giurisprudenza di merito e legittimità, che il presupposto di diritto che legittima la richiesta del danno da morte di un congiunto sia l'esistenza di un vincolo che legava superstite e deceduto preso in considerazione dall'ordinamento, andrebbe negata la legittimazione del fidanzato\a a richiedere il danno per la perdita del congiunto.

Invero - applicando le regole della successione legittima, unico riferimento del nostro codice civile - i rapporti parentali e di affinità sono da ritenersi giuridificati per i congiunti fino al sesto grado e per gli affini fino al secondo grado.

Oltre questi limiti il rapporto non può ritenersi giuridificato e pertanto dovrebbe essere irrilevante per l'ordinamento, salvo il richiamo ad altre fonti normative che possano costituire le fondamenta per la riconoscibilità del diritto in capo a soggetti diversi dai parenti.

Sul punto, chiarificatrice è la sentenza n. 8037/2016, nella quale la Corte di Cassazione, III Sez. Civile, relatore dott. M. Rossetti, inequivocabilmente afferma: “Il “danno” in senso giuridico consiste nella perdita derivante dalla lesione d'una situazione giuridica soggettiva (diritto od interesse che sia) “presa in considerazione dall'ordinamento” (sono parole di Sez. U, Sentenza n. 500 del 22 luglio 1999). Situazione giuridica “presa in considerazione” dall'ordinamento è quella alla quale una o più norme apprestino una qualsiasi forma di tutela. Se dunque una situazione o rapporto di fatto non è tutelato in alcun modo dall'ordinamento, la lesione di esso non costituisce un danno risarcibile”

Ma, come segnalato in premessa, la materia è in continua evoluzione e la giurisprudenza – che da sempre si è preoccupata di leggere e interpretare le norme riconducendole alle realtà sociali attuali attraverso una lettura euro-costituzionalmente orientata – ha via via ampliato la platea dei legittimati con una sempre più progressiva apprezzabilità dei rapporti di fatto, così da escludere che la sussistenza di un vincolo giuridificato tra vittima primaria e secondaria rappresenti la condicio sine qua non ai fini dell'ottenimento del ristoro per i danni sofferti.

E così è stata riconosciuta la legittimazione in conseguenza della c.d. convivenza more uxorio, che, pur privo di una legittimazione formale, risulta imperniata su valori, un tempo, attribuiti alla famiglia stricto sensu ed il concetto di famiglia, ormai disancorato dalla mera unione matrimoniale o dal rapporto parentale, sarà deducibile ogni qual volta venga dimostrata la sussistenza dei valori di comunanza di vita morale e materiale tra gli individui.

Così ampliato e superato, ai fini della legittimazione ad agire, il concetto di famiglia nucleare e la necessarietà della convivenza tra vittima primaria e secondaria, da diverso tempo la giurisprudenza ha allargato le maglie del riconoscimento del diritto alla riparazione del pregiudizio in questione anche ad altri soggetti (si pensi, ad esempio, al convivente more uxorio, al figlio naturale non riconosciuto (Cass. Civ. sez. III, n. 12278/2011), al partner same-sex (Trib. Milano, 12 settembre 2011, n. 9965) o, ancora, al coniuge anche legalmente separato (Cass. Civ. sez. III, n. n. 9010/2022) o al legame affettivo tra il nonno e il nipote (Cass. Civ., sez. III, n. 5258/2021) purché si dimostri, sul piano prettamente probatorio, di aver subito uno sconvolgimento affettivo-relazionale causalmente riconducibile all'evento dannoso.

E in questa direzione, il Tribunale di Roma con sentenza del 4 novembre 2016, n. 20553 ha sostenuto che il danno da perdita parentale possa sussistere anche con riferimento ai membri della famiglia naturale (nella fattispecie il figlio del marito della madre, essendo stata fornita prova della sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima assimilabile al rapporto familiare).

Il Tribunale di Reggio Emilia con sentenza 2 marzo 2016, n. 315, poi, ha addirittura ritenuto che il danno da lesione del rapporto parentale ex art. 2059 c.c. debba essere riconosciuto alla convivente di fatto della madre del soggetto deceduto, purché sussista un significativo e duraturo legame affettivo con la vittima primaria.

Sembra quindi delinearsi in capo alla giurisprudenza di legittimità e di merito – sia pur con altalenanti decisioni, a volte tra loro contrastanti - l'intenzione di non porre limitazioni soggettive alla tutela risarcitoria con riguardo a specifiche relazioni, tenendo in considerazione invece l'intensità del legame con il soggetto venuto meno, con una evidente apertura all'accertamento, caso per caso, dei presupposti della risarcibilità anche in capo a chi, in concreto, ha subito un danno da perdita d'un rapporto connotato da una duratura comunanza di vita e di affetti, ma non altrimenti giuridificato.

Il legame di fidanzamento e le pronunce giurisprudenziali

Nel quadro così, pur sinteticamente, delineato, va esaminata la questione inerente il rapporto di fidanzamento, per domandarci se tale situazione fattuale possa legittimare o meno la richiesta della vittima secondaria.

Sulla questione si rinvengono pochi riferimenti a pronunce significative di legittimità.

La prima rilevante pronuncia è rinvenibile nella sentenza 21 marzo 2013, n. 7128, della terza sezione civile, estens. Barreca, che, in un caso di convivenza e di danno conseguente a c.d. macroleso, ha dettato i seguenti principi: il riferimento fatto ai "prossimi congiunti" della vittima c.d. primaria quali soggetti danneggiati iure proprio a cagione del carattere plurioffensivo dell'illecito, deve oggi essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno ed a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se ed in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno- conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali. Affinché si configuri la lesione di un interesse a rilevanza costituzionale [ ……]. la convivenza non ha da intendersi necessariamente come coabitazione, quanto piuttosto come stabile legame tra due persone, connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti. In particolare, si ritiene che i riferimenti costituzionali non siano gli artt. 29 e 30 della Costituzione, si che detto legame debba essere necessariamente strutturato come un rapporto di coniugio, ed a questo debba somigliare (così intendendosi parzialmente superare quanto affermato da Cass. n. 8976/2005), quanto piuttosto l'art. 2 Cost., che attribuisce rilevanza costituzionale alla sfera relazionale della persona, in quanto tale. Peraltro, se trattasi di relazione prematrimoniale o di fidanzamento che, a prescindere da un rapporto di convivenza attuale al momento dell'illecito, sia destinata ad evolversi, e di fatto si evolva, in epoca successiva all'illecito, in matrimonio, torna ad assumere rilevanza anche il menzionato art. 29 Cost., inteso come norma di tutela costituzionale non solo della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, ma anche del diritto del singolo a contrarre matrimonio ed a usufruire appieno dei diritti-doveri reciproci, inerenti le persone dei coniugi, nonché a formare una famiglia quale modalità di piena realizzazione della vita dell'individuo. Allorché il fatto lesivo limiti anche tale diritto, i danni che ne derivano ben possono essere ristorati ai sensi dell'art. 2059 c.c.

Va poi segnalata la sentenza pronunciata dalla Cass. pen., sentenza n. 46351/2014, ove i Giudici di legittimità hanno affermato che "il riferimento ai “prossimi congiunti” della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela, affinità o coniugio giuridicamente rilevanti come tali. E per “convivenza” non deve intendersi la sola situazione di coabitazione tra prossimo congiunto e vittima primaria di un illecito, quanto piuttosto lo stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti".

Su questa scia, le poche pronunce dei giudici di merito pubblicate sulla questione, fanno proprie le motivazioni sottese alle succitate sentenze di legittimità.

Facciamo riferimento in particolare alla decisione del Tribunale Firenze che, con sentenza del 26 marzo 2015, ha riconosciuto un danno non patrimoniale anche in favore della fidanzata non convivente del de cuius, applicando per la liquidazione del risarcimento il parametro relativo al coniuge non convivente di cui alle tabelle del Tribunale di Roma.

Nella fattispecie, la fidanzata della vittima aveva dato ampio riscontro probatorio di un rapporto sentimentale risalente nel tempo e della circostanza dell'imminente programmato matrimonio.

Di recente va segnalata la sentenza emessa dalla Corte d'Appello Milano, Sez. III, in data 29 luglio 2022, n. 2662 che, riformando la decisione del Tribunale meneghino, sul presupposto di un concreto accertamento della sussistenza di una relazione affettiva, intensa, stabile e strutturata tra vittima primaria e secondaria, ha così affermato il diritto al risarcimento del danno da lesione parentale sussiste -indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto parentale o di coniugio- quando è provata la sussistenza e l'intensità della relazione con il defunto o il danneggiato -indipendentemente dalla sussistenza di un rapporto di convivenza”.

La Corte d'Appello di Milano, nel caso de quo, ha ritenuto di liquidare il danno commisurandolo ai parametri previsti dalle attuali tabelle dell'Osservatorio milanese nell'ipotesi di perdita di "genitori/figli/coniuge/assimilati", sul presupposto che “la tipologia del legame e del coinvolgimento affettivo proprio del rapporto fra fidanzati, è più assimilabile a quello sviluppato da tali soggetti rispetto al diverso rapporto affettivo che connota il legame fra fratelli/nipoti che costituisce l'altra tabella elaborata dall'osservatorio milanese, applicabile in alternativa”.

Doverosamente precisato che nelle pronunce giurisprudenziali sopra richiamate il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale è stato riconosciuto al fidanzato\a solo a seguito di una rigorosa prova di un concreto legame affettivo e di una progettualità di vita in comune tra vittima principale e secondaria, si appalesa evidente la tendenza della giurisprudenza ad ampliare, in determinate ipotesi e previo meticoloso e rafforzato riscontro probatorio, la sfera dei legittimati anche nell'ipotesi di fidanzamento, sotto l'aurea ed il riferimento costituzionale dell'art. 2 della Costituzione, che attribuisce rilevanza alla sfera relazionale della persona in quanto tale.

L'ampliamento della platea dei legittimati e le ricadute economiche

Sembra così propendersi a svincolare la legittimazione a chiedere i danni “iure proprio” al concetto di “famiglia” ancorandola a quella di “relazione”.

Ciò pone immediatamente una questione terminologica. Appare evidente che non potrà più ritenersi corretta la qualificazione di tale voce di danno quale “perdita parentale” dovendosi invece immaginare una nuova terminologia riferita al danno da perdita “di stabili affetti” o “di rilevanti relazioni personali” oppure “di legami qualificati”.

Tuttavia se la terminologia resta sempre una convenzione descrittiva sulla quale potremmo pure soprassedere, ciò che potrebbe maggiormente interessare l'interprete è la circostanza che un ampliamento della risarcibilità del danno che sia ancorata esclusivamente all'art. 2 della Costituzione ed al concetto di “relazione rilevante” ben potrebbe prestare il fianco ad innumerevoli richieste risarcitorie legittimate dalla lesione dei diritti della persona per qualsiasi affettività, anche a quelle costruite sulla base di rapporti intimi e di amicizia che spesso assumono importanza fondamentale nella vita e nello sviluppo di una persona e che senza particolari difficoltà potrebbero essere supportate da una rigorosa costruzione probatoria in sede giudiziale.

Ciò comporterebbe, inevitabilmente, il rischio di uno sbilanciamento macroeconomico che il sistema non sarà in grado di sopportare ed un innumerevole aumento del contenzioso difficilmente definibile in via stragiudiziale in mancanza di giurisprudenza e prassi liquidative consolidate.

Conclusioni

In un quadro così delineato sarebbe auspicabile che il giurista, nel valutare la forza un vincolo affettivo spezzato da un fatto illecito, tale da legittimare una richiesta risarcitoria, tenga sempre in considerazione i presupposti fondanti il risarcimento del danno non patrimoniale da lesione di vincolo parentale, sulla base dei quali è stata costruita, da giurisprudenza e dottrina, la struttura normativa di tale voce di danno e la sua risarcibilità, rammentando altresì che quel che rileva non è la mera esistenza di quest'ultimo ma la sua rilevanza giuridica intesa come situazione di fatto cui l'ordinamento riconosce una specifica tutela.

Il risarcimento dovrà, in conclusione, essere vincolato alle sole situazione giuridiche “prese in considerazione” dall'ordinamento, ossia esclusivamente alle ipotesi nelle quali una o più norme apprestino una qualsiasi forma di tutela, escludendo la risarcibilità alla lesione di mere situazioni o rapporti di fatto non tutelate in alcun modo dall'ordinamento, come nella ipotesi di rapporto basato su un fidanzamento che, diversamente dai casi di convivenza more uxorio, di unioni civili, di figli naturali o di famiglie di fatto, non vede, ad oggi, in alcuna normativa una specifica previsione o tutela.

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