Il significato probatorio della localizzazione: le indicazioni della S.C.

23 Maggio 2023

Nella pronuncia oggetto di commento, la Suprema Corte di cassazione si è soffermata, in particolare, sul significato probatorio della rilevazione della presenza di un'utenza mobile in una determinata cella.
Massima

Le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono l'esatta localizzazione dell'utenza abbinata ad un apparecchio telefonico mobile, potendo sussistere significativi margini di errore. Il tracciato delle celle telefoniche agganciate da una utenza telefonica, desumibile dai tabulati, non può, pertanto, essere ritenuto di per sé fonte di una prova certa o di indizi tanto gravi e concordanti, da rendere accertata la responsabilità del titolare dell'utenza, al di là di ogni ragionevole dubbio, dovendosi tenere conto del fatto che è possibile stabilire soltanto con una certa approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale, considerata la superficie di copertura della cella stessa e le particolari condizioni di sovraccarico telefonico.

Il caso

Il ricorrente – accusato di concorso in omicidio preterintenzionale e in rapina aggravata – era stato condannato dalla Corte d'appello in quanto, sebbene pacificamente non presente, al momento del fatto, sul luogo del reato, risultava titolare di una utenza telefonica che, in base agli esiti dei tabulati disposti, aveva agganciato la cella riferibile al luogo ove i reati erano stati commessi, per circa due minuti. La difesa presentava ricorso, il primo motivo che - qualificato come vizio di motivazione - aveva per oggetto il fatto che la collaborazione dell'imputato al reato si sarebbe estrinsecata in un sopralluogo preventivo presso l'abitazione della vittima e nell'aiuto successivamente prestato agli effettivi autori del reato; una circostanza desunta dal solo tracciato delle celle telefoniche agganciate dall'utenza del ricorrente.

La questione

In termini generali, per la S.C. (Cass. pen., sez, V, 24 febbraio 2022, n. 8968, CED. 282989 – 01) si deve ricordare che, in tema di utilizzabilità dei dati contenuti in tabulati telefonici, la cui acquisizione è disciplinata dall'art. 1 d.l. 30 settembre 2021, n. 132 e dalla norma transitoria contenuta nel comma 1-bis del medesimo articolo, introdotto, in sede di conversione, dalla legge 23 novembre 2021, n. 178, per "dati del traffico telefonico" devono intendersi tutti i dati cd. "esteriori" della conversazione telefonica, diversi dal suo contenuto e che comprendono autori, tempo, durata e luogo della comunicazione e, quindi, anche quelli tratti dalla dislocazione della "cella" da cui una chiamata di telefonia mobile ha origine o nella quale si conclude.

Nel caso di specie, la S.C. ha accolto il ricorso, ritenendo assorbente il primo motivo sopra sintetizzato, disponendo rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello territorialmente competente. La sentenza pone in evidenza che il dato oggettivo - di per sé indubbiamente non equivoco - della presenza di un telefono nell'ambito di una determinata cella non può di per sé essere ritenuto sufficiente a fondare un giudizio di penale responsabilità, ipotizzando tale dato come indicativo del fatto che l'imputato avrebbe effettuato un sopralluogo correlato ai reati in seguito avvenuti.

Le criticità di una tale soluzione appaiono sotto almeno tre profili. In primo luogo, la semplice titolarità dell'utenza che aveva agganciato la cella in oggetto non può consentire di escludere che il cellulare si fosse trovato nella disponibilità di un soggetto diverso dal titolare stesso. In secondo luogo, la presenza nell'area coincidente con la cellula per due minuti non può di per sé portare a ipotizzare che un sopraluogo fosse stato deciso e si fosse reso necessario prima di passare all'azione. Infine, l'avere agganciato la cella non determina con sufficiente precisione il luogo esatto ove il soggetto che deteneva il cellulare si sarebbe trovato e non consente, pertanto, di identificare tale luogo con quello nel quale erano avvenuti la rapina e l'omicidio.

Le soluzioni giuridiche

È su quest'ultimo aspetto che vale la pena, in particolare, di soffermarsi. Sul significato probatorio della rilevazione della presenza di un'utenza mobile in una determinata cella, la S.C. precisa che «E' massima di esperienza che ogni apparato telefonico mobile emette una frequenza che consente allo stesso di collegarsi alla c.d. cella più vicina quando vi è traffico telefonico in atto. Ogni cella si riferisce a una determinata porzione di territorio, entro la quale è collocata un'antenna capace di recepire il segnale del telefono che si venga a trovare in sua prossimità. Poiché il segnale è ricevuto con intensità diversa a seconda della vicinanza a una cella o a un'altra, è possibile stabilire soltanto con una certa approssimazione la posizione del telefono che emette il segnale. Poiché, dunque, l'apparato radiomobile che aggancia una determinata cella può trovarsi in tutti i punti del territorio che ricadono all'interno di essa, la possibilità di identificare la sua posizione è strettamente collegata alla superficie di copertura della cella stessa: in altri termini, la precisione è maggiore se la cella è piccola (cella urbana), minore, se si tratta di una “macrocella”, tipica degli ambienti extraurbani. A ciò dovendosi aggiungere che, in particolari condizioni di sovraccarico telefonico, è ben possibile che l'apparato telefonico mobile agganci una cella contigua alla porzione di territorio in cui si trovi, che risulti più libera. Le indicazioni fornite dal segnale captato dalla cella non consentono, dunque, l'esatta localizzazione dell'utenza abbinata ad un apparecchio telefonico mobile, sussistendo margini di errore anche di centinaia di metri, se non di chilometri».

Si tratta di una indicazione, di fatto molto chiara, che deve essere valutata in termini globali. L'avere agganciato una cella è elemento significativo ma equivoco, che deve – per forza di cose – essere “corroborato” da altri elementi siano essi testimoniali, documentali o oggettivi, quali tracce della presenza del soggetto nell'area di interesse. Senza tali elementi di rafforzamento, l'informazione sulla localizzazione desumibile dal tabulato non può di per sé essere considerata risolutiva ai fine della valutazione della responsabilità e – meno che mai – può essere ritenuto - di per sé - significativo sulla tipologia di attività svolta nell'area in oggetto. Indubbiamente la “durata” del tempo di presenza nella cella può essere considerato uno spunto di approfondimento al proposito, non certamente espressivo di una ricostruzione esaustiva.

Osservazioni

Dubbi sul piano ermeneutico devono essere posti, al contrario, su un altro principio espresso – seppure in via subordinata e senza uno specifico approfondimento – dalla decisione in oggetto, laddove la stessa precisa che «il giudice di appello, nell'affermare che il ricorrente, nei due o tre minuti in cui la sua utenza telefonica aveva agganciato la cella di … avrebbe dovuto indicare a sostegno elementi specifici atti a comprovare non solo la presenza fisica di questi nell'area della cella – dal momento che l'utenza ben avrebbe potuto essere detenuta da altri…». Si tratta di una valutazione in tema di onere della prova, aspetto che – non infrequentemente – non viene affrontato con la dovuta attenzione.

Non possono esservi dubbi sul fatto che tale onere gravi in via di principalità - e su tutti gli elementi fondanti la penale responsabilità - sulla pubblica accusa. Il punto è che, nel momento di cui il P.M. ha adempiuto a tale onere, deve essere la difesa a portare elementi precisi e sufficienti in senso opposto. Nel caso di specie – ma il problema è assolutamente di carattere generale – il P.M. deve provare che una determinata utenza è intestata a un soggetto determinato e che quella utenza ha “agganciato” in un preciso giorno e ora una determinata cella. Dovrebbe essere onere della difesa provare che – nonostante la titolarità dell'utenza – in quel giorno la stessa non si trovava nella disponibilità del soggetto che ne risultava titolare. Ovviamente, la stessa avrebbe potuta essere prestata ad altri soggetti o essere stata sottratta, ma è evidente che chiedere al P.M. di provare in concreto il possesso del cellulare nel caso di specie può rappresentare una forma di probatio diabolica che non corrisponde, verosimilmente, all'impostazione che il legislatore ha inteso delineare su tale aspetto.

Riferimenti
  • L. Cusano, Tabulati telefonici: ulteriori ricadute della sentenza della CGUE del 2 marzo 2021 sul piano della utilizzabilità degli esiti di prova, nota a Trib. Bari, Sez. GIP, 1° maggio 2021, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 25 maggio 2021;
  • J. Della Torre, L'acquisizione dei tabulati telefonici nel processo penale dopo la sentenza della Grande Camera della Corte di Giustizia UE: la svolta garantista in un primo provvedimento del Gip, di Roma, in www.sistemapenale.it;
  • L. Filippi, La Grande Camera della Corte di giustizia U.E. boccia la disciplina italiana sui tabulati. CGUE, Sez. V, 17 dicembre 2020, n. 459, in www.penaledp.it;
  • C. Parodi, Tabulati telefonici: la Suprema Corte si esprime dopo le indicazioni della CGUE, nota a Cass. pen., Sez. II, 15 aprile 2021 (dep. 22 luglio 2021), n. 28523 in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 05 Agosto 2021;
  • F. Resta, Conservazione dei dati e diritto alla riservatezza. La Corte di giustizia interviene sulla data retention. I riflessi sulla disciplina interna, in www.giustiziainsieme.it;
  • N. Rezende, Dati esterni alle comunicazioni e processo penale: questioni ancora aperte in tema di data retention, nota a Cass., Sez. III, 19 aprile 2019 (dep. 23 agosto 2019), n. 36380, in www.sistemapenale.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.