Spaccio di lieve entità e vendita di prodotti con marchi contraffatti non più ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno

Guido Savio
25 Maggio 2023

La Corte costituzionale si pronuncia sull'ostatività automatica al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro delle condanne per violazione dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e dell'art. 494, comma 2, c.p. riportate dallo straniero.
Massima

È costituzionalmente illegittimo il combinato disposto di cui agli artt. 4, commi 3 e 5, d.lgs. 286/98 nella parte in cui ricomprende, tra le ipotesi di sentenze di condanna automaticamente ostative al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, anche quelle, pur non definitive, per il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, e quelle, definitive, per il reato di cui all'art. 474, comma 2, c.p., senza la previa valutazione in concreto della pericolosità dello straniero da parte del questore, per contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità di cui all'art. 3 Cost. e dell'art. 8CEDU, utilizzato come parametro interposto rispetto alla violazione dell'art. 117, comma 1, Cost.

Il caso

L'istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato di un cittadino egiziano veniva rigettata dalla Questura di Brescia in quanto condannato alla pena di mesi 5 e giorni 10 di reclusione e 600 € di multa per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 (detenzione illecita di gr. 19 di hascisc e cessione di gr. 1,5). Lo straniero impugnava il diniego avanti il T.A.R. di Brescia, evidenziando di essere in Italia fin dalla minore età, di essere stato titolare di permesso di soggiorno dapprima per affidamento e successivamente per motivi familiari e poi per lavoro, negando che quella condanna fosse sintomatica di pericolosità sociale. Il Tribunale regionale, tuttavia, respingeva il ricorso, ritenendo tale condanna automaticamente ostativa ex lege ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 4, comma 3 e 5, comma 5, d.lgs. 286/98. Avverso tale sentenza l'interessato proponeva appello dinnanzi al Consiglio di Stato, riproponendo le doglianze del primo grado. Con ordinanza collegiale n. 5492/22, pubblicata in data 1.7.2022, la terza sezione del Consiglio di Stato sollevava, di ufficio, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 3, d.lgs. 286/98 (disposizione che indica fra le condanne automaticamente ostative all'ingresso degli stranieri in Italia quelle “inerenti gli stupefacenti”, senza distinzione) per pretesa violazione degli artt. 3 e 117, comma 1, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU. L'ordinanza di remissione, diffusamente motivata, aveva cura di precisare - tra l'altro - che in assenza di legami familiari del ricorrente in Italia - non poteva nemmeno trovare applicazione l'art. 5, comma 5, d.lgs. 286/98 (siccome interpretato a seguito della sentenza n. 202/2013 della Corte costituzionale) che mitiga l'automatismo preclusivo, imponendo alla P.A. un bilanciamento dei contrapposti interessi, da un lato, quello pubblico a non consentire ingresso e soggiorno a stranieri condannati per determinati reati ritenuti indice di pericolosità, dall'altro, quello della tutela del rispetto del diritto all'unità familiare.

Analogamente, la stessa sezione del Consiglio di Stato (ord. 5171/2022), sollevava di ufficio identica questione di legittimità costituzionale in relazione ad un appello, proposto da un cittadino straniero, anch'egli privo di legami familiari in Italia, avverso la sentenza del T.A.R. Liguria che aveva confermato il rigetto della domanda di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro a seguito di decreto penale di condanna definitivo per violazione dell'art. 474, comma 2, c.p., stante l'ostatività automatica ex lege della condanna per quel titolo di reato al rilascio del permesso di soggiorno.

La questione

Torna all'attenzione del Giudice delle leggi l'annosa questione del c.d. automatismo preclusivo delle condanne per taluni titoli di reato - predeterminati per legge - all'ingresso ed al soggiorno dei cittadini di Paesi terzi in Italia. Si tratta di una conseguenza extra-penale delle sentenze di condanna (anche se non definitive o disposte ex art. 444 c.p.p.) per i reati indicati all'art. 4, comma 3, d.lgs. 286/98: tutti i reati previsti dall'art. 380, comma 1 e 2, c.p.p., oltre a quelli inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell'immigrazione ed emigrazione illegale e i reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o di minori da destinare ad attività illecite nonché, limitatamente alle condanne irrevocabili, anche quelle relative ai reati a tutela del diritto d'autore e quelle per violazione degli artt. 473 e 474 c.p. E siccome, a norma dell'art. 5, comma 5 dello stesso decreto legislativo, il permesso di soggiorno è revocato o non rinnovato quando vengono meno i requisiti previsti per l'ingresso, dal combinato disposto delle norme citate consegue che tali condanne oltre che precludere automaticamente l'ingresso degli stranieri ne precludono pure il soggiorno regolare, se sopravvenute: indipendentemente, quindi, da una valutazione di pericolosità accertata, in concreto e caso per caso, dall'Autorità amministrativa competente al rilascio dei titoli di soggiorno. E', quindi, una presunzione di pericolosità astratta, che subisce un temperamento solo in presenza di vincoli familiari dello straniero in Italia, specialmente dopo la sentenza n. 202/2013 della Corte cost., e per i titolari di permesso di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. La questione di fondo è, pertanto, la seguente: è conforme ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità una simile previsione che prevede un automatismo basato solo sul titolo di reato, indipendentemente dalla gravità del fatto, dal trattamento sanzionatorio, dal riconoscimento della sospensione condizionale della pena (tenuto conto che tali elementi non sono né possono essere utilizzati come parametro di valutazione della pericolosità)? Se, infatti, è vero che rientra nella discrezionalità del legislatore stabilire a quali condizioni un non cittadino italiano ha titolo ad entrare e soggiornare in Italia, deve essere considerata inammissibile, perchè connotata da un ampio tasso di manipolatività, la valutazione di legittimità costituzionale dell'ostatività delle condanne per le violazioni di lieve entità della legge stupefacenti (C. cost. n. 277/2014)?

Se la regolamentazione dei flussi migratori è collegata alla ponderazione di svariati interessi pubblici e spetta al legislatore trovare il necessario punto di equilibrio e se l'ampia discrezionalità di questo è limitata, sotto il profilo della conformità a Costituzione, soltanto dal vincolo che le sue scelte non risultino manifestamente irragionevoli (C. cost. n. 148/2008), quali sono i criteri ermeneutici di valutazione della ragionevolezza?

Le soluzioni giuridiche

L'individuazione delle condanne penali automaticamente preclusive l'ingresso e il soggiorno di cittadini di Paesi terzi - privi di significativi legami familiari in Italia - nella vigente formulazione è stata introdotta nel d.lgs. 286/98 dalla l. 189/2002 (c.d. “Bossi-Fini”) seguendo un sistema “bipartito” (C. cost. n. 277/2014): uno di carattere misto, in parte quantitativo, con riferimento al quantum di pena astrattamente prevista, richiamando espressamente le ipotesi di cui all'art. 380 comma 1, c.p.p., e in parte qualitativo, con riferimento alle fattispecie di cui al comma 2 della stessa disposizione; e l'altro, di natura solo qualitativa, con riferimento a determinate categorie di illeciti (stupefacenti, libertà sessuale, favoreggiamento delle migrazioni illegali, tutela del diritto d'autore e dei marchi e segni distintivi …). La più rilevante conseguenza di tale opzione legislativa è il c.d. “automatismo espulsivo”, che consegue all'automatismo preclusivo, in ragione della previsione di cui all'art. 13, comma 2, lett. b), d.lgs. 286/98, secondo cui al venir meno del permesso di soggiorno consegue l'espulsione amministrativa come attività vincolata e obbligatoria in capo all'Autorità prefettizia. La ratio di siffatta previsione consiste nell'interesse pubblico ad allontanare dal nostro Paese gli stranieri che sono stati condannati - anche con sentenza non passata in giudicato - per uno dei titoli di reato, individuati dal legislatore nell'ambito della sua ampia discrezionalità, evidentemente ritenuti di peculiare allarme sociale.

Il Consiglio di Stato dubita della legittimità di tale previsione con riferimento al parametro di ragionevolezza e proporzionalità sia per quanto concerne le condanne per violazioni dell'art. 73 l. stup. di “lieve entità”, che per quanto concerne quelle relative alla detenzione per la vendita di prodotti con marchi contraffatti in quanto oggi connotate da un minor grado di offensività.

L'articolata motivazione della sentenza in commento innanzitutto individua nel test di proporzionalità il criterio, delineato dalla giurisprudenza costituzionale, da utilizzare per l'effettuazione del giudizio di ragionevolezza sulle scelte legislative in presenza di questioni concernenti il bilanciamento tra due diritti contrapposti (nella specie l'interesse pubblico ad allontanare stranieri pericolosi e il diritto di costoro alla tutela della loro vita privata e familiare, e a non essere sradicati dal luogo in cui intrattengono la gran parte dei rapporti sociali, lavorativi ed affettivi, tutelato dall'art. 8 CEDU). Il test di proporzionalità richiede di valutare se la norma da scrutinare - come in concreto applicata - sia necessaria e idonea al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal legislatore, e offra la soluzione meno restrittiva possibile dei diritti a confronto, stabilendo oneri non sproporzionati rispetto alla tutela di tali obiettivi. In buona sostanza, si tratta di verificare se l'allarme sociale provocato dalle condotte sanzionate dalle fattispecie incriminatrici oggetto di scrutinio sia talmente elevato da giustificare automaticamente l'espulsione dello straniero condannato (anche in via non definitiva) dall'Italia e, conseguentemente, dall'area Schengen per una forbice temporale da tre a cinque anni, senza nemmeno valutare la sua effettiva pericolosità, caso per caso.

Osserva la Corte, richiamando la sua giurisprudenza, che se al legislatore è riconosciuta ampia discrezionalità nella regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno degli stranieri, in considerazione della pluralità degli interessi incisi, tale discrezionalità non è assoluta, dovendo rispecchiare un ragionevole e proporzionato bilanciamento di tutti i diritti e gli interessi coinvolti, specie quando la disciplina dell'immigrazione sia destinata ad incidere su diritti fondamentali, che la Costituzione protegge egualmente nei confronti del cittadino e del non cittadino (ex multis C. cost. n. 202/2013). Tale approdo è conforme alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di art. 8 che, con la sentenza della grande camera Uner c. Olanda del 18.10.2006 - ribadita dalla sentenza IV sez., 27.9.2022, Otite c. Regno Unito - ha individuato i criteri che consentono di valutare se la misura dell'allontanamento di uno straniero possa considerarsi necessaria in una società democratica e proporzionata allo scopo perseguito nei seguenti termini: natura e gravità del reato commesso; durata del soggiorno dello straniero sul territorio dello Stato ospitante; tempo trascorso dalla commissione del reato; condotta successivamente tenuta e situazione familiare. Il rispetto di questi criteri presuppone un'ampia conoscenza della situazione individuale dello straniero, che si pone in antitesi rispetto alle presunzioni assolute che violano il principio di eguaglianza se sono arbitrarie e irrazionali, cioè non rispondono a criteri di esperienza generalizzati riassumibili nella formula dell'id quod plerumque accidit.

Applicando tali principi alle disposizioni censurate, la motivazione della sentenza osserva che il reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 è espressamente escluso dal novero dei delitti per cui è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza, essendo annoverato tra i reati per cui è previsto l'arresto facoltativo che, a sua volta, presuppone che la misura sia giustificata dalla gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto, desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto (art. 381, comma 4, c.p.p.). Peraltro, già con sentenza n. 172/2012, la Consulta dichiarò l'illegittimità costituzionale della normativa sull'emersione del lavoro irregolare che, irragionevolmente, escludeva dall'accesso a tale regolarizzazione gli stranieri condannati per uno dei reati di cui all'art. 381 c.p.p. sul presupposto che questi ultimi non sono necessariamente sintomatici della pericolosità del loro autore, proprio per le ulteriori ragioni che occorre verificare per l'applicazione della misura precautelare. Ecco dunque svelato un primo elemento di manifesta irragionevolezza della previsione censurata: uno straniero condannato per violazione dell'art. 73, comma 5, l. stup. potrebbe essere ammesso alla regolarizzazione ma, in ragione di quella condanna il suo permesso di soggiorno non potrebbe essere rinnovato. La stessa condanna non ostativa al rilascio del permesso di soggiorno ex ante, sarebbe ostativa ex post. Inoltre, non può escludersi la possibilità che uno straniero, pur avendo commesso il reato in questione, non sia pericoloso alla luce della circostanze del fatto, del tempo ormai trascorso, del percorso rieducativo compiuto, sicché risulterebbe contrario al principio di proporzionalità, anche al lume della giurisprudenza della Corte EDU sull'art. 8 dell'omonima convenzione, escludere a priori una valutazione della pericolosità da parte dell'Autorità amministrativa preposta al rilascio del titolo di soggiorno. E ciò a maggior ragione se si considera che oggetto del thema decidendum è il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, che presuppone un probabile inserimento socio-lavorativo che verrebbe irreparabilmente interrotto in conseguenza dell'automatismo preclusivo (ed espulsivo), con grave lesione dei diritti garantiti dall'art. 8 CEDU.

Inoltre, la disciplina regolatoria del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo di cui all'art. 9 d.lgs. 286/98, che ne esclude il rilascio agli stranieri pericolosi per l'ordine pubblico o la sicurezza dello Stato, prevede che - nella valutazione della pericolosità - si tenga conto anche delle sentenze penali di condanna per i reati rientranti nel novero di quelli per cui è previsto come obbligatorio o facoltativo l'arresto in flagranza, senza alcun automatismo. Il che rileva poiché la giurisprudenza costituzionale ha stabilito che - quanto al godimento dei diritti fondamentali della persona - non può ammettersi alcuna differenziazione tra coloro che godono dello status di soggiornanti di lungo periodo e coloro che risiedono in forza di un permesso di soggiorno ordinario (C. cost. n. 54/2022). Infine, si evidenzia che l'interesse statuale alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza dello Stato non pare esser messo a repentaglio consentendo all'Autorità amministrativa di pubblica sicurezza di operare una valutazione in concreto della pericolosità sociale di uno straniero, condannato (almeno in primo grado) per il reato in questione, che si accinga a rinnovare il suo permesso di soggiorno per lavoro. Nè paiono prospettarsi possibilità di significative disparità di trattamento tra situazioni analoghe sul territorio nazionale, derivanti da divergenti valutazioni da parte delle diverse autorità provinciali di pubblica sicurezza, attesa la consueta esperibilità del controllo giurisdizionale avverso i provvedimenti questorili.

In conclusione, l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale e convenzionale in tema di proporzionalità - sviluppatasi soprattutto con riguardo all'art. 8 CEDU - consente alla Corte di rivedere l'approccio ermeneutico sul tema, risalente alla sentenza n. 148/2008, quando il parametro convenzionale non era stato evocato.

Le stesse argomentazioni valgono con riferimento alla previsione automaticamente ostativa delle condanne per violazione dell'art. 474, comma 2, c.p., se solo si considera che la forbice edittale - che arriva al massimo di due anni di reclusione - è tale da escludere l'applicazione persino dell'arresto facoltativo in flagranza.

Osservazioni

La sentenza in commento si colloca sul difficile crinale del diritto penale e delle sue conseguenze sul piano amministrativo per i cittadini di Paesi terzi. Analogo discorso non vale per i cittadini di altri Stati dell'Unione europea (e per i loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro), la cui disciplina (d.lgs. 30/2007) è scevra da ogni sorta di automatismo. La rilevanza pratica delle conseguenze derivanti dalla dichiarazione d'illegittimità è intuitiva. Pur essendo limitata alle ipotesi di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro, ed alle sole due fattispecie incriminatrici considerate - perchè questo era il thema decidendum - è probabile che la strada aperta dalla sentenza n. 88/2023 possa estendersi sia ai casi di primo rilascio e di rinnovo di altre tipologie di autorizzazioni al soggiorno, che ad altre fattispecie penali per cui si ravvisi una minima lesività concreta del bene giuridico protetto, sempre che si ravvisi una possibile violazione dei diritti fondamentali in conseguenza di automatismi preclusivi.

Un'ultima considerazione s'impone: l'Avvocatura generale dello Stato - interveniente nel giudizio incidentale per il Presidente del Consiglio dei Ministri - a sostegno dell'infondatezza delle questioni ha indicato la residua possibilità, per lo straniero che ritenga violati i suoi diritti fondamentali in conseguenza dell'automatismo preclusivo in questione, di richiedere alla P.A. il rilascio del permesso di soggiorno per protezione speciale di cui all'art. 19, comma 1.1, d.lgs. 286/98, come introdotto dal d.l. n. 130/2020 (convertito, con modificazioni, nella l. 173/2020) che, appositamente protegge(va) lo straniero dalla possibile violazione del diritto alla tutela della sua vita privata e familiare. Molto opportunamente osserva la Consulta che la sopravvenuta abrogazione di tale disposizione ad opera del d.l. n. 20/2023 (c.d. “Decreto Cutro”) fa venir meno proprio la norma valorizzata al fine di escludere la dedotta violazione dell'art. 8 CEDU dall'Avvocatura erariale. Non v'è chi non veda, anche sotto questo profilo, la notevole rilevanza della decisione in commento che concorre a mantener fermo il rispetto dei diritti umani fondamentali delle persone straniere, indipendentemente dalle turbolenze contingenti che determinano l'agenda politica.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.