Richiesta di revisione e rinvio: disciplina incostituzionale?

30 Maggio 2023

Ritenendo manifestamente infondata la richiesta di revisione sulla base di un approfondito vaglio di merito dei nuovi elementi, la Corte d'appello si “espone” di più, in termini di manifestazione del proprio convincimento.

Le censure del rimettente. La pronuncia in commento trae origine dalle questioni di legittimità costituzionale di due distinte norme del codice di procedura penale. Il giudice a quo dubita, in primo luogo, della conformità a Costituzione dell'art. 634, comma 2, c.p.p., come risultante dall'interpretazione innovativa adottata dalla Corte di cassazione a seguito della sentenza n. 43121/2019: interpretazione in base alla quale la regola stabilita dalla disposizione censurata – per cui, in caso di accoglimento del ricorso avverso l'ordinanza che dichiara inammissibile la richiesta di revisione, la Cassazione rinvia il giudizio ad altra Corte d'appello, individuata secondo i criteri di cui all'art. 11 c.p.p. – non si applica nel caso di annullamento senza rinvio e di conseguente devoluzione al giudice di merito di un nuovo giudizio relativo alla c.d. fase rescindente, avente ad oggetto la delibazione preliminare sulla non manifesta infondatezza della richiesta; con la conseguenza che, in questa ipotesi, gli atti andrebbero restituiti alla stessa Corte d'appello che ha emesso l'ordinanza annullata. Ad avviso del rimettente, tale interpretazione si porrebbe in contrasto, anzitutto, con il principio del giudice naturale precostituito per legge, sancito dall'art. 25, comma 1, Cost., in quanto, nel caso di accoglimento del ricorso avverso l'ordinanza di inammissibilità, il giudice investito del giudizio di revisione muterebbe in base alle valutazioni, compiute di volta in volta dalla Cassazione, non conoscibili in anticipo. Sarebbe altresì violato l'art. 3 Cost., per contrasto con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza. Ne seguirebbe anche la violazione dell'art. 111, comma 2, Cost., poiché la restituzione degli atti allo stesso giudice, che ha già espresso valutazioni di merito sulla richiesta di revisione, inciderebbe sulla sua imparzialità.

Il giudice a quo censura, in secondo luogo, l'art. 627, comma 3, c.p.p., nella parte in cui obbliga il giudice del rinvio ad uniformarsi alla sentenza della Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto da essa decisa, anche quando la Cassazione non si sia limitata a interpretare una disposizione di legge, ma l'abbia di fatto riscritta, creandone una nuova: la norma denunciata violerebbe, quindi, sia l'art. 70 Cost., che attribuisce la funzione legislativa alle due Camere e non al potere giudiziario, sia l'art. 101 Cost., in forza del quale i giudici sono soggetti soltanto alla legge, nella quale non sono comprese le innovazioni introdotte in via giurisprudenziale, specie se contrastanti con la chiara volontà espressa dal legislatore.

Giudice del rinvio “vincolato” dalla Cassazione: disciplina incostituzionale? Quanto alla questione concernente l'art. 627, comma 3, c.p.p., la Consulta osserva che la disposizione censurata si colloca nell'ambito della disciplina del giudizio di rinvio, ponendo un vincolo nei confronti del relativo giudice strettamente consequenziale al legame intercorrente tra il iudicium rescindens ed il iudicium rescissorium: il giudice del rinvio deve uniformarsi alla sentenza di annullamento della Cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa. Nella specie, però, secondo quanto riferito nell'ordinanza di rimessione, la Cassazione ha disposto un annullamento senza rinvio: il rimettente non deve, dunque, fare applicazione della norma censurata, per la semplice ragione che, alla luce della decisione assunta dal giudice di legittimità, esso non è qualificabile come giudice di rinvio. La questione è, quindi, priva del requisito della rilevanza.

Giudizio di revisione: la scelta del giudice contrasta con la Costituzione? Quanto all'altra norma denunciata, l'art. 634, comma 2, c.p.p. stabilisce, in termini derogatori rispetto alla disciplina generale, a quale giudice la Corte di cassazione debba rinviare il giudizio di revisione ove accolga il ricorso contro l'ordinanza che, in esito alla delibazione preliminare volta a verificare che la richiesta di revisione sia stata presentata nei casi e con le forme prescritte e che non risulti manifestamente infondata, abbia dichiarato inammissibile la richiesta stessa. Tale disposizione è frutto delle modifiche operate dalla legge n. 405/1998, con le quali il legislatore ha inteso assicurare nel modo più ampio l'imparzialità del giudice chiamato a giudicare sull'istanza del condannato, stornando il sospetto di un “condizionamento ambientale” legato alla “contiguità” del giudice della revisione con quello che ha giudicato nel merito o che ha ritenuto inammissibile l'istanza. Le censure del giudice a quo sono rivolte all'indirizzo interpretativo, inaugurato dalla Cassazione con la sentenza n. 43121/2019, secondo il quale la regola stabilita dalla disposizione impugnata, rilevante nel caso di annullamento dell'ordinanza di inammissibilità con rinvio per la trattazione della c.d. fase rescissoria del giudizio di revisione, non si applica invece nel caso di annullamento senza rinvio per un nuovo giudizio relativo alla c.d. fase rescindente, con riferimento alla preliminare delibazione sulla non manifesta infondatezza della richiesta in rapporto alla astratta idoneità del “novum” dedotto a rimuovere il giudicato: ipotesi nella quale – secondo la Cassazione – gli atti vanno restituiti alla stessa Corte d'appello che ha emesso l'ordinanza annullata.

Disciplina problematica… Per il giudice delle leggi, le censure sollevate dal rimettente colgono effettivi profili problematici dell'orientamento interpretativo in questione. Infatti, ritenendo manifestamente infondata la richiesta di revisione sulla base di un approfondito vaglio di merito dei nuovi elementi (pure non consentito nella fase rescindente), la Corte d'appello si “espone” di più, in termini di manifestazione del proprio convincimento, che non dichiarando la stessa richiesta inammissibile sulla base, ad esempio, di un errore di diritto nella lettura del concetto di “nuove prove” rilevanti. Inoltre, in contrasto con uno dei dichiarati obiettivi della riforma del 1998, vengono reintrodotti elementi di incertezza preventiva sulla individuazione del giudice che, dopo l'annullamento dell'ordinanza di inammissibilità, dovrà occuparsi del giudizio. L'esame di merito delle censure di incostituzionalità, tuttavia, è impedito dall'irrilevanza della questione sollevata dal rimettente, attenendo ad una norma non applicabile nel giudizio a quo: la norma si indirizza, infatti, alla Corte di cassazione, la quale, nella specie, l'ha già applicata, escludendo che la regola da essa dettata valga anche nel caso di annullamento senza rinvio per un nuovo espletamento della delibazione preliminare di ammissibilità, del genere di quello che ha colpito l'ordinanza della Corte di merito.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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