Anche il singolo condomino può evocare in giudizio la ditta costruttrice e venditrice per i vizi dell'immobile acquistato

31 Maggio 2023

La recente sentenza di merito in commento si pone in linea con le pronunce di legittimità più accreditate in tema di esperibilità dell'azione ex art. 1669 c.c. - “rovina e difetto di cose immobili” - da parte del singolo condomino nei confronti della ditta costruttrice e venditrice dell'unità immobiliare acquistata all'interno di un compendio condominiale.
Massima

Due comproprietari di un immobile sito all'interno di un condominio convengono in causa la ditta costruttrice e venditrice del predetto immobile, nonché i suoi soci, chiedendone la condanna al pagamento delle somme necessarie alla eliminazione dei vizi inficianti il bene acquistato, oltre al risarcimento dei danni patrimoniali patiti.

Con comparsa di costituzione e risposta, si costituisce in giudizio la ditta costruttrice - mentre i soci rimangono contumaci - la quale eccepisce, preliminarmente, l'intervenuta decadenza e prescrizione dell'azione ai sensi dell'art. 1669 c.c.; subordinatamente, contesta la propria estraneità rispetto alla causa dei vizi lamentati, avendo provveduto ad eseguire parte delle opere murarie del fabbricato ed subappaltato a terzi le altre lavorazioni; chiede, quindi, l'autorizzazione alla chiamata in causa delle tre ditte esecutrice della posa dell'intonaco interno ed esterno e della tinteggiatura, nonché del geometra progettista e direttore dei lavori.

Autorizzate le chiamate in causa, anche della Compagnia di Assicurazioni del geometra - su richiesta di quest'ultimo - i convenuti eccepiscono anch'essi la decadenza degli attori e la prescrizione del diritto all'esercizio dell'azione di responsabilità contro l'appaltatore e, in ogni caso, contestano la pretesa attorea; la Compagnia assicuratrice confuta la sussistenza di responsabilità in capo al geometra nonché l'inoperatività della polizza azionata.

La causa viene istruita mediante l'espletamento di consulenza tecnica, l'assunzione di prove orali e dell'interrogatorio formale di alcuni convenuti.

Il Tribunale rigetta la domanda attorea, compensa le spese di lite e pone le spese di c.t.u. definitivamente a carico degli attori.

La questione

Il Tribunale è intento a vagliare l'esperibilità dell'azione ex art. 1669 c.c. promossa da un condomino, senza la necessità che al giudizio prendano parte gli altri condomini, ovvero sia nel caso in cui i vizi denunciati investano unità immobiliari di proprietà esclusiva, sia nel caso in cui riguardino la cosa comune.

Quindi, alla luce delle eccezioni di decadenza e prescrizione mosse alla pretesa attorea dei condomini comproprietari, si tratta di procedere alla verifica se i vizi denunciati possano qualificarsi gravi difetti e se la denuncia dei vizi sia stata fatta correttamente entro un anno dalla loro apprezzabile scoperta.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Vicenza, lette le deduzioni di tutte le parti in giudizio, focalizza la propria attenzione sul contenuto dell'azione prevista dall'art. 1669 c.c. la quale, diversamente da quella enucleata dall'art. 1667 c.c., ha natura extracontrattuale ed è orientata alla tutela degli interessi di carattere generale; essa può, inoltre, essere validamente esperita sia dal committente dei lavori contro l'appaltatore, sia dal singolo acquirente contro il venditore, sempre che quest'ultimo rivesta una posizione di diretta responsabilità dell'opera nei confronti dei terzi.

Viene, anzitutto, appurato da parte del giudicante, quale condizione prodromica a qualsiasi successiva valutazione, il ruolo preponderante rivestito dalla società convenuta nella costruzione dell'immobile oggetto dei lamentati vizi, sulla base di alcuni elementi forniti in giudizio ed oggetto di evidenza nella motivazione: lo svolgimento di una attività professionale che viene espressamente ricompresa nell'oggetto sociale; la circostanza di essere la titolare delle concessioni per la edificazione del compendio immobiliare nonché la sottoscrittrice del certificato di abitabilità/agibilità; la contingenza che proprio detta società aveva proceduto alla nomina del direttore dei lavori, ecc.

In considerazione di quanto sopra, il Tribunale accertava l'esercizio dei poteri di direzione e vigilanza in capo alla predetta, rilevando come nulla avesse provato in termini di esonero di responsabilità dell'evento dannoso.

Il giudice di prime cure confermava, inoltre, la possibilità che, in ipotesi di condominio, l'azione ex art.1669 c.c. poteva essere promossa dal singolo condomino - in assenza quindi di un litisconsorzio necessario degli altri condomini - e, quindi, sia nel caso in cui i vizi lamentati investano le unità immobiliari in proprietà esclusiva sia nel caso in cui riguardino, invece, la cosa comune.

Procedeva, poi, alla disanima dei gravi vizi lamentati edoggetto della azione risarcitoria da parte dei condomini comproprietari, mediante l'esperimento di una consulenza tecnica di ufficio che consentiva di accertare l'esistenza di problematiche di carattere costruttivo interessanti il bene di cui è causa e che risultavano pienamente idonee ad attuare i gravi difetti di costruzione richiesti dalladisposizione.

In particolare, gli esiti peritali concludevano nel determinare la gravità delle problematiche descritte (infiltrazioni, umidità, muffe, rigonfiamenti e scostamenti) solo con riferimento a quelle presenti nella facciata e parete nord (inficianti la salubrità dei locali), con esclusione di quelle lamentate nella terrazza a sud e nel garage (che mostravano solo umidità e scrostamenti, non infiltrazioni).

I gravi vizi interessanti la facciata e la parete nord dell'immobile risultavano, pertanto, atti a configurare i gravi difetti di costruzione annoverati dalla citata disposizione di legge dell'art. 1669 c.c., con la conseguente applicabilità dei relativi termini di prescrizione e decadenza.

Quanto al primo termine, il vizio grave deve manifestarsi entro dieci anni dal compimento dell'opera e, nel caso di specie, l'immobile veniva ultimato il 30 maggio 2004 ed acquistato il 19 maggio 2004.

Quanto agli altri termini, l'appaltatore/costruttore è tenuto a garantire l'opera realizzata nei confronti del committente/acquirente purché ne sia stata fatta denuncia entro un anno dalla scoperta, mentre l'esercizio del diritto si prescrive in un anno dalla denuncia.

Il Tribunale vicentino, quindi, operava una attenta disamina sulla individuazione del momento in cui gli attori avevano raggiunto un apprezzabile grado di conoscenza della entità del vizio e della sua riconducibilità all'operato della società convenuta e che, stante l'esecuzione di una perizia di parte, veniva collocato alla fine di settembre 2009.

Dovendo far decorrere da tale data il termine annuale di decadenza per la denuncia, risulta in atti che essa sia stata formalizzata solo in data 30 novembre 2010 e, quindi, sia intempestiva, poiché inviata oltre un anno dopo dalla conoscenza dell'esistenza del vizio da parte degli attori.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea, compensava integralmente le spese di lite e poneva definitivamente a carico degli attori le spese di c.t.u.

Osservazioni

La presente pronuncia, oggetto dell'odierna disanima, chiarisce che l'azione prevista dall'art. 1669 c.c. può essere proposta dal condomino contro l'appaltatore/venditore, senza la necessità cogente di estendere il contraddittorio nei riguardi degli altri condomini, o del condominio stesso, anche nei casi in cui l'eventuale contratto di appalto sia stato stipulato dall'amministratore.

Questo perché l'azione prevista dall'art. 1669 c.c. ha carattere personale e può essere promossa da ciascun soggetto abbia un interesse generale all'incolumità dei terzi.

Precisamente, la Suprema Corte ritiene che l'art. 1669 c.c., nonostante venga inserito nell'ambito del contratto di appalto, in realtà dia spazio ad una un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale che - anche se alla base prevede un rapporto contrattuale - poi ne travalica i confini e riveste i caratteri di un'obbligazione derivante dalla legge per finalità e ragioni di carattere generale (Cass. civ., sez. II, 10 aprile 2000, n. 4485).

La legittimazione ad agire spetta, pertanto, non soltanto al committente ed ai suoi aventi causa ma, in via generale, a qualunque soggetto che lamenti di avere subito un danno dalla sussistenza di difetti “per vizio del suolo o per difetto della costruzione” o dalla rovina o dal pericolo di rovina di essa poiché la norma tutela un interesse di natura pubblica che volge alla stabilità e solidità degli immobili destinati ad avere un uso duraturo nel tempo e tali da preservare e garantire l'incolumità e la sicurezza dei terzi.

Il Tribunale si sofferma sulla legittimazione passiva della ditta convenuta ad essere destinataria dell'azione risarcitoria nei confronti dell'acquirente, in tutti quei casi in cui il venditore abbia assunto nei confronti dei terzi - e, quindi, anche degli stessi acquirenti - una posizione di diretta responsabilità nella costruzione dell'opera.

Alla luce di quanto sopra, nel caso in esame, risultavano circostanze non contestate: l'oggetto sociale della ditta convenuta che comprovava chiaramente l'attività di imprenditoria edile; la propria realizzazione del complesso edilizio in cui era ricompresa l'abitazione in questione compravenduta agli odierni attori, attraverso l'acquisizione delle relative concessioni edilizie; la redazione del capitolato dei lavori; la sottoscrizione del certificato di abitabilità/agibilità.

Pertanto, e in considerazione anche della circostanza che la stessa convenuta aveva nominato il direttore dei lavori, assumendosi sine dubio una responsabilità anche di vigilanza e controllo, il Tribunale riteneva a buon diritto che essa aveva curato non solo l'esecuzione dei lavori ma anche la direzione degli stessi, dovendo rispondere ex art. 1669 c.c. nei confronti degli acquirenti.

La ditta convenuta nulla provava in termini esonero da responsabilità, né le prove orali dedotte erano volte a tale finalità, essendo precipuamente indirizzate a dimostrare il concorso di colpa degli attori nella determinazione dell'evento dannoso, ammettendo indirettamente il proprio coinvolgimento nell'evento dannoso.

Successivamente, il giudice di prime cure si trovava ad indagare - ancora una volta - la nomenclatura dei gravi difetti di costruzione, da cui origina la responsabilità ex art. 1669 c.c., ovvero quelli che influiscono sulla stabilità dell'edificio o che pregiudichino o menomino in modo rilevante il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità dello stesso.

Secondo la giurisprudenza di legittimità: “I gravi difetti che, ai sensi dell'art. 1669 c.c., fanno sorgere la responsabilità dell'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa consistono in quelle alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura. A tal fine, rilevano pure vizi non totalmente impeditivi dell'uso dell'immobile, come quelli relativi all'efficienza dell'impianto idrico o alla presenza di infiltrazioni e umidità, ancorché incidenti soltanto su parti comuni dell'edificio e non sulle singole proprietà dei condomini”(così Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2018, n. 24230).

Nel caso di specie, quindi, i vizi accertati in relazione alla facciata nord esterna e interna manifestatisi in superfici in evidente stato di degrado - rigonfiamenti, fessurazioni, scrostamenti, muffe, efflorescenze, crescita di vegetazione parassita - denotavano delle problematiche tali da comportare una condizione insalubre degli ambienti interni, con un chiaro limite di godimento del bene.

Inoltre, e come narrato nella motivazione della sentenza del tribunale vicentino, configurano altresì gravi difetti dell'edificio a norma dell'art. 1669 c.c. “anche le carenze costruttive dell'opera - da intendere anche come singola unità abitativa - che pregiudicano o menomano in modo grave il normale godimento e/o l'abitabilità della medesima, come allorché la realizzazione è avvenuta con materiali inidonei e/o non a regola d'arte ed anche se incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera (quali impermeabilizzazione, rivestimenti, infissi, pavimentazione ecc.) purché tali da compromettere la sua funzionalità e l'abitabilità ed eliminabili solo con lavori di manutenzione, ancorché ordinaria, e cioè mediante opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici” (Cass. civ, sez. II, 28 aprile 2004, n. 8140; v. anche Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2012, n. 2238).

Ancorchè il Tribunale non riusciva ad affermare con certezza le cause dei lamentati vizi, richiamando un'ottica di normalità causale dovuta, tra le altre cause, a oscillazioni termiche, errori procedurali, utilizzo di materiali non idonei, ecc., si pronunciava con sufficiente determinazione nel ricondurre gli esiti della relazione peritale ai gravi difetti previsti dall'art. 1669 c.c.

Sempre l'art. 1669 c.c. dispone, inoltre, che, in materia di rovina e difetti di cose immobili, l'appaltatore/costruttore è tenuto ad una garanzia decennale nei confronti del committente e degli aventi causa, purché la denunzia dei vizi sia fatta entro un anno dalla scoperta e l'azione sia esercitata entro il termine di prescrizione di un anno.

Posto che i fenomeni testè descritti si collocano agevolmente all'interno del citato periodo decennale, il termine di un anno per la denuncia dei gravi difetti decorre dal momento in cui il committente/acquirente abbia conseguito un apprezzabile grado di conoscenza della rilevanza dei difetti riscontrati e della loro derivazione causale dalla esecuzione dell'opera non a regola arte, non essendo sufficienti manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti.

Il rispetto del termine della denuncia dei gravi difetti risulta a questo punto determinante.

Sul punto, appare chiarificatrice la motivazione addotta dalla giurisprudenza di legittimità in un caso analogo nello statuire che: “L'identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti onde possa individuarsi la ‘scoperta' del vizio ai fini del computo dei termini deve effettuarsi con riguardo tanto alla gravità dei vizi quanto al collegamento causale di essi con l'attività espletata, sì che, non potendosi onerare il danneggiato di proporre senza la dovuta prudenza azioni generiche a carattere esplorativo o comunque suscettibili di rivelarsi infondate, la conoscenza completa, idonea a determinare il decorso del termine, dovrà ritenersi conseguita, in assenza di convincenti elementi contrari anteriori, solo all'atto dell'acquisizione d'idonei accertamenti tecnici; per il che, nell'ipotesi di gravi vizi la cui entità e le cui cause, a maggior ragione ove già oggetto di contestazioni tra le parti, abbiano, anche per ciò, rese necessarie indagini tecniche, è consequenziale ritenere che una denunzia di gravi vizi possa implicare un'idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine ed, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, solo quando, in ragione degli effettuati accertamenti, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause, per l'un effetto, alla data della denunzia e, per l'altro, a data ad essa convenientemente anteriore (così Cass. civ. sez. II, 14 novembre 2013, n. 2820).

Non si creda, ovviamente, che il ricorso ad un accertamento tecnico preventivo possa essere utilizzato dal committente/acquirente danneggiato quale opportunità per avanzare le proprie pretese risarcitorie quando ci sia già stata una idonea conoscenza dei vizi ma non siano stati adottati prontamente i mezzi di tutela approntati dall'ordinamento … in questi casi sovviene certamente la competenza e il giudizio del giudice investito della questione per accertare se la conoscenza dei vizi, e della loro consistenza, sia tale da consentire una loro consapevole denunzia prima dell'esperimento di una indagine peritale (v., ex multis, Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1999, n. 1993).

Nel caso di specie, la sentenza aveva correttamente indicato il dies a quo nell'acquisizione di un grado apprezzabile di conoscenza da parte degli attori al momento degli esiti di una perizia di parte del settembre 2009 nell'ambito della quale si dava conto della descrizione delle criticità individuate nell'immobile e le possibili cause, conclusioni che peraltro confermate in sede di c.t.u. e che denotavano, quindi, una pregressa conoscenza certamente apprezzabile.

La denuncia vizi, però, veniva formalizzata solo in data 30 novembre 2010, oltre un anno dopo dalla conoscenza apprezzabile dei vizi accertati, e pertanto risultava documentalmente intempestiva.

Gli attori si sono visti, pertanto, rigettata la domanda e giocoforza precluso il l risarcimento del danno e/o il ripristino delle opere con eliminazione dei difetti da parte della parte convenuta.

Infatti, incombe sul compratore l'onere della prova in ordine alla tempestività della denuncia dei vizi del bene, mentre compete al giudice di merito l'accertamento circa tale tempestività di detta denuncia, valutazione che, ad ogni buon conto, è incensurabile in sede di legittimità.

Riferimenti

Luminoso, Codice dell'appalto privato, Milano, 2010, 630;

Panetta, Il contratto di appalto, Torino, 2016;

Rezzonico, Manuale del condominio, Rimini, 2018, 587.

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