La giurisdizione del giudice amministrativo in caso di domanda di annullamento funzionale all'accertamento del danno all'immagine
05 Giugno 2023
Massima
La domanda di annullamento del provvedimento amministrativo strumentale all'accertamento del danno all'immagine rientra nella giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo. La situazione giuridica soggettiva dedotta va inequivocabilmente qualificata come di interesse legittimo, essendo in gioco una controversia concernente l'esercizio o mancato esercizio del potere. Essendo il danno all'immagine conseguenza del cattivo esercizio del potere, anche la domanda risarcitoria deve essere conosciuta dal giudice amministrativo. Il caso
Il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di Stato concerne la sussistenza della giurisdizione amministrativa in un ricorso avente a oggetto una domanda di annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi istruttori e motivazionali ai fini del ristoro monetario dei danni all'immagine e alla libertà negoziale in conseguenza patiti.
Tale domanda era stata, infatti, dichiarata inammissibile dal Tar per difetto di giurisdizione, siccome ritenuta fondata su una posizione di diritto soggettivo. In particolare, per il Tar la parte ricorrente non sarebbe stata direttamente intaccata dal potere dell'amministrazione, giacché la dedotta lesività sarebbe derivata dai ‘meri fatti' enunciati nel provvedimento di gestione provvisoria di un ente comunale per infiltrazioni mafiose: segnatamente dalle postulate forme di contatto della ricorrente con la criminalità organizzata. In rilievo sarebbe stato, dunque, un comportamento scorretto dell'amministrazione.
Il Consiglio di Stato, definitivamente pronunciando sull'appello, annulla la sentenza di primo grado ravvisando in capo al ricorrente una posizione di interesse legittimo, sul presupposto del suo collegamento all'esercizio del potere. Per l'effetto, rinvia l'intera controversia alla cognizione del giudice amministrativo di prime cure. La questione
La fattispecie giuridica sottesa alla pronuncia in esame coinvolge una questione di giurisdizione. In discussione è la qualificazione della situazione giuridica soggettiva azionata nell'ipotesi di domanda di annullamento di un provvedimento amministrativo che avrebbe leso nella motivazione l'immagine del ricorrente, accompagnata dalla richiesta di condanna dell'amministrazione al risarcimento dei danni. Le soluzioni giuridiche
La decisione della Terza sezione del Consiglio di Stato di accogliere l'appello, annullare la sentenza di primo grado e riconoscere la giurisdizione del giudice amministrativo muove dal tradizionale postulato, elaborato dalle sezioni unite della Cassazione, secondo cui “la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda”, rilevando “non già la prospettazione delle parti, bensì il cosiddetto ‘petitum sostanziale', il quale va identificato […] sulla base della ‘causa petendi', ossia dei soli fatti dedotti a fondamento della pretesa […] da cui la domanda viene identificata” (ex multis, tra le più recenti, Cass., sez. un., 16 aprile 2021, n. 10105; Cass., sez. un., 12 ottobre 2020, n. 21993; Cass., sez. un., 31 luglio 2018, n. 20350).
In questa chiave il giudice di secondo grado rileva innanzitutto come la domanda di annullamento “in parte qua” del provvedimento dell'amministrazione, proposta dal ricorrente in primo grado, sottintendesse una richiesta di accertamento dei vizi attinenti alla motivazione e all'istruttoria procedimentale dai quali sarebbero derivati danni all'immagine e alla libertà di iniziativa economica.
In ogni caso, secondo il Consiglio di Stato la situazione giuridica soggettiva dedotta va “inequivocabilmente qualificata come di interesse legittimo”, essendo da respingere l'affermazione del giudice di prima istanza secondo cui “la posizione giuridica sostanziale vantata dall'esponente, riguardata alla luce della causa petendi del ricorso, non è in alcun modo intersecata dal potere esercitato dall'amministrazione nella vicenda de qua”.
Sarebbe dunque in gioco una controversia concernente l'“esercizio o mancato esercizio del potere”, attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo alla stregua dell'art. 7, comma 1, del c.p.a.
Quanto alla domanda risarcitoria, per il giudice dell'appello si deve consequenzialmente ragionare non di “un danno da comportamento, e meno che mai da comportamento mero, id est del tutto svincolato dall'esercizio del potere”. Di pari passo sarebbe da escludere che la libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost. e il diritto all'immagine ex art. 2 Cost., vantati dalla parte attrice, possano avere nel caso di specie la “consistenza del diritto soggettivo”.
A quest'ultimo proposito si precisa che “l'esercizio del potere, che si assume viziato, ha prodotto effetti giuridici - ancorché indiretti - sull'esercizio di tali diritti: secondo l'ordinaria vicenda che vede il diritto suscettibile di essere compresso, nelle sue forme di godimento, dall'esercizio del potere”.
Il Consiglio Stato aggiunge poi che i “fatti enunciati nel corpo degli atti gravati, nella misura in cui non afferiscono (quali conseguenze) al provvedimento impugnato e al relativo procedimento (che di tali fatti costituiscono la causa), possono al più incidere nel merito della liquidazione del danno: ma non possono certamente avere l'effetto di negare la qualificazione della fattispecie come direttamente correlata all'esercizio del potere che si assume (che sul punto risulta inequivoca)”. La conclusione, evidentemente, è che anche la domanda risarcitoria non può che essere conosciuta dal giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 7, comma 4, c.p.a. Osservazioni
La pronuncia in commento riflette le difficoltà classificatorie in punto di distinzione tra diritto soggettivo e interesse legittimo, che, scaricandosi sul riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, mantengono vive le criticità dell'assetto giurisdizionale conservato dal legislatore costituzionale.
Osservando da vicino la decisione si nota, però, accanto ad alcune contraddizioni interne, l'elusione di uno dei nodi problematici attinenti all'anzidetta distinzione che si proietta oltre il criterio di riparto della causa petendi.
La più vistosa contraddizione del ragionamento svolto riguarda il rapporto tra l'esercizio del potere e i diritti che da esso risulterebbero “compress[i]”, in altre parole, degradati a interesse legittimi. Non è dato, infatti, capire come possa operare la degradazione se gli effetti dell'esercizio del potere sono “indiretti” o se i “fatti enunciati nel corpo degli atti gravati […] non afferiscono (quali conseguenze) al provvedimento impugnato e al relativo procedimento”.
Il nodo problematico eluso finisce, invece, per ricadere sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per quanto nella specie certamente inesistente: arriva, cioè, a investire la natura e l'estensione di tale giurisdizione. Il Consiglio di Stato lega, infatti, la sussistenza dell'interesse legittimo all'“esercizio o mancato esercizio del potere” amministrativo e il diritto soggettivo al “comportamento […] del tutto svincolato dall'esercizio del potere”, dimenticando che l'“esercizio o mancato esercizio del potere”, ai sensi del citato (dallo stesso Consiglio) art. 7, comma 1, c.p.a., è il presupposto anche della giurisdizione esclusiva.
Sicché, delle due l'una: o sono diritti soggettivi solo quelli “del tutto svincolat[i] dall'esercizio del potere”, e allora la giurisdizione esclusiva è un doppione di quella di legittimità (come parte della dottrina ha rilevato); oppure vi sono diritti soggettivi anche in vicende, come quella in esame, che in qualche modo hanno a che fare con l'esercizio del potere. |