Il dilemma della natura giuridica dei servizi di micro-mobilità elettrica in sharing

Vittoria Donat-Cattin
Andrea Antonio Talivo
09 Giugno 2023

Il servizio di sharing dei monopattini elettrici è attività contingentata in regime di libero mercato soggetta ad atti autorizzatori amministrativi: in quanto tale, essa è avulsa dall'ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici, fatte salve le sole disposizioni espressive dei principi generali di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità.

Il caso di specie e la decisione del Consiglio di Stato

Con delibera di Giunta comunale del 16 febbraio 2021, il Comune di Verona approvava l'avviso pubblico per la selezione di un numero massimo di tre operatori economici interessati a svolgere servizi di mobilità in sharing a flusso libero con monopattini elettrici, individuati in un numero massimo complessivo di 1.200 unità.

Ai fini della determinazione dei requisiti generali di partecipazione alla procedura selettiva, l'avviso pubblico rinviava all'art. 80 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (c.d. Codice dei contratti pubblici).

All'esito della procedura, cui partecipavano dodici operatori economici, l'Amministrazione comunale approvava la graduatoria e autorizzava le prime tre imprese classificate a presentare la SCIA per l'avvio dei servizi di sharing dei monopattini elettrici.

La quinta classificata gravava gli atti della procedura dinanzi al TAR Veneto, deducendo – tra l'altro – la violazione dell'autovincolo all'integrale applicazione della disciplina del Codice dei contratti pubblici al quale il Comune di Verona si sarebbe assoggettato in sede di approvazione degli atti della procedura.

Il TAR Veneto rigettava il ricorso con la sentenza n. 476 del 18 marzo 2022, che veniva tempestivamente impugnata dinanzi al Consiglio di Stato.

In particolare, la società appellante censurava la decisione del TAR Veneto nella parte in cui, qualificando l'attività di sharing dei monopattini elettrici come servizio soggetto ad autorizzazione in un contesto contingentato di libero mercato, affermava che “la procedura in esame non è riconducibile né a un appalto né a una concessione di servizi e nemmeno rientra nell'ambito di applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016”.

Secondo la ricorrente, il Comune di Verona sarebbe stato comunque tenuto ad osservare le regole dettate dal Codice dei contratti pubblici, in ragione del proprio autovincolo in tal senso, di cui, tuttavia, il Giudice di primo grado non rinveniva alcuna traccia nella documentazione di gara.

La società si doleva altresì del fatto che il TAR Veneto avesse ritenuto applicabili i soli principi generali del Codice dei contratti pubblici, così negando l'estensione in via analogica di tutte le sue disposizioni al caso di specie.

Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha respinto il ricorso in appello, confermando la pronuncia del primo Giudice anche laddove ha escluso (i) “che la procedura in esame sia qualificabile come concessione o come appalto di servizi, ritenendola estranea all'ambito di applicazione del d.lgs. n. 50 del 2016”; (ii) “che il Comune si sia in generale autovincolato all'applicazione del Codice dei contratti pubblici, in assenza di una espressa previsione negli atti della procedura, ciò non potendo inferirsi dal mero richiamo, ivi contenuto, a sue specifiche disposizioni”; (iii) che alla generalità delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici “possa essere attribuita forza espansiva tale da estenderne l'applicazione, in via analogica, a tutte le procedure evidenziali”.

Considerazioni

Il Consiglio di Stato – e, ancor prima, il TAR Veneto – è pervenuto alle conclusioni anzidette muovendo da una lettura puntuale e sistematica della normativa di settore dettata dall'art. 1, commi 75-ter e ss., legge 27 dicembre 2019, n. 160 e ss.mm.ii.

Invero, la pronuncia in esame accenna anche al D.M. 4 giugno 2019, n. 229, che, per la prima volta, ha disciplinato il fenomeno della micro-mobilità elettrica in sharing, attribuendo ai Comuni la facoltà di autorizzare la sperimentazione dell'attività di sharing di veicoli per la micro-mobilità a propulsione elettrica (tra cui proprio i monopattini elettrici) in ambito urbano.

Successivamente, la disciplina è confluita, a livello primario, nei commi 75-ter e ss. dell'art. 1 dellalegge n. 160/2019, inseriti dall'art. 33-bis del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2020, n. 8, e poi sostituiti dall'art. 1-terdel d.l. 10 settembre 2021, n. 121, convertito con modificazioni dalla legge 9 novembre 2021, n. 156.

In particolare, l'art. 1, comma 75-ter, legge n. 160/2019 dispone che “(…) i servizi di noleggio dei monopattini a propulsione prevalentemente elettrica, anche in modalità free-floating, possono essere attivati esclusivamente con apposita deliberazione della Giunta comunale, nella quale devono essere previsti, oltre al numero delle licenze attivabili e al numero massimo dei dispositivi in circolazione:

a) l'obbligo di copertura assicurativa per lo svolgimento del servizio stesso;

b) le modalità di sosta consentite per i dispositivi interessati;

c) le eventuali limitazioni alla circolazione in determinate aree della città”.

Come correttamente osservato dal Consiglio di Stato nel caso di specie (e non solo), dalla norma si ricavano due elementi: “a) per lo svolgimento del servizio di noleggio dei monopattini elettrici è necessario il rilascio di un titolo autorizzativo (indicato dal legislatore nella “licenza”) e b) il numero degli atti che possono essere rilasciati è contingentato” (così già Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2022, n. 1811).

Ne deriva che “la gestione del noleggio di monopattini in modalità free floating è attività contingentata in regime di libero mercato soggetta ad atti autorizzatori amministrativi”: in quanto tale, essa rientra nell'ambito di operatività dell'art. 16 (rubricato “Selezione tra i diversi candidati”), comma 1, d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59 (recante “Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno”), ai cui sensi, “Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l'imparzialità, cui le stesse devono attenersi”.

L'operato del Comune di Verona risulta conforme alla disciplina richiamata: esso, infatti, sulla scorta dell'apposita delibera della Giunta comunale, ha legittimamente avviato una procedura comparativa per l'individuazione dei soggetti autorizzati a svolgere “un'attività economica privata nuova, non oggetto di assunzione da parte della medesima Amministrazione, onde regolamentarne lo svolgimento in regime di libero mercato nell'interesse della collettività, prevedendo, tra l'altro, il numero delle licenze attivabili e il numero massimo dei dispositivi ammessi a circolare sul territorio comunale”.

A tal fine, l'Amministrazione comunale è ricorsa all'evidenza pubblica limitandosi correttamente ad applicare “le sole disposizioni del Codice dei contratti pubblici espressive di principi generali e aventi portata applicativa generalizzata”: la scelta ha trovato conferma nel decisum del Giudice Amministrativo, considerato che il ricorso all'evidenza pubblica e ai suoi principi generali deriva (non dalla qualificazione della procedura selettiva come concessione ovvero appalto di servizi ma) “dal numero limitato di monopattini introducibili nel territorio comunale e, quindi, dalla natura ristretta del mercato di riferimento ai sensi dell'art. 1, comma 75 bis e ss., della legge n. 160 del 2019”.

Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza richiamata in sentenza, ove i titoli disponibili siano contingentati, il loro rilascio deve avvenire “all'esito di una procedura comparativa tra gli interessati”, che, tuttavia, non essendo oggetto di una specifica disciplina normativa, dovrà svolgersi (non secondo le regole del Codice dei contratti pubblici, come preteso in specie dalla società appellante, bensì) secondo “le regole proprie di un ordinario procedimento di autorizzazione”, che “devono essere declinate in rigoroso rispetto dei criteri di imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità cui ogni procedura selettiva deve conformarsi per dirsi conforme ai principi costituzionali dell'azione amministrativa” (cfr. Cons. Stato, n. 1811/2022, cit.).

Stante ciò, il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza pronunciata in specie dal TAR Veneto (anche) nella parte in cui ha riconosciuto che il Codice dei contratti pubblici, “al di fuori del suo ambito applicativo, non è estensibile in via analogica a tutte le procedure evidenziali, fatta salva, come detto, l'applicazione delle norme che costituiscano espressione” dei principi generali “di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità”, che, in quanto tali, hanno “portata applicativa generalizzata”.

Peraltro, anche il TAR Friuli Venezia Giulia si è orientato nella stessa direzione laddove – in un precedente caso del tutto analogo a quello in esame – ha riconosciuto che “la procedura che qui viene in rilievo, avviata ai sensi e per gli effetti cui all'art. 1, comma 75-ter e ss., L. 27 dicembre 2019, n. 160 e s.m.i. (…) - pur essendo preordinata a dare vita a un confronto competitivo informato ai principi della trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, pubblicità e concorsualità (…) - nulla ha a che fare con i contratti di appalto e di concessione, cui è dedicata la disciplina dettata dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50”. In definitiva, “Il termine “servizi di noleggio”, utilizzato dal legislatore (vedi ora art. 1, comma 75-ter, legge 27 dicembre 2019, n. 160 e s.m.i.), non basta (…) di per sé solo ad attrarre la fattispecie che qui viene in rilievo nell'ambito delle “procedure di affidamento di pubblici servizi” di cui alla lett. rrr) dell'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016” (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia – Trieste, sez. I, 31 maggio 2022, n. 257).

Al riguardo, il medesimo TAR Friuli Venezia Giulia ha evidenziato che, con i “servizi di noleggio” dei monopattini elettrici, le Amministrazioni locali non istituiscono un servizio pubblico locale secondo la definizione di cui all'art. 112 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (c.d. TUEL), “mancando non solo l'elemento connotante tale tipo di servizio, costituito dall'avere “per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”, ma anche e soprattutto la previa fissazione e approvazione delle tariffe ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 117 del decreto stesso”.

Ne è conferma l'ulteriore considerazione “che la competenza in ordine all'attivazione del “servizio” di noleggio monopattini attribuita sin dall'avvio della sperimentazione della circolazione su strada di veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica alla Giunta comunale (…) confligge con la previsione di cui all'art. 42, comma 2, lett. e), [del TUEL], che riserva alla competenza del Consiglio comunale la “organizzazione dei pubblici servizi, (…), concessione dei pubblici servizi, (…), affidamento di attività o servizi mediante convenzione”” (cfr. TAR Friuli Venezia Giulia – Trieste, n. 257/2022, cit.).

Oltretutto, “per costante orientamento giurisprudenziale, il “servizio pubblico” presuppone la decisione della pubblica amministrazione di farsi carico del soddisfacimento di un bisogno proprio della collettività da essa amministrata che il mercato non è in grado di soddisfare adeguatamente” (cfr. TAR Lombardia –Milano, sez. III, 3 luglio 2020, n. 1274) e non sembra affatto essere questo il caso, trattandosi di un settore – quello della micro-mobilità elettrica in sharing – con una crescita esponenziale nel mercato nazionale e non solo.

Ebbene, come visto, nella sentenza in commento si rinvengono conclusioni analoghe: la procedura selettiva indetta dall'Amministrazione comunale per l'individuazione dei soggetti interessati a svolgere i servizi di sharing dei monopattini elettrici non è diretta all'affidamento di un servizio pubblico (in quanto tale rientrante ex lege nell'ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici). Si tratta piuttosto della procedura comparativa – “non oggetto di specifica disciplina normativa” ai sensi dell'art. 16, comma 1, d.lgs. n. 59/2010 (cfr. Cons. Stato, n. 1811/2022, cit.) – per il rilascio della licenza ex art. 1, comma 75-ter, legge n. 160/2019, da svolgersi quindi secondo le regole (generali) proprie di un ordinario procedimento di autorizzazione.

Si auspica, pertanto, che il Consiglio di Stato abbia così definitivamente sciolto i dubbi che residuavano ancora sul regime normativo applicabile alla micro-mobilità in sharing, manifestati – inter alia – in una recente ordinanza cautelare del TAR Lombardia, in cui si legge che “è sostenibile che le licenze per il servizio di noleggio dei monopattini a propulsione elettrica in modalità free-floating (…) costituiscano nella sostanza concessioni di servizi pubblici (tanto più se, come nel caso, i monopattini dei licenziatari si ornano del logo del Comune (…)) soggette, quanto alle gare, alla disciplina di cui all'art. 120 c.p.a.” (cfr. TAR Lombardia – Brescia, sez. I, 19 febbraio 2019, ordinanza cautelare n. 160).

Peraltro, curiosamente, in quella circostanza, il richiamo all'art. 16 del d.lgs. n. 59/2010 si era rivelato tutt'altro che risolutivo: ciò in quanto la norma “si applica al caso in cui il numero di titoli autorizzatori disponibili per una determinata attività di servizi “sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili”” e, tuttavia, “non si comprende come la circolazione dei monopattini sia riconducibile all'uno o all'altra ipotesi di scarsità” (cfr. TAR Lombardia – Brescia, n. 160/2019, cit.).

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