Le Sezioni Unite escludono il raddoppio delle pene per l'abusivismo finanziario

12 Giugno 2023

Accertata l'esistenza di un contrasto interpretativo circa il trattamento punitivo per il delitto ex art. 132 TUB, la questione è rimessa e decisa dalle sezioni unite del Supremo Collegio.
Massima

La riformulazione dell'art. 132 del d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell'art. 8, comma 2, del d.lgs. 13 agosto 2010, n. 141 ha comportato l'abrogazione tacita dell'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, nella parte in cui stabiliva il raddoppio delle pene comminate per il reato di cui all'art. 132 cit.

Il caso

In un sub-procedimento cautelare personale il giudice per le indagini preliminari – con decisione poi confermata a seguito del rigetto dell'appello interposto dal PM – aveva revocato la misura coercitiva dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria (art. 282 c.p.p.) a carico di un indagato per il delitto di abusiva attività finanziaria (art. 132 d.lgs. 385/1993, TUB), sul rilievo che la pena detentiva massima comminata per tale reato è pari a quattro anni di reclusione e la durata della cautela non custodiale avrebbe dovuto pertanto essere contenuta nel termine di sei mesi.

Avverso entrambe le pronunce liberatorie proponeva impugnazione (dapprima al Tribunale distrettuale de libertate ai sensi dell'art. 310 c.p.p. e quindi in Cassazione giusta art. 311 c.p.p.) il Procuratore della Repubblica procedente, denunciando erronea applicazione delle norme del codice di rito (artt. 303 e 308 c.p.p.) con riferimento al combinato disposto degli artt. 8 d. lgs. 141/2010, 132 TUB, 39 l. 262/2005, 12 e 15 disp. prel. c.c. e 2 c.p.

In estrema sintesi il PM ricorrente sosteneva che l'integrale riforma della previsione incriminatrice dell'abusivo esercizio di attività finanziaria ad opera del d. lgs. 141/2010 non comportasse eo ipso l'abrogazione (tacita) dell'art. 39, co. 1, l. 262/2005, a mente del quale «Le pene previste dal testo unico di cui al decreto legislativo1° settembre 1993, n. 385 […] sono raddoppiate entro i limiti posti per ciascun tipo di pena dal libro I, titolo II, capo II, del codice penale».

Più in particolare, ad avviso dell'Accusa, la citata norma sull'inasprimento sanzionatorio nel comparto penale economico (oltre al TUB sono infatti contemplati il testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al d.lgs. 58/1998, TUF, e la – ormai quasi interamente abrogata – l. 576/1982 in tema di vigilanza sulle assicurazioni) opererebbe un “rinvio mobile”, destinato a rimanere insensibile alle vicende modificative delle disposizioni richiamate. L'opposta conclusione (pure fatta propria dalla giurisprudenza maggioritaria: v. infra) è d'altronde sospettata di incostituzionalità sotto il profilo dell'eccesso di delega, dal momento che il Governo – ove avesse inteso abrogare (tacitamente) l'art. 39 l. 262/2005 – avrebbe violato l'art. 76 Cost. in rapporto alla lex parlamentaria di delegazione (l. 88/2009).

Accertata l'esistenza di un contrasto interpretativo circa il trattamento punitivo per il delitto ex art. 132 TUB, la questione è rimessa alle sezioni unite del Supremo Collegio (Sez. V, ordinanza n. 36748 del 16 settembre 2022) e decisa con la pronuncia qui annotata.

Il Sostituto Procuratore generale presso la Corte di cassazione aveva depositato requisitoria scritta a sostegno delle tesi contenute nel ricorso, associandosi alla richiesta di annullamento dell'ordinanza impugnata, in adesione all'opzione ermeneutica minoritaria nella giurisprudenza di legittimità (v. infra) anche perché costituzionalmente conforme.

Le Sezioni Unite hanno dunque composto il conflitto con un'articolata pronuncia che, previa ricognizione degli orientamenti interpretativi in campo, si sofferma sul meccanismo di rinvio rilevante nel caso di specie alla luce del complessivo assetto normativo della materia, onde valutare la configurabilità di un'abrogazione tacita dell'art. 39 cit., scrutinando infine la questione di legittimità costituzionale prospettata dall'Accusa.

La questione

Il quesito giuridico sottoposto alla Cassazione riunita è così enucleato dalla sentenza in commento: «Se la riformulazione dell'art. 132 del d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, riguardante il reato di abusiva attività finanziaria, ad opera dell'art. 8, comma 2, del d. lgs. 13 agosto 2010 n. 141, abbia comportato l'abrogazione tacita della previsione di cui all'art. 39 della legge 28 dicembre 2005, n. 262, che ha stabilito il raddoppio delle pene previste, anche per detto reato, dal d. lgs. n. 385 del 1993 citato, ovvero se, invece, detto art. 39 abbia dettato una regola destinata a rimanere comunque insensibile alle modifiche sanzionatorie inerenti [al]le fattispecie ivi ricomprese».

Le soluzioni giuridiche

Secondo un primo e più risalente orientamento giurisprudenziale l'abrogazione dell'art. 39 l. 262/2005 ad opera dell'art. 8, cpv., d. lgs. 141/2010 è da escludere per un duplice e convergente ordine di ragioni: i) il combinato disposto degli artt. 2 e 33 l. 88/2009 (legge di delegazione in forza della quale è stato emanato il d. lgs. 141/2010) fissa i principi e criteri direttivi per il legislatore delegato, senza conferirgli la potestà di modificare le sanzioni penali previste dal TUB, sicché la postulata deroga alla norma sul raddoppio delle pene si risolverebbe in una interpretatio abrogans della medesima, configurando «un eccesso di delega legislativa, con conseguente illegittimità costituzionale dell'art. 8 del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141» (Cass. pen. sez. V, n. 18544/2013, Rv. 255192); ii) l'art. 39 l. 262/2005 non si riferisce a una specifica figura di reato, bensì all'insieme delle disposizioni incriminatrici del TUB, per la più parte immutate anche dopo la riforma del 2010, dovendosi quindi negare – sul piano letterale – l'effetto abrogativo circa la previsione di inasprimento punitivo in subiecta materia.

In senso contrario la giurisprudenza di legittimità ha successivamente (e reiteratamente) affermato che la complessiva riformulazione dell'art. 132 TUB (la cui comminatoria edittale è stata riportata al livello originario, id est: reclusione da sei mesi a quattro anni e multa da 2.065 a 10.329 euro) comporta l'abrogazione tacita del raddoppio sanzionatorio in riferimento all'abusivismo finanziario, sulla scorta delle seguenti cadenze argomentative: i) l'integrale sostituzione del testo previgente è dotata di efficacia pienamente novativa (sul precetto oltre che sulla sanzione) e innesca un ordinario fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, regolato dall'art. 2 c.p.; ii) il tenore letterale della nuova previsione è inequivoco e l'ermeneutica abrogativa con riguardo all'art. 39 l. 262/2005 rispecchia la precisa voluntas legis di far venire meno il raddoppio sanzionatorio per l'abusiva attività finanziaria (Cass. pen., sez. V, n. 12777/2019, Rv. 275996-02; conf., ex plurimis, Cass. pen., sez. V, n. 43670/2021, Rv. 282311).

Nell'affrontare la questione sottopostale, la Cassazione riunita osserva anzitutto che – a differenza dei menzionati precedenti di legittimità aderenti all'orientamento maggioritario – nella vicenda di specie la tesi propugnata dall'Accusa è incentrata sul meccanismo del rinvio, tramite il quale si realizza il collegamento tra una disposizione “rinviante” (attiva) e una “richiamata” (passiva), laddove quest'ultima contribuisce a delineare, in tutto o in parte, il significato di quella che opera il richiamo e condiziona la concreta portata della medesima. Nell'ambito di tale tecnica normativa occorre peraltro distinguere tra rinvio fisso (o recettizio o statico) e mobile (o formale o dinamico), a seconda che si debba o meno tener conto di eventuali modifiche intervenute nel corso del tempo sulla disposizione richiamata.

Ad avviso delle Sezioni Unite, applicare le richiamate nozioni al caso dei rapporti tra art. 39 l. 262/2005 e art. 132 TUB determina rilevanti aporie, dal momento che «sarebbe la seconda, ossia l'art. 132 TUB (che non prevede alcun rinvio quoad poenam all'art. 39 della legge n. 262 del 2005), ad appropriarsi dei contenuti normativi (la previsione del raddoppio dell'entità delle pene comminate) della prima, ossia dell'art. 39 cit.». Il descritto “capovolgimento” si pone in evidente discrasia con la “fisionomia e la logica, nel sistema delle fonti, del rinvio”, il che rende addirittura irrilevante l'individuazione della sua natura (fissa o mobile), essendo il richiamo contenuto nella disposizione passiva anziché in quella attiva.

Esclusa l'operatività dell'istituto del rinvio, la decisione qui annotata ricostruisce il “quadro normativo di riferimento” in materia di contratti di credito ai consumatori, a partire dalla dimensione eurounitaria (dir. 2008/48/CE), recante apposite definizioni e un ben delineato ambito di operatività, ferme le prerogative degli Stati membri sulle scelte punitive (con la consueta clausola delle fonti UE ante-Lisbona che si limita a richiedere sanzioni “proporzionate, efficaci e dissuasive”). A livello domestico l'opzione del legislatore delegante (ex artt. 2 e 33 l. 88/2009) è stata nel senso di collocare le nuove disposizioni nel TUB anziché nel codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005) e a tale criterio direttivo si è puntualmente attenuto il Governo in sede di emanazione del d. lgs. 141/2010, in forza del quale sono state modificate numerose disposizioni definitorie e il regime giuridico degli intermediari finanziari, nonché introdotte regole ad hoc in tema di microcredito (art. 111 TUB) e confidi (art. 112 TUB).

La Cassazione riunita ripercorre quindi la storia della figura criminis di cui all'art. 132 TUB, oggetto di numerose modifiche nel corso degli anni '90 del secolo scorso e ad opera dell'art. 38 l. 262/2005, per giungere alla fisionomia attuale derivante dalla formulazione introdotta nel 2010, che riperimetra la fattispecie di abusivismo finanziario in chiave sia restrittiva (escludendo dall'area di rilevanza penale l'intermediazione in cambi e l'attività di assunzione di partecipazioni, come pure la prestazione di servizi di pagamento, partitamente sanzionata), sia estensiva (mediante il richiamo al “microcredito” e ai confidi).

Dalla ricostruzione della complessiva disciplina e delle rilevanti modifiche testé sintetizzate si ricava pertanto la «conclusione, in linea con l'indirizzo maggioritario, che da tale intervento è conseguita l'abrogazione tacita dell'art. 39 della legge n. 262 del 2005 nella parte in cui faceva riferimento al reato di abusiva attività finanziaria di cui all'art. 132 TUB».

La stentorea presa di posizione della Cassazione riunita non manca comunque di misurarsi con l'esigenza di preservare il canone giuspenalistico di legalità e – prima ancora – il principio di soggezione del giudice alla legge (art. 101, cpv., Cost.), potenzialmente messi in crisi nelle ipotesi di abrogazione tacita di una norma. A tal proposito è ribadita (sulle orme della giurisprudenza costituzionale) l'esigenza di «uno scrutinio saldamente ancorato alla disciplina legale e solo all'esito di una disamina strettamente correlata ai dati normativi».

Nella prospettiva così delineata le coordinate ermeneutiche della verifica in punto di ricorrenza del fenomeno abrogativo sono riprese da una recente e significativa pronuncia di legittimità (Cass. pen., sez. un., n. 698/2020, Rv. 277470), ove – partendo dalla regola sancita dall'art. 15 disp. prel. c.c. – è richiamata la bipartizione tra abrogazione espressa e tacita, quest'ultima a propria volta distinta tra incompatibilità della nuova disciplina rispetto alla precedente e “abrogazione per rinnovazione della materia”.

Per quanto specificamente concerne l'art. 132 TUB si è senza dubbio al cospetto di una disposizione novellata che si inserisce in un più ampio intervento riformatore dell'intero Titolo V del corpus normativo di settore, con una vistosa contrazione dell'area di rilevanza penale dell'abusivismo finanziario e un ridimensionamento del disvalore con riguardo ai confidi e al “microcredito”. Ne segue – da un lato – che nella complessiva architettura della materia perde rilievo la latitudine del raddoppio delle pene previsto dall'art. 39 l. 262/2005 e – dall'altro – l'implausibilità, alla luce del fondamentale canone di proporzione, della tesi in base alla quale si dovrebbe mantenere l'inasprimento sanzionatorio. Nonostante l'evidente continuità tra il ‘vecchio' e il ‘nuovo' art. 132 TUB, l'interpretazione secundum Constitutionem di tale norma impone di ritenere tacitamente abrogato l'incremento punitivo stabilito in via generale nel 2005.

Dopo aver condensato il principio di diritto (v. supra la massima), le Sezioni Unite dedicano l'ultimo segmento motivazionale all'eccezione di incostituzionalità (eccesso di delega) prospettata in subordine dall'Accusa.

Sotto il profilo dell'ammissibilità, la Cassazione fa leva sul più recente orientamento della Corte costituzionale che ha rimeditato la tradizionale preclusione a interventi del Giudice delle leggi con effetti in malam partem qualora sia in gioco la ragionevolezza della risposta punitiva o, più in generale, il canone giuspenalistico di legalità (violato anche nei casi di scostamento della funzione legislativa delegata rispetto alla lex parlamentaria di delegazione).

Nel merito la questione di legittimità costituzionale è giudicata manifestamente infondata sulla scorta di svariate considerazioni. In primo luogo, dirigendo di nuovo l'attenzione alle fonti normative UE, si rileva che la dir. 2008/48/CE non contiene prescrizioni rigide sull'apparato sanzionatorio e tale flessibilità diviene parametro interposto della delegazione legislativa (in aggiunta ai criteri direttivi espressamente dettati dal Parlamento). Neppure il carattere circoscritto della disciplina sovranazionale (credito al consumo) vale a inficiare la legittimità delle scelte compiute dal Governo nell'esercizio della delega, con il complessivo riassetto della materia (v. supra). Viene infine richiamato il (costituzionalmente conforme, secondo la Consulta) margine di autonomia del legislatore delegato nell'attuazione del compito demandato dal delegante, persino in caso di silenzio di quest'ultimo, purché la discrezionalità dell'esecutivo costituisca “coerente sviluppo” e “completamento” delle scelte parlamentari, elementi entrambi riscontrati dalla nella vicenda di specie, così da escludere il prospettato eccesso di delega.

Osservazioni

La sentenza qui brevemente annotata si segnala tanto per la pregevole trama logico-giuridica della motivazione, quanto per la sagacia politico-criminale al cospetto di una disposizione ‘simbolica' come l'art. 39 l. 262/2005, di cui le Sezioni Unite sottolineano l'irrazionalità – più volte denunciata dagli interpreti – e i perniciosi effetti sistematici (nella peculiare prospettiva diacronica).

La condivisibilità della soluzione fornita dalla Cassazione riunita al quesito sottopostole (in linea con l'orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità e con la dottrina) non richiede ulteriori osservazioni, ma offre senz'altro lo spunto per valutare talune ricadute applicative della sentenza e la sua portata circa la regolazione penalistica dell'economia.

Sotto il profilo pratico, oltre all'incidenza sul ventaglio delle misure cautelari applicabili (per quanto attiene a tipologia e durata, come ben illustra il caso di specie), il mancato raddoppio della cornice edittale di pena detentiva produce effetti anche in tema di prescrizione del delitto ex art. 132 TUB (da ricondurre al termine-base di sei anni ai sensi dell'art. 157, comma 1, c.p.).

Su un piano più generale può nondimeno osservarsi che il rimedio apprestato dalle Sezioni Unite risulta inidoneo a sanare tutte le aporie cui ha dato (e continua a dare) luogo l'art. 39 l. 262/2005: per un verso, come riconosce la stessa sentenza in commento, non è possibile intervenire globalmente sull'incremento sanzionatorio ‘a tappeto' introdotto dalla legge sulla tutela del risparmio e occorre adottare un approccio case by caseche mal si concilia con elementari esigenze di ordine sistematico; per altro – e correlativamente – il meccanismo di abrogazione (tacita) richiede giocoforza un intervento legislativo, che può limitarsi a una o più disposizioni incriminatrici di un determinato corpus normativo senza rivedere le rimanenti ipotesi di reato e le relative sanzioni, con manifeste e irragionevoli disparità di trattamento (basti pensare – limitando lo sguardo al TUB – alle numerose figurae criminis non riformate dopo il 2005, per le quali continua dunque a operare il raddoppio di cui all'art. 39 cit.). Acquista in definitiva centralità il monito contenuto nella pronuncia in esame sotto forma di obiter dictum, laddove la Suprema Corte nella sua più autorevole composizione afferma che le «censure di irragionevolezza e sproporzione [riferite all'incremento punitivo de quo] (…) richiederebbero una complessiva ridefinizione delle cornici sanzionatorie dei reati previsti dai plessi normativi interessati al ‘raddoppio'». Le tecniche redazionali adoperate negli ultimi decenni (anche) nel comparto penale economico non lasciano tuttavia ben sperare a proposito di una qualche forma di ‘resipiscenza' del legislatore, con l'inevitabile conseguenza di traslare sul giudice (comune o, più spesso, costituzionale) il compito di restituire razionalità al sistema.

Riferimenti
  • Alessandri A., Un esercizio di diritto penale simbolico: la c.d. tutela penale del risparmio, in AA.VV., Studi per Federico Stella, II, Napoli, 2007, 925 ss.;
  • Celani G., I profili di abusiva attività finanziaria (art. 132 TUB) nelle operazioni di prestito sindacato al vaglio della Corte Suprema (nota a Cass. pen., Sez. V, 16 novembre 2018, n. 12777), in Riv. trim. dir. pen. econ., 2019, 777 ss.;
  • Di Martino A., Commento sull'art. 39 l. 28 dicembre 2005 n. 262 – Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari, in Legisl. pen., 2007, 596 s.;
  • Rossi G., La legge sulla tutela del risparmio e il degrado della tecnica legislativa, in Riv. soc., 2006, 1 ss.;
  • Seminara S., Nuovi illeciti penali e amministrativi nella legge sulla tutela del risparmio

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