Chiusura del ballatoio in corrispondenza dell'appartamento di un condomino e pregiudizi agli altri partecipanti

16 Gennaio 2023

L'art. 1122, comma 1, c.c., sia prima che dopo la Riforma della normativa condominiale, è stato comunemente interpretato nel senso che è posto divieto al singolo di compiere opere, nell'appartamento di proprietà esclusiva, che possano danneggiare lo parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune, ossia che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune da parte degli altri condomini o determinino pregiudizievoli invadenze dell'àmbito dei coesistenti diritti degli altri proprietari. Tali principi sono stati “calati”, di recente, dalla Cassazione - puntualizzando, però, i limiti del sindacato da parte dei giudici di legittimità - in una fattispecie che registrava la chiusura del ballatoio, da parte di un condomino, in corrispondenza del suo appartamento, a cui si contrapponevano gli altri partecipanti i quali lamentavano una limitazione nell'accesso alle proprie abitazioni ed una delimitazione di aria e luce.
Massima

L'art. 1122, comma 1, c.c. vieta a ciascun condomino, nell'unità immobiliare di sua proprietà, l'esecuzione di opere che rechino danno alle parti comuni, nel senso che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune da parte degli altri condomini o determinino pregiudizievoli invadenze dell'àmbito dei coesistenti diritti degli altri proprietari; spetta al giudice del merito, sulla base di apprezzamento di fatto sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., verificare se l'opera realizzata su parte di proprietà individuale pregiudichi in modo apprezzabile la fruibilità del ballatoio comune da parte degli altri condomini, avendo riguardo alla destinazione funzionale dello stesso ed alle utilità che possano trarne le restanti unità di proprietà esclusiva.

Il caso

La causa, posta all'esame del Supremo Collegio, aveva ad oggetto una c.d. doppia conforme, nel senso che sia il Tribunale che la Corte d'Appello avevano respinto la domanda, spiegata da alcuni condomini nei confronti di un altro condomino, proprietario di un appartamento sito al piano terra dell'edificio condominiale.

In particolare, gli attori avevano domandato l'accertamento, ai sensi dell'art. 1122 c.c., che gli interventi edificatori posti in essere dal convenuto nella propria unità immobiliare avevano arrecato un danno al ballatoio comune, poiché lo avevano privato della luce e della circolazione di aria di cui il medesimo godeva in precedenza, con conseguente condanna alla riduzione in pristino.

I giudici di merito avevano, invece, rilevato: a) che, all'epoca dell'acquisto delle unità immobiliari da parte dei singoli proprietari, erano ancora in corso i lavori di finitura del ballatoio oggetto di lite, per cui il convenuto aveva il pieno diritto di provvedere alla chiusura e alla delimitazione della propria abitazione per impedire l'accesso a terzi; b) che il costruttore si era riservato negli atti di acquisto la facoltà di modificare le parti comuni; c) che le cantine di proprietà degli attori risultavano chiuse da una porta e godevano di una presa d'aria; d) che rimaneva impregiudicata la facoltà di accesso ai rispettivi vani; e) che non sussisteva la lamentata diminuzione di aria e luce; f) che il corridoio era dotato di illuminazione elettrica; g) che nemmeno deriva danno agli appartamenti degli attori collocati nel vano scale per la chiusura dell'unità immobiliare di proprietà del convenuto sita al piano terreno; h) che, quanto alle unità di proprietà, che pure affacciavano sul ballatoio, esse erano situate vicino al cavedio sormontato da un lucernaio, sicché l'aria e la luce erano limitatamente ridotti per effetto della chiusura dei locali dell'attore.

Gli attori, soccombenti in entrambi i giudizi di merito, proponevano ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se, nel caso di specie, fosse stato violato o meno il disposto dell'art. 1122 c.c. - così come modificato a seguito della l. n. 220/2012 - ossia se le opere poste in essere dal condomino, all'interno dell'unità immobiliare di proprietà esclusiva, avessero provocato “danno alle parti comuni” o avessero determinato “pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio”.

Le soluzioni giuridiche

Le doglianze dei ricorrenti sono state considerate addirittura “inammissibili” dai giudici di Piazza Cavour.

Per un verso, operava la previsione di inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all'art. 348-ter, comma 5, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” e che - come nella specie - risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme).

Invero, dall'esame diretto degli atti, risultava che l'oggetto devoluto alla cognizione del giudice di appello era stata la decisione del Tribunale di ritenere l'ampliamento eseguito dal convenuto non pregiudizievole per la funzionalità del corridoio/disimpegno comune, consistente nel mettere in comunicazione gli ambienti e consentire il passaggio.

Al riguardo, la Corte d'Appello aveva riaffermato le stesse ragioni di fatto, ossia che, nonostante le opere eseguite dal convenuto, al fine di chiudere e delimitare la propria abitazione, rimaneva impregiudicata la facoltà di accesso ai rispettivi vani e non sussisteva la lamentata diminuzione di aria e luce.

Nelle stesse censure dei ricorrenti, del resto, neppure si lamentava l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risultava dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che avesse costituito oggetto di discussione tra le parti e avesse carattere decisivo (ossia che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), bensì si invocava soltanto una diversa e più favorevole valutazione di fatti - segnatamente, l'entità della privazione di luce naturale e della riduzione della circolazione dell'aria - comunque presi in considerazione dai giudici del merito.

Pertanto - ad avviso degli ermellini - il ricorso, invocando un rinnovato esame dello stato dei luoghi e delle risultanze istruttorie, era piuttosto volto a devolvere alla Corte di Cassazione il compito di procedere a nuovi apprezzamenti di fatto.

Nemmeno poteva trovare ingresso la generica allegazione di “travisamento della prova”, cui alludevano le censure dei ricorrenti, poichè, inteso tale “travisamento” come constatazione di un errore di percezione o di ricezione di un elemento istruttorio, esso comunque assume rilievo, ai sensi del vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., quando abbia prodotto l'effetto dell'omesso esame di un fatto decisivo, altrimenti rilevando l'anomalia motivazionale, riguardo ad una determinata informazione probatoria, soltanto se risulti dal testo della sentenza, prescindendo dal confronto con le risultanze processuali (v., per tutte, Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

Per altro verso - sempre secondo il parere dei magistrati del Palazzaccio - la sentenza impugnata aveva deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, e l'esame dei motivi di ricorso non offriva elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità ex art. 360-bis, n. 1), c.p.c.

Invero, il “filtro di ammissibilità” dei ricorsi per cassazione, in forza del citato art. 360-bis, n. 1), c.p.c. induce a ritenere il ricorso (o un suo singolo motivo) inammissibile quando le censure non minano l'interpretazione consolidatasi sulla questione di diritto, in base a valutazione da operarsi comunque al momento della decisione della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. un., 21 marzo 2017, n. 7155); al centro del sistema posto da tale norma, è, dunque, la supposta superfluità di chiamare la medesima Corte di Cassazione a riesaminare una quaestio iuris che essa ha ormai risolto.

Osservazioni

Va, preliminarmente, sottolineato che, nella fattispecie sottoposta allo scrutinio dei giudici di legittimità, doveva applicarsi il disposto dell'art. 1122 c.c. - leggermente modificato dalla Riforma della normativa condominiale - trattandosi di opere eseguite dal condomino all'interno dell'unità immobiliare di sua esclusiva proprietà, e non il disposto dell'art. 1102 c.c., che fa riferimento, invece, alle iniziative del singolo sulle parti comuni (su quest'ultimo versante, v., di recente, Cass. civ., sez. II, 14/3/2022, n. 8177, secondo la quale i limiti posti dall'art. 1102 c.c. all'uso della cosa comune non impediscono al singolo comunista di installare un cancello su un ballatoio comune, al fine di servirsi del bene anche per fini esclusivamente propri e di trarne ogni possibile utilità, purché sia garantita agli altri comunisti l'ordinaria accessibilità ed il godimento comune della res, circostanza che deve essere provata dal partecipante che pretende di usare il bene in modo particolare; Cass. civ., sez. II, 22 novembre 2021, n. 35851, ad avviso della quale i lavori eseguiti su di un muro maestro - scavo di una nicchia, allargamento o apertura di un varco - posto all'interno di un singolo appartamento, al fine di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare, qualora non pongano in pericolo la fondamentale funzione di assicurare la stabilità dell'edificio, non integrano un abuso della cosa comune, suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art. 1102, comma 1, c.c., a condizione che i lavori non compromettano la sicurezza o altre essenziali caratteristiche del muro posto a servizio dell'edificio).

Orbene, il comma 1 dell'art. 1122 c.c. - che qui rileva - attualmente dispone che: “Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino un pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio”.

Rispetto al testo anteriore alla novella del 2012 - in disparte la rubrica dell'articolo, che prima faceva erroneo riferimento alle “opere sulle parti dell'edificio di proprietà comune” - si evidenzia l'abbandono dell'arcaica terminologia riferita al “piano o porzione di piano”, tipica della collocazione affiancata o sovrapposta del condominio verticale, in favore dalla più moderna accezione concernente la “unità immobiliare” di proprietà esclusiva, nell'ottica evolutiva dell'istituto che comprende altre (e più complesse) figure architettoniche, come ad esempio il condominio orizzontale, regolamentato attualmente dall'art. 1117-bis c.c.

Inoltre, il novellato comma 1 dell'art. 1122 c.c. si preoccupa delle opere realizzate dal condomino sia nell'unità immobiliare di sua proprietà, sia anche “nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale”.

Per il resto, la Riforma del 2012 affianca, al concetto di “danno alle parti comuni”, quello di “pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio”, mutuando la stessa espressione contenuta nell'ultimo comma art. 1120 c.c. - sul punto, invariato - come limite invalicabile alla realizzazione delle innovazioni deliberate dall'assemblea.

In quest'ordine di concetti, il giudice distrettuale - in linea, peraltro, con il primo giudice - aveva, quindi, correttamente valutato la non contrarietà delle opere eseguite dal condomino, nell'unità immobiliare di sua proprietà sul ballatoio condominiale, avendo riguardo alla destinazione funzionale del bene comune a dare area e luce alle rispettive proprietà esclusive degli altri condomini, ritenendo legittima la chiusura del pianerottolo in corrispondenza dell'appartamento del primo in rapporto alla rilevanza della concreta diminuzione delle facoltà di godimento ed alle utilità spettanti ai secondi.

Passando in rassegna alcune fattispecie esaminate dalla Corte regolatrice sull'argomento, appare opportuno richiamare Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2011, n. 22428, la quale - precisando che, nell'esame del caso concreto, si presuppone la mancanza di norme limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini - ha osservato che la norma dell'art. 1122 c.c. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare lo parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune (nella specie, si era confermata la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che l'uso dell'area scoperta antistante il fabbricato, destinata a parcheggio, dovesse avvenire in modo da lasciare agli attori lo spazio per le manovre di ingresso e regresso in relazione ai loro magazzini, non assumendo rilievo in contrario il mutamento di destinazione a garage operato dagli stessi attori).

La suddetta precisazione viene ribadita da Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2005, n. 8883, chiarendo che la norma dell'art. 1122 c.c. - la quale, nel vietare a ciascun condomino di eseguire opere sulla sua proprietà esclusiva che rechino danno alle parti comuni, per ciò stesso non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare le parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune - trova applicazione solamente in mancanza di norme regolamentari di natura contrattuale limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale.

In altra fattispecie, Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2007, n. 12491 - sempre sul presupposto che il citato art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nell'unità immobiliare di sua proprietà, quelle opere che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilità conseguibili dalla cosa comune - ha confermato la sentenza di merito, che aveva rigettato la domanda di riduzione in pristino di un balcone di proprietà esclusiva, trasformato da un condomino in veranda, non essendo emersa dall'istruttoria la prova di un'apprezzabile limitazione all'ingresso di luce e aria nel vano scala comune su cui affacciava il suddetto balcone.

Opportune, infine, le puntualizzazioni di Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2005, n. 1076, ad avviso della quale, poiché l'art. 1122 c.c., nel vietare le innovazioni pregiudizievoli alle parti comuni dell'edificio, fa riferimento non soltanto al “danno materiale”, inteso come modificazione esterna o dell'intrinseca natura della cosa comune, ma a tutte le opere che elidono o riducono in modo apprezzabile le “utilità da essa detraibili”, anche se di ordine edonistico o estetico, devono ritenersi vietate tutte quelle modifiche che comportino un peggioramento del decoro architettonico del fabbricato (nella specie, era stato, però, escluso che l'installazione di una controporta a filo del muro di separazione fra l'appartamento del condomino ed il ballatoio avesse un'incidenza apprezzabile sull'armonia complessiva del pianerottolo, cioè sul complesso delle sue linee e delle sue forme).

Riferimenti

Avigliano, Le aperture sui muri perimetrali effettuate dal condomino, in Ventiquattrore avvocato, 2007, fasc. 12, 8;

Murelli - Grassi, Limiti al diritto di proprietà del singolo condomino, in Ventiquattrore avvocato, 2006, fasc. 9, 8;

Celeste, I rapporti di vicinato urbano tra libere esplicazioni del dominio ed insopprimibili esigenze di coabitazione, in Arch. loc. e cond., 2001, 779;

Corona, La disciplina della convivenza (il godimento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva nell'edificio in condominio), in Riv. giur. sarda, 1997, 539;

De Tilla, Opere eseguite dal condomino sulla proprietà esclusiva, in Giust. civ., 1995, I, 2144.

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