L'eterogenesi dei fini della dichiarazione di assenza dell'imputato post Riforma Cartabia

13 Giugno 2023

L'Autore intende occuparsi della possibilità di celebrare il processo in absentia – anche in riferimento al contesto normativo successivo all'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) – nel caso in cui l'Autorità Giudiziaria accerti, nella fase dibattimentale, che l'imputato abbia dichiarato il domicilio e che il difensore d'ufficio abbia depositato la lista testimoniale.
Una discutibile prassi applicativa

Nella quotidiana applicazione delle norme che regolano la celebrazione del processo in assenza dell'imputato, si è sviluppata – in un contesto normativo antecedente all'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia) – una prassi secondo la quale sarebbe possibile, nella fase dibattimentale, dichiarare l'assenza dell'imputato nel caso in cui si accerti che il soggetto sottoposto a processo, assistito da un difensore d'ufficio, abbia dichiarato domicilio e che la difesa abbia depositato tempestivamente la lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p. Tale esegesi interpretativa ritiene, pertanto, la dichiarazione di domicilio ed il deposito della lista testimoniale fatti indicativi della conoscenza del processo da parte dell'imputato, considerandoli fatti sintomatici da cui si presume la conoscenza del procedimento, dalla quale si presume la conoscenza dell'udienza e da quest'ultima la volontaria rinuncia a comparire.

In particolare, viene valorizza la dichiarazione di domicilio effettuata dall'imputato nel corso dell'iterprocedimentale – e, dunque, uno dei fatti sintomatici espressamente indicati dall'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. unitamente all'applicazione di misura cautelare o pre-cautelare, alla nomina di un difensore di fiducia ed alla notifica personale all'imputato dell'avviso dell'udienza – e, dall'altro lato, si ritiene che il deposito della lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p. da parte del difensore d'ufficio possa essere sussunto nella clausola generale contenuta nell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. in forza della quale il processo può essere celebrato in absentia se risulta con certezza che l'imputato è a conoscenza del procedimento.

La questione che tale orientamento pone riguarda la possibilità di dichiarare l'imputato assente nel caso in cui vi sia una dichiarazione di domicilio e sia stata deposita la lista testimoniale da parte del difensore d'ufficio. In altri termini, ci si chiede se la dichiarazione di domicilio e il deposito della lista testimoniale possono essere considerati fatti sintomatici ai sensi e per gli effetti di quanto dispone l'art. 420-bis, comma 2, c.p.p.

La dichiarazione di domicilio e la sua sintomaticità

La prassi applicativa appena descritta appare criticabile sotto diversi punti di vista.

Innanzitutto, si discosta dal più attento insegnamento dottrinale e giurisprudenziale laddove afferma che la mera dichiarazione di domicilio effettuata presso il difensore d'ufficio possa essere considerata come un elemento sintomatico di conoscenza dell'iter processuale sul quale fondare la prosecuzione del processo in absentia.

Infatti, le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione (Cass. pen., sez. un., 17 agosto 2020, n. 23948, Darwish Mhamed Ismail) hanno precisato, valorizzando il portato dottrinale ed un minoritario orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. pen., sez. II, 24 gennaio 2017, n. 9441, Seli; Cass. pen., sez. I, 2 marzo 2017, n. 16416, Somai; Cass. pen., sez. V, 6 maggio 2015, n. 37555, Romano e altri; Cass. pen., sez. II, 15 aprile 2015, n. 21393, N.; Cass. pen., sez. IV, 5 aprile 2013, n. 19781, Nikolic e altro e Cass. pen., sez. IV, 18 luglio 2013, n. 991, Auci), che i fatti sintomatici indicati dall'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. non possono essere interpretati come presunzioni, salvo voler, da un lato, far regredire l'ordinamento processuale ad un modello precedente all'introduzione del codice di procedura penale del 1988 e, dall'altro lato, porsi in netto contrasto con la ratio della legge 28 aprile 2014, n. 67 che intendeva «superare definitivamente il sistema del processo in contumacia e della estrema valorizzazione del sistema legale delle notifiche» (cfr. Cass. pen., sez. un., 17 agosto 2020, n. 23948). Da ciò deriva che il processo in absentia può essere celebrato solo se, all'esito di una valutazione fattuale operata dall'Autorità Giudiziaria procedente, la dichiarazione di domicilio – così come l'elezione di domicilio, l'applicazione di misure pre-cautelari e cautelari, la nomina di un difensore di fiducia e la ricezione personale della notifica dell'avviso dell'udienza da parte dell'imputato – si sia effettivamente ed in concreto tradotta in un momento conoscitivo per il soggetto sottoposto a processo. Solo in questo modo, infatti, è possibile configurare un iter procedimentale fondato sull'effettiva conoscenza grazie alla necessità di accertare in concreto la consapevolezza dell'imputato in relazione alla vicenda penale che lo vede coinvolto.

Tuttavia, il traguardo interpretativo raggiunto dalle Sezioni Unite non viene condiviso dall'esegesi interpretativa in commento dato che – allineandosi all'orientamento giurisprudenziale che, prima dell'intervento delle Sezioni Unite, risultava essere maggioritario (cfr. Cass. pen., sez. V, 13 luglio 2017, n. 40848, Fanici e altro; Cass. pen., sez. V, 7 luglio 2016, n. 36855, Baron; Cass. pen., sez. II, 1 agosto 2016, n. 33574, Suso; Cass. pen., sez. I, 4 luglio 2018, n. 34436, Tusha; Cass. pen., sez. I, 18 settembre 2018, n. 57899, Darwish; Cass. pen., sez. IV, 16 ottobre 2018, n. 49916, F.; Cass. pen., sez. IV, 7 maggio 2019, n. 32065, Bianchi e Cass. pen., sez. II, 10 settembre 2019, n. 39158, Hafid Aiumin) – ritiene che dalla mera sussistenza di una dichiarazione di domicilio presso il difensore d'ufficio si possa presumere, a prescindere dal dato cronologico e contenutistico in cui è avvenuta, la piena conoscenza del processo e la consapevolezza della scelta partecipativa dell'imputato.

Da ciò deriva la critica: il Giudice non deve appiattire l'accertamento relativo alla presenza dell'imputato sull'esistenza della dichiarazione di domicilio, ma dovrebbe verificare se, nel caso concreto, tale dichiarazione sia caratterizzata da una effettiva potenzialità conoscitiva, anche considerando il tempus ed il modus in cui la dichiarazione di domicilio è stata resa dall'imputato.

Inoltre, si deve anche considerare il rapporto esistente tra l'imputato ed il difensore d'ufficio: solo nel caso in cui vi sia un effettivo e serio rapporto professionale tra il difensore ed il soggetto coinvolto nell'iter procedimentale potrà essere celebrato il processo in absentia. In mancanza di una verifica dell'esistenza e di una analisi del rapporto professionale tra il difensore e l'imputato, la dichiarazione di assenza non può considerarsi pienamente legittima posto che la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all'articolo 420-bisc.p.p., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale con il legale domiciliatario, tale da fargli ritenere con certezza che il soggetto coinvolto nell'iter procedimentale abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (cfr. Cass. pen., Sez. un., 17 agosto 2020, n. 23948).

Il deposito della lista testimoniale tra conoscenza ed esercizio del diritto di difesa

La prassi applicativa che si sta esaminando risulta criticabile anche laddove considera quale atto indicativo della conoscenza dell'iter procedimentale il deposito della lista testimoniale da parte del difensore d'ufficio.

Apparentemente i sostenitori di tale interpretazione compiono un'operazione esegetica corretta: ritengono che il deposito della lista testimoniale sia un atto processuale sussumibile nella clausola aperta di cui all'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. in forza della quale il processo può essere celebrato in absentia se risulta con certezza che l'imputato è a conoscenza del procedimento. Da ciò deriva che la lista testimoniale possa essere considerata un atto da cui è possibile desumere la conoscenza del processo.

Nonostante il ragionamento formalmente corretto, il risultato raggiunto appare dissonante rispetto alla ratio della norma: l'introduzione di una clausola generale nell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. dovrebbe consentire all'Autorità Giudiziaria procedente, a fronte della condotta dell'imputato, di verificare, caso per caso, il reale grado di conoscenza che deriva dal compimento di un determinato atto. La finalità selettiva del dettato normativo risulta evidente nella misura in cui l'obiettivo è quello di individuare – e valorizzare ai fini della dichiarazione di assenza – solo quelle condotte che siano in grado di fornire al protagonista dell'iter processuale una conoscenza del procedimento celebrato a suo carico. In altre parole, non ogni condotta processuale potrà essere valorizzata e posta alla base della dichiarazione di assenza dell'imputato.

Individuata la ratio e la portata della clausola generale contenuta nell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., occorre considerare che spesso nei provvedimenti giudiziari che si allineano all'interpretazione in commento non si chiarisce quali siano le ragioni in forza delle quali il deposito della lista testi da parte del difensore d'ufficio – rispetto al quale non appare provata l'esistenza di un effettivo rapporto professionale – possa essere idonea a fondare la conoscenza del processo da parte dell'imputato e, conseguentemente, la scelta di proseguire il processo in assenza dell'imputato. Pertanto, l'iter argomentativo appare carente e la dichiarazione di assenza fondata su un richiamo ad una conoscenza del processo che non viene spiegata, neppure in via presuntiva.

Si deve, altresì, considerare che il riferimento alla lista testimoniale di cui all'art. 468 c.p.p. quale indice sintomatico di conoscenza risulta fuorviante nella misura in cui induce a sovrapporre piani contigui ma differenti: l'esercizio del diritto di difesa ed il diritto partecipativo dell'imputato.

Infatti, il diritto a difendersi, da sé o con l'assistenza di un difensore, di interrogare o di fare interrogare i testimoni (cfr. art. 6, §§ 1 e 3, C.E.D.U.) – di cui l'art. 468 c.p.p. risulta essere espressione – ed il diritto alla presenza dell'imputato sono aspetti connessi e congiunti tanto che, secondo la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo e la più attenta dottrina, la partecipazione dell'imputato appare un elemento implicito dell'equo processo in cui trova piena cittadinanza il diritto di difesa, ma, ciononostante, devono essere aspetti che non possono essere né confusi né sovrapposti.

La verifica in punto di scelta partecipativa dell'imputato non può essere ridotta alla verifica dell'esercizio di una facoltà difensiva, come il deposito della lista testimoniale, considerando, da un lato, che tale condotta può essere realizzata unicamente dal difensore sulla base degli atti di indagine, senza la necessaria collaborazione da parte dell'imputato e, dall'altro lato, che il deposito della lista testimoniale non appare, di per sé, sintomatico dell'esistenza di un effettivo rapporto tra l'imputato ed il proprio difensore.

Inoltre, in tali ipotesi, si dovrebbe dimostrare l'effettività del rapporto difensore-assistito e considerare che il difensore d'ufficio, spesso, si limita a predisporre la lista testimoniale ed a depositarla al solo fine di garantire la difesa tecnica dell'imputato, compiendo tempestivamente un atto che, decorso il termine di cui all'art. 468, comma 1, c.p.p., diventerebbe inammissibile, con ulteriore detrimento per la posizione processuale dell'imputato. L'esercizio di una prerogativa difensiva non equivale alla prova della conoscenza del processo: il difensore potrà depositare la lista testi e compiere ogni utile attività difensiva anche nei casi in cui l'imputato non abbia la benchè minima notizia o conoscenza dell'iter procedimentale. Dunque, la diligenza – e la professionalità – del difensore non può essere equiparata, sovrapposta e confusa con la conoscenza del processo da parte dell'imputato.

In conclusione ed in prospettiva

In conclusione, appare corretto ritenere che non sia possibile dichiarare l'imputato assente nel caso in cui vi sia una dichiarazione di domicilio e sia stata deposita la lista testimoniale da parte del difensore d'ufficio.

Siffatta conclusione – così come le riflessioni svolte supra – risultano essere ancora di attualità nonostante la disciplina del processo in absentia sia stata integralmente ridisegnata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia).

Infatti, il novellato art. 420-bis, comma 2, c.p.p. prevede che il processo possa proseguire in absentia laddove il giudice ritenga provato che l'imputato abbia effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all'udienza sia dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. L'Autorità Giudiziaria, liberata dal sistema triplicemente presuntivo introdotto dalla legge 28 aprile 2014, n. 67, sarà chiamata a valutare se le condotte poste in essere dall'imputato si siano effettivamente ed in concreto tradotte in un momento conoscitivo per il soggetto sottoposto a processo.

Pertanto, le osservazioni critiche mosse all'orientamento interpretativo in commento potranno essere utilmente applicate anche nel contesto normativo post riforma Cartabia in cui l'Autorità Giudiziaria non potrà più trincerarsi dietro a fatti sintomatici e schemi conoscitivi presuntivi, ma dovrà in concreto verificare e giustificare la ragione per cui una determinata condotta processuale possa rappresentare un momento conoscitivo. Ne consegue che i moniti all'attenzione al caso concreto ed alla distinzione tra esercizio del diritto di difesa e diritto partecipativo dell'imputato dovranno essere tenuti a mente dall'interprete al fine di evitare che le prassi giurisprudenziali possano nuovamente fondare il processo in absentia su indici presuntivi, limitandosi a considerare sussistente la conoscenza del processo in maniera del tutto apodittica e svincolata dall'analisi del caso concreto, con la conseguente reintroduzione di un sistema presuntivo che proprio il d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 ha voluto superare.

Di conseguenza, possiamo affermare che, nel contesto normativo successivo all'entrata in vigore della riforma Cartabia, la dichiarazione di domicilio ed il deposito della lista testimoniale potranno essere posti a fondamento di una dichiarazione di assenza solo se sia stato accertato in concreto – e, conseguentemente, motivato puntualmente nell'ordinanza dichiarativa dell'assenza dell'imputato – che tali condotte processuali dimostrino l'effettiva conoscenza della pendenza del processo.

Riferimenti
  • Bonetto, sub art. 468c.p.p., in AA.VV., Commento al codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, vol. IV, Torino, 1990, 43 ss.;
  • A. Conti, Il processo all'imputato assente, Roma, 2019;
  • A. Conti, L'elezione di domicilio e l'interpretazione ancipite delle Sezioni Unite, in Giur. it., 2021, 436 ss.;
  • A. Conti, L'imputato assente alla luce della riforma Cartabia Note a prima lettura del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in Arch. pen., 2023, f. 1 web, 1 ss.;
  • D'Andria, sub art. 468c.p.p., in AA.VV., Codice di procedura penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, a cura di Lattanzi e Lupo, Milano, 2017, 8 ss.;
  • Mangiaracina, Imputato “assente” e indici di conoscenza del processo: una lettura virtuosa della Suprema Corte, in Proc. pen. giust., 2021, f. 2, 355 ss.;
  • Mangiaracina, Imputato “assente” e indici di conoscenza del processo: una lettura virtuosa della Suprema Corte, in Proc. pen. giust., 2021, f. 2, 355 ss.;
  • Tonini, C. Conti, Il tramonto della contumacia, l'alba radiosa della sospensione e le nubi dell'assenza “consapevole”, in Dir. pen. proc., 2014, 509 ss.;
  • Varone, A proposito dell'elezione di domicilio presso il difensore d'ufficio e del processo in absentia: le sezioni unite della cassazione difendono il diritto dell'imputato alla conoscenza della vocatio in iudicium, in Cass. pen., 2021, 129 ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario