Assegno di mantenimento: il padre deve continuare a mantenere la figlia 27enne, fuoricorso e disoccupata?

Redazione Scientifica
14 Giugno 2023

La Cassazione ripercorre i principi giurisprudenziali affermati in tema di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, accogliendo il ricorso del padre. Sarà ora la Corte d'Appello a rivalutare la situazione nel caso concreto.

Il Tribunale di Vibo Valentia veniva adito per la modifica dell'assegno di mantenimento a favore della figlia, ormai ventisettenne, inizialmente fissato a 1200 euro mensili in sede di divorzio. Il padre adduceva a motivazione della propria richiesta l'inerzia della ragazza nel completamento degli studi universitari e nella ricerca di un'occupazione. Il Tribunale accoglieva la domanda riducendo della metà l'assegno. La decisione veniva però ribaltata in sede di appello dove venivano valorizzate le condizioni della figlia, che soffriva di una sindrome depressiva da quando aveva 18 anni, condizione che influenzava il suo rendimento. Tale pronuncia è stata impugnata dal padre soccombente in sede di Cassazione.

Il Collegio precisa in primo luogo che nell'attuale contesto normativo sussistono modalità diverse per l'adempimento del dovere di mantenimento dei figli, a seconda che esso riguardi figli minorenni (art. 337-ter c.c.) o maggiorenni ma non indipendenti economicamente (art. 337-septies c.c.), fattispecie che ricorre nella vicenda in esame. Nella lettura della norma, viene evidenziato l'uso del verbo “può” rispetto alla disposizione dell'assegno periodico da parte del giudice di merito, rimettendo così al suo giudizio discrezionale il riconoscimento del mantenimento.

Ciò posto, la giurisprudenza di legittimità, nel suo ruolo di nomofilachia, «ha già operato un'interpretazione del sistema normativo che pone una stretta e necessaria correlazione tra diritto-dovere all'istruzione ed all'educazione e diritto al mantenimento: sussiste il diritto del figlio all'interno e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, "tenendo conto" (e, a norma dei novellati art. 147 c.c. e art. 315-bis, comma 1, c.c., "nel rispetto...") delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, come è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione. Dunque, si è concluso che "la funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell'obbligo di mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società" (cfr. Cass. n. 18076/2014 e Cass. n. 12952/2016 […]). Inoltre, è stato ormai chiarito che il progetto educativo ed il percorso di formazione prescelto dal figlio, se deve essere rispettoso delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, deve tuttavia essere "compatibile con le condizioni economiche dei genitori" (cfr. Cass. n. 18076/2014; nello stesso senso, ex multis, n. 10207/2019)».

Inoltre, sottolinea la sentenza, l'evoluzione del diritto vivente, con riguardo alla ritenuta autonomia del figlio «che tiene conto del mutamento dei tempi e sempre più richiama il principio dell'autoresponsabilità: se, un tempo, vi era il riferimento ad una raggiunta "capacità del figlio di provvedere a sé con appropriata collocazione in seno al corpo sociale" (cfr. Cass. n. 2372/1985) ed alla "percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita" (cfr. Cass. n. 1830/2011), in seguito le mutate condizioni del mercato del lavoro e la non infrequente sopravvenuta mancanza di autonomia "di ritorno" - a volte in capo allo stesso genitore - hanno ormai indotto a ritenere che l'avanzare dell'età abbia notevole rilievo, giacché si discorre, come sopra ricordato, di una "funzione educativa del mantenimento" e del "tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società" (cfr. Cass. n. 18076/2014; Cass. n. 17183/2020)».

Alla luce del principio di autoresponsabilità, risulta dunque esigibile «l'utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, in attesa dell'auspicato reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni; non potendo egli, di converso, pretendere che a qualsiasi lavoro sia adatti soltanto, in vece sua, il genitore» (v. Cass. n. 17183/2020). Da ciò discende che l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. E' il figlio che deve provare non solo la «mancanza di indipendenza economica, ma di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca di un lavoro».

Tornando al caso di specie, la pronuncia impugnata non risulta aderente ai principi richiamati dalla S.C. Non è infatti sufficiente la patologia depressiva sottolineata dai giudici d'appello per giustificare un siffatto atteggiamento inerziale.

Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio alla Corte d'appello per un nuovo esame della questione.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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