Archiviazione per particolare tenuità del fatto: a fronte di richiesta difforme del P.M., il G.i.p. è tenuto a restituire gli atti

Vittoria Marzucco
14 Giugno 2023

Il G.i.p., il quale non condivida la richiesta di archiviazione del pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato, non può pronunciarsi con provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, neanche dopo aver sentito le parti e aver acquisito in udienza camerale la mancata opposizione dell'indagato, ma deve restituire gli atti invitando il P.M. a considerare la possibilità di richiederne il proscioglimento per particolare tenuità del fatto, con le forme indicate nell'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., consentendo così a tutti i soggetti processuali di dispiegare ritualmente il contraddittorio su questa diversa formula di archiviazione.

Il giudizio di legittimità costituzionale oggetto della presente pronuncia riguarda il combinato disposto dell'art. 409, commi 4 e 5, c.p.p., con l'art. 411, commi 1 e 1-bis, c.p.p. nella parte in cui non consentono al giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuità del fatto, previa fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell'indagato. Difatti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto, pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma 1, c.p.p., sarebbe nullo se emesso in assenza della richiesta in tal senso del pubblico ministero e dell'avviso all'indagato e alla persona offesa, non essendo le disposizioni generali contenute negli artt. 408 e ss. c.p.p. idonee a garantire il contraddittorio dell'indagato e della persona offesa sulla configurabilità della causa di non punibilità.

Censure del rimettente e parametri costituzionali violati. La disciplina censurata, come interpretata dal diritto vivente, presenterebbe profili di irragionevolezza intrinseca, con conseguente violazione dell'art. 3 Cost.

L'impossibilità per il G.i.p. di procedere all'archiviazione per particolare tenuità del fatto, allorché né l'imputato, né la persona offesa abbiano esposto ragioni di dissenso a tale esito nel corso dell'udienza camerale, costituirebbe un automatismo che costringe il giudice per le indagini preliminari a procedere ad un'imputazione coatta, del tutto dissonante rispetto alle esigenze processuali poste a base dell'istituto.

Le norme censurate, inoltre, produrrebbero altresì irragionevoli disparità di trattamento rispetto alle ipotesi in cui, nelle successive fasi processuali, la pronuncia ex art. 131-bis c.p. può essere adottata previa audizione delle parti in camera di consiglio (in sede predibattimentale, ai sensi dell'art. 469, comma 1-bis, c.p.p.) e addirittura d'ufficio, senza necessità di richiesta conforme da parte del pubblico ministero.

La disciplina censurata si porrebbe, poi, in contrasto con il canone di ragionevole durata del processo, tutelato tanto dall'art. 111, comma 2, Cost., quanto dall'art. 6 CEDU e dall'art. 47 CDFUE.

Nel caso di specie, il G.i.p. non potrebbe disporre l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, benché l'indagato non si sia opposto a tale decisione e la persona offesa sia stata sentita, e dovrebbe ordinare l'imputazione coatta imponendo, di fatto, il processo.

A tale situazione il rimettente non potrebbe, a suo parere, porre rimedio restituendo gli atti al pubblico ministero e invitandolo a reiterare la richiesta di archiviazione nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis, c.p.p.

Un simile iter procedimentale si sostanzierebbe in una irragionevole protrazione del procedimento a carico dell'indagato, in violazione dell'art. 111, comma 2, Cost.; e non escluderebbe il rischio che, a seguito della restituzione degli atti, il pubblico ministero si determini in senso diverso da quanto suggerito dal G.i.p., reiterando la richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato.

Il quadro normativo e giurisprudenziale sull'archiviazione ex art. 131-bis c.p.Nel testo previgente, l'art. 408 c.p.p. prevedeva in via generale che il pubblico ministero richiedesse l'archiviazione al G.i.p. quando ritenesse infondata la notizia di reato. In seguito alle modifiche apportate dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, il pubblico ministero è oggi tenuto a chiedere l'archiviazione quando gli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna o di applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca.

Ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., il pubblico ministero che ritenga il fatto di reato sussistente, ma meritevole della causa di non punibilità in parola, presenta al GIP richiesta di archiviazione dandone avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, avvertendole della possibilità di presentare opposizione avverso tale richiesta.

La legge non disciplina espressamente l'ipotesi in cui pubblico ministero ritenga che la notizia di reato vada archiviata per infondatezza (ovvero, oggi, sull'impossibilità di formulare una ragionevole previsione di condanna), mentre il GIP ritenga che un reato sia stato bensì commesso, ma sia di particolare tenuità e per tale ragione risulti non punibile in forza dell'art. 131-bis c.p.

La Corte di Cassazione ha escluso, in proposito, che debba ritenersi abnorme il provvedimento con cui il G.i.p., investito di una richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., abbia invece disposto l'archiviazione per infondatezza della notitia criminis, e in particolare per non essere il fatto previsto dalla legge come reato.

Nel caso opposto in cui il pubblico ministero abbia richiesto l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato, la giurisprudenza di legittimità appare invece compatta nel non riconoscere al GIP la possibilità di accogliere la richiesta sotto il diverso profilo della particolare tenuità del fatto di reato, comunque ritenuto sussistente; dovendo anzi un tale provvedimento ritenersi nullo, anche a seguito dell'invito del giudice alle parti, formulato in udienza camerale, a valutare la possibilità di una archiviazione ex art. 131-bis c.p.

In questi casi, dovrà dunque seguirsi lo schema procedimentale ordinario, secondo il quale il GIP dovrà restituire gli atti al pubblico ministero ai sensi dei commi 4 e 5 dell'art. 409 c.p.p., affinché compia nuove indagini, formuli l'imputazione, ovvero valuti la possibilità di richiedere egli stesso l'archiviazione per particolare tenuità del fatto con le modalità previste dall'art. 411, comma 1-bis, c.p.p.

La decisione della Consulta: infondatezza delle censure. Alla luce di tali considerazioni, la Corte costituzionale ritiene le censure non fondate.

In primo luogo, con riguardo alla asserita violazione del principio della ragionevole durata del processo, questa potrà essere ravvisata soltanto allorché l'effetto di dilatazione dei tempi processuali determinato da una specifica disciplina non sia sorretto da alcuna logica esigenza, e si riveli invece privo di qualsiasi legittima ratio.

Non rientra in questo caso, invece, l'ipotesi di restituzione degli atti al pubblico ministero, allorché la possibile archiviazione per particolare tenuità del fatto sia stata prospettata alle parti all'udienza camerale e la persona sottoposta alle indagini non si sia opposta a tale esito.

L'art. 411, comma 1-bis, c.p.p., difatti, prescrive uno specifico meccanismo procedurale per il proscioglimento per particolare tenuità del fatto in sede di indagini preliminari, prevedendo, da un lato, l'iniziativa del pubblico ministero, al quale spetta la prima valutazione dei presupposti della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p.; e, dall'altro, la notifica preventiva di un avviso scritto alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, mediante il quale esse sono invitate a manifestare la propria eventuale opposizione nei successivi dieci giorni.

Questo schema legislativo, funzionale al pieno esercizio del diritto di difesa di entrambi i soggetti processuali coinvolti, verrebbe sensibilmente alterato ove si consentisse al GIP di disporre direttamente l'archiviazione per particolare tenuità del fatto, in difformità dalla richiesta del pubblico ministero e in esito all'udienza camerale, senza che sia stata previamente notificata alle parti la possibilità di una formula di archiviazione diversa da quella prospettata dal pubblico ministero, e sulla base soltanto di un contraddittorio sollecitato per la prima volta durante l'udienza.

Una pronuncia di non punibilità ex art. 131-bis c.p., in qualunque fase procedimentale o processuale, presuppone logicamente la valutazione che un reato, completo di tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stato commesso dalla persona sottoposta a indagini o dall'imputato. L'intero sistema processuale vigente non consente, però, che tale valutazione sia compiuta ex officio dal giudice: è, invece, al pubblico ministero, e a lui soltanto, che spetta apprezzare in prima battuta se un reato sia stato commesso, e in caso affermativo esercitare l'azione penale, di cui egli ha il monopolio, sia pure sotto il controllo del giudice.

Di talché, laddove il pubblico ministero abbia invece richiesto l'archiviazione ai sensi dell'art. 408 c.p.p., ritenendo insussistente o comunque non sufficientemente provato il fatto di reato, è del tutto coerente con il sistema disegnato dal legislatore la soluzione interpretativa, cui è pervenuta la Corte di cassazione, di non consentire al G.i.p. di surrogarsi al pubblico ministero e di apprezzare direttamente l'avvenuta commissione del fatto medesimo, anche soltanto al fine di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

È altresì da escludere che il combinato disposto dell'art. 409 commi 4 e 5 e dell'art. 411, comma 1 e 1-bis, c.p.p. dia luogo ad una irragionevole disparità di trattamento rispetto all'ipotesi in cui il riconoscimento della non punibilità per particolare tenuità del fatto può avvenire previa audizione delle parti in camera di consiglio (in sede predibattimentale) e addirittura d'ufficio (nel giudizio di cassazione, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità).

I paragoni evocati, difatti, non risultano omogenei rispetto al capo in esame, dal momento che il pubblico ministero ha, in tutti quei casi, esercitato l'azione penale,

avendo ritenuto sussistente il reato: ciò che, invece, non accade nell'ipotesi de qua, in cui il rimettente vorrebbe che il G.i.p. si sostituisse al pubblico ministero nella sostanziale contestazione di un fatto di reato, sia pure al solo fine di dichiararlo non punibile ai sensi dell'art. 131-bis c.p.

Pertanto il G.i.p., il quale non condivida la richiesta di archiviazione del pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato, non è affatto tenuto a disporre la celebrazione del processo a carico della persona sottoposta alle indagini (o meglio, a disporre che il pubblico ministero formuli l'imputazione), ma ben può restituire gli atti invitando il pubblico ministero a considerare, altresì, la possibilità di richiederne il proscioglimento per particolare tenuità del fatto, con le forme indicate nell'art. 411, comma 1-bis, c.p.p.; consentendo così a tutti i soggetti processuali di dispiegare ritualmente il contraddittorio su questa diversa formula di archiviazione.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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