La “sorte” del bene in comunione legale tra i coniugi in mancanza dei presupposti per la sua assegnazione nel giudizio di separazione

26 Giugno 2023

Qual è la disciplina cui è assoggettata la casa coniugale acquistata dai coniugi in regime di comunione legale dei beni che, nel successivo giudizio di separazione personale, non sia stata oggetto di assegnazione?
Massima

Al comproprietario dell'immobile acquisito dai coniugi in regime di comunione legale dei beni, va riconosciuta l'indennità di occupazione del bene qualora, pur in mancanza di assegnazione dello stesso nel giudizio di separazione personale, vi sia stato godimento esclusivo da parte di uno solo di essi. Il tutto a decorrere dalla richiesta di uso alternato dell'immobile o di ottenere la quota parte dei frutti non goduti formulata dal comproprietario escluso.

Il caso

Con atto di citazione ritualmente notificato veniva introitato innanzi al Tribunale di Milano apposito giudizio volto al riconoscimento in favore dell'attrice di un importo mensile, non inferiore ad € 250,00, da porre a carico del convenuto a titolo di indennità di occupazione dell'immobile acquisito dalle parti in regime di comunione legale dei beni ed utilizzato in via esclusiva da quest'ultimo, pur in mancanza di sua assegnazione nell'ambito del giudizio di separazione personale dei coniugi.

La richiesta formulata dall'attrice veniva accolta sia in primo che in secondo grado, con quantificazione dell'importo dovuto in favore dell'attrice a decorrere dall'emanazione della pronuncia di separazione personale dei coniugi e fino alla data di scioglimento della comunione dei beni.

A fondamento della decisione assunta i giudici di merito ponevano innanzitutto le risultanze acquisite agli atti del processo, in virtù delle quali il bene risultava per tabulas di proprietà di entrambi i coniugi poiché a questi intestato e acquistato in costanza di matrimonio, a cui si contrapponeva la mancanza di idonea prova volta a contestarne formalmente la contitolarità.

In relazione all'aspetto da ultimo citato, il Tribunale di Milano perveniva al rigetto della domanda riconvenzionale formulata dal convenuto volta a sottrarre il bene oggetto di causa dal regime della comunione legale dei beni poiché – a suo dire - frutto di una donazione indiretta da parte dei propri genitori che avrebbero fornito i proventi necessari all'acquisto, per la mancanza di idonea prova sul punto.

La pronuncia resa dalla Corte territoriale veniva impugnata dinanzi la Suprema Corte con un unico motivo di gravame volto a far emergere l'erroneità delle statuizioni ivi contenute, nella parte in cui era stato riconosciuto il diritto dell'attrice a percepire il risarcimento del danno alla stessa cagionato per il mancato godimento dell'immobile nonostante l'attrice non avesse mai manifestato il suo dissenso all'uso del bene da parte dell'ex marito e, comunque, in relazione alla erronea quantificazione della relativa indennità di occupazione.

La Corte di legittimità ha ritenuto in parte fondati i rilievi addotti dal ricorrente, disponendo la rimessione della controversia alla Corte di Appello di Milano affinchè, in diversa composizione, provveda alla decisione della controversia attenendosi al principio di diritto espresso nella pronuncia in esame e alla regolamentazione delle spese di lite.

La questione

Qual è la disciplina cui è assoggettata la casa coniugale acquistata dai coniugi in regime di comunione legale dei beni che, nel successivo giudizio di separazione personale, non sia stata oggetto di assegnazione?

Le soluzioni giuridiche

La vicenda sottoposta all'esame della Suprema Corte ha quale punto nevralgico la verifica delle “sortidell'immobile acquisito in regime di comunione legale tra i coniugi nel diverso rapporto assunto dalle parti a seguito della separazione personale per il caso in cui non si sia proceduto alla sua assegnazione.

In particolare, con il proposto ricorso per Cassazione l'exmarito ha contestato la decisione assunta dai giudici di merito nella parte in cui è stata riconosciuta l'indennità di occupazione in favore della comproprietaria pur in mancanza di un espresso dissenso da parte di quest'ultima all'utilizzo dell'immobile oggetto di contenzioso e per aver, in ogni caso, erroneamente quantificato le somme a corrispondersi a tale titolo.

Tale motivo di doglianza è stato ritenuto fondato dai giudici di legittimità in considerazione dell'errato percorso logico giuridico seguito dalla Corte di Appello di Milano nella parte in cui ha posto a fondamento della decisione assunta le disposizioni di cui all'art. 1148 c.c. in luogo del diverso impianto normativo derivante dagli artt. 1102 e ss c.c.

A parere della Suprema Corte, infatti, tale riferimento normativo non appare corretto in quanto destinato a disciplinare la diversa fattispecie della sorte dei frutti naturali o civili percepiti dal possessore di buona fede che debba restituire la cosa al rivendicante.

Viceversa, per i giudici di legittimità, la fattispecie oggetto di causa andava inquadrata in applicazione delle previsioni di cui all'art. 1102 c.c. che attribuisce a ciascun partecipante alla comunione il diritto di godere del bene comune in maniera diretta e promiscua, a patto che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri comproprietari l'esercizio del relativo diritto.

Da tale diversa impostazione ne deriva che, qualora – come nel caso di specie – non sia possibile il godimento diretto del bene da parte di tutti i comproprietari, questi – ai sensi degli artt. 1105 e 1108 c.c. – potranno deliberarne l'uso in via indiretta o mediante avvicendamento con uso turnario, in modo tale da consentire a tutti i comproprietari il godimento individuale ed evitare che, attraverso un uso più intenso da parte di singoli comunisti, venga meno per i restanti la possibilità di godere pienamente del bene (Cass, n. 3521/2021).

In applicazione di tale principio, l'obbligo alla corresponsione dei frutti civili in favore dei partecipanti alla comunione che siano stati esclusi dal godimento del bene potrà aversi solo a seguito del mancato accoglimento della richiesta formulata nei termini innanzi indicati e a decorrere dalla data della stessa e non – come disposto nel caso di specie - in maniera automatica dalla data di pronuncia della separazione personale dei coniugi.

Osservazioni

La pronuncia in esame disciplina un'ipotesi che frequentemente si verifica quale effetto collaterale dei procedimenti di separazione personale dei coniugi.

Come è noto, l'assegnazione della casa familiare ha il fine di tutelare gli interessi della prole coinvolta nella situazione di crisi dei propri genitori, mediante la conservazione del proprio habitat. Non a caso, infatti, la giurisprudenza è assolutamente pacifica nel ritenere che si possa procedere all'assegnazione solamente se vi siano figli conviventi, minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti, in assenza dei quali la ratio protettiva cui è riferito l'art. 337-sexies c.c. non potrà dirsi integrata e, dunque, non vi sarà ragione per una statuizione sul punto. (Cass., n. 25604/2018; Cass. n. 3015/2018).

Ebbene, nel caso in cui per le motivazioni innanzi esposte, la casa coniugale non sia oggetto di assegnazione in favore di una delle parti per l'insussistenza dei presupposti per pervenire a tale statuizione e l'immobile sia stato acquistato in regime di comunione dei beni, lo stesso sarà assoggettato alla disciplina della comunione legale.

Ciò, tuttavia, pone il problema – non di poco conto – relativo al godimento del bene stesso, dovendo escludersi il simultaneo utilizzo da parte dei comproprietari.

La pronuncia in esame è volta per l'appunto a dirimere i contrasti ingenerati da tale situazione nel periodo intercorrente tra la separazione dei coniugi e le opportune iniziative ad assumersi ai fini di pervenire allo scioglimento della comunione esistente sul bene, la cui disciplina – secondo i giudici di legittimità - andrà valutata in applicazione delle previsioni di cui all'art. 1102 c.c.

Ne consegue che presupposto imprescindibile ai fini di poter ottenere il ristoro dei danni subiti per l'ipotesi di mancato o ridotto godimento del bene, a fronte di un uso più intenso da parte dell'altro comproprietario, è la sussistenza di un comportamento attivo da parte di colui che ritiene di essere leso nei suoi diritti, al fine di ristabilirne il corretto utilizzo, e – in mancanza – a richiedere la corresponsione dei frutti non goduti.

In altri termini, nelle ipotesi innanzi citate deve escludersi che vi possa essere alcuna automaticità nel riconoscimento di un indennizzo per il mancato godimento del bene, essendo – invece – necessario un comportamento attivo da parte del comunionista leso volto a concordare specifiche modalità per il godimento del bene o a richiederne il riconoscimento dei frutti.

Il tutto, fermo restando – tuttavia – che nel caso in cui dette richieste siano rimaste inevase e vi sia stata un'effettiva lesione da parte di uno dei comproprietari nel godimento dell'immobile, il diritto al risarcimento del danno è da intendersi in re ipsa, discendendo dalla perdita di disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dall'impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile, la cui liquidazione ben potrà avvenire in applicazione del valore locativo dell'immobile in base ai prezzi di mercato correnti.

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