Il condomino non ha interesse ad impugnare una delibera inesistente e il condominio resistente non può considerarsi “soccombente”

26 Giugno 2023

Affinché vi sia una valida delibera assembleare, occorre che la manifestazione di volontà dei condomini sia stata adottata nella riunione convocata con l'osservanza delle formalità prescritte nonché con il rispetto del metodo collegiale e del principio maggioritario; laddove tali requisiti manchino si registra una delibera - non tanto nulla o annullabile, quanto piuttosto - inesistente, a fronte della quale il condomino, secondo la sentenza in commento, difetterebbe addirittura di un interesse ad impugnarla.
Massima

La delibera assembleare è inesistente quando manchi un elemento costitutivo della fattispecie del procedimento collegiale, sicché non può individuarsi strutturalmente l'espressione di una volontà riferibile alla maggioranza avente portata organizzativa; in tal caso, i condomini non hanno alcun interesse ad impugnarla, non generando la stessa alcun pregiudizio ai loro diritti tale da legittimarne la pretesa ad un diverso contenuto della decisione; l'accertamento dell'inesistenza della delibera assembleare impugnata da un condomino non può, pertanto, determinare la soccombenza del condominio, che pure abbia contestato le ragioni di invalidità della stessa, dovendo restare soccombente pur sempre la parte che abbia azionato una pretesa accertata come infondata o resistito ad una pretesa fondata.

Il caso

Il giudizio, giunto all'esame della Suprema Corte, aveva ad oggetto l'impugnazione ex art. 1137 c.c. proposta da un condomino avverso due deliberazioni approvate dall'assemblea del Condominio: segnatamente, la prima delibera era stata impugnata per aver introdotto nuovi criteri di ripartizione delle spese, e la seconda per aver approvato nuove tabelle millesimali, entrambe senza la necessaria unanimità.

L'adìto Tribunale aveva dichiarato la nullità della prima delibera ed aveva rigettato la domanda relativa alla seconda delibera.

Il Condominio, interponendo gravame, chiedeva di riformare in parte la sentenza di primo grado e di revocare la dichiarazione di nullità della prima delibera, rigettando integralmente tutti i motivi di impugnazione avanzati in primo grado dal condomino.

La Corte d'Appello spiegava in motivazione, quanto ai motivi di gravame afferenti alla prima delibera, che la stessa era da ritenersi “inesistente e non nulla”, atteso che, affinché una delibera possa ritenersi affetta da un vizio di nullità - nel caso di specie, per mancanza dei suoi elementi essenziali - è pur sempre necessario che la stessa sia identificabile e qualificabile come atto giuridico, oppure come espressione sia pur viziata della volontà dei condomini riuniti in assemblea, laddove, invece, nel caso in esame, risultava dal verbale che “non vi è stata alcuna manifestazione di volontà da parte dei condomini” a proposito della ripartizione delle spese.

L'appello del Condominio veniva, tuttavia, rigettato, in quanto lo stesso, nelle sue conclusioni, aveva chiesto che venisse “revocata la dichiarazione di nullità resa dal primo giudice”, il che avrebbe avuto “l'effetto di far rivivere un'ipotetica delibera assembleare di contenuto inesistente e come tale inidonea a produrre qualunque effetto giuridico”.

Detto altrimenti, secondo il giudice distrettuale, “la domanda che il Condominio formulava con l'atto di appello, per poter essere accolta, presupponeva l'esistenza di una delibera che potesse essere emendata dal vizio di nullità”, mentre - come già affermato - sui criteri di riparto l'assemblea non si era proprio pronunciata ed il Condominio non aveva “chiesto una declaratoria di inesistenza”.

Il Condominio soccombente proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

La questione

Si trattava di verificare se - come sostenuto dal ricorrente - sussistesse la nullità della sentenza gravata per insanabile contrasto fra dispositivo e motivazione e, comunque, per evidente antinomia delle posizioni riportate nel contesto della decisione.

Le soluzioni giuridiche

I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il ricorso “manifestatamente fondato”.

Invero, la sentenza della Corte d'Appello non è affetta da contrasto tra dispositivo e motivazione, risultando comunque il provvedimento idoneo a consentire l'individuazione del concreto comando giudiziale, che si è limitato al rigetto dell'impugnazione del Condominio in conformità con le considerazioni svolte nella motivazione stessa.

La sentenza impugnata denota, piuttosto, un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, ovvero l'assoluta mancanza di una motivazione idonea a sorreggerla.

Gli ermellini ritengono corretto premettere che l'oggetto del giudizio di appello non è costituito da un nuovo esame della domanda, ma dalla verifica degli errori in fatto ed in diritto commessi dal giudice di primo grado, dei quali l'appellante è tenuto a fornire dimostrazione (Cass. civ., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498; Cass. civ., sez. un., 8 febbraio 2013, n. 3033).

Nel caso in esame, è però accaduto che, a fronte dell'impugnazione di una deliberazione assembleare spiegata da un condomino, accolta dal giudice di primo grado con declaratoria di nullità della stessa, ed a fronte dell'appello del Condominio soccombente sul punto, che chiedeva di “revocare la dichiarazione di nullità della delibera” e di respingere i motivi di impugnazione del condomino, la sentenza di secondo grado abbia ravvisato addirittura la “inesistenza” della medesima deliberazione, reputando che l'appello dovesse essere rigettato, per essersi questo limitato a richiedere di “revocare” la declaratoria di nullità pronunciata su domanda della controparte.

Orbene, una delibera condominiale può dirsi inesistente quando manchi un elemento costitutivo della fattispecie del procedimento collegiale, sicché non può proprio individuarsi strutturalmente l'espressione di una volontà riferibile alla maggioranza avente portata organizzativa.

I condomini non hanno alcun interesse ad agire per l'impugnazione di un'inesistente delibera dell'assemblea, non generando la stessa alcun concreto pregiudizio ai loro diritti, tale da legittimarne la pretesa ad un diverso contenuto della decisione del collegio.

L'accertamento dell'inesistenza della deliberazione assembleare impugnata da un condomino non può, allora, determinare la soccombenza del Condominio, che pure abbia contestato le ragioni di invalidità della stessa delibera dedotte dall'attore, dovendo restare soccombente, pur sempre, la parte che abbia azionato una pretesa accertata come infondata o resistito ad una pretesa fondata, e si sia perciò vista negare o togliere un bene della vita a vantaggio dell'avversario.

Osservazioni

La sentenza in commento - che, per la prima volta (a quanto consta), si occupa dei profili dell'interesse ad agire e del regime delle spese di lite - offre l'occasione per qualche approfondimento sul concetto di delibera inesistente.

Infatti, rispetto al tradizionale discrimen tra delibere nulle ed annullabili - così come di recente scolpito dal supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2021, n. 9839; cui adde Cass. civ., sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806) - dovrebbe ancora differenziarsi la delibera c.d. inesistente, cioè quella affetta da un vizio di invalidità talmente grave da sconfinare nell'abnormità.

In altri termini, è stata commessa una manchevolezza sbalorditiva tanto da non essere prevista come invalidità perché irrealizzabile, segno evidente che ci troviamo in presenza di un vizio insanabile nemmeno con il decorso del tempo (come, per esempio, quella adottata dal solo amministratore in segreto, o quella presa dai singoli condomini mediante referendum con consultazione verbale separata, oppure qualora si è ricorso a un “pezzo di carta” fatto girare e mandato a firmare ai singoli partecipanti come manifestazione di volontà preordinata da qualcuno di essi o dall'amministratore).

In queste ultime ipotesi, siamo in presenza di un aborto di delibera, in quanto una riunione non si è tenuta, non si è proceduto ad alcuna votazione, o hanno votato soggetti non legittimati, sicché l'atto è stato posto in essere fuori dal collegio, non possedendo i requisiti strutturali e funzionali minimi per potersi definire una delibera assembleare.

D'altronde, affinché vi sia una valida deliberazione, occorre che la manifestazione di volontà dei condomini sia stata adottata nella riunione convocata con l'osservanza delle formalità prescritte nonché con il rispetto del metodo collegiale e del principio maggioritario.

Sotto il primo aspetto - ossia il metodo collegiale, che maggiormente interessa in questa sede - le delibere assembleari sono da considerarsi come atti collegiali, nei quali, però, le dichiarazioni di voto dei singoli restano distinte e, nel contempo, si fondono in un'unica volontà in forza del principio maggioritario: in altri termini, le predette delibere si compongono di dichiarazioni di più soggetti, i quali formano, tuttavia, in ragione dell'identità dell'interesse di cui sono portatori, una sola parte.

Vigendo il metodo collegiale, l'adunanza è necessaria, perché la delibera esige che vi sia una riunione dei condomini: senza questa, non vi sarebbe, infatti, un'assemblea e mancherebbe l'organismo che rappresenta la voce stessa del condominio, il quale è una collettività, e perciò non può non essere composto che da tutti i partecipanti, che devono essere assolutamente preavvisati.

Del resto, la predetta maggioranza deve formarsi in sede di assemblea, perché la minoranza ha sempre il diritto di essere sentita, potendo i suoi argomenti convincere gli altri partecipanti a mutare opinione; la minoranza deve, comunque, essere interpellata - tranne i casi di urgenza di cui all'art. 1134 c.c. - e l'importante è che tutti siano messi nella possibilità di intervenire all'assemblea, rimanendo, poi, libero il singolo condomino di non presentarsi o di astenersi dal voto, perché nessuno può obbligarlo.

In quest'ordine di concetti, si è escluso (Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1969, n. 2916) che, al posto dell'adunanza, possa valere una dichiarazione di adesione mandata a firmare ai vari condomini, sia pure sotto la forma di un verbale predisposto, perché così si elimina la discussione orale, che è un momento necessario per una decisione ponderata, restando inteso che i provvedimenti adottati all'unanimità dei condomini al di fuori dell'assemblea potrebbero essere vincolanti in forza del valore contrattuale dell'atto.

Nella stessa lunghezza d'onda, l'assemblea condominiale non può rimettere al parere espresso da singoli condomini la propria potestà deliberatoria e la formazione della maggioranza di legge - Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1982, n. 5646, nella specie si era in presenza della sottoscrizione di una lettera circolare, “fatta girare” tra i condomini - configurando una delibera “inesistente”, ossia quell'atto che non ha nemmeno i requisiti strutturali e funzionali per potersi definire una deliberazione assembleare.

Sul punto, è costante l'orientamento giurisprudenziale secondo cui non può dirsi che una delibera di maggioranza vi sia, se non sia stata regolarmente costituita la massa deliberante, nel senso che ciascuno dei condomini deve essere posto nelle condizioni di partecipare alla delibera, prima ancora con il proprio voto, con le proprie osservazioni e proposte.

A tal fine, risulta irrilevante che i condomini assenti siano titolari di quote millesimali tali da non spostare l'esito della votazione, perché la convocazione - come più volte sottolineato - è richiesta non solo per votare, ma anche per discutere e controllare; peraltro, è questa la ragione per cui l'omessa convocazione dell'avviso di convocazione contenente l'oggetto dell'adunanza, anche se nei confronti di uno solo dei partecipanti ed anche se titolare di una caratura millesimale insignificante, comporta l'invalidità dell'adunanza e, di conseguenza, della delibera in essa adottata.

Pertanto, essendo obbligatoria l'adunanza, non sono ammessi equipollenti, come incontri parziali o adesioni scritte, mentre va ritenuto invalido il voto dato per corrispondenza o per telefono; parimenti, va registrato che, di recente, soprattutto nei condominii di vaste proporzioni, ci si avvale del referendum al fine di verificare, in via preventiva, le opinioni dei partecipanti al condominio con riferimento a decisioni concernenti la vita dell'edificio, specie per evitare la convocazione di assemblee inutili per l'approvazione di proposte in ordine alle quali la maggioranza dei condomini si era orientata negativamente, tuttavia si ritiene che tale referendum non spiega alcun effetto giuridicamente rilevante nei confronti dell'assemblea, in quanto non ne può costituire il presupposto logico-giuridico (Trib. Napoli 25 novembre 1992).

La contestualità del concorso delle volontà, quale requisito indispensabile per la confluenza delle stesse in un unico atto, è stata ribadita laddove si è sottolineato l'irrilevanza della manifestazione di volontà del condomino che, allontanatosi dalla riunione, dichiara di uniformarsi alle decisioni della maggioranza.

Stesso discorso va fatto per l'adesione successiva, in quanto la delibera, in conformità dei principi basilari che regolano la materia della volontà degli organi collegiali, costituisce una sintesi, e non una somma algebrica, delle volontà dei singoli; in altri termini, l'atto collegiale non può risolversi nella mera sommatoria della volontà dei componenti del collegio, in qualunque luogo e tempo espresse, ma richiede un'unitaria manifestazione di volontà del collegio stesso, espressa attraverso la volontà maggioritaria dei suoi componenti; nel calcolo delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 c.c. per l'approvazione delle delibere assembleari, non si può tener conto delle adesioni espresse in un momento diverso da quello della votazione, perché solo questa determina la fusione delle volontà dei singoli creativa dell'atto collegiale.

In questa prospettiva, la comunicazione del voto fatta dopo l'adozione della delibera non può spostare l'esito della votazione, così come l'eventuale conferma dell'adesione alla delibera, successivamente all'adozione della stessa, da parte dei condomini che tale adesione avevano precedentemente espresso, non può valere come sanatoria dell'invalidità, ma eventualmente solo come rinuncia a farla valere, senza precludere agli altri condomini la possibilità di impugnazione.

In questa prospettiva, stante che tutti i condomini devono essere convocati in un medesimo contesto spazio-temporale, affinché possano discutere e votare sugli argomenti posti preventivamente nell'ordine del giorno, resta preclusa, in àmbito condominiale, la modalità di partecipazione per corrispondenza, che non assicura la contestualità della discussione e la simultaneità della votazione; modalità che, invece, viene consentita in materia di società, alla luce dell'art. 2370, comma, c.c., secondo cui “lo statuto può consentire l'intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, ovvero l'espressione del voto per corrispondenza”, precisando che “chi esprime il voto in via elettronica o per corrispondenza, si considera intervenuto in assemblea” (v. anche, l'art. 106 del d.l. n. 18/2020, che, nel periodo emergenziale, stabiliva, al comma 2, che, “con l'avviso di convocazione delle assemblee ordinarie o straordinarie, le società possono prevedere, anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, l'espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza”, e, al comma 3, che “le società possono, inoltre, consentire, anche in deroga a quanto previsto dall'art. 2479, comma 4, c.c. e alle diverse disposizioni statutarie, che l'espressione del voto avvenga mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto”).

In proposito, va segnalato che, in àmbito societario, la mancanza di convocazione è espressamente prevista come causa di nullità (art. 2379, comma 1, c.c.), mentre prima la giurisprudenza in materia societaria era addirittura per l'inesistenza della delibera assembleare successivamente adottata; invero, si reputava che, in tale ipotesi, facesse difetto uno dei requisiti del procedimento necessari ai fini della formazione di una delibera imputabile alla società: tale carenza avrebbe determinato una fattispecie “apparente”, non riconducibile alla categoria giuridica delle decisioni assembleari per la propria inadeguatezza strutturale o funzionale rispetto al modello previsto dalla legge (v., in argomento, Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2003, n. 9364; Cass. civ., sez. I, 22 agosto 2001, n. 11186; Cass. civ., sez. I, 24 gennaio 1995, n. 835; Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1986, n. 1768; Cass. civ., sez. I, 1° aprile 1982, n. 2009; v., tra le pronunce di merito, v. Trib. Milano 24 gennaio 1991, e Trib. Torino 29 novembre 1989).

Riferimenti

Celeste, L'interesse del condomino a impugnare la delibera assembleare, in Immob. & diritto, 2006, fasc. 6, 20;

Lenzi, Note in tema di delibera associativa inesistente, in Resp. comunicaz. impresa, 2001, 241;

Cusatti, Assimilabile al falsus procurator l'amministratore societario nominato con delibera inesistente: pubblicazione della stessa e tutela del terzo contraente, in Nuovo diritto, 1987, 837;

Marescotti, Deliberazione assembleare inesistente, in Società, 1987, 144.

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