Il rebus del nuovo procedimento di recupero dei compensi professionali

28 Giugno 2023

La l. n. 49/2023, entrata in vigore il 20 maggio, oltre a ridefinire i presupposti per il riconoscimento del c.d. equo compenso, fornisce, per la prima volta, a tutti gli esercenti le professioni intellettuali, in relazione a qualsiasi tipologia di attività svolta, il medesimo strumento di recupero dei loro compensi, fondato su un parere dell'organo rappresentativo di categoria.

L'ambito di applicazione del nuovo istituto e le modalità di recupero dell'equo compenso

La legge 21 aprile 2023, n. 49, entrata in vigore il 20 maggio, contiene, oltre ad alcune norme di diritto sostanziale, dirette a ridefinire i presupposti per il riconoscimento del c.d. equo compenso, anche la disciplina, del tutto inedita, di un nuovo procedimento di recupero dei compensi o degli onorari dei professionisti intellettuali esercenti una professione regolamentata (le norme sostanziali della nuova legge si applicano invece anche agli esercenti una professione non organizzata).

Si tratta dell'art. 7, dedicato, come indica la sua rubrica, al parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo.

Per comodità è meglio riportarne il testo per esteso, che recita:

“In alternativa alle procedure di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile e di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n.  150,  il  parere   di congruità  emesso  dall'ordine  o  dal  collegio  professionale  sul compenso o sugli onorari  richiesti  dal  professionista  costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute  e  documentate, se rilasciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e  se  il  debitore  non  propone  opposizione  innanzi all'autorità giudiziaria, ai sensi  dell'articolo  281-undecies  del codice di procedura civile, entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista.

 Il giudizio di opposizione si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l'ordine o il collegio professionale che ha emesso il parere di cui al comma 1 del presente articolo e, in quanto compatibile, nelle forme di cui all'articolo 14 del decreto  legislativo  1°  settembre 2011, n. 150.”

Ebbene, la prima, rilevantissima, questione che pone tale norma è quella dell'individuazione del suo ambito di applicazione oggettivo.

Non è infatti chiaro se essa abbia o meno portata generale, ossia se si riferisca solo ai casi di recupero dell'equo compenso o al recupero di tutti i compensi professionali.

Potrebbe far propendere per la prima delle due ipotesi la circostanza che la previsione è inserita in una legge speciale, dedicata all'equo compenso, il cui ambito di applicazione è definito dall'art. 2.

A ben vedere però alcuni rilievi, difficilmente superabili, inducono ad attribuirle una valenza di carattere generale.

Conduce innanzitutto ad una simile conclusione la stessa formulazione della norma, che non limita nei termini suddetti il procedimento descritto ma anzi lo rende alternativo a quello monitorio e a quello disciplinato dall'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 sebbene quantomeno il primo non sia utilizzabile per il recupero dell'equo compenso, presupponendo la determinazione di questo la declaratoria di nullità del contratto.

Occorre poi considerare che l'art. 2 della l.49/2023, nel delimitare l'ambito di applicazione della nuova legge, pare riferirsi solo alle norme di diritto sostanziale in essa contenute giacché stabilisce che “La presente legge si applica ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d'opera intellettuale di cui all'articolo 2230 del codice civile…”

Peraltro tra quelle norme ve n'è una, l'art.  8, dedicata alla “prescrizione per l'esercizio dell'azione di responsabilità professionale”, che, per come è formulata, pare avere sempre portata generale.

Vi è poi un'ulteriore considerazione che concorre a far ritenere il procedimento in esame di ampio utilizzo.

La determinazione di un compenso equo e proporzionato postula l'accertamento della nullità delle clausole dell'accordo tra il professionista e le imprese di cui all'art. 2, comma 1, o la pubblica amministrazione, che fissano l'entità della retribuzione del primo ed entrambe queste valutazioni sono demandate dall'art. 3, comma 6, al Tribunale, non potendo quindi competere in nessun modo all'ordine o al collegio professionale.

E' vero che la norma da ultimo citata prevede che il Tribunale possa chiedere ”se necessario, al professionista di acquisire dall'ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o  degli  onorari” ma tale parere ha una funzione diversa sia dal parere di congruità di cui all'art. 7 che dal parere di cui all'art. 636 c.p.c..

Esso, infatti, viene in rilievo solo nell'ambito del procedimento diretto a determinare il compenso equo poiché, come precisa sempre il comma 6 dell'art. 3, costituisce, “elemento di prova sulle caratteristiche, sull'urgenza e sul pregio dell'attivita'  prestata,  sull'importanza,   sulla   natura,   sulla difficolta' e sul valore dell'affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero  e  sulla  complessita' delle questioni giuridiche e di fatto trattate”.

Si tratta quindi di un documento che ha valenza probatoria in un giudizio a cognizione piena, a differenza del parere di congruità rilasciato ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo che, come noto, non vale come prova nella fase di opposizione.

Inoltre, il parere di cui all'art.3, comma 6, non viene emesso all'esito di un procedimento amministrativo come il parere di cui all'art. 7 della l. 49/2023.

A conferma della diversità dei due pareri giova poi rilevare che, se essi fossero identici, il giudizio di accertamento dell'equo compenso, previsto dall'art. 3, non verrebbe mai attivato perché nessun professionista avrebbe interesse a promuoverlo, potendo utilizzare il procedimento di cui all'art. 7.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte può allora concludersi che:

- per il recupero dell'equo compenso deve essere utilizzato obbligatoriamente il procedimento di cui all'art. 3 della l.49/2023, poiché tale pretesa implica necessariamente una valutazione di nullità delle clausole del contratto con il professionista, che spetta esclusivamente all'autorità giudiziaria;

- il procedimento di cui all'art. 7 della l.49/2023 è invece utilizzabile per il recupero dei compensi liquidabili dall'ordine o collegio professionale.

E' invece dubbio se il procedimento per il recupero dell'equo compenso debba essere necessariamente introdotto nelle forme del giudizio semplificato speciale, che con la riforma ha sostituito il previgente rito sommario speciale, o se possano utilizzarsi il giudizio di cognizione ordinario o il rito sommario ordinario.

Ebbene, il rito semplificato speciale è previsto solamente per gli avvocati cosicchè, in mancanza di una norma, come l'art. 7 l. 49/2023, che ne estenda espressamente l'applicazione anche alle altre categorie professionali, la prima soluzione andrebbe esclusa.

Peraltro, il già citato art. 6 menziona il tribunale quale organo giurisdizionale competente a determinare l'equo compenso cosicchè, a meno di non considerare tale richiamo il frutto di una approssimazione del legislatore, dovrebbe escludersi la competenza del giudice di pace anche per le cause rientranti nella sua competenza per valore.

Si noti sul punto che una parte della giurisprudenza ha ritenuto utilizzabile il rito sommario speciale anche per il recupero dell'equo compenso in quanto si tratta di un giudizio comunque diretto alla rideterminazione del compenso professionale (Trib. Verona 30 maggio 2023, che richiama, sulla latitudine applicativa del rito in questione, Cass. sez. VI, 14 gennaio 2021, n.496).

Va invece decisamente esclusa l'utilizzabilità del procedimento monitorio per recuperare l'equo compenso atteso che, come si è già detto, la valutazione di non equità del compenso presuppone una declaratoria di nullità che è incompatibile con tale giudizio.

L'estensione dell'ambito di applicazione degli altri strumenti di recupero dei crediti professionali

Se, come si è visto nel precedente paragrafo, la norma ha una portata generale se ne può cogliere la rilevante novità poiché essa fornisce, per la prima volta, a tutti gli esercenti le professioni intellettuali, in relazione a qualsiasi tipologia di attività svolta, il medesimo strumento di recupero dei loro compensi, fondato su un parere dell'organo rappresentativo di categoria e idoneo a diventare titolo esecutivo in difetto di opposizione.

Sebbene il procedimento da essa previsto sia equiparato al procedimento monitorio e a quello di cui all'articolo 14 d.lgs. n. 150/2011, se ne distingue perché consente di munirsi di un titolo esecutivo senza necessità di ricorrere all'autorità giudiziaria.

Il parere va però emesso, come si è anticipato, a seguito di un vero e proprio procedimento amministrativo, nel quale deve quindi essere coinvolto il cliente del professionista.

A ben vedere la previsione in esame presenta un ulteriore, e assai più rilevante, profilo di novità.

Infatti, tramite la sopra evidenziata parificazione, finisce per estendere, forse non del tutto consapevolmente, alle categorie di professionisti di cui si è detto anche la possibilità di utilizzare sia il procedimento monitorio che quello di cui all'articolo 14 d.lgs. n. 150/2011 (da introdursi dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022 non più nelle forme del giudizio sommario ma in quelle del semplificato) quando finora il primo era riservato agli esercenti le professioni regolamentate e il secondo solo agli avvocati e per le sole prestazioni giudiziali (o per quelle stragiudiziali a queste strettamente connesse).

Se così è non è chiaro però come i presupposti di applicazione del procedimento ex art. 14 d.lgs. 150/2011, che sono riferiti esclusivamente all'attività di assistenza difensiva, siano adattabili alle prestazioni di altri professionisti intellettuali.

Può forse ipotizzarsi che, d'ora in poi, potranno ricorrere al procedimento semplificato speciale i professionisti che abbiano svolto incarichi di ctu o di ct p in controversie giudiziali, rivolgendosi all'ufficio giudiziario ove abbiano prestato la loro attività.

Lo stesso può dirsi per i notai che abbiano svolto attività di redazione e presentazione di un ricorso di volontaria giurisdizione o che abbiano redatto un atto di autorizzazione in base alle nuove competenze in tema di volontaria giurisdizione loro attribuite dal d.lgs. n. 149/2022.

Del resto, anche rispetto a questo genere di incarichi il Tribunale sarebbe in grado di acquisire agevolmente la documentazione comprovante tipo e qualità dell'attività svolta dal professionista.  

Si noti che il procedimento di cui all'art. 7 l. 49/2023 è utilizzabile dagli avvocati per il recupero dei compensi relativi a tutti i tipi di prestazione, non solo a quelle giudiziali civili o quelle stragiudiziali ad esse strettamente connesse, perché la norma in esame richiama l'art. 14 solo per il rito da seguire (“le forme”) e non anche per i relativi presupposi di applicazione.

Sebbene la norma non lo dica espressamente la richiesta di parere dovrà essere corredata, se non da una parcella, almeno da una specifica delle attività svolte e per le quali il professionista richiede il compenso, in modo da consentire al Coa o al collegio professionale di valutare la congruità degli importi indicati.

Il parere può riguardare anche le spese documentate, tra le quali deve ritenersi compresa anche quella sostenuta per il rilascio dello stesso parere, che evidentemente essendo richiesta dall'organo da cui proviene il parere deve ritenersi essere stata valutata congrua dal medesimo (contra sul punto Bulgarelli, Un nuovo procedimento per recuperare il compenso dell'avvocato, in www.altalex.com).

Se si riconosce alla norma portata generale occorre chiedersi se rilievi o meno il foro del consumatore, questione che invece non si porrebbe se la norma fosse limitata ai casi di recupero dell'equo compenso, che ovviamente attengono ad un rapporto squilibrato tra professionista e imprenditore.

Orbene, all'interrogativo pare potersi rispondere negativamente perché il parere di congruità viene reso all'esito di un procedimento avente natura amministrativa.

Occorre infatti tener presente che la giurisprudenza che attribuisce prevalenza al foro esclusivo del consumatore, previsto dall'art. 33 comma 2 lett. u) d.lgs. n. 206 del 2005, sul foro speciale alternativo di cui all'art. 637 comma 3 c.p.c., si è formata con riferito al procedimento monitorio ossia ad un procedimento giurisdizionale (cfr. ex plurimis Cass. sez. III, 9 giugno 2011, n.12685).

La norma non prevede che il parere di congruità contenga anche un avvertimento analogo a quello di cui l'articolo 642 c.p.c.ma tale omissione è forse una conseguenza della necessità di applicare alla fase di emissione del parere le norme sul procedimento amministrativo, tra le quali vi è l'art.3, comma 4, l. 241/1990, che prevede una analoga avvertenza.

Peraltro, perché essa risulti utile e non fuorviante occorre che non vi sia dubbio sull'individuazione dell'autorità giudiziaria alla quale potersi rivolgere mentre la questione, come si dirà nel prossimo paragrafo, è dubbia.

E' opportuno evidenziare anche come non sia previsto, a differenza di quanto stabilisce l'art. 644 c.p.c. in tema di decreti ingiuntivi, nessun termine per provvedere alla notifica del parere, una volta che esso sia stato emesso.

Deve quindi ritenersi che tale termine sia quello decennale di prescrizione.

La fase di opposizione

E' stato giustamente notato (Bulgarelli, op. loc. cit.) che l'opposizione al parere di congruità va intesa in senso a-tecnico, dal momento che, da un lato, il parere, consistendo in un giudizio di congruità, non si contiene un'ingiunzione di pagamento e, dall'altro lato, viene proposta ad una autorità diversa (giudiziaria invece che amministrativa) da quella che ha emesso il provvedimento opposto.

Poiché il giudizio di opposizione al parere deve svolgersi davanti “al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l'Ordine o il collegio che lo ha emesso” deve riconoscersi la competenza del giudice di pace per i giudizi di valore fino a diecimila euro.

Può escludersi che il giudizio sia soggetto a mediazione che, con la riformulazione dell'art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 ad opera dell'art. 7 del d.lgs. 149/2022, è divenuta condizione di procedibilità, tra le altre, anche delle controversie relative al contratto d'opera e quindi anche di quelle relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale.

Occorre infatti tener presente che l'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28/2010 esclude l'applicazione del precedente comma 1, fino al momento della decisione sulla p.e. o sulla sospensione della stessa, solo ai procedimenti di ingiunzione e in tale categoria non può rientrare il procedimento diretto all'emissione del parere di congruità.

Infatti l'interpretazione analogica delle norme che prevedano condizioni di procedibilità della domanda giudiziale non è consentita in quanto sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.

Parimenti può escludersi che l'opposizione al parere di congruità relativo ad una somma fino ad euro 50.000,00 sia soggetta a negoziazione assistita perché, ai sensi dell'art. 3, comma 1, secondo periodo del d.l. n. 132/2014, è sottoposto a tale Adr il giudizio in cui sia proposta una domanda di condanna al pagamento di una somma non eccedente il predetto importo e tale formulazione va inteso in senso stretto.

L'art. 7 l.49/2023 impone per il giudizio in esame l'utilizzo del rito semplificato, analogamente a quanto fa, per le controversie in esso contemplate l'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, come modificato dall'art.15 del d.lgs. n. 149/2022, che al suo secondo comma, ha anche previsto che esso sia trattato non più dal collegio ma dal giudice monocratico.

Deve però ritenersi possibile la conversione del giudizio erroneamente introdotto con atto di citazione in giudizio semplificato, ai sensi dell'art.4, comma 1, d.lgs. n. 150/2011.  

E' dubbio se le eventuali violazioni delle norme regolanti il procedimento amministrativo seguito per il rilascio del parere debbano essere fatte valere davanti al giudice amministrativo anche se la formulazione della norma sembra demandare anche tale valutazione all'autorità giudiziaria ordinaria, sulla base della premessa  che si tratti di un atto amministrativo che determina la nascita di un diritto soggettivo (diritto al recupero del compenso).

Si rammenti che sulla possibilità di impugnare davanti al Tar il parere di congruità, rilasciato ai sensi dell'art. 636 c.p.c., vi è un contrasto tra la Cassazione civile a sezioni unite che, con l'ordinanza 12 marzo 2008 n. 6534, l'ha ammessa, sul presupposto che il Consiglio dell'Ordine è ente pubblico non economico e il parere di congruità attiene a un'attività amministrativa a carattere esterno, e la prevalente giurisprudenza amministrativa che invece la esclude ritenendo che non vi sia interesse attuale e concreto all'impugnazione dinanzi al giudice amministrativo del parere, atteso che esso ha la sola funzione di precostituire la prova scritta necessaria per la proposizione di tale procedura e non è vincolante per il giudice civile (cfr. T.A.R. Lombardia sez. III – Milano, 1 settembre 2020, n. 1626T.A.R. Sicilia Catania, sez. IV, 10 aprile 2019, n. 782; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 7 marzo 2018, n. 580; T.A.R. Toscana, sez. II, 5 luglio, 2012, n. 1268).

Occorre chiedersi se l'opponente possa contestare anche l'an del credito o prospettare una responsabilità del professionista o svolgere anche domanda riconvenzionale e la risposta non può che essere affermativa se si tiene presente che la giurisprudenza di legittimità, con orientamento ormai consolidato, ritiene compatibili tutti questi profili con il rito ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 (Cass. civ., sez. VI,  29 febbraio 2016, n. 4002; Cass. civ., sez. II ,17 maggio 2017, n. 12411; Cass. civ., sez. un., 23 febbraio 2018, n. 4485). 

Considerando l'iter del giudizio successivo alla fase introduttiva non è ipotizzabile che, in pendenza dell'opposizione, possa richiedersi la provvisoria esecuzione del parere in mancanza di una norma, come l'art. 648 c.p.c., che lo consenta.

Il legislatore non si è premurato nemmeno di individuare le conseguenze che esplicano sul parere i diversi, possibili esiti del giudizio di opposizione.

Ora, in caso di accoglimento integrale dell'opposizione, può ritenersi che, analogamente al caso dell'accoglimento dell'opposizione a decreto ingiuntivo, anch'esso non espressamente disciplinato, il parere vada revocato o dichiarato privo di effetti.

Con riguardo a tutti gli altri esiti che si possono verificare (estinzione del giudizio, rigetto dell'opposizione o accoglimento solo parziale di essa), in difetto di una disciplina ad hoc, non è applicabile analogicamente quella che, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, è invece contenuta negli artt. 652 e 653 c.p.c.

Del resto l'art. 7 prevede che il parere acquisti efficacia esecutiva solo in caso di mancata opposizione entro il termine di 40 giorni dalla sua notifica, ipotesi alla quale deve equipararsi quella della opposizione tardiva, dovendosene desumere che l'opposizione tempestiva sia idonea ad impedire tale effetto a prescindere dall'esito del giudizio.

In mancanza di una apposita previsione non può nemmeno ritenersi che la sentenza che rigetti l'opposizione acquisti efficacia esecutiva (così invece Bulgarelli, op. loc. cit.)  atteso che si tratta di una sentenza di mero accertamento, a meno che l'opposto non avanzi una specifica domanda di condanna dell'opponente.

Tantomeno la norma precisa quale incidenza possa avere sul parere il pagamento totale o parziale dell'importo con esso ritenuto congruo, effettuato prima o dopo la sua emanazione.   

Per risolvere il dubbio occorre stabilire se anche il giudizio di opposizione al parere di congruità, al pari del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sia un giudizio ordinario di cognizione, avente ad oggetto l'accertamento di merito della pretesa sostanziale vantata dal creditore perché, in caso di risposta affermativa, il pagamento determina il venire meno del credito e la necessità di revocare il titolo posto a fondamento di esso (cfr. con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo: Cass. civ., 15 luglio 2002 n. 10229, Cass. civ., sez. un., 7 luglio 1993 n. 7448, Cass. civ., 25 maggio 1999 n. 5074, Cass. civ., 10 aprile 2000 n. 4531, Cass. civ., 18 marzo 2003 n. 3984, Cass. civ., 10 ottobre 2003 n. 15186, Cass. civ., 12 agosto 2005 n. 16911).

Le non poche incognite della fase esecutiva

Come se non fossero bastate le gravi “sviste” di cui si è detto al termine del precedente paragrafo, il legislatore si è dimenticato anche di disciplinare le conseguenze della mancata o tardiva opposizione al parere cosicchè non è dato sapere come, al verificarsi delle suddette evenienze, esso possa acquistare efficacia esecutiva.

A ben vedere esse comportano una valutazione, sulla regolarità della notifica del parere, che non può certo essere demandata all'ordine o al collegio professionale e tantomeno alla parte che lo abbia ottenuto.

Sarebbe indispensabile quindi un intervento sul punto da parte dell'autorità giudiziaria tanto più se si considera che il parere non opposto, come già ritenuto dalla giurisprudenza per il decreto ingiuntivo non opposto, è provvedimento idoneo ad acquistare autorità di cosa giudicata sia sulla regolarità formale del titolo che sulla esistenza del credito, tanto in ordine al soggetto che all'oggetto, con la conseguenza che la sua efficacia si estende - per quanto attiene alle statuizioni contenute in dispositivo, come agli accertamenti risultanti in motivazione, ed alle questioni che di quelle decise costituiscono la premessa necessaria o il fondamento logico-giuridico - ad un successivo giudizio avente ad oggetto una domanda fondata sullo stesso rapporto (Cass. civ., 14 luglio 2000 n. 9335).

E, proprio in considerazione della rilevanza di una simile verifica, l'art. 647 c.p.c. la rimette al giudice che abbia pronunciato il decreto ingiuntivo.

Nulla di tutto ciò si rinviene nella norma in commento, che non richiama nemmeno le disposizioni relative al procedimento monitorio.

Ma ulteriori, e pressochè irrisolvibili, difficoltà riguardano la stessa possibilità di ottenere una copia autentica del parere per porla in esecuzione.

Deve infatti ritenersi che il parere di congruità ex art. 7 rientra a pieno titolo nella categoria di provvedimenti per i quali l'art. 475 c.p.c. richiede che siano “rilasciati in copia attestata conforme all'originale” e, per stabilire chi possa rilasciare tale attestazione, occorre far riferimento all'art. 743 c.p.c., che individua a tal fine, con una disposizione in bianco, la figura del “depositario pubblico”.

Ora, la qualifica di depositario pubblico va attribuita al soggetto che sia tenuto a ricevere e a formare le dichiarazioni di volontà o altri atti produttivi di effetti giuridici, redigendone la documentazione e provvedendo alla loro conservazione.

Ebbene, gli ordini e i collegi professionali non sono depositari di un archivio dei pareri ex art. 7, occorrendo, perché essi siano investiti di una simile funzione, una norma ad hoc che la disciplini impartendo anche indicazioni di raccordo con la legislazione sulla privacy.

A conferma di ciò è opportuno rammentare che, in tema di negoziazione assistita, il nuovo comma 3-ter dell'art. 6 del d.l. n. 132/2014, aggiunto dall'art. 9 del d.lgs. n. 149/2022, prevede che la conservazione ed esibizione, da parte dei Coa, degli accordi di negoziazione assistita è disciplinata dall'art. 43 del d.lgs. 7 marzo 2005, n.82.

Ora, alla luce delle numerose e gravi lacune della disciplina dedicata al nuovo istituto, di cui si è detto, è agevole prevederne il fallimento.

La sola parte di essa che potrà avere una qualche utilità è, quella, forse secondaria nel tenore complessivo della norma, relativa all'estensione dell'ambito di applicazione del procedimento semplificato di cui all'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 a tutti gli esercenti le professioni regolamentate.

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