Il contratto di distribuzione selettiva: una panoramica

03 Luglio 2023

Il presente focus punta ad illustrare gli aspetti essenziali del contratto di distribuzione selettiva – negozio definito legislativamente per la prima volta nel Reg. UE 330/2010 e ulteriormente precisato per alcuni aspetti dal successivo Reg. UE  720/2022 sugli accordi verticali – con particolare attenzione alle normative da tenere in considerazione nella costruzione di tale sistema contrattuale, agli elementi che il fornitore deve garantire di ottenere dai distributori e, infine, sulle novità introdotte dall’ultimo Regolamento sopra richiamato, che ha dettato regole penetranti in tema antitrust.

Contratto di distribuzione selettiva e normativa antitrust

Il Reg. UE 330/2010 definisce il contratto di distribuzione selettiva come quel “sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema”.

Poiché la definizione positiva contenuta nel Regolamento Europeo ne delinea solo gli elementi essenziali, l'operatore del diritto che si confronta con tale figura negoziale, per identificarne al meglio gli elementi necessari, deve assicurarsi che tale tipologia di contratto sia rispettoso, in primo luogo, della disciplina antitrust e, in particolare, del disposto di cui all'art. 101 n. 1 TFUE che vieta le intese che falsano o restringono illecitamente la concorrenza sul mercato. Il sistema di distribuzione selettiva rappresenta, infatti, prima di tutto una restrizione della concorrenza, dato che il titolare del diritto di marchio può opporsi a che un soggetto non selezionato possa vendere un prodotto sul mercato.

La questione della liceità di tale effetto restrittivo è stata ampiamente analizzata dalla Corte di Giustizia Europea. In un primo momento questa aveva osservato, nel caso Pierre Fabre (CGUE 13 ottobre 2011, caso C-439/09, relativo alla vendita online di prodotti cosmetici e di igiene personale) che l'obiettivo di preservare il prestigio e il buon nome di un determinato prodotto non poteva rappresentare una legittima causa di restrizione della concorrenza. Non poteva, pertanto, considerarsi lecita una clausola che prevedesse il divieto per un soggetto di vendere un determinato prodotto sul mercato. A ciò si aggiunga che la Corte negava che la clausola relativa al divieto di vendite online potesse beneficiare di un'esenzione per categoria in base al Regolamento sugli accordi verticali.

Le motivazioni di tale decisione, tuttavia, avevano destato forti dubbi per due ordini di ragioni. La prima era che la Corte, nel confermare che non era possibile precludere a un soggetto non autorizzato di vendere il prodotto del titolare del marchio, finiva per valutare di fatto irrilevante (o comunque non sufficiente a giustificare un divieto alla vendita attraverso determinati canali) l'esigenza del titolare di un marchio di tutelare l'immagine e la reputazione acquisita dai propri prodotti (quello che in dottrina viene talvolta definito “brand image”). In secondo luogo, non si comprendeva se la negata esenzione di categoria si riferisse solo alla clausola sottoposta all'attenzione della Corte oppure se, alla luce della pronuncia, dovesse trarsi un principio generale di inapplicabilità dell'esenzione per categoria a tutti gli accordi di distribuzione selettiva che limitavano la possibilità di vendere prodotti tramite internet.

Oltre a ciò, la decisione si poneva in netto contrasto anche l'orientamento precedentemente sostenuto dalla Corte stessa, che aveva avuto modo di affermare nella sentenza Copad  (CGUE 23 aprile 2009, caso C-59/08) l'importanza della protezione del brand image, dato che la qualità dei prodotti risultava, secondo la Corte, non solo dalle caratteristiche materiali degli stessi, ma altresì dallo stile e dall'immagine di prestigio che conferisce loro “un'aura di lusso”, con la conseguenza che un danno in tal senso risultava in grado di comprometterne sensibilmente il valore.

Proprio tale ultima elaborazione giurisprudenziale europea ha ispirato il dettato del Reg. UE 330/2010 sopra richiamato nonché le relative Linee guida che l'accompagnavano, pubblicate successivamente all'adozione del Regolamento, nei quali viene osservato come gli accordi di distribuzione selettiva che siano basati su criteri puramente quantitativi per la selezione dei distributori e che rispettino altresì tutte le condizioni fissate dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia non provocano gli effetti anticoncorrenziali vietati dall'art. 101 n. 1 TFUE.

La Corte poi smentiva definitivamente la posizione sostenuta nel caso Pierre Fabre con la successiva pronuncia nel caso Coty Germany (CGUE 6 dicembre 2017, caso C-203/16) con la quale la Corte sanciva la liceità, proprio a protezione di quell' "aura di lusso" che contraddistingue alcuni dei prodotti presenti sul mercato, del sistema di distribuzione selettiva inteso quale restrizione al gioco della concorrenza e, in aggiunta, precisava ulteriormente le tre condizioni che devono cumulativamente ricorrere affinché un sistema di distribuzione non risulti in violazione dell'art. 101 n. 1 TFUE. In primo luogo, la Corte confermava che la scelta dei rivenditori deve avvenire secondo criteri di natura quantitativa e applicati in modo non discriminatorio; in secondo luogo che la protezione delle caratteristiche del prodotto richieda, l'adozione di un sistema di distribuzione selettiva; infine che i criteri richiesti non vadano oltre il limite necessario.

Pertanto, se il contratto di distribuzione selettiva rispetta tutti i criteri individuati dalla Corte di Giustizia non viola la normativa antitrust.

Contratto di distribuzione selettiva e principio di esaurimento del marchio

Una volta precisato in che limiti il sistema di distribuzione selettiva rispetta le regole in materia di antitrust è evidente che, nel caso in cui uno dei distributori autorizzati commercializzi i prodotti del titolare senza rispettare i criteri previsti nell'accordo, quest'ultimo potrà agire per inadempimento contrattuale in forza della violazione del patto.

Ciò fermo, una violazione di tali obblighi configura altresì un'ipotesi di contraffazione di prodotto, sebbene spesso la condotta illecita del distributore autorizzato si sostanzi nella pubblicizzazione e vendita di prodotti originali, legittimamente marcati dal titolare e già immessi nel mercato proprio da quest'ultimo. Su tali prodotti già immessi sul mercato il titolare non dovrebbe poter sollevare obiezioni, in quanto dovrebbe applicarsi il principio dell'esaurimento dei diritti marchio, previsto dall'art. 5 D.Lgs. 30/2005 e dall'art. 15 Reg. UE 1001/2017, ai sensi del quale “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo”.

Tuttavia, come affermato più volte dalla giurisprudenza (sia comunitaria che nazionale) che ha interpretato quanto previsto dall'art. 5, comma 2 del Codice di Proprietà Industriale (e dall'art. 15 c. 2 Reg. UE 1001/2017), l'esistenza di un sistema di distribuzione selettiva costituisce un fatto che impedisce l'applicazione del principio di esaurimento. In particolare, la migliore dottrina ha sottolineato che la possibilità da parte del titolare di opporsi alla rivendita e alla ulteriore circolazione dei prodotti non può fondarsi sulla contestazione dei presupposti sostanziali dell'esaurimento del marchio, ma deve fondarsi sulla dimostrazione del fatto impeditivo (ossia la sussistenza del sistema di distribuzione selettiva) dell'esaurimento. Sulla base di ciò, è importante comprendere cosa debba intendersi per “motivo legittimo” (in grado di impedire l'esaurimento, secondo quanto disposto dall'art. 5 D.Lgs. 30/2005, c.d. codice della proprietà industriale) e quali caratteristiche esso debba avere per costituire tale impedimento.

Della questione si sono occupate, nel corso degli anni, diverse sentenze della Corte di Giustizia: tra le tante, la già richiamata sentenza Copad, nel puntualizzare come fosse necessario proteggere l'aura di lusso” dei prodotti del titolare, precisava che le modalità di vendita (in tal caso, addirittura da parte un licenziatario del titolare) che ledano il prestigio o alla notorietà del marchio legittimino il titolare ad azionare i propri diritti di marchio nei confronti del trasgressore. Medesimo principio è stato ribadito dalla Corte nel caso Portakabin (CGUE 8 luglio 2010, caso C-558/08), dove si sottolineava la sussistenza di un “motivo legittimo” quando l'uso fatto dal rivenditore del marchio del titolare ne rechi un serio pregiudizio alla notorietà.

Sulla base di tali letture è possibile dunque sostenere che il soggetto che adotta un sistema di distribuzione selettiva possa agire per lamentare la contraffazione dei propri diritti di marchio sia contro i distributori autorizzati che contro i soggetti non autorizzati ogni volta che le modalità di vendita dei prodotti arrechino un pregiudizio al prestigio ai prodotti o al marchio del titolare.

Tale lettura è stata avallata più volte anche dalla giurisprudenza italiana. Tra le tante, si ricorda qui l'ordinanza del Tribunale di Milano a definizione del procedimento cautelare che ha visto contrapposte Sisley e Amazon: in tale occasione il Tribunale giudicava che le modalità di vendita e pubblicizzazione, da parte di Amazon, dei prodotti di Sisley risultavano essere lesive della reputazione del marchio di quest'ultima. A tal proposito, anche la Cassazione nel recente caso Chantecler (Cass. 14 marzo 2023 n. 7378) ha avallato, pur senza pronunciarsi sul punto, la tesi secondo la quale il titolare ha l'onere non solo di allegare in corso di causa il pregiudizio subito, ma deve altresì dimostrare che le modalità di vendita da parte del distributore autorizzato (o non autorizzato) siano risultate effettivamente lesive della propria reputazione.

Elementi del contratto di distribuzione selettiva

Fino ad ora si sono analizzati i limiti entro i quali il contratto di distribuzione selettiva rappresenta una lecita restrizione alle regole della concorrenza e costituisce un motivo legittimo per impedire l'esaurimento dei diritti di esclusiva di marchio.

Ora si passerà ad una analisi delle principali disposizioni (e relative criticità) da prendere in considerazione quando si costruisce un contratto di distribuzione selettiva nel rispetto di tali principi.

Innanzitutto, il fornitore (titolare del marchio) che stipula l'accordo con i distributori selezionati deve definire puntualmente l'ambito territoriale nel quale dovrà avere efficacia il proprio sistema di distribuzione selettiva: in altre parole, è necessario che il contratto preveda in quali paesi i distributori autorizzati non potranno commercializzare i prodotti con il marchio del titolare.

Altrettanto necessario è che il contratto di distribuzione selettiva sia applicabile (e quindi, in linea di massima, sia concordato che sottoscritto) a tutti i distributori autorizzati, contenendo anche l'obbligo a non fornire prodotti al di fuori della rete selezionata.

A tal proposito, si ricordi che il Tribunale di Milano nel caso Amazon/Sisley ha giudicato in violazione dell'art. 101 n. 1 TFUE un sistema di distribuzione selettiva che prevedeva il divieto delle venditeincrociate” al sistema di distributore, ossia il divieto per un distributore autorizzato alla vendita del prodotto a un altro distributore autorizzato.

In violazione delle regole antitrust è, altresì, qualunque accordo che preveda nel contratto una espressa suddivisione delle quote di mercato tra i diversi distributori autorizzati: deve, in questi casi, essere lasciata la libertà a tutti gli operatori di mercato di poter vendere il quantitativo di merci ordinato e acquistato dal titolare all'interno del territorio di riferimento. Sempre per quanto riguarda il rispetto della disciplina antitrust, non è consigliabile che il contratto fissi direttamente o indirettamente i prezzi di rivendita dei prodotti per i distributori autorizzati (così come i prezzi da praticare al dettaglio, se il distributore vende al consumatore finale), in quanto esso sarebbe considerato in violazione dell'art. 101 n. 1 TFUE. Allo stesso modo, non è consigliabile prevedere dei limiti alla produzione, agli investimenti o allo sviluppo tecnico che il distributore può realizzare sul prodotto del titolare.

Per quanto riguarda i criteri per la selezione dei distributori, è possibile prevedere nel contratto che il prodotto dovrà essere presentato dai distributori attraverso determinate modalità all'interno degli store dei distributori (sia fisici che online): in particolare, per quanto riguarda gli e-commerce deve certamente evitarsi che i prodotti con il marchio del titolare vengano affiancati (o associati) nella stessa pagina a prodotti di valore molto inferiore o completamente diversi, di modo che l'immagine del marchio ne risulti danneggiata. Per quanto riguarda i punti vendita fisici, possono essere richieste particolari modalità di esposizione dei prodotti al consumatore che visita lo shop. È altresì fortemente consigliato che venga previsto nel contratto che i criteri di autorizzazione debbano essere rigorosamente mantenuti per tutta la vigenza dell'accordo: in caso di sopravvenuta mancanza degli stessi, la conseguenza dovrà essere che il distributore non potrà rimanere nella rete di distribuzione selezionata.

Inoltre, in alcuni accordi di distribuzione selettiva è previsto che i punti vendita fisici siano localizzati in particolari zone centrali (o di attrazione turistica) delle città e che il personale all'interno abbiano un alto grado di formazione professionale in determinati settori (come, ad esempio, nella profumeria o nella vendita di prodotti farmaceutici o di igiene personale). In molti casi, inoltre, è bene prevedere particolari forme di assistenza al cliente in caso di reso o lamentele riguardo al prodotto: infatti, molte delle maison di moda più famose si distinguono dai restanti prodotti sul mercato proprio per tali modalità di supporto alla propria clientela.

I nuovi elementi introdotti dal Reg. UE 720/2022

Il 1° giugno 2022 è entrato in vigore il nuovo Regolamento UE in materia di accordi verticali (ribattezzato anche “VBER”, acronimo di “Vertical Block Exempion Regulation”), che ha introdotto rilevanti novità anche in materia di contratti di distribuzione selettiva.

Come già affermato anche dal precedente Reg. UE 330/2010, il Regolamento VBER fa salvi gli accordi di distribuzione selettiva sottoscritti tra società fornitrici e distributrici aventi quote di mercato inferiori al 30%, a condizione che non vi siano clausole che impongano le cosiddette hardcore restrictions, ossia restrizioni ritenute gravemente lesive dal Regolamento stesso, come ad esempio la fissazione del prezzo di rivendita del prodotto.

Inoltre, è ora concessa non solo la possibilità di impedire ai distributori selezionati vendite dirette o indirette a soggetti non autorizzati all'interno del territorio ma tale divieto può essere trasferito, attraverso un meccanismo di “pass-on” (ossia di trasferimento), anche ai clienti dei distributori selezionati (i c.d. acquirenti indiretti).

Dalle linee guida che accompagnano il Regolamento VBER viene precisato altresì che non è possibile combinare, nello stesso territorio, distribuzione selettiva e distribuzione esclusiva, anche se applicati ad ambiti di mercato diversi (ad esempio, distribuzione esclusiva per il commercio all'ingrosso e distribuzione selettiva per la vendita al dettaglio), in quanto tali situazioni non configurano un caso di esenzione all'art. 101 n. 1 TFUE.

Conclusioni

Come si è detto nei paragrafi precedenti, il contratto di distribuzione selettiva è un contratto che può offrire notevoli tutele per tutte quelle realtà che hanno utilizzano un marchio che contraddistingue un prodotto che gode di un’ "aura di lusso” riconosciuta dai consumatori e dagli operatori del mercato.

Attraverso tale sistema contrattuale il titolare del diritto può, in primis, selezionare i propri distributori tramite una serie di criteri atti a conservare il prestigio del marchio del titolare e dei relativi prodotti, obbligandoli ad attenersi a particolari criteri per la loro pubblicizzazione e vendita.

In caso di violazione degli accordi da parte del distributore autorizzato (o da parte di qualunque soggetto terzo non autorizzato), il fornitore titolare del marchio potrà reagire cumulando l’azione per inadempimento contrattuale a quella di contraffazione di marchio, purché riesca a dimostrare che le modalità di vendita adottate siano tali da pregiudicare il prestigio del prodotto o del marchio.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.