Condotte elusive del giudicato e formazione del silenzio assenso
04 Luglio 2023
Massima
Nel caso di giudicato amministrativo formato su una fattispecie in cui per il conseguimento del titolo richiesto dal privato è possibile la formazione del silenzio assenso, il comportamento dell'Amministrazione in attuazione del decisum deve essere improntato ai canoni della correttezza e della buona fede, cosicché l'eventuale tardivo avvio del procedimento, mediante nuova richiesta di documentazione, senza chiarire le tempistiche finali di definizione dello stesso, ovvero senza specificare le sopravvenienze che hanno reso necessaria l'integrazione documentale, si configura quale condotta elusiva del giudicato.
Il caso
La decisione in commento ha ad oggetto l'ottemperanza ad una sentenza del Consiglio di Stato, la quale, in riforma della decisione del giudice di primo grado, aveva accolto l'impugnativa di un diniego di sanatoria edilizia straordinaria (cd. condono), richiesta ai sensi dell'art. 32, d.l. 30 settembre 2003,n. 269, convertito con modif. dalla l. 24 novembre 2003, n. 326.
Mentre il giudice di prime cure aveva respinto il ricorso sul rilievo della mancata prova da parte del ricorrente dell'avvenuta realizzazione dell'intervento edilizio - nel caso, il parziale cambio di destinazione d'uso da deposito a negozio - in epoca anteriore al 31 marzo 2003 (termine ultimo per la fruizione della sanatoria edilizia del 2003), il giudice di appello aveva ritenuto, invece, che, versandosi in una fattispecie di mutamento della destinazione d'uso senza opere ed essendo provato che il ricorrente era entrato nella disponibilità del bene (nel febbraio 2003) prima della stipula della compravendita immobiliare, avvenuta il giorno 3 aprile 2003, era ben possibile che l'interessato si fosse attivato subito per rendere immediatamente funzionale il locale per l'attività di vendita e aveva, perciò, annullato il provvedimento di diniego della sanatoria edilizia straordinaria, oltre che le conseguenti ingiunzione a demolire e intimazione a non proseguire le attività commerciali esercitate in loco.
Ottenuto l'annullamento dei provvedimenti gravati, il ricorrente, di fronte alla perdurante inerzia del Comune nel riattivare e concludere il procedimento per il rilascio del titolo in sanatoria edilizia straordinaria, dapprima aveva diffidato l'Ente ad avviare e a concludere il procedimento di rilascio del condono e, successivamente, aveva chiesto l'ottemperanza della detta sentenza di annullamento.
Con la decisione in commento, il Consiglio di Stato, dopo aver definito i poteri del giudice dell'ottemperanza, richiamando al riguardo l'orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa, formula alcune interessanti considerazioni in punto di regime di silenzio assenso, con specifico riguardo alla condotta che l'Amministrazione deve osservare perché non si configuri violazione o elusione del giudicato, concludendo che “il tardivo avvio di un procedimento sottoposto al regime del silenzio assenso… mediante nuova richiesta di documentazione, senza chiarire le tempistiche finali di definizione dello stesso, ovvero senza specificare le sopravvenienze che ne hanno reso necessaria l'acquisizione anche in riferimento a situazioni, di fatto e di diritto, ormai cristallizzate nel giudicato, non possa essere equiparato alla doverosa ottemperanza allo stesso”. La questione
La pronuncia si diffonde sulla perimetrazione dei poteri del giudice di ottemperanza, evidenziando che l'Amministrazione è sempre tenuta ad eseguire il giudicato e per nessuna ragione di opportunità amministrativa o di difficoltà pratica può sottrarsi a tale obbligo, non avendo, in proposito, alcuna discrezionalità per quanto concerne l'an ed il quando, ma esclusivamente in ordine al quomodo.
Costituisce dato acquisito, infatti, l'assunto in base al quale - anche alla luce della disciplina recata dal codice del processo amministrativo e dello spettro delle domande astrattamente proponibili con il ricorso ex art. 114 c.p.a. - il giudizio di ottemperanza abbia natura (anche) di cognizione, e non di sola mera esecuzione, cosicché, inserendosi la sentenza del giudice amministrativo nel complesso rapporto che intercorre tra la pubblica amministrazione e il privato, si è da tempo elaborata la nozione di “giudicato a formazione progressiva”, volendo con essa indicare la complementarietà tra le due sentenze integrate tra di loro, quella da ottemperare e quella che ne definisce l'esecuzione.
Ne consegue che il giudice dell'ottemperanza può arricchire, integrare e dettagliare le argomentazioni rese in sede di cognizione dagli organi della giustizia amministrativa, cosicché il contenuto conformativo del dictum giudiziale può essere precisato “in termini non di sola “esecuzione”, ma più propriamente di “attuazione” in senso stretto, purché evidentemente se ne ravvisi la necessità anche in funzione propulsiva del corretto operato della P.A., dando così effettività alle tutele esperite, senza nel contempo né stravolgere, ovvero semplicemente modificare, il giudicato originario, né, men che meno, invadere competenze riservate alla discrezionalità amministrativa”.
Pertanto, dal momento che la prima operazione ermeneutica che il giudice dell'ottemperanza è chiamato ad effettuare attiene all'esatta perimetrazione del contenuto della sentenza da eseguire, che ha effetti sia ripristinatori, consistenti nell'obbligo per l'amministrazione di adeguare lo stato di fatto a quello di diritto, sia conformativi in senso stretto, il Consiglio di Stato ha osservato, nella pronuncia in esame, che, nel caso di specie, è alla luce di questi ultimi effetti che “va valutata la sussistenza del presupposto dell'inottemperanza, individuabile non tanto e non solo nella totale inerzia dell'amministrazione, bensì anche in quei comportamenti che in quanto parzialmente esecutivi del giudicato, ovvero solo formalmente tali, ne costituiscono nella sostanza un'elusione, piuttosto che una violazione”.
In particolare, i giudici di Palazzo Spada evidenziano che, laddove il legislatore abbia adottato degli istituti di semplificazione, quale il silenzio assenso, previsto dall'art. 35, comma 17, l. n. 47/1985 per la formazione del titolo edilizio in sanatoria straordinaria, è necessario - affinché l'azione dell'Amministrazione sia conforme ai principi generali dell'attività amministrativa - che il comportamento dell'Amministrazione, al pari di quello del privato, sia improntato ai canoni della correttezza e della buona fede, come espressamente codificato dall'art. 1, l. n. 241/1990 (comma 2-bis, inserito dal d.l. 16 luglio 2020, n. 76 convertito con modif. dalla l. 11 settembre 2020, n. 120).
Il Consiglio di Stato ha osservato, quindi, che un'ingiustificata attesa nell'avvio dell'istruttoria di una pratica, laddove la stessa non sia prima facie del tutto priva dei requisiti minimi di esaminabilità in concreto, non solo non può impedire la decorrenza del termine di maturazione del silenzio assenso, ove previsto, ma a maggior ragione impone la successiva compressione dei tempi di chiusura della stessa, “rimediando” per quanto possibile al pregresso colpevole ritardo nei confronti della legittima aspettativa del cittadino a conoscere il contenuto e le ragioni, qualunque esse siano, delle scelte dell'amministrazione.
Il meccanismo del “silenzio-assenso” risponde, infatti, ad una valutazione legale tipica in forza della quale l'inerzia equivale a provvedimento di accoglimento, nel senso che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell'atto amministrativo, con il corollario che, ove ne sussistano i requisiti di formazione, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge. Ha osservato, a questo riguardo, il Consiglio di Stato che, a opinare diversamente, considerando cioè che la fattispecie sia produttiva di effetti soltanto ove corrispondente alla disciplina sostanziale, si avrebbe la sottrazione dei titoli formatisi per silentium all'ordinario regime di invalidità/ annullabilità dell'atto amministrativo non conforme al modello legislativo. Le soluzioni giuridiche
Nella pronuncia in commento, il Consiglio di Stato svolge delle approfondite considerazioni su contenuto e finalità del giudizio di ottemperanza e sui poteri del giudice chiamato – come significativamente indicato nella decisione - non tanto ad eseguire la sentenza quanto ad attuarla e ciò in linea con il fondamentale principio di effettività della tutela giurisdizionale, in forza del quale è necessario assicurare all'amministrato, risultato vittorioso in una controversia con l'Amministrazione, il conseguimento di tutte quelle utilità che il dictum giudiziale gli ha riconosciuto e nelle misura più fedele possibile a tale dictum.
Nel caso in cui, come nella vicenda decisa dalla sentenza in commento, l'amministrato, una volta ottenuto l'annullamento dell'atto lesivo, possa conseguire il bene della vita mediante una fattispecie di silenzio assenso, il ritardo dell'Amministrazione nel riattivare il procedimento, l'aggravamento di questo, il sottrarsi al dovere del clare loqui con l'omissione delle ragioni per le quali si richiede un'integrazione documentale o della tempistica necessaria per concludere il procedimento, si configurano come atti elusivi del dovere istituzionale di ottemperare al giudicato, integrando altresì la violazione dei canoni di correttezza e buona fede. Infatti, come efficacemente affermato nella pronuncia in esame, “la presunta incompletezza di una pratica… finisce per diventare il grimaldello per uno stillicidio di richieste aggiuntive, spesso ammantate dall'egida della consultazione collaborativa, tali comunque da procrastinare sine die il perfezionamento dei procedimenti ad istanza di parte. 20.1. In altre parole, una lettura degli istituti di semplificazione, tra i quali sicuramente rientra anche il silenzio assenso, che sia conforme ai principi generali dell'attività amministrativa impone che il comportamento dell'Amministrazione, al pari di quello del privato, sia improntato alla correttezza e alla buona fede”. Osservazioni
La decisione in commento si apprezza non tanto nella parte in cui, peraltro in maniera molto approfondita, definisce i poteri del giudice dell'ottemperanza e i tratti discriminanti del giudizio di ottemperanza rispetto al giudizio di esecuzione di matrice civilistica (trattandosi di enunciazioni perfettamente in linea con l'orientamento consolidato della giurisprudenza), quanto nella parte in cui individua il confine tra attuazione ed elusione del giudicato con riguardo ad alcune condotte o prassi dell'Amministrazione nell'ambito di una fattispecie di silenzio assenso, rispetto alla quale, quindi, il legislatore ha compiuto, ab origine, una scelta di semplificazione, che rischia di essere vanificata proprio da atteggiamenti dilatori o, peggio, ostruzionistici dell'Amministrazione, quali il ritardo nel compimento di atti istruttori, l'immotivata richiesta di integrazioni documentali o la mancata indicazione dei tempi necessari per la definizione della pratica. |