Liberazione condizionale e condannati ostativi non collaboranti

Lorenzo Cattelan
04 Luglio 2023

Il caso sottende essenzialmente due questioni: la natura giuridica della liberazione condizionale e la disciplina applicabile alle richieste di liberazione condizionale presentate da detenuti ostativi “non collaboranti” prima del d.l. 162/2022 e trattate dai Tribunali di Sorveglianza successivamente alla data di entrata in vigore della richiamata novella normativa.
Massima

In punto di concessione della liberazione condizionale ai condannati per reati c.d. ostativi ex art. 4-bis ord. penit. “non collaboranti”, a seguito dell'entrata in vigore del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modifiche, dalla l. 30 dicembre 2022, n. 199, occorre verificare se sussistano o meno in concreto, per l'istante, le condizioni limitatrici dell'accesso al beneficio penitenziario che sono oggetto delle nuove previsioni della cui compatibilità costituzionale potrebbe in astratto dubitarsi. Le definitive dichiarazioni di inammissibilità pronunciate su richieste di collaborazione impossibile in data antecedente alla citata novella del 2022 non precludono, quindi, una complessiva valutazione di merito sui giudizi afferenti a domande di liberazione condizionale non ancora conclusi alla data del 1° novembre 2022.

Il caso

La vicenda riguarda un ergastolano, ristretto in carcere dal 1999 in forza di un provvedimento di cumulo riguardante tre sentenze di condanna, una delle quali riportante la pena dell'ergastolo con isolamento diurno per anni uno per il delitto di omicidio aggravato ai sensi dell'art. 7 l. n. 203 del 1991 e per reati concernenti la violazione delle disposizioni sulle armi.

Nel 2018 il condannato, in vista della richiesta di fruizione di un permesso premio, avanzava istanza per il riconoscimento della collaborazione impossibile. Il Tribunale di Sorveglianza di L'Aquila ne dichiarava tuttavia l'inammissibilità, dal momento che l'interessato non aveva addotto alcun elemento di novità utile al superamento di un giudicato già formatosi per precedenti conformi decisioni su analoghe richieste.

Nel 2019, poi, dopo aver maturato un complessivo periodo di espiazione di oltre ventisette anni di pena detentiva, lo stesso ergastolano presentava istanza di liberazione condizionale, che pure veniva dichiarata inammissibile dal Tribunale di Sorveglianza, atteso che sull'assenza di collaborazione (e di un accertamento della impossibilità o inesigibilità della stessa) si sarebbe formato il c.d. giudicato esecutivo. Secondo i Giudici di merito, la riferibilità del titolo esecutivo a delitti ostativi ex art. 4 ord. penit. consentirebbe la concessione della liberazione condizionale subordinatamente all'accertamento della collaborazione o dell'impossibilità/inesigibilità della stessa.

Avverso quest'ultima ordinanza, il difensore del detenuto proponeva ricorso per cassazione, lamentando la circostanza per cui il Tribunale di prime cure avrebbe omesso di pronunciarsi nel merito, in forza di una asserita preclusione, invero del tutto infondata. La principale censura riguarda l'asserita mancata considerazione delle sopravvenute indicazioni della giurisprudenza sovranazionale, secondo cui il difetto di collaborazione non può essere elevato ad indice invincibile di pericolosità sociale.

La decisione in commento, quindi, si riferisce all'impugnazione del provvedimento di inammissibilità della richiesta di liberazione condizionale presentata all'ergastolano (che, al momento dell'entrata in vigore della disciplina racchiusa nel d.l. 162/2022, aveva maturato – tenendo conto dei giorni di liberazione anticipata – più di trent'anni di pena detentiva).

La questione

Come noto, in passato, l'assenza di collaborazione con la giustizia non consentiva di valutare la ricorrenza dei presupposti per la concedibilità della liberazione condizionale in favore dei condannati per reati rientranti nel catalogo di cui all'art. 4-bis, comma 1, l. n. 354/1975 (di seguito “ord. penit.”).

La disciplina inaugurata con il d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia), poi convertito con modificazioni dalla l. n. 199 del 2022, ha fatto della mancanza di collaborazione con la giustizia una preclusione soltanto relativa e ha previsto la possibilità di accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative alla detenzione anche per i detenuti non collaboranti, ovviamente condannati per reati ostativi, seppure in presenza di "stringenti e concomitanti condizioni" (C.cost., ord. n. 227/2022).

Il novum normativo impone una riedizione dell'esercizio del potere valutativo di merito sulla sussistenza dei requisiti per l'accesso alla liberazione condizionale?

I dubbi di costituzionalità della sostanziale preclusione, per via della mancanza di collaborazione con la giustizia, all'accesso ai benefici e misure alternative, in specie alla liberazione condizionale, che connotava il precedente assetto normativo, hanno ancora ragione di essere? La novella è servita a ricondurre la legge ordinaria ad un rapporto di compatibilità con la Costituzione?

Le soluzioni giuridiche

In ordine alla natura giuridica della liberazione condizionale la Cassazione ricorda quanto affermato dallasentenza n. 32 del 2020 della Corte costituzionale, secondo cui l'istituto in parola rappresenta una pena alternativa alla detenzione con accentuata vocazione rieducativa.

Come accennato, il caso che qui ci occupa è reso problematico dalla circostanza per cui la decisione impugnata fu assunta – dal Tribunale di Sorveglianza – sotto la vigenza di un sistema normativo incentrato sulla preclusione assoluta in assenza di collaborazione.

Successivamente al 2022, invece, i condannati per i delitti ostativi di cui ai commi 1, 1-ter e 1-quater dell'art. 4-bis ord. penit., possono essere ammessi alla liberazione condizionale soltanto in presenza delle condizioni indicate dallo stesso art. 4-bis per la concessione dei benefici (- adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o assoluta impossibilità di adempimento; - allegazione di elementi specifici che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi; - sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa).

La citata novella ha poi previsto che i condannati alla pena dell'ergastolo per reati ostativi che non abbiano collaborato con la giustizia, come nel caso portato all'attenzione della Cassazione, possono essere ammessi alla liberazione condizionale solo dopo trenta anni di pena (non più ventisei, dunque, come previsto in precedenza).

La Cassazione quindi ritiene che preliminarmente occorra verificare l'ammissibilità dell'istanza di liberazione condizionale sotto il profilo del periodo di pena espiata. Solo successivamente, attraverso l'esercizio di poteri di merito, va accertata la ricorrenza delle menzionate condizioni attraverso una «complessa attività istruttoria, consistente nell'acquisizione di dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine:

  • al perdurare dell'operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso;
  • al profilo criminale del detenuto;
  • alla sua posizione all'interno dell'associazione;
  • alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute e, ove significative;
  • alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione».

Nondimeno, il Tribunale è chiamato a richiedere il parere del Pubblico Ministero presso il Giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 comma 3-bis e 3-quater, c.p.p., del Pubblico Ministero preso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Gli accertamenti che il Giudice dovrà disporre riguardano, invece, le condizioni reddituali e patrimoniali, il tenore di vita, le attività economiche eventualmente svolte, la pendenza o la definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali dell'istante, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate.

I pareri, le informazioni e gli accertamenti sopra indicati devono essere trasmessi dalle Autorità competenti entro sessanta giorni, salvo proroga di ulteriori trenta giorni in ragione della complessità degli accertamenti stessi; decorso il termine, originario o prorogato, il Giudice decide anche in assenza dei pareri, delle informazioni e degli esiti degli accertamenti richiesti.

Nel caso di specie, il ricorrente, al momento dell'entrata in vigore della nuova normativa (il d.l. n. 162 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 ottobre 2022), aveva già espiato un periodo di pena pari e superiore ai trent'anni.

Ecco quindi che, secondo la Cassazione, i Giudici di prime cure hanno errato nel ritenere inammissibile la domanda di liberazione condizionale basandosi semplicemente sulle precedenti pronunce di inammissibilità dichiarate in sede di richiesta di collaborazione impossibile.

Lo ius superveniens favorevole richiede di superare le presunzioni assolute e di effettuare il giudizio di ammissibilità e fondatezza della pretesa fatta valere dal ricorrente alla luce del nuovo testo dell'art. 4-bis ord. penit.

Pertanto, è il Giudice di merito a dover vagliare anche l'eventuale l'assenza dei requisiti richiesti dalla nuova normativa che agiscano in concreto con funzione impeditiva sul riconoscimento della liberazione condizionale al condannato ostativo non collaborante, «con conseguente, per tale via, persistente rilevanza della questione incentrata sulla contrarietà ai principi di cui agli artt. 3,27 e 117 Cost. di un complesso di regole che finisce con l'escludere il condannato all'ergastolo c.d. ostativo dall'accesso alla liberazione condizionale in violazione del principio di ragionevolezza, del principio della finalità rieducativa e risocializzante della pena e degli obblighi convenzionali assunti dallo Stato quanto al trattamento dei condannati alla c.d. pena perpetua».

In conclusione, l'ordinanza di prime cure è stata pertanto annullata, con conseguente rinvio per lo svolgimento di valutazioni di merito innanzi al competente Tribunale di sorveglianza di L'Aquila.

Osservazioni

Gli aspetti di particolare interesse sottesi al ragionamento della Cassazione nella decisione in esame sono:

  • la rilevanza pratica dell'espunzione del riferimento alla collaborazione in materia di accesso alla liberazione condizionale;
  • la mancata regolamentazione transitoria che accompagni l'innalzamento a trent'anni del quantum di pena utile per accedere alla liberazione condizionale;
  • la sorte del c.d. giudicato esecutivo formatosi, prima dell'entrata in vigore del d.l. 162/2022, sulle richieste di accertamento della collaborazione impossibile o inesigibile.

In prima battuta è il caso di chiedersi se la presunzione legale assoluta di immanenza dei collegamenti per il non collaborante sia davvero saltata.

L'oggetto del meccanismo di allegazione richiesto dalla nuova disciplina si rivela particolarmente ristretto; già i primi commentatori hanno notato che i requisiti introdotti dai nuovi commi 1.bis e 1-bis.1 dell'art. 4-bisord. penit. sono talmente rigidi da rendere molto difficile l'accesso ai benefici penitenziari per il non collaborante. Sul punto, qualora dall'istruttoria svolta emergano indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, «è onere del condannato fornire, entro un congruo termine, idonei elementi di prova contraria». Si tratta, invero, di un onere probatorio già delineato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 253/2019 a proposito dei permessi premio.

Di qui, è lecito domandarsi se il reticolato probatorio nel quale il legislatore ha ingabbiato il superamento della presunzione di pericolosità sia, in realtà, espressivo di una mal celata volontà di ribadire l'ostatività totale, rendendo, di fatto, impossibile fornire la prova contraria richiesta (Merlino).

Altra questione problematica che merita un accenno riguarda la mancanza di una disposizione transitoria che regoli la portata applicativa, da un punto di vista temporale, dell'innalzamento a trent'anni del quantum di pena utile per accedere alla liberazione condizionale.

L'art. 3 d.l. 162/2022, infatti, ha mantenuto il limite dei ventisei anni solo in presenza delle condizioni di impossibilità, inesigibilità e irrilevanza di utile collaborazione con la giustizia che, come sappiamo, continuano a sopravvivere esclusivamente rispetto a chi ha commesso il fatto prima dell'entrata in vigore del decreto-legge. Nel silenzio del legislatore, quindi, dovremmo concludere che la soglia dei trenta anni di reclusione risulti applicabile in ogni altro caso, anche a coloro che abbiano commesso il fatto prima del 1° novembre 2022.

Si tratta comunque di una modifica riguardante l'accesso alla liberazione condizionale che, seppur deteriore rispetto alla disciplina previgente, è accompagnata dalla introduzione di una disciplina nel complesso più favorevole che permette all'ergastolano “ostativo” non collaborante di accedere alla liberazione condizionale, possibilità prima assolutamente preclusa.

Infine, la soluzione adottata dalla Cassazione in ordine alla sorte del giudicato esecutivo di inammissibilità formatosi sulle richieste di accertamento della collaborazione (anche impossibile o inesigibile) con la giustizia prima dell'entrata in vigore del d.l. 162/2022 induce a richiedere una nuova rivalutazione di merito in caso di istanza di liberazione condizionale.

In questi termini, la Cassazione prospetta allora la necessità della mediazione valutativa del giudice del merito, affinché accerti, alla luce della nuova normativa, l'ammissibilità e la fondatezza della pretesa fatta valere dal ricorrente o, di contro, l'assenza di tali qualità della sua domanda in ragione delle disposizioni limitatrici della nuova disciplina che agiscano in concreto con funzione impeditiva.

Sotto quest'ultimo profilo, la Cassazione mostra di non voler anticipare un giudizio di compatibilità con la Costituzione (ed in particolare con gli artt. 3, 27 e 117 Cost.) della nuova normativa sul c.d. ergastolo ostativo. L'estrema rigidità dei parametri valutativi introdotti dal d.l. 162/2022 potrebbero infatti rappresentare una (pur solo) sostanziale esclusione del condannato all'ergastolo cd. ostativo dall'accesso alla liberazione condizionale, e ciò in contrasto coi principi di ragionevolezza, di finalità rieducativa e risocializzante della pena e«degli obblighi convenzionali assunti dallo Stato quanto al trattamento dei condannati alla c.d. pena perpetua».

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