Ai fini della prova dell'infedeltà del coniuge che rilievo assumono gli screenshot di Whatsapp?

Francesca Ferrandi
10 Luglio 2023

Con la presente pronuncia, la Cassazione torna ad affrontare il tema della ammissibilità e legittimità delle fotografie delle conversazioni telefoniche avuto particolar riguardo, da un lato, al rispetto della normativa sulla privacy e, dall'altro, al loro rilievo ai fini dell'accoglimento della domanda di addebito della separazione.
Massima

Ai fini dell'accoglimento della domanda di addebito della separazione, è da considerarsi legittima l'allegazione in giudizio delle riproduzioni di conversazioni estrapolate dal telefono cellulare del coniuge, senza il suo consenso e pur applicando una disposizione abrogata nel 2018, a seguito dell'entrata in vigore del lgs. n. 101/2018, art. 27, comma 1, lett. a), n. 2. Il riferimento, infatti, alla legge abrogata non esclude la possibilità di trattare dati sensibili in chiave difensiva alla stregua dell'art. 24 Cost. e art. 51 c.p., ma anche delle nuove regolamentazioni emanate dall'Autorità Garante in tema di trattamento dei dati per ragioni di esercizio del diritto di difesa in giudizio.

Il caso

Nell'ambito di una causa di separazione, il Tribunale aveva rigettato la domanda di addebito proposta dal marito nei confronti della moglie e posto a carico dell'uomo il mantenimento integrale dei figli e quello per la coniuge. A detta del Tribunale, infatti, il marito non aveva dimostrato il nesso causale tra l'infedeltà della donna e la crisi coniugale, ritenendo che le riproduzioni di conversazioni estrapolate dal telefono cellulare della stessa, senza il suo consenso ed in violazione della sua privacy, fossero state illegittimamente allegate in giudizio.

In sede di gravame, però, la Corte di appello, in parziale riforma della sentenza di prime cure, addebitava la separazione alla moglie rigettando, per l'effetto, la domanda di mantenimento e confermando nel resto la sentenza gravata. Secondo la corte territoriale, infatti, nel caso di specie, non era ravvisabile alcuna violazione del diritto alla privacy, atteso che le foto delle conversazioni Whatsapp erano state utilizzate esclusivamente per far valere il diritto del marito nel giudizio di separazione. Quanto, invece, alla efficacia causale, secondo i giudici di appello, non vi era alcuna prova della dedotta circostanza che da oltre 10 anni la coppia non avesse più alcun contatto fisico e che da due anni dormissero in camere separate sulla scorta di un tacito accordo di non ingerenza nella reciproca sfera privata.

La donna, quindi, decideva di proporre ricorso per cassazione in quanto, a suo dire, la Corte di appello erroneamente aveva ritenuto legittima l'utilizzazione delle fotografie dei messaggi telefonici e applicato una disposizione ormai abrogata a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 101/2018.

La questione

In tema di addebito della separazione, è legittima l'utilizzazione degli screenshot deimessaggi telefonici e, quindi, l'applicazione del d.lgs. n. 196/2003, art. 24, comma 1, lett. f), nonostante la disposizione in questione sia stata abrogata, a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 101/2018, art. 27, comma 1, lett. a), n. 2?

Le soluzioni giuridiche

La questione affrontata dalla pronuncia in esame impone una breve digressione in merito alla ripartizione dell'onere della prova laddove venga richiesto l'addebito della separazione per violazione dell'obbligo di fedeltà.

In linea generale, grava sulla parte che richieda l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento di costui ai doveri derivanti dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza. Tuttavia, laddove la ragione dell'addebito sia costituita dall'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale, questo comportamento, rappresentando una violazione particolarmente grave che determina normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, se provato, giustifica l'addebito della separazione al coniuge responsabile, dovendo, in questo caso, i fatti che escludono il nesso di causalità tra la violazione accertata e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, essere allegati e provati dalla parte che resiste alla domanda di addebito della separazione (cfr. Cass. n. 16691/2020 e Cass. n. 20866/2021).

Simile onere, però, oggi, può scontrarsi con il diritto alla privacy, portando talvolta alla sua violazione. Infatti, sempre più frequentemente, nei giudizi di separazione e divorzio (nonché in quelli di modifica delle loro condizioni), si assiste ad una copiosa produzione in giudizio, da parte dei coniugi, di fotografie ed informazioni personali tratte proprio da dispositivi digitali o da profili dei social network, il tutto al fine di fornire all'organo giudicante tutti gli elementi necessari da cui poter desumere l'asserita infedeltà coniugale posta in essere dal coniuge o, in ogni caso, la sua condotta contraria ai doveri matrimoniali.

In particolare, per quanto riguarda le informazioni contenute nei messaggi scambiati attraverso un servizio di messaggistica o di chat, come quello di Whatsapp, questi devono essere paragonati a forme di corrispondenza privata e, in quanto tali, ricevere la massima tutela per quanto riguarda la loro divulgazione, in ciò differenziandosi da quelle pubblicate sul proprio profilo personale che, in quanto destinate ad essere conosciute dalla “sola” platea delle “amicizie” virtuali, non possono di certo ritenersi assistite dalla stessa protezione, dovendo, al contrario, essere considerate alla stregua di mere informazioni conoscibili da terzi.

Particolare attenzione, dunque, merita il tema della liceità della produzione in giudizio, come nel caso in esame, delle comunicazioni e dei dati privati dell'ex, ottenute senza il suo consenso e prodotte allo scopo di provare la sua infedeltà.

Al riguardo, nel nostro Ordinamento, neppure a seguito della riforma del Codice della privacy, operata dal d.lgs. n. 101/2018, è stato previsto un divieto di utilizzo di prove formate o assunte in violazione del diritto alla privacy. Quindi, la parte (nel nostro caso il coniuge non infedele) potrà produrre il documento nel quale sarà contenuta la conversazione “incriminata”, rimettendosi, però, per quanto attiene alla sua ammissione nel giudizio, al prudente apprezzamento del giudice.

Come sottolineato, poi, nella pronuncia in esame, ai sensi dell'art. 24, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 196/2003, il consenso al trattamento dei dati personali non è richiesto quando è necessario ai fini dello svolgimento di investigazioni difensive di cui alla l. n. 397/2000 o comunque per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. Quanto, però, alla circostanza che la disposizione appena ricordata sia stata abrogata a seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 101/2018, art. 27, comma 1, lett. a), n. 2), essa non esclude la possibilità di trattare dati sensibili in chiave difensiva alla stregua dell'art. 24 Cost. e 51 c.p., ma anche delle nuove regolamentazioni emanate dall'Autorità Garante in tema di trattamento dei dati per ragioni di esercizio del diritto di difesa in giudizio.

Ciò posto, nel caso di specie, secondo la Cassazione, le foto delle conversazioni di Whatsapp erano state utilizzate esclusivamente per far valere il diritto del marito nel giudizio di separazione, ma non avevano assunto particolare rilievo ai fini dell'accoglimento della domanda di addebito della separazione, dal momento che la moglie aveva ammesso e non contestato specificamente il tradimento, ma solo la sua efficacia causale rispetto alla crisi coniugale, da tempo già in corso. Tuttavia, relativamente a quest'ultimo aspetto, la Suprema Corte, confermando la linea seguita dalla Corte di appello, ha sottolineato che, diversamente da quanto sostenuto dalla moglie, non vi era alcuna prova della dedotta circostanza che da oltre 10 anni la coppia non avesse più alcun contatto fisico e che da due anni dormissero in camere separate sulla scorta di un tacito accordo di non ingerenza nella reciproca sfera privata.Al contrario, risultava accertato che, dopo un diverbio con la figlia, durante il quale quest'ultima non solo aveva mostrato al padre ed al fratello alcuni screenshot di conversazioni che la madre aveva avuto con terzi e alcuni suoi video di contenuto pornografico, ma anche informato la stessa di essere a conoscenza delle varie relazioni extraconiugali da lei intrattenute con altri uomini, la donna avesse lasciato la casa familiare, a seguito della conclamata crisi coniugale.

In conclusione, l'ammissione del tradimento, corredata da altri elementi (quali, ad esempio, la denuncia della figlia e la mancata negazione), è risultata prevalente rispetto agli screenshot delle conversazioni telefoniche che erano stati prodotti.

Osservazioni

La pronuncia in esame è senza dubbio interessante in quanto, come abbiamo avuto modo di vedere, ci ricorda come gli sms, le chate più in generale tutti i messaggi scambiati attraverso piattaforme virtuali e dispositivi digitali, rientrino a pieno diritto tra le prove documentali di cui le parti possono avvalersi al fine di dimostrare, nelle cause di separazione e divorzio, l'infedeltà del partner.

La giurisprudenza, infatti, in assenza di una norma che vieti, nel nostro Ordinamento, conformemente a quanto prevede l'art. 191 c.p.p., di utilizzare prove formate o assunte in spregio del diritto alla privacy, sembra sempre più aperta al loro utilizzo in giudizio anche se illecitamente acquisite (cfr. Trib. Roma, 30 marzo 2016, n. 6432 e Trib. Trento, 9 marzo 2015, n. 249).

Tuttavia, considerata l'importanza dei diritti coinvolti, spetterà al giudice, come sempre, bilanciare gli interessi in gioco per decidere se una prova possa essere legittimamente utilizzata o meno ed effettuare una non semplice opera di composizione tra diritti ugualmente costituzionalmente garantiti, ma in alcune occasioni confliggenti: il diritto alla prova (art. 24 Cost.) e il diritto alla privacy(nel quale si realizza la dignità dell'individuo ex art. 2 Cost.).

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