Il termine di impugnazione della declaratoria di estinzione del giudizio e l’irrilevanza del vizio della notifica dell'atto di riassunzione

Redazione Scientifica
12 Luglio 2023

Il vizio della notifica dell'atto di riassunzione del giudizio interrotto non rileva ai fini della decorrenza del termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo.

Il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del T.A.R. per la Puglia recante la declaratoria di estinzione del giudizio di risarcimento dei danni, rimettendo la causa al primo giudice per la decisione nel merito, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a.

La società appellante impugnava innanzi al T.A.R. per la Puglia il provvedimento di rigetto dell'istanza di finanziamento agevolato per l'attivazione di iniziative imprenditoriali incluse in un Patto territoriale. L'adito Tribunale, con sentenza passata in giudicato, accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento di esclusione. La società promuoveva azione di risarcimento dei danni innanzi al G.O., che, però, con sentenza declinava la propria giurisdizione in favore di quella amministrativa. La causa risarcitoria veniva riassunta innanzi al T.A.R. per la Puglia che con ordinanza dichiarava l'interruzione del giudizio per il decesso del coordinatore politico del Patto territoriale, evocato in giudizio.

Nel frattempo, era intervenuta nel giudizio ad opponendum la società controllata dalla Regione Puglia, subentrata all'Istituto Finanziario Regionale Pugliese, eccependo in via preliminare la tardività dell'appello e la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, che, poi, mutava il proprio difensore. La ricorrente nel riassumere il giudizio, dopo la declaratoria di interruzione, notificava per errore l'atto di riassunzione al domicilio del precedente avvocato, invece che al nuovo avvocato. Quindi con la sentenza appellata il T.A.R. per la Puglia dichiarava ai sensi dell'art. 35, comma 2, lett. a), c.p.a., l'estinzione del giudizio di risarcimento dei danni, perché non riassunto nel termine perentorio di novanta giorni, ai sensi dell'art. 80, comma 3, c.p.a, dopo il verificarsi dell'evento interruttivo, ossia la scomparsa di una delle parti.

Ciò premesso, il Collegio non ha ritenuto condivisibile l'eccezione di tardività dell'appello sollevata dalla società interveniente. Ciò in ragione dell'eccezionalità della disciplina contenuta nell'art. 85, commi da 1 a 8, c.p.a., che, in quanto tale, è applicabile solo all'ipotesi di declaratoria di estinzione o improcedibilità con decreto monocratico, e non estensibile alla diversa ipotesi di cui al comma 9, del citato art. 85, concernente la dichiarazione di estinzione e improcedibilità con sentenza. In quest'ultimo caso, conformemente al criterio ermeneutico per cui la disciplina eccezionale riguarda solo i casi ivi espressamente contemplati, senza possibilità di interpretazione estensiva o analogica, si applica, come al caso di specie, la disciplina ordinaria, incluso il cd. termine lungo di impugnazione di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 92, comma 3, c.p.a., senza il dimezzamento di cui all'art. 87, comma 3, c.p.a.

Successivamente, il Collegio ha esaminato la censura mossa dall'appellante avverso la declaratoria del primo giudice di estinzione del giudizio, con priorità rispetto all'eccezione di prescrizione del diritto vantato, in quanto l'eventuale suo accoglimento avrebbe determinato la rimessione della causa al Tribunale, ai sensi dell'art. 105, comma 1, c.p.a. L'eccezione di prescrizione del diritto vantato, osserva il Collegio, è preliminare al merito, che fa venir meno l'interesse della parte all'accertamento del diritto azionato; dunque, nel caso di remissione al primo giudice, spetta a quest'ultimo esaminarla in sede di pronuncia sul merito della pretesa risarcitoria, fermo restando che la parte (ri)sollevi l'eccezione di prescrizione.

Il Collegio ha ritenuto fondata la suddetta censura sulla declaratoria di estinzione del giudizio per tardività della riassunzione, perché la notifica dell'atto di riassunzione al precedente difensore, anziché presso il nuovo costituitosi in giudizio, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi nulla e non inesistente, con conseguente possibilità di sanatoria mediante rinnovazione, o spontanea costituzione in giudizio della parte destinataria.

Sul punto il Collegio ha richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, ed in particolare la pronuncia della Cass., sez. II, 14 gennaio 2020, n. 450, per l'analoga ipotesi della riassunzione del giudizio civile interrotto, che collega la tempestività della riassunzione al deposito dell'atto di riassunzione entro tre mesi e non alla sua notifica, distinguendo l'edictio actionis dalla vocatio in ius.

Il Collegio, sebbene abbia precisato che sulla questione la giurisprudenza amministrativa non registra un orientamento uniforme, ha aderito all'indirizzo univoco della giurisprudenza di legittimità per il processo civile, non rinvenendo ragioni per differenziare la disciplina del processo amministrativo da quella del processo civile, considerato il rinvio c.d. esterno al Codice di procedura civile di cui all'art. 39 c.p.a., e il rinvio specifico nell'art. 79, comma 2, c.p.a.

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