La residenza abituale non è necessariamente quella anagrafica

Sabina Anna Rita Galluzzo
18 Luglio 2023

Come regolare i rapporti tra due ex coniugi scozzezi?
Massima

Per la corretta individuazione della giurisdizione in un giudizio di separazione personale tra coniugi secondo i criteri previsti dall'art. 3 del reg. UE 2201/2003, per “residenza abituale” della parte deve intendersi il luogo in cui l'interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni attraverso una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica alla data di proposizione della domanda.

Il caso

L'ordinanza delle sezioni unite ha origine in un processo di separazione tra due coniugi scozzesi. La moglie si rivolgeva al Tribunale italiano chiedendo che il giudice riconoscesse la propria giurisdizione e, per l'effetto, applicasse la legge italiana sullo status coniugale, nonché sui provvedimenti economici relativi alla stessa e ai due figli della coppia. Il Tribunale dichiarava la sussistenza della giurisdizione del giudice italiano in ordine a tutte le domande formulate dalla ricorrente (quanto allo status relativo alla separazione, al mantenimento del coniuge e al mantenimento della prole minorenne), ritenendo poi peraltro applicabile la legge scozzese. Rilevante ai fini della decisione era stata la circostanza per cui, secondo il giudice di merito, il marito aveva fissato la propria residenza abituale a Milano. Tale fatto, secondo il provvedimento impugnato, assumeva rilievo non solo ai fini della pronuncia sulla separazione, ma anche con riguardo alla decisione sul mantenimento.

L'uomo proponeva ricorso per regolamento di giurisdizione, affermando di essere invece residente in Scozia.

La questione

La questione ruota intorno a due importanti regolamenti europei e alla loro applicazione al caso di specie. Protagonisti della vicenda sono infatti due scozzesi che in seguito alla Brexit non sono più cittadini dell'Unione. Si tratta innanzitutto del reg. CE 2201/2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. Tale regolamento viene tirato in causa per quanto riguarda la definizione di “residenza abituale” del convenuto, criterio secondo il quale ai sensi dell'art 3 viene individuata la giurisdizione. L'altro atto che viene preso in considerazione dalle sezioni unite è invece il reg. CE 4/2009, recante disposizioni generali sulla giurisdizione in materia di obbligazioni alimentari all'interno degli Stati membri.

Le soluzioni giuridiche

La Corte innanzitutto sottolinea che il recesso del regno Unito dall'Unione Europea (c.d. Brexit) non impedisce l'applicazione delle disposizioni di cui al reg. 2201/2003 in ragione del principio, affermato dalla Corte di giustizia, secondo cui detto regolamento si applica anche ai cittadini di Stati terzi che hanno vincoli sufficientemente forti con il territorio di uno degli Stati membri in conformità dei criteri di competenza previsti da detto regolamento. Ciò implica, precisa la Cassazione, che il radicamento della giurisdizione di uno Stato membro non è esclusa ove il cittadino di un Paese estraneo all'Unione Europea (come appunto oggi il cittadino britannico) presenti un collegamento con quello Stato. Tale collegamento è da riconoscere in presenza di una residenza stabile dello straniero della cui giurisdizione si tratti. Allo stesso modo in relazione al reg. CE 4/2009 la Corte sottolinea che tale atto si applica anche nei confronti di cittadini di Paesi terzi. Rileva in proposito la Cassazione che la residenza abituale del creditore e quella del debitore integrano criteri di collegamento idonei a radicare la giurisdizione, indipendentemente dal fatto che quei soggetti siano o meno cittadini dell'Unione.

Venendo al centro della fattispecie la Corte ricorda che l'art. 3, reg. CE 2201/2003 lega la competenza a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all'annullamento del matrimonio alla “residenza abituale” specificando poi che deve trattarsi della residenza dei coniugi, o di quella di uno dei due o del convenuto o ancora dell'attore e così via.

Nella specie il marito sosteneva di essere effettivamente residente in Scozia e in particolare nella casa di sua proprietà, dalla quale si era allontanato solamente al sopraggiungere della crisi coniugale, al fine di evitare l'ulteriore inasprimento dei rapporti con la moglie e nella speranza di trovare un accordo per definire consensualmente la crisi.

La Cassazione peraltro sottolinea, riprendendo i suoi precedenti, come ai fini della corretta individuazione della giurisdizione in un giudizio di separazione personale tra coniugi, secondo i criteri stabiliti dall'articolo 3 del cit. reg. 2201/2003, per “residenza abituale” della parte deve intendersi il luogo in cui l'interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazioni, sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica. Rileva pertanto, ai fini dell'identificazione della residenza effettiva, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa alla data di proposizione della domanda (Cass. S.U. 10443/2022; Cass. S.U. 3680/2010).

Nella specie, evidenzia la Cassazione, l'uomo conduceva in locazione un immobile a Milano dove frequentava regolarmente una nuova compagna. Aveva inoltre dato incarico a uno studio legale di avviare le pratiche per ottenere il permesso di soggiorno in Italia, iniziativa, che secondo i giudici di legittimità si spiega nella prospettiva di una stabilizzazione della residenza dell'odierno istante in Italia. Il ricorrente non avrebbe infatti avuto la necessità di munirsi di un tale titolo ove avesse inteso fare ingresso in Italia per periodi di breve durata, inferiori ai tre mesi.

Nonostante pertanto avesse mantenuto la residenza anagrafica presso la casa coniugale in Scozia era pacifico che non vivesse più in quel luogo.

In relazione poi alla domanda relativa al mantenimento del coniuge e dei figli viene richiamato l'art. 3, reg. CE 4/2009, recante disposizioni generali sulla giurisdizione in materia di obbligazioni alimentari all'interno degli Stati membri. La norma, per quel che qui interessa, afferma che è competente a pronunciarsi in materia di obbligazioni alimentari, negli Stati membril'autorità giurisdizionale del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente (art. 3 lett. a). Viene così giustificato il radicamento della giurisdizione del giudice italiano in relazione alla domanda avente oggetto l'obbligazione di mantenimento del coniuge.

Riguardo, inoltre, al mantenimento della prole, si precisa nell'ordinanza, il fatto che i figli al momento dell'introduzione del giudizio fossero residenti con la madre in Scozia non condiziona la giurisdizione relativa al mantenimento degli stessi. Allo stesso modo secondo la Corte non è rilevante il fatto che davanti a un tribunale scozzese sia stato introdotto il giudizio relativo alla responsabilità genitoriale. Sostengono infatti le Sezioni Unite che il giudice che pronuncia il divorzio o la separazione personale dei coniugi è competente a statuire in merito alla domanda relativa all'obbligazione alimentare riguardante il minore qualora esso sia anche il giudice del luogo in cui il convenuto risiede abitualmente o il giudice dinanzi al quale quest'ultimo è comparso, senza eccepirne l'incompetenza.

Si evidenzia peraltro che in precedenza le sezioni unite, nonché la Corte di Giustizia, avevano sostenuto che ai sensi dell'art. 3, lett. d, reg. 4/2009, qualora il giudice italiano sia investito della domanda di separazione personale dei coniugi e il giudice di altro Stato membro sia investito della domanda di responsabilità genitoriale, a quest'ultimo spetta la giurisdizione anche sulla domanda relativa al mantenimento del figlio minore, trattandosi di domanda accessoria a quella di responsabilità genitoriale (Cass. 2276/2016; Cass. 29171/2020; CGUE 16 luglio 2015, C-184/14). Tale assunto veniva motivato sulla base della necessità di salvaguardare l'interesse superiore e preminente del minore a che i provvedimenti che lo riguardano siano adottati dal giudice più vicino al luogo di residenza effettiva dello stesso, e di realizzare la tendenziale concentrazione di tutte le azioni che lo riguardano, attesa la natura accessoria della domanda relativa al mantenimento rispetto a quella sulla responsabilità genitoriale (Cass. S.U. 24680/2019).

La Cassazione nella specie è consapevole di tale interpretazione ma non la ritiene applicabile al caso in esame.

Le sezioni unite concludono pertanto riconoscendo nella specie la giurisdizione del giudice italiano.

Osservazioni

Tutta la vicenda ruota intorno al concetto di residenza abituale. Fissata infatti la residenza abituale del convenuto in una città italiana, ne consegue, secondo la Corte di Cassazione l'individuazione della giurisdizione italiana sia in materia di separazione personale che in relazione alle conseguenti obbligazioni alimentari riguardo al coniuge e ai figli.

Si sottolinea comunque come in relazione ai minori il criterio maggiormente applicato dalla giurisprudenza sia italiana che internazionale sia quello della prossimità in riferimento all'individuazione del giudice competente a valutare le questioni che li coinvolgono. La residenza abituale del minore assume infatti un ruolo centrale in relazione alla realizzazione del suo best interest, come richiesto dalla Convenzione Onu sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e come sottolinea la dottrina (tra gli altri: Lamarque E., Residenza abituale del minore, criterio della vicinanza del giudice e best interests of the child, in Famiglia e diritto 12/2017). La residenza abituale è secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. In altri termini, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare (CGUE 2 aprile 2009, C-523/07). Per tale motivo, si reputa, che il giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente sia quello più idoneo a valutare le sue esigenze in relazione al contesto sociale in cui è collocato e sia anche quello che ha la possibilità di procedere in qualunque momento al suo ascolto.

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