Quando sono impugnabili le delibere nella comunione immobiliare pro indiviso?

Katia Mascia
20 Luglio 2023

Il Tribunale di Bologna si occupa del caso di una comproprietà indivisa e pro quota tra le parti in causa, distinguendola dalla proprietà pro indiviso di porzione di piano di cui alla previsione del comma 2 dell'art. 67 disp. att. c.c.
Massima

In tema di comunione pro indiviso di beni immobili, sono irrilevanti i principi elaborati in materia di assemblea condominiale, sia in ragione della diversità delle regole relative alla convocazione e allo svolgimento dell'assemblea - valendo i principi della convocazione con libertà di forme, anche con riguardo all'informazione circa le problematiche su cui decidere e poste all'ordine del giorno - sia della facoltà, concessa ai comunisti, di risolvere ogni questione esercitando il diritto potestativo di richiesta di divisione del bene; inoltre, le delibere vengono adottate dall'assemblea dei comunisti a maggioranza, calcolata esclusivamente in base al valore delle quote di comproprietà e non possono essere impugnate per il vizio di eccesso di potere assembleare o per conflitto di interesse, ma esclusivamente per le ragioni indicate dall'art. 1109 c.c.

Il caso

L'attrice adiva il Tribunale di Bologna ed esponeva che, nel 1995, era morto il marito, senza aver fatto testamento, lasciando come eredi, in parti uguali, lei stessa e il figlio. Non essendo mai stato diviso il compendio ereditario, l'intero patrimonio risultava essere in comunione tra i due. Di tale comunione ereditaria faceva parte la quota di 2/3 di una villa in Bologna - nella quale la signora era andata ad abitare con il marito al momento delle nozze e dove da allora aveva sempre vissuto e nella quale abita tuttora - con annesso giardino e un lotto di terreno, facente parte dell'adiacente Parco. La restante quota di 1/3 della villa, con l'annesso giardino, risultava di proprietà dei quattro figli del fratello deceduto del de cuius, tutti cittadini italiani e residenti all'estero, fatta eccezione di uno di essi avente casa e residenza nella villa. Questi sono altresì proprietari di un secondo lotto di terreno facente parte dell'adiacente Parco.

Il de cuius, marito dell'attrice, quando era in vita si era occupato dell'amministrazione sia della villa che del parco. In seguito, questo incarico era stato dato a un professionista terzo. Concretamente, delle manutenzioni della villa e del parco se ne era sempre fatta carico l'attrice, in autonomia, per le vicende quotidiane, o previa approvazione degli altri comunisti per le straordinarie, mentre il professionista esterno aveva provveduto alla gestione degli incassi, ai pagamenti, alla predisposizione dei rendiconti annuali delle entrate e delle uscite, che, di anno in anno, venivano sottoposti all'assemblea dei comunisti per l'approvazione. Così fino al 2019, anno in cui il figlio della coppia era tornato a vivere nella villa insieme alla moglie. Erano poi sorti dei contrasti tra la madre e il figlio con riguardo sia al godimento da parte dell'attrice della casa coniugale, sia alle manutenzioni, sia alla volontà della signora, ostacolata dal figlio, di alienare altri beni della comunione ereditaria per sopperire alle minori risorse finanziarie ad essa derivanti dalla conduzione della villa. In tale contesto, su sollecitazione del figlio, veniva convocata nel luglio 2021 dal professionista terzo una riunione dei comunisti facenti parte della comunione ereditaria proprietaria degli immobili di Bologna, al fine di discutere e deliberare su una serie di punti all'ordine del giorno. Assente la signora, l'assemblea decideva di nominare il figlio come amministratore unico della Comunione per la parte ordinaria fino a nuova decisione, nonché di escludere la possibilità di qualsiasi futuro rimborso da parte della Comunione in favore dei comunisti per le eventuali spese da essi anticipate per far fronte alla ordinaria gestione. L'attrice, di fatto completamente estromessa dalla gestione ordinaria della Villa e del Parco, ritenendo illegittime le deliberazioni assunte e avendo proposto, senza esito, istanza di mediazione, ha impugnato la suddetta delibera dinanzi al Tribunale di Bologna affinché ne venisse accertata e dichiarata la nullità se non l'inesistenza.

Si costituiva in giudizio il figlio, chiedendo il rigetto della domanda con condanna dell'attrice al pagamento delle spese. I restanti eredi, anch'essi costituiti in giudizio, chiedevano altresì la condanna dell'attrice al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c.

La questione

Deve stabilirsi se, nella fattispecie in esame, sia applicabile o meno la normativa dettata in materia condominiale, secondo la quale, nell'ipotesi in cui un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, ad ogni unità spetta in assemblea un unico voto e non tanti voti quanti sono i comproprietari della stessa unità.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Bologna ritiene prive di pregio le doglianze attoree - volte a far accertare la nullità della delibera assunta dalla Comunione proprietaria pro indiviso - che, dunque, vengono rigettate. L'attrice viene condannata a rimborsare ai convenuti le spese di lite. Non vengono però ritenuti sussistenti i presupposti per la condanna della stessa attrice ai sensi dell'art. 96 c.p.c. e, pertanto, il giudice di prime cure rigetta la domanda così formulata da parte convenuta.

Osservazioni

Nel caso in cui la proprietà su un determinato bene competa pro indiviso a più soggetti, deve farsi riferimento all'istituto della comunione disciplinato dagli artt. 1100-1116 c.c., volti a regolare la modalità di amministrazione del bene comune e la ripartizione dei diritti e degli oneri fra i contitolari dello stesso. Le suddette norme sulla comunione in generale risultano applicabili, ai sensi dell'art. 1139 c.c., anche in tema di condominio - per quanto non è espressamente previsto dal relativo capo che lo disciplina (capo II, titolo VII, libro III) - in quanto nell'immobile condominiale esiste la commistione di parti in proprietà esclusiva e parti comuni che spettano pro indiviso ai titolari delle proprietà solitarie.

Nel caso in esame, tra i motivi di doglianza l'attrice lamenta il fatto che la delibera impugnata sia stata assunta con il voto determinante del figlio, il quale non rappresenta la quota di un 1/3 della Comunione, essendo compartecipe al 50% della quota indivisibile di 2/3 della proprietà della villa, ricadente nella comunione ereditaria. La donna sostiene che, trattandosi di quota indivisa, alla stessa spetti un unico voto e non tanti voti quanti sono i quotisti di detta quota. Pertanto, il voto espresso in assemblea dal figlio - anche in conflitto di interessi con la madre, che rappresenta l'altro 50% della quota dei 2/3 di proprietà della villa - è palesemente nullo e, quindi, nulla è la delibera. L'attrice si richiama al principio valido in àmbito condominiale e dettato dall'art.67 disp.att.c.c., secondo il quale qualora un'unità immobiliare appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell'assemblea, designato dai comproprietari interessati a norma dell'art. 1106 c.c.

Deve ritenersi erronea l'affermazione dell'attrice, secondo la quale le norme che regolano l'assemblea dei comunisti devono essere mutuate da quelle previste per il condominio, giacchè è nell'ambito delle disposizioni sul condominio che ricorre il principio (art. 1139 c.c.) secondo cui occorre fare riferimento alle regole della comunione per quanto non espressamente previsto nello specifico capo, ma non ricorre un principio analogo e inverso per la comunione.

Il giudice di prime cure, infatti, non accoglie questo motivo di doglianza, richiamandosi, oltre che alla norma di cui al comma 2 dell'art.1105 c.c., secondo la quale per gli atti di ordinaria amministrazione le deliberazioni della maggioranza dei partecipanti, calcolata secondo il valore delle loro quote, sono obbligatorie per la minoranza dissenziente, anche a quella contenuta nel comma 2 dell'art. 1101 c.c., per la quale il concorso dei partecipanti tanto nei vantaggi quanto nei pesi della comunione è proporzionale alle rispettive quote. Nel caso in esame, non è applicabile la suddetta disposizione (art. 67, comma 2, disp. att. c.c.) dettata in materia condominiale, in quanto nel Condominio i diritti dei partecipanti sulle parti comuni sono proporzionati al valore dell'unità immobiliare che gli appartiene, mentre nella comunione sono proporzionali al valore della quota. Il Condominio è un ente sfornito di personalità giuridica che gestisce le parti comuni, nell'interesse dei singoli condomini, titolari delle rispettive proprietà esclusive. Trattasi dunque di un ente di gestione, sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli partecipanti. Nel caso in esame, invece, non è provata una simile entificazione. Le quote sono riconducibili al patrimonio generale dei rispettivi titolari della comunione pro indiviso di tutto il complesso immobiliare.

Il legislatore del 1942 ha attribuito al concetto di quota un significato pratico, come misura della partecipazione di ciascun comunista all'amministrazione, al godimento, alla ripartizione dei pesi e dei vantaggi, allo scioglimento ed alle altre vicende della cosa comune

Il condominio è diverso dalla comunione, in quanto le parti comuni del primo sono strumentali al godimento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, mentre i beni in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di autonoma utilità.

Il comunista non potrà eseguire in via diretta una innovazione della cosa comune, occorrendo che sia regolarmente convocata l'assemblea e che abbia avuto luogo una deliberazione, ma una volta che tale iter procedimentale sia stato seguito, la deliberazione, presa con la prescritta maggioranza, è valida e obbligatoria per la minoranza, anche se gli altri partecipanti non siano intervenuti.

Per il Tribunalefelsineo, non risulta adeguatamente provata la natura ordinaria della comunione della villa con annesso giardino. È più corretto qualificare la comunione in esame come ereditaria - derivando, a seguito di successivi passaggi, dall'eredità di un comune antenato delle parti in causa - solo in parte divisa con rogito notarile ed altresì derivante, nell'attuale composizione e titolarità di quote, da successivi acquisti di quote indivise sempre tra successori mortis causa.

Né può ravvisarsi un eccesso di potere o un conflitto di interessi giuridicamente rilevante - ai fini della invocata declaratoria di invalidità - nel contrasto tra comproprietari, come evidenziato invece dall'attrice. Ciò in quanto in materia di comunione pro indiviso di beni immobili, sono irrilevanti i principi elaborati in tema di assemblea condominiale, sia in ragione della diversità delle regole afferenti alla convocazione e allo svolgimento dell'assemblea, sia della facoltà, concessa ai comunisti, di risolvere ogni questione attraverso l'esercizio del diritto potestativo di richiesta di divisione del bene, sicché le deliberazioni adottatedall'assemblea dei comunisti non possono essere impugnate per il vizio di eccesso di potere assembleare o per conflitto di interesse, ma esclusivamente per le ragioni indicate dall'art. 1109 c.c.(Cass. civ., sez. II, 26gennaio 2022, n. 2299).

La norma sull'eccesso di potere assembleare, contemplato in àmbito societario, risulta applicabile soltanto con riferimento alle deliberazioni dell'assemblea di condominio ed è ravvisabile, in tal caso, quando la decisione dell'assemblea sia deviata dal suo modo di essere, perché non sia opportuna e conveniente e sia stata adottata in modo assolutamente arbitrario e dannoso per l'ente condominiale senza alcun legittimo esercizio del potere discrezionale dell'organo deliberante. Non opera, invece, relativamente alle delibere assunte dai comproprietari, stante l'ontologica diversità delle situazioni afferenti alla comunione del diritto reale di proprietà su un bene immobile ed il condominio negli edifici.

In giurisprudenza, si è infatti sostenuto che, mentre la figura dell'eccesso di potere nel diritto amministrativo fornisce uno strumento impugnatorio diretto a superare la posizione di tendenziale sperequazione tra parte pubblica e quella privata, nel diritto privato essa ha la funzione di superare i limiti di un controllo di mera legittimità di espressioni di volontà riferibili ad enti collettivi (società o condomini), che potrebbero lasciare prive di tutela situazioni di non consentito predominio della maggioranza nei confronti del singolo. In questi casi, però, il controllo va coniugato con la sussistenza di un interesse dell'ente collettivo che contemporaneamente ne verrebbe leso (Cass. civ., sez. VI, 21 febbraio 2014, n. 4216).

Nel nostro caso, invece, ci si trova dinanzi alla comunione di un diritto reale di proprietà su un bene immobile. Posto che l'intero bene è in comproprietà pro indiviso in capo a tutti i titolari del diritto di proprietà secondo quote, è sempre consentito al comunista chiedere la divisione del bene comune ovvero anche solo lo stralcio della sua quota e così porre fine allo stato di comunione.

L'attrice lamenta, altresì, il fatto che la modifica dei criteri di gestione non fosse tra i punti all'ordine del giorno. Per la giurisprudenza di legittimità, la delibera assembleare che abbia ad oggetto un contenuto generico e programmatico (quale la ricognizione del riparto dei poteri tra singoli condomini, amministratore ed assemblea) non necessita, ai fini della sua validità, che il relativo argomento sia tra quelli posti all'ordine del giorno nell'avviso di convocazione, trattandosi di contenuti non suscettibili di preventiva specifica informativa ai condomini e, comunque, costituenti possibile sviluppo della discussione e dell'esame di ogni altro punto all'ordine del giorno (Cass. civ., sez. II, 25 maggio 2016, n. 10865). L'assemblea dei partecipanti alla comunione, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione, purchè idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono per la comunione semplice l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno. Gli artt. 1105 e 1108 c.c. non suppongono, anzi, nemmeno la costituzione formale dell'assemblea, ma semplicemente la decisione a maggioranza dei partecipanti. Pertanto, deve ritenersi regolarmente costituita e capace di deliberare la riunione dei partecipanti alla comunione con la presenza dell'amministratore per decidere su oggetti di comune interesse (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2017, n. 29747; Cass. civ., sez. II, 3 novembre 2008, n. 26408; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2000, n. 14162). Nel caso in esame, l'ordine del giorno indicato viene ritenuto idoneo, essendo legittima la nomina di un comunista quale amministratore per l'ordinaria amministrazione assunta dalla maggioranza di cui al comma 2 dell'art. 1105 c.c., ed afferente le modalità di gestione e di riparto delle spese ordinarie.

Riferimenti

Napoli, La comunione (caratteri e contenuto), in Proprietà e diritti reali, diretto da Clarinzia, Torino, 2016, 826;

Palazzo, Comunione, in Dig. civ., III, Torino, 1988, 170;

Lener, La comunione, in Trattato Rescigno, 8, II, Torino, 1982, 315;

Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Commentario Scialoja e Branca, sub artt. 1100-1139, Bologna-Roma, 1982, 247;

Dogliotti, Comunione e condominio, in Trattato Sacco, VII, I Diritti reali, Torino, 2006, 110.

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