No al mantenimento all'ex moglie se il marito è disoccupato ed entrambi beneficiano del reddito di cittadinanza

Michol Fiorendi
09 Agosto 2023

Nessun assegno di mantenimento all'ex moglie se il marito in costanza di matrimonio è privo di lavoro stabile ed entrambi beneficiano del reddito di cittadinanza.
Massima

La separazione personale dei coniugi presuppone la permanenza del vincolo coniugale; pertanto, i “redditi adeguati” cui va rapportato l'assegno di mantenimento a favore del coniuge economicamente più debole, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale.

Il caso

Il tribunale territoriale dichiara la separazione giudiziale tra due coniugi, entrambi percettori di reddito di cittadinanza già in costanza di matrimonio e pone a carico del padre il contributo al mantenimento ordinario del figlio minorenne e della figlia maggiorenne autosufficiente.

I giudici di seconde cure riformano parzialmente la sentenza di primo grado, disponendo che il marito versi alla moglie, oltre alla cifra a titolo di contributo al mantenimento dei figli, anche un importo (duecentocinquanta euro) oltre rivalutazione monetaria, a titolo di contributo per il mantenimento della medesima.

Emerge però dai fatti di causa che la moglie esercita attività di lavoro domestico presso privati non dichiarato fiscalmente e che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'Appello, ha una situazione di temporanea inabilità (a causa di una lombalgia acuta) che in realtà non le impedisce di lavorare e che il marito si trova in una posizione di minorità economica rispetto ad ella per non aver attività lavorativa stabile da diversi anni. La moglie, peraltro, avendo i figli conviventi e a carico, percepisce un reddito di cittadinanza superiore a quello del marito.

Il marito decide così di rivolgersi alla Corte di Cassazione che accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d'Appello in diversa composizione, per le ragioni qui di seguito esposte.

La questione

Il coniuge privo di stabile occupazione da un periodo ben anteriore all'instaurazione del giudizio separativo e che sia, parimenti all'altro coniuge, percettore di reddito di cittadinanza, è tenuto a contribuire al mantenimento di quest'ultimo, attesa la mancanza del necessario collegamento con il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio?

Le soluzioni giuridiche

Ai sensi dell'art. 156 c.c. «il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato. Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui all'artt. 433 e seguenti. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti».

In tema di effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, la conservazione del precedente tenore di vita da parte del coniuge beneficiario dell'assegno costituisce un obiettivo tendenziale, poiché non sempre la separazione, aumentando le spese fisse dei coniugi, ne consente la piena realizzazione. Esso, pertanto, va perseguito nei limiti consentiti dalle condizioni economiche del coniuge obbligato, richiamate dal secondo comma dell'art. 156 c.c..

La definizione dei limiti entro cui sia possibile ottenere il suddetto obiettivo è riservata al giudice di merito, al quale spetta la valutazione comparativa delle risorse dei due coniugi per stabilire in quale misura l'uno debba integrare i redditi insufficienti dell'altro (si veda Cass. civ., sez. I, 16 novembre 2005, n. 23071 e Cass. civ. I, 28 aprile 2006, n. 9878).

Le condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono il difetto di titolarità di adeguati redditi propri, vale a dire che non consentano al richiedente di mantenere un tenore di vita analogo a quello mantenuto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti.

Per la valutazione dell'adeguatezza dei redditi del soggetto che richiede l'assegno, il parametro di riferimento è costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative dello stesso richiedente. Una volta accertato il diritto del richiedente all'assegno di mantenimento, il giudice, ai fini della determinazione del quantum, deve tener conto anche degli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti (si veda Cass. civ., sez. I, 18 settembre 2003, n. 13747 e Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2002, n. 4800).

Si evidenzia, peraltro, che sia l'obbligo alimentare quanto quello al mantenimento sono debiti di valuta che distinguono tra loro poiché la prestazione degli alimenti presuppone uno stato di totale assenza di mezzi di sostentamento dell'eventuale beneficiario, nonché l'impossibilità di trovarne attraverso un lavoro adeguato alle sue attitudini, condizioni fisiche, età e posizione sociale, mentre la prestazione relativa al mantenimento comprende tutto ciò che risulti necessario alla conservazione del tenore di vita goduto dai coniugi prima della separazione in corrispondenza alla posizione economico-sociale dei coniugi, e al coniuge (che non abbia avuto responsabilità nella separazione e che non disponga di mezzi sufficienti) spetta mantenere il suddetto tenore di vita, sempre nei limiti dell'inadeguatezza dei propri redditi e in proporzione alle sostanza dell'obbligato.

Il difetto di redditi adeguati va, infatti, inteso non come stato di bisogno, ma come difetto di redditi sufficienti ad assicurare al coniuge il tenore di vita goduto, o che avrebbe potuto godere in costanza di matrimonio, non rilevando l'aver tollerato, subìto o accettato durante il rapporto di coniugio un tenore di vita più modesto.

Osservazioni

Sulla scorta di diverse pronunce di merito, ciò che si può considerare sul punto è che l'insufficienza o la mancanza di adeguati redditi propri del coniuge richiedente il mantenimento è l'elemento costitutivo del diritto al mantenimento, con la conseguenza che grava su costui l'onere di provare la propria impossidenza o, comunque, di non disporre di mezzi economici sufficienti al suo mantenimento, ancorchè non necessariamente in via documentale, essendo sufficiente la deduzione, anche implicita, della condizione a mantenere il tenore di vita precedente e la dimostrazione dell'idoneità della situazione dell'altro coniuge ad assicurare un riequilibrio economico.

Sarà ferma la possibilità di quest'ultimo di contestare la pretesa inesistenza o insufficienza dei suoi redditi o di sostanze, indicando beni o proventi che evidenzino l'infondatezza della pretesa.

Nella determinazione dell'assegno di mantenimento, peraltro, deve tenersi conto del tenore di vita “normalmente” godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia e, pertanto, colui a cui è riconosciuto il diritto all'assegno, potrà chiedere, per tale titolo, le somme necessarie a integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale e in relazione al medesimo livello già raggiunto nel corso del matrimonio, non dovendosi nell'assegno comprendere, di regola, somme che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario.

Da ciò deriva che non rilevano eventuali atti di liberalità eccezionali o straordinari dell'obbligato durante la vita coniugale, non qualificabili come esborsi destinati in via ordinaria alla vita, anche sociale o di relazione, dei coniugi o dell'avente diritto.

Né il mantenimento è destinato allo svolgimento di attività diverse da quelle strettamente inerenti allo sviluppo della vita personale, fisica, culturale e di relazione del coniuge che lo riceve, e, quindi, non può essere invocato per gli investimenti o per consentire un'eventuale attività imprenditoriale di chi ne beneficia.

Si osserva, peraltro, che la norma in esame non è applicabile alla separazione di fatto, durante la quale i rapporti economici familiari (tra coniugi e con prole) trovano disciplina agli artt. 143 e 147 c.c. e, per l'effetto, sull'obbligo di mantenimento gravante sul coniuge durante la separazione di fatto, talchè non può incidere la pronunzia di separazione resa in epoca successiva, così come non è applicabile alla convivenza more uxorio, dato che alla cessazione di questa non sussiste l'obbligo di corrispondere alcunchèa titolo di mantenimento o come contributo al mantenimento, atteso che l'art. 156 c.c. presuppone la sussistenza del vincolo di coniugio.

Il diritto al mantenimento sorge a seguito di separazione personale, a condizione – come evidenziato più volte - che il coniuge cui non sia addebitabile la separazione non abbia redditi adeguati che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva in costanza di matrimonio e che sussista una disparità economica tra i coniugi.

L'adeguatezza dei mezzi a disposizione va, peraltro, valutata con riferimento al contesto nel quale i coniugi hanno vissuto durante il matrimonio.

Al fine della quantificazione dell'assegno deve tenersi conto delle concrete attitudini lavorative del richiedente in relazione a ogni fattore individuale e ambientale e in base a considerazioni non astratte e ipotetiche, bensì riferite all'età, alle condizioni fisiche e psichiche, alla preparazione professionale e alle condizioni del mercato del lavoro, verificando contemporaneamente le effettive possibilità di guadagno in un'occupazione adeguata alla personalità del richiedente, potendo la voluta inattività lavorativa annullare l'obbligo altrui.

Infine, atteso che il diritto al mantenimento del coniuge separato implica che le sostanze dell'obbligato possano consentirlo, lo stesso va negato qualora la posizione economica di quest'ultimo sia tale da far sì che qualunque riduzione si traduca nella privazione del minimo indispensabile per la sopravvivenza.

Nonostante ciò, la modesta entità dei redditi di un coniuge non è, di per sé, ostativa all'attribuzione di un assegno di mantenimento in favore dell'altro, se privo di reddito e di possibilità di lavorare, ove sia attuabile un contemperamento fra le elementari esigenze di vita del primo e l'opportunità di assicurare un sia pur minimo contributo alle necessità del secondo.

Discussa è, altresì, la facoltà di rinunzia all'assegno, apparendo inefficace qualsiasi tipo di rinuncia per l'inderogabilità del diritto al mantenimento. Nulla vieta comunque ai coniugi di addivenire a una regolamentazione consensuale dell'assegno di mantenimento sia per la misura, sia per il modo di soddisfacimento: l'accordo delle parti integra gli estremi di un negozio di accertamento, trovando il diritto all'assegno di mantenimento la sua fonte nella legge.

Un'ultima osservazione: nella determinazione del quantum incide, inoltre, la circostanza che il coniuge obbligato sia tenuto al mantenimento di figli nati da una nuova relazione o abbia scelto di cessare a causa di ciò l'attività professionale, mentre non rileva il preteso onere di mantenimento del convivente more uxorio.

Riferimenti

Zanetti Vitale, La separazione personale dei coniugi, Comm. Schlesinger, 426, 430, 444 e 446;

Russo, Le convenzioni matrimoniali e altri saggi sul nuovo diritto di famiglia, 221;

Dogliotti, Doveri familiari e obbligazione alimentare, Tr. Cicu-Messineo, 80;

Scardulla, La separazione personale dei coniugi e il divorzio, 348.

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