Nullità delle fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, rilievo officioso e profili probatori

11 Agosto 2023

Il contributo ha ad oggetto l'esame della giurisprudenza di merito e di legittimità formatasi a seguito dell'arresto delle Sezioni Unite n. 41994/2021, evidenziando in particolare le criticità emerse proprio in ordine ai limiti del rilievo officioso della nullità con peculiare riferimento all'onere di allegazione e prova, specie a fronte delle preclusioni processuali e tenendo fermo il principio della domanda.
Inquadramento

La decisione delle Sezioni Unite del 30 dicembre 2021, n. 41994 ha, tra l'altro, sancito il principio della nullità parziale delle fideiussioni omnibus recanti le clausole di sopravvivenza, di reviviscenza e rinuncia ai termini ex art. 1957 c.c., proprie dello schema elaborato dall'Associazione Banche Italiane, schema che aveva formato oggetto dell'istruttoria della Banca d'Italia, esitata nel provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005 con cui l'Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva dichiarato che gli artt. 2, 6 e 8 contenevano disposizioni in contrasto con la l. n. 287/1990, art. 2, comma 2, lett. a), (Norme per la tutela della concorrenza e del mercato), poiché risultanti da un'intesa restrittiva della concorrenza.

Le ricadute più immediate del suddetto principio si sono avute sui procedimenti incardinati in epoca antecedente alla citata decisione del Supremo Consesso – sia antecedenti che successivi alla statuizione dell'AGCOM - nei quali detta sanzione o non era stata esplicitata nei termini processuali o in modalità diverse (pe. Nullità totale e non parziale), involgendo, da un lato, il delicato tema della rilevabilità officiosa di tale tipo di nullità e con esso il principio della domanda, e dall'altro, l'onere di allegazione e prova richiesto. Il presente contributo ha ad oggetto l'esame della giurisprudenza di merito e di legittimità formatasi a seguito del citato arresto, evidenziando in particolare le criticità emerse proprio in ordine ai limiti del rilievo officioso della nullità in esame con peculiare riferimento all'onere di allegazione e prova, specie a fronte delle preclusioni processuali e tenendo fermo il principio della domanda.

Il rilievo officioso della nullità: i termini del problema

Senza pretesa di esaustività, e per quanto di interesse, le Sezioni Unite del 2021 avevano individuato i limiti del rilievo officioso della nullità in esame, perimetrando i contratti a valle che potessero essere tacciati di invalidità.

È subito apparso evidenti agli operatori del diritto che la decisione in esame dovesse essere coniugata con i processi già pendenti ed avviati in epoca antecedente alla medesima, ove, il più delle volte, i termini processuali erano già spirati e quindi thema decidendum e probandum erano già compiutamente delineati, dall'altro, che la soluzione non potesse essere sic et simpliciter ricondotta al c.d. principio dell'overruling. È, infatti, emerso che la decisione delle Sezioni Unite scontasse sicuramente un limite evidente ossia che, benché sulla sanzione vi fosse incertezza in dottrina e giurisprudenza (nullità parziale o totale o solo tutela risarcitoria e/o entrambi i rimedi), comunque, la decisione della Banca di Italia risaliva al 2005. Ne conseguiva che, quindi, quantomeno per i processi istaurati a far data successiva al citato provvedimento, di vero e proprio overruling non si potesse discutere, nel senso che, in disparte la rilevabilità officiosa della nullità, ove difettasse allegazione in fatto della medesima e dei suoi elementi costitutivi e la relativa domanda, la questione fosse in sostanza preclusa.

Invero, il problema si era posto per le fideiussioni stipulate tra l'elaborazione dello schema ABI nel 2003 e la decisione n. 55 della Banca di Italia del 2005. Infatti, come noto, il modello ABI del 2003, in conformità del quale erano stati stipulati innumerevoli contratti di fideiussione omnibus, è stato sottoposto al vaglio della Banca d'Italia che, con provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, ha sancito la contrarietà di alcuni articoli in esso contenuti all'art. 2, comma 2, lett. a), l. n. 287 del 1990. Mediante tale pronuncia è stato imposto all'ABI di trasmettere alle imprese aderenti un modello emendato da quegli articoli. Le banche, tuttavia, nell'arco temporale tra la redazione del modello ABI 2003 e la pronuncia della Banca d'Italia del 2005, avevano fatto uso di quei modelli successivamente dichiarati contrari alla normativa antitrust; si è venuta quindi a creare una situazione di incertezza relativamente alla sorte dei contratti di fideiussione riproducenti il modello giudicato anticoncorrenziale stipulati prima del provvedimento della Banca d'Italia.

Nel caso esaminato dalla citata decisione delle Sezioni Unite, era emersa l'ulteriore peculiarità che l'istituto di credito con il quale era stata intrattenuta la fideiussione non figurava tra quelli aderenti all'intesa a monte, dichiarata nulla dall'autorità di vigilanza, ancorché detto contratto recepisse, in tutto o in parte, il contenuto dell'intesa vietata.

La Corte di Cassazione ha quindi chiarito che avessero rilievo non solo le adesioni esplicite ad intese vietate, ma "qualsiasi condotta di mercato (anche realizzantesi in forme che escludono una caratterizzazione negoziale), purché con la consapevole partecipazione di almeno due imprese, nonché anche le fattispecie in cui il meccanismo di "intesa" rappresenti il risultato del ricorso a schemi giuridici meramente "unilaterali"” (v. anche Cass. civ., 1 febbraio 1999, n. 827) aggiungendo che “l'accertamento di condotte anticoncorrenziali ai sensi della l. n. 287/1990, art. 2, si applica a tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all'accertamento della loro illiceità da parte dell'autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato (Cass. civ., 12 dicembre 2017, n. 29810).

In particolare, hanno ricordato, nel comporre l'annoso e ultraventennale conflitto dottrinale e giurisprudenziale, che dalle decisioni della Corte di Giustizia emerge che il diritto al risarcimento del danno subito per effetto della condotta anticoncorrenziale è il comune denominatore — per l'intero spazio Europeo — e la forma di tutela di base da assicurare ai consumatori, mentre la sede naturale per la regolamentazione della sorte dei contratti a valle è quella dell'ordinamento interno degli Stati membri. Pertanto, gli Ermellini hanno concluso affermando che: “Una volta esclusa la idoneità della sola tutela risarcitoria, disgiunta dalla tutela reale, a garantire la realizzazione delle finalità perseguite dalla normativa antitrust, deve ritenersi che la forma di tutela più adeguata allo scopo, ma che consente di assicurare anche il rispetto degli altri interessi coinvolti nella vicenda, segnatamente quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, espunte le clausole contrattuali illecite, sia la nullità parziale, limitata — appunto — a tali clausole”, consentendo tale nullità di “conservare” il negozio giuridico.

Né può essere il giudice a rilevare d'ufficio l'effetto estensivo di detta nullità all'intero contratto, tanto dovendo essere dimostrato da chi ha interesse a far cadere in toto l'assetto di interessi programmato (cfr., in argomento, Cass. civ., 21 maggio 2007, n. 11673, in Giust. civ. Mass. 2007, 5; Cass. civ., 10 novembre 2014, n. 23950, ivi, 2014; Cass. civ., 5 febbraio 2016, n. 2314, ivi, 2016).

I giudici di legittimità hanno, inoltre, osservato che quella in esame è una “nullità speciale”, posta — attraverso le previsioni di cui agli artt. 101 TFUE e dell'art. 2, lett. a) della Legge antitrust — a presidio di un interesse pubblico e, in specie, dell'“ordine pubblico economico”; dunque “nullità ulteriore a quelle che il sistema già conosceva” (cfr. Cass civ., 1 febbraio 1999, n. 827, cit.). Si tratta di una nullità che, poiché trova la sua ratio nella tutela dell'ordine pubblico economico, “ha una portata più ampia della nullità codicistica e delle altre nullità conosciute dall'ordinamento — come la “nullità di protezione” nei contratti del consumatore (cd. secondo contratto), e la nullità nei rapporti tra imprese (cd. terzo contratto) — in quanto colpisce anche atti, o combinazioni di atti avvinti da un “nesso funzionale”, non tutti riconducibili alle suindicate fattispecie di natura contrattuale”.

La decisione delle Sezioni Unite ed i processi pendenti

Come si è già avuto modo di osservare, il tema ha riguardato le fideiussioni concluse, a valle, in attuazione dell'intesa, a monte, colpita dalla decisione della Banca di Italia e nell'arco temporale tra questa nel 2005 e l'elaborazione dello schema ABI del 2003, indipendentemente dalla adesione o meno dell'istituto di credito alla stessa, purché le clausole ivi esaminate fossero pedissequamente riprodotte nel contratto. Per tali contratti, infatti, la giurisprudenza di legittimità aveva già avuto modo di affermare che “nel dichiarare la nullità delle intese vietate l'art. 2, l. n. 287/1990 prende in considerazione non solo il negozio giuridico posto all'origine della violazione, ma tutta la serie dei fatti distorsivi della concorrenza, anche successivi a quel negozio. Ne deriva che la nullità si riferisce anche ai contratti “a valle”, pure se questi siano stati stipulati prima che l'intesa fosse accertata dall'autorità amministrativa preposta alla vigilanza del mercato concorrenziale, a condizione che essa si sia realizzata in un momento precedente al negozio denunciato come nullo”. (Cass. civ., 12 dicembre 2017 n. 29810). Nulla questio, si ripete, per quelli stipulati in epoca successiva, purché il relativo thema decidendum e probandum fosse stato configurato già dal primo grado nel rispetto dei termini processuali e non si fosse maturata quindi alcuna preclusione processuale.

Su punto, quindi, va rimarcato il costante e consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, nel caso specifico, in ordine ai limiti di rilevabilità in cassazione e prima ancora in appello della nullità in esame.

La più recente giurisprudenza ha infatti ricordato che “se è vero che, secondo il principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 26242 e 26243 del 12 dicembre 2014, "in appello e in Cassazione, in caso di mancata rilevazione officiosa della nullità in primo grado, il giudice ha sempre facoltà di rilevare d'ufficio la nullità", è vero anche che tale principio, va coordinato con l'indirizzo, consolidato, per cui le questioni esaminabili di ufficio, che, invece, abbiano formato oggetto nel corso del giudizio di merito di una specifica domanda od eccezione, non possono più essere riproposte nei gradi successivi del giudizio, sia pure sotto il profilo della sollecitazione dell'organo giudicante ad esercitare il proprio potere di rilevazione ex officio, qualora la decisione o l'omessa decisione di tali questioni da parte del giudice non abbia formato oggetto di specifica impugnazione, ostandovi un giudicato interno che il giudice dei gradi successivi deve in ogni caso rilevare (v., al riguardo, Cass. civ., 25 febbraio 2021, n. 5257; Cass. civ., 9 maggio 2019, n. 12259; Cass. civ., 17 gennaio 2017, n. 923 e, ivi richiamati, i precedenti di Cass. civ., 4 marzo 1998, n. 2388; Cass. civ. , 26 giugno 2006, n. 14755; Cass. civ., 10 gennaio 2014, n. 440, quest'ultimo con particolare riferimento al giudizio di appello; v. anche, Cass. civ., 10 maggio 2018, n. 11259).

Si è infatti osservato che "quando venga proposta in appello un'eccezione relativa a questione rilevabile d'ufficio anche dal giudice... tale questione diventa punto controverso, con la conseguenza che, se il giudice d'appello ometta di pronunciarsi su di essa, la parte interessata, per impedire che si formi un giudicato interno processuale sull'omessa decisione e la conseguente espunzione della questione dal novero di quelle esaminabili in sede di legittimità nonostante il suo regime di rilevabilità d'ufficio, è tenuta a censurare l'omissione di pronuncia con il ricorso per cassazione e non può, nel presupposto che la questione era rilevabile d'ufficio, riproporla direttamente come motivo di cassazione della sentenza" (Cass. civ., 10 gennaio 2014, n. 440, cit.).

Indicazioni convergenti si ricavano del resto anche da Cass. civ., sez. un., 22 marzo 2017n. 7294 (ove è affermato il principio secondo cui "allorquando il giudice di primo grado abbia deciso su pretese che suppongono la validità ed efficacia di un rapporto contrattuale oggetto delle allegazioni introdotte nella controversia, senza che né le parti abbiano discusso né lo stesso giudice abbia prospettato ed esaminato la questione relativa a quella validità ed efficacia, si deve ritenere che la proposizione dell'appello sul riconoscimento della pretesa, poiché tra i fatti costitutivi della stessa per come riconosciuta da primo giudice vi è il contratto, implichi che la questione della sua nullità sia soggetta al potere di rilevazione d'ufficio del giudice, integrando un'eccezione cd. in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado. Ciò, risultava e risulta giustificato, in ognuno dei regimi dell'art. 345 c.p.c., succedutisi nella storia del codice di rito, dalla previsione, sempre rimasta vigente, del potere di rilevazione d'ufficio delle eccezioni soggette a rilievo officioso").

Ma tanto emerge anche dallo stesso arresto di Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, n. 26243, là dove (pagg. 85 - 87; pp. da 8.3.1 a 8.6.2) si osserva testualmente quanto segue: "8.3.1.... E' pressoché superfluo rammentare che, in sede di gravame, il thema decidendum resta definitivamente cristallizzato dal contenuto della decisione impugnata. "E' altrettanto noto che l'art. 345 c.p.c., detta il principio della inammissibilità, da dichiararsi d'ufficio, delle domande nuove proposte dinanzi al giudice dell'impugnazione.

"La norma va tuttavia coordinata, nella sua portata precettiva, con il perdurante obbligo di rilevare di ufficio una causa di nullità negoziale imposto al giudice di appello (al pari di quello di legittimità) dall'art. 1421 c.c., che non conosce né consente limitazioni di grado.

"8.4. Ne consegue:

- Da un canto, che al giudice di appello investito di una domanda nuova volta alla declaratoria di nullità di un negozio del quale in primo grado si era chiesta l'esecuzione, la risoluzione, la rescissione, l'annullamento (senza che il giudice di prime cure abbia rilevato né indicato alle parti cause di nullità negoziale), è preclusa la facoltà di esaminarla perché inammissibile.

- Dall'altro, che a quello stesso giudice è fatto obbligo di rilevare d'ufficio una causa di nullità non dedotta né rilevata in primo grado, indicandola alle parti ai sensi dell'art. 101, comma 2 (norma di portata generale e dunque applicabile anche in sede di appello);

- Dall'altro ancora, che tale obbligo deve ritenersi altresì attivabile da ciascuna delle parti ai sensi dell'art. 345, comma 2, c.p.c., che consente la proposizione di eccezioni rilevabili di ufficio.

"8.5. La corretta coniugazione di tali, distinti aspetti processuali conduce:

1) Alla declaratoria di inammissibilità della domanda di nullità per novità della questione, che peraltro non ne impedisce (secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte) la conversione e l'esame sub specie di eccezione di nullità, legittimamente proposta dall'appellante in quanto rilevabile di ufficio.

2) Alla (eventuale) rilevazione della nullità, nell'esercizio di un potere-dovere officioso, e alla indicazione del nuovo tema da esplorare in questa nuova fase del giudizio, se nessuna delle parti abbia sollevato la relativa eccezione.

"8.6. Non può pertanto ritenersi preclusa al giudice, rilevata in limine la inammissibilità della domanda nuova, la facoltà di motivare in ordine alla ritenuta validità del contratto (...), con argomentazioni perfettamente speculari rispetto a quelle che avrebbe svolto se quella nullità egli stesso avesse autonomamente rilevato.

"8.6.1. Lungi da risultare "sovrabbondante o illegittima", una tale motivazione si configura come doverosa disamina della (domanda inammissibile convertita in) eccezione di nullità negoziale formulata dalla parte appellante.

"8.6.2. Egli non potrà, pertanto, limitarsi ad una declaratoria di inammissibilità in ragione della novità della domanda di nullità emanando una pronuncia che racchiuderebbe, in tal caso, un significante esplicito (l'inammissibilità della domanda) ed un implicito significato (la validità negoziale) -, ma deve, in conseguenza della conversione della domanda (inammissibile) in eccezione (ammissibile) di accertamento della nullità, esaminare il merito della questione".

Si ricava chiaramente da tali precedenti il principio secondo cui la preclusione al rilievo in cassazione della nullità contrattuale (come di qualsiasi altra eccezione rilevabile d'ufficio), si determina solo ove in appello sia stata formulata la relativa domanda/eccezione e la corte di merito non si sia pronunciata, poiché in tal caso sull'omessa pronuncia (ove non espressamente denunciata come tale) si determina un giudicato processuale preclusivo della riproposizione della questione in cassazione.

Ne discende che, come è era avvenuto nel caso specifico esaminato dalla più recente giurisprudenza di legittimità (in tal senso v. Cass. civ., 13 dicembre 2022, n. 36421), la mancata specificazione del se, dove e come i fatti integratori della pretesa nullità fossero stati introdotti nel processo e fossero stati resi rilevabili, aveva impedito in cassazione – ma anche in appello, ove le relative questioni, non fossero state reiterate o introdotte come motivo di gravame - di compiere le necessarie verifiche circa l'eventuale formarsi delle suddette eventuali preclusioni.

I principi espressi dalle Sezioni Unite alla luce della giurisprudenza di merito e legittimità successiva: onere della prova e di allegazione

Come dinanzi esposto, quindi, il primo e più rilevante profilo del tema in esame è rappresentato dal difficile connubio tra due principi cardine del sistema processuale ossia, da un lato, il rilievo officioso della nullità in esame, dall'altro, il principio della domanda, che rende, nel caso che ci affatica, più limitato il primo in ossequio al secondo. Appare quindi evidente che il contraltare di questo bilanciamento come su esposto è la corretta individuazione dell'onere di prova e allegazione incombente sulle parti e più specificamente sulla parte che la nullità della fideiussione invoca per violazione della disciplina anticoncorrenziale.

Come già ricordato, con sentenza 30 dicembre 2021, n. 41994, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che "i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la l. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell'art. 2, comma 3 della Legge succitata e dell'art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti".

In motivazione tale pronuncia ha in particolare rimarcato, per quanto in questa sede importa in particolare evidenziare, che - stante la finalizzazione di tale normativa ad elidere attività e comportamenti restrittivi della libera concorrenza -:

a) "la forma di tutela più adeguata allo scopo (quello, cioè, di garantire la realizzazione delle finalità perseguite dalla normativa antitrust, n.d.r.), ma che consente di assicurare anche il rispetto degli altri interessi coinvolti nella vicenda, segnatamente quello degli istituti di credito a mantenere in vita la garanzia fideiussoria, espunte le clausole contrattuali illecite, (e') la nullità parziale, limitata appunto a tali clausole; né va tralasciato il rilievo che la nullità parziale è idonea a salvaguardare il menzionato principio generale di "conservazione" del negozio" (Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, cit., p. 2.15, pag. 30);

b) "la regola dell'art. 1419, comma 1, c.c.,.... enuncia il concetto di nullità parziale ed esprime il generale favore dell'ordinamento per la "conservazione", in quanto possibile, degli atti di autonomia negoziale, ancorché difformi dallo schema legale. Da ciò si fa derivare il carattere eccezionale dell'estensione della nullità che colpisce la parte o la clausola all'intero contratto, con la conseguenza che è a carico di chi ha interesse a far cadere in toto l'assetto di interessi programmato fornire la prova dell'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla, mentre resta precluso al giudice rilevare d'ufficio l'effetto estensivo della nullità parziale all'intero contratto" (ivi, pag. 30-31, enfasi aggiunta);

- "i contratti a valle sono integralmente nulli... esclusivamente quando la loro stessa conclusione restringe la concorrenza, come nel caso di una intesa di spartizione, riprodotta integralmente nel contratto a valle";

- "Quest'ultimo e', invece, nullo solo in parte qua, laddove riproduca le clausole dell'intesa a monte dichiarate nulle dall'organo di vigilanza, e che sono le sole ad avere - in concreto - una valenza restrittiva della concorrenza, come nel caso dello schema ABI per cui è causa. Tutte le altre clausole, coerenti con lo schema tipico del contratto di fideiussione, restano invece - come nel caso concreto ha affermato il provvedimento della Banca d'Italia n. 55 del 2005 pienamente valide".

La stessa pronuncia ha anche evidenziato, quale corollario sul piano processuale di tale principio, che, "il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne di ufficio la sua nullità solo parziale. E tuttavia, qualora le parti, all'esito di tale indicazione officiosa, omettano un'espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l'originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione ed alle loro determinazioni espresse nel processo (Cass. civ., sez. un., 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243; Cass. civ., 18 giugno 2018, n. 16501)" (così, in motivazione, Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, cit., p. 2.20.2, pag. 41).

In base agli esposti principi, è stato, dunque, in ogni caso escluso che il giudice possa rilevare ex officio la nullità totale del contratto di fideiussione (c.d. a valle) nel quale siano riprodotte le clausole dello schema ABI dichiarate nulle, tale esito essendo riservato alla sola ipotesi in cui ad esso sia diretta espressa domanda della parte e questa sia a sua volta supportata dalla allegazione e dimostrazione, con onere a carico della parte stessa, dell'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dalla parte nulla.

Quel che il giudice può, in ipotesi, rilevare e/o dichiarare ex officio e', dunque, nella ricorrenza dei detti presupposti e salve le preclusioni eventualmente maturate, "solo" la nullità parziale, ma a condizione che le parti, espressamente interpellate in ordine a tale possibile esito, formulino un'espressa istanza di accertamento in tal senso.

A ciò poi va aggiunto che la giurisprudenza di merito aveva già affermato che ove le parti avessero - in primo grado – proposto su impulso del giudice o anche motu proprio una modifica dell'originaria domanda di nullità totale nel rispetto dei termini processuali (in particolare si pensi al caso in cui tale modifica sia intervenuta spontaneamente con la prima memoria ex art. 183 c 6 n. 1 c.p.c. nel rito antecedente alla riforma c.d. Cartabia) comunque era necessario che la parte dimostrasse, anche in via presuntiva (il riferimento è a presunzioni gravi, precise e concordanti) che il contratto di fideiussione riproducente le c.d. clausole anticoncorrenziali fosse l'effetto di una intesa o comportamento volto appunto alla distorsione del mercato, allegando, in punto di fatto, che il contratto "a valle" di cui si eccepisce la nullità costituisca effettivamente la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza di cui a contratti anteriormente stipulati "a monte" e specificare altresì quali siano i profili in questione (vedi in questo senso Trib. Monza, 4 settembre 2018, n. 2053, in expartecreditoris; così Trib. Pistoia, est. Iannone, sez. I, 17.2.2023, n. 121; Trib. Busto Arsizio, sez. III, 30 marzo 2023, n.469).

Infatti, la giurisprudenza di legittimità e di merito impongono la prova rigorosa del permanere di un'intesa anticoncorrenziale e del nesso causale tra la condotta lesiva della concorrenza e l'attività contrattuale successiva, riconoscendo, in difetto, la validità delle singole clausole A.B.I. riprodotte all'interno dei contratti di fideiussione. Con riferimento all'onere probatorio in materia di nullità "derivata" del contratto di fideiussione omnibus, la giurisprudenza di legittimità è dunque concorde nell'affermare che, per potersi determinare l'estensione del vizio, l'attore deve fornire "la prova del fatto che la fideiussione omnibus prestata sia stata modellata sullo schema di contratto predisposto dall'ABI con la finalità di aderire allo stesso ed i tal modo escludere un ambito di differente negoziabilità" (cfr. Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13846).

Del resto, la stessa Banca Italia, nel dispositivo del provvedimento n. 55/2005, ha affermato che "gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall'ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l'art. 2, comma 2, lett. a), della l. n. 287/90…". Tale inciso costituisce una specificazione ulteriore dell'onere probatorio a carico dell'attore, il quale è tenuto a provare, oltre alla presenza dell'intesa a monte e del danno subito, l'applicazione uniforme delle clausole. Pertanto, la mera coincidenza contenutistica della fideiussione in esame con le clausole nulle dello schema A.B.I. non è sufficiente per dimostrare l'illiceità delle stesse: è necessaria la dimostrazione che la banca abbia adottato una condotta anticoncorrenziale.

Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria ha interpretato la prova del carattere uniforme nel senso che l'attore debba dimostrare in giudizio l'applicazione del contratto di fideiussione utilizzato dalle banche ovvero la standardizzazione delle clausole che, in deroga alla disciplina legale, ripropongono il contenuto dello schema dell'A.B.I. censurato dall'Autorità di vigilanza. La giurisprudenza ha anche dato rilievo alle tempistiche in cui è stata stipulata la fideiussione; si è affermato, infatti, che il Provvedimento n. 55/2005 della Banca d'Italia costituisce prova privilegiata solo in relazione alla sussistenza del comportamento accertato o della posizione rivestita sul mercato e del suo eventuale abuso; per contro, esso non costituisce prova idonea dell'esistenza dell'intesa restrittiva della concorrenza con riguardo alla fideiussione che sia stata stipulata in un periodo rispetto al quale nessuna indagine risulta essere stata svolta dall'autorità di vigilanza, la cui istruttoria ha - com'è noto - coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005.

In altri termini, il provvedimento n. 55/2005 della Banca d'Italia possiede efficacia di prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni prestate nel periodo di tempo oggetto di esame della Banca medesima. In ogni altro caso, pertanto, parte attrice è onerata dell'allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie d'illecito concorrenziale dedotto in giudizio, di cui all'art. 2 della l. n. 287/1990. Tale onere probatorio si potrebbe adempiere depositando documenti o articolando mezzi di prova volti a dimostrare che, al momento in cui le fideiussioni scrutinate sono state sottoscritte dalle parti, un numero significativo di istituti di credito, all'interno del medesimo mercato, aveva coordinato la propria azione al fine di sottoporre alla clientela dei modelli uniformi di fideiussione per operazioni specifiche, così da privare quella stessa clientela del diritto ad una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza (cfr. Trib. Milano, sez. VI, 20 ottobre 2021).

Su tale questione si è pronunciata anche la recente e già citata Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 2021, n. 41994, la quale ha specificato che "Non è certo la deroga isolata - nei singoli contratti tra una banca ed un cliente - all'archetipo codicistico della fideiussione, ed in particolare agli artt. 1939, 1941 e 1957 c.c., a poter, invero, determinare problemi di sorta, come è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, in termini di effetto anticoncorrenziale. È, invece, il predetto "nesso funzionale" tra l'"intesa" a monte ed il contratto a valle, emergente dal contenuto di tale ultimo atto che - in violazione dell'art. 1322 c.c. - riproduca quello del primo, dichiarato nullo dall'autorità di vigilanza, a creare il meccanismo distorsivo della concorrenza vietato dall'ordinamento. In siffatta ipotesi, la nullità dell'atto a monte è - per vero - veicolata nell'atto a valle per effetto della riproduzione in esso del contenuto del primo atto. E ciò è tanto più evidente quando - come nella specie le menzionate deroghe all'archetipo codicistico vengano reiteratamente proposte in più contratti, così determinando un potenziale abbassamento del livello qualitativo delle offerte rinvenibili sul mercato. La serialità della riproduzione dello schema adottato a monte - nel caso concreto dall'ABI - viene, difatti, a connotare negativamente la condotta degli istituti di credito, erodendo la libera scelta dei clienti-contraenti e incidendo negativamente sul mercato".

Altra questione è poi se sia necessario o meno che la decisione della Banca di Italia e il provvedimento dell'ABI debbano essere prodotti in giudizio – ed in che tempi – al fine di verificare e vagliare la questione di validità delle clausole in parola.

Sul punto, per vero, la giurisprudenza di merito non è sempre apparsa univoca sia prima che dopo la pronuncia delle Sezioni Unite. In alcuni casi, il problema è stato risolto facendo ricorso al principio della non contestazione ossia reputando che, ancorché detti documenti non fossero stati introdotti nel processo tempestivamente, essi fossero pur tuttavia stati ampliamente citati dalla parte agente nei propri scritti senza contestazione alcuna ad opera dell'istituto di credito sul loro contenuto, in guisa da doversi considerare provati ex art. 115 c.p.c. (v. in tal senso: Trib. Trento, sez. I, 6 settembre 2022, n.525). In altri casi, al difetto o tardività di produzione documentale, è stata reputata predominante e preliminare il difetto o la genericità di allegazione in fatto, tanto che in disparte il problema della tempestività o meno della produzione documentale, essa non poteva colmare una lacuna o decadenza in ordine al thema decidendum (v. Trib. Pistoia, est. Iannone, sez. I, 17 febbraio 2023, n. 121). In altri casi, è stato affermato che, specie quanto alle fideiussione conformi allo schema ABI 2003 nei relativi giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, allorquando l'opponente si limiti a sollevare una mera eccezione riconvenzionale di nullità (e non quindi una domanda volta ad accertare tale invalidità) volta a paralizzare la domanda dell'istituto di credito, non può ritenersi lo stesso decaduto quando questi abbia sollevato tale eccezione oltre le preclusioni processuali, sempre comunque fermo restando il rispetto delle preclusioni istruttorie quanto a onere probatorio; e ciò in quanto trattasi di eccezione in senso lato. Ed invero, parte della giurisprudenza di merito (v. Trib. Santa Maria Capua Vetere, sez. III, 13 ottobre 2020, n.2357) ha affermato che “Tale nullità totale del contratto fideiussorio in contrasto con l'articolo 2 della Legge n. 287/1990, è rilevabile anche se la domanda è stata formulata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni proprio perché rilevabile d'ufficio e nel caso non sia stata rilevata dal Giudice del primo grado ben può esserlo anche dal Giudice di appello. (cfr Corte di Cassazione a Sezioni Unite con le pronunce gemelle n. 26242 e 26243 del 2014)”(in tal senso anche Corte d'Appello di Bari, 20 ottobre 2020, n. 1315).

Ne consegue che, è stato ritenuto che l'eccezione de qua non potesse neppure ritenersi improcedibile o comunque non potesse essere rigettata per l'omessa produzione sia del provvedimento dell'autorità di vigilanza che del parere dell'AGCOM, quali atti posti proprio a fondamento dell'eccezione, in quanto: “la nullità di una fideiussione conforme allo schema ABI potrebbe essere rilevata fin dalla fase monitoria, alfine di accogliere o rigettare il ricorso, oltreché naturalmente nella fase di opposizione al decreto ingiuntivo: Per le fideiussioni rilasciate nel periodo coperto dall'accertamento della Banca D'Italia n. 55/2005 non si potrà opporre che, in fase di opposizione, il Giudice sia privo della “prova” della nullità. Il provvedimento 55/2005 deve ritenersi oramai “fatto notorio”, tanto che la Suprema Corte (Cass. civ. 26 settembre 2019, n. 24044), nel decidere un caso in cui la questione della nullità della fideiussione era stata posta per la prima volta in appello, è entrata “nel merito della questione”, implicitamente dando per scontato (id est <fatto notorio>) la conoscenza del provvedimento della Banca d'Italia n. 55/2005. Per le fideiussioni che rientrano nel periodo temporale oggetto di accertamento da parte della Banca d'Italia, si verifica infatti una presunzione di utilizzo uniforme dell'applicazione dello schema ABI. D'altro canto , in materia di accertamenti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la giurisprudenza e la normativa stessa (art. 7, comma 2, d.lgs. n. 3/2017 secondo cui: La decisione definitiva con cui una autorità nazionale garante della concorrenza o il giudice del ricorso di altro Stato membro accerta una violazione del diritto della concorrenza costituisce prova, nei confronti dell'autore, della natura della violazione e della sua portata materiale, personale, temporale e territoriale, valutabile insieme ad altre prove) riconoscono ai medesimi valori di prova privilegiata, il che non consente, nel successivo giudizio civile, di rimettere in discussione i fatti costitutivi dell'affermazione di sussistenza della violazione della normativa in materia di concorrenza in base allo stesso materiale probatorio o alle stesse argomentazioni (Cass. civ., 31 agosto 2011, n. 17891; n. 7039/2013; n. 11904/2014) (così si è espresso il Trib. Imperia, 14 maggio 2020, n.238 e la Corte d'Appello di Bari n. 1315 del 2020 cit., secondo cui il Collegio ha ritenuto di poter esaminare il provvedimento della Banca d'Italia n. 55/2005, sia perché agevolmente consultabile attraverso il sito della Banca d'Italia, sia in quanto menzionato e descritto, quanto al contenuto, in precedenti decisioni della Corte di Cassazione).

In conclusione

Volendo trarre le fila di quanto sopra evidenziato, può concludersi che il tema della nullità – parziale – delle clausole contenute nelle fideiussioni omnibus per contrarietà alla disciplina antitrust ha costituito e costituisce un terreno di elezione e un notevole banco di prova del nostro sistema sostanzial-processualistico, involgendo il delicato equilibrio e rapporto tra rilievo officioso e principio della domanda, onere della prova ed onere dell'allegazione. Può dirsi che questi delicati rapporti sono lungi dall'aver trovato un definitivo assetto, dovendo essi scontare il limite delle innumerevoli declinazioni in cui la realtà fattuale ha potuto e potrà manifestarsi in concreto e che, seppur senza pretesa, di esaustività si è tentato di delineare nel presente scritto.

Riferimenti

In dottrina sul tema:

  • Tatarano e Leo, Valide le fideiussioni bancarie diverse da quelle omnibus, in CNN Notizie, n. 31, 15 febbraio 2022;
  • Ruggeri, La fideiussione, Garanzie personali, in Trattato di diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, diretto da Pietro Perlingieri, Napoli, 2005, 32;
  • D'Orsi, Nullità dell'intesa e contratto “a valle” nel diritto antitrust, in Giur. Comm., III, 2019, 584;
  • Bastianon, La fideiussione omnibus e la responsabilità della banca tra illeciti antritrust «a monte» e contratti «a valle», in Resp. civ. prev., 2020, 694 ss.;
  • Gentili, La nullità dei “contratti a valle” come pratica concordata anticoncorrenziale (Il caso delle fideiussioni ABI), in Giust. civ., 2019, 675 ss.;
  • Greco, Analisi della garanzia fideiussoria, tra validità anticoncorrenziale e revisionismo consumeristico, in Resp. civ. prev., 2020, 1414 ss.

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