Dopo il divorzio, permane il vincolo di affinità? La questione viene rimessa alla Corte Costituzionale

16 Agosto 2023

A seguito dello scioglimento del matrimonio o della cessazione civile del matrimonio, il vincolo di affinità permane?
Massima

Rimessa alla decisione della Consulta la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 51 Cost., dell'art. 78, comma 3, c.c., implicitamente richiamato dall'art. 64, comma 4, T.U.E.L., nella parte in cui stabilisce che «l'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4», così di fatto prevedendo che il vincolo di affinità permanga per il parente del coniuge divorziato, malgrado il rapporto di coniugio da cui tale vincolo è stato determinato sia oramai sciolto, così impedendo la partecipazione di quest'ultimo all'incarico pubblico a seguito di designazione ad opera di un parente dell'ex coniuge.

Il caso

In data 16 luglio 2019, il Consiglio comunale di C. rigettava la richiesta presentata da L.C. ed E.D. affinché fosse revocata la nomina di A.S. (che era stato sposato con la sorella del sindaco in carica e dalla quale aveva divorziato nel 2016) alla carica di vicesindaco: infatti, secondo il consiglio comunale, la nomina di A.S. era legittima e coerente con il disposto dell'art. 64 del d. lgs. n. 267/2020 (Testo Unico delle Leggi sull'ordinamento degli Enti Locali – T.U.E.L.).

In data 16 giugno 2020, il Tribunale di Avellino respingeva il ricorso presentato da L.C. ed E.D. avverso la deliberazione del comune di C., con il quale domandavano che fosse dichiarata l'incompatibilità di A.S. a far parte della giunta municipale e, quindi, a rivestire la carica di sindaco e di assessore del medesimo comune, a fronte del vincolo di affinità con il sindaco.

In data 1 febbraio 2022, la Corte d'Appello di Napoli, in riforma della sentenza impugnata, con la sentenza n. 371/2022 accoglieva l'impugnazione presentata da L.C. e E.D., e, a mente del dato letterale dell'articolo 78 c.c., affermava il principio secondo cui il legame di affinità costruisce un rapporto che si instaura a seguito di un matrimonio valido e cessa non con la fine ex nunc del vincolo coniugale (come nei casi di morte del coniuge o di divorzio) ma solo se viene accertata ex tunc l'invalidità dell'atto. Nel caso di specie, dunque, la Corte ravvisava l'incompatibilità ai sensi del combinato disposto dell'articolo 64 T.U.E.L. e art. 78 c.c. alla carica di vicesindaco di A.S., in quanto cognato del sindaco. Inoltre, la questione di incostituzionalità dell'articolo 78 c.c. proposta in relazione agli articoli 2, 3 e 51 della Cost., è stata reputata manifestamente infondata perché mal posta, dal momento che l'accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive non discende direttamente dall'art.78 bensì dall'articolo 64 T.U.E.L. che la richiama senza porre alcuna eccezione.

A.S. proponeva ricorso in Cassazione avverso quest'ultima sentenza. Hanno resistito con controricorso L.C. e E.D. Gli intimati (Sindaco e Comune) non hanno svolto difese. Il Procuratore Generale ha sollecitato il rigetto del ricorso.

La questione

La questione in esame è la seguente. L'art. 78, comma 3, c.c., stabilisce la regola per cui il vincolo di affinità non si estingue con la morte, anche senza prole, dell'altro coniuge, mentre cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all'art. 87, n. 4 (cioè salvo il divieto di matrimonio tra gli affini in linea retta). E a seguito dello scioglimento del matrimonio o della cessazione civile del matrimonio, il vincolo di affinità permane?

Le soluzioni giuridiche

Il ricorrente ha prospettato due motivi di doglianza:

  1. è errato interpretare l'art. 78 c.c. in maniera strettamente letterale piuttosto che in forma logico-sistematica (ad esempio, considerando anche l'art. 87 c.c.) così adeguandolo all'ipotesi di cessazione del vincolo matrimoniale introdotto dalla l. 898/1970.
  2. è errato ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in appello, perché si ravvisa un'evidente disparità di trattamento tra chi abbia visto cessare gli effetti del matrimonio in conseguenza di una sentenza di annullamento e chi in conseguenza di una sentenza di divorzio.

La Corte di Cassazione, partendo dalla considerazione che l'art. 64 T.U.E.L. rappresenta una concreta applicazione del principio di imparzialità di cui all'art. 97 Cost. e richiama i principi generali dell'ordinamento, tra cui proprio l'art. 78 c.c., conclude che quest'ultima norma non tiene in alcun conto la disciplina introdotta dalla legge 898/1970. Anzi, l'art. 7 T.U.E.L., nella sua attuale versione, e l'implicito rinvio compiuto dall'art. 64, comma 4, T.U.E.L. alle regole generali (tra cui appunto l'art. 78, comma 3 c.c.) sollevano il dubbio che sia costituzionalmente in contrasto con gli artt. 2, 3 e 51 Cost.

In particolare, secondo la Corte, vero è che l'annullamento colpisce il matrimonio-negozio direttamente ed il rapporto solo in via di ripercussione mentre il divorzio incide direttamente sul matrimonio-rapporto, tuttavia, l'annullamento e lo scioglimento hanno in comune il venir meno del vincolo coniugale per effetto di un provvedimento giudiziale che si fonda – in entrambi i casi – su un interesse contrario al protrarsi della vita coniugale.

Tuttavia, nel caso di annullamento del matrimonio viene meno anche la cessazione del rapporto di affinità (con la conseguenza che non è preclusa la possibilità di ricoprire la carica pubblica) nel caso di divorzio, invece, il non venir meno del rapporto di affinità la preclude.

Pertanto, il regolare in maniera dissimile situazioni analoghe, determina non solo la violazione dell'art. 3 Cost., ma anche dell'art. 2 cost. (per l'ingiustificata restrizione dell'esercizio del diritto di accedere ad un ufficio pubblico in condizioni di uguaglianza) e dell'art. 51 Cost. (perché le limitazioni finalizzate a garantire l'imparzialità della P.A. devono individuarsi in termini coincidenti per categorie analoghe).

Tanto considerato, poiché la questione non poteva essere risolta attraverso un'operazione interpretativa costituzionalmente orientata dell'art. 78, comma 3 c.c., la trattazione del ricorso, inizialmente fissata in adunanza camerale, è stata poi rinviata alla pubblica udienza, in ragione del rilievo nomofilattico delle questioni da esaminare. Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 78, comma 3 c.c., in riferimento agli artt. 2, 3 e 51 Cost., gli atti sono stati rimessi alla Corte Costituzionale.

Osservazioni

In attesa che la Consulta si pronunci, ed in assenza di precedenti giurisprudenziali specifici in materia, si possono svolgere alcune considerazioni.

Il dato letterale dell'art. 78 c.c., preesistente all'entrata in vigore della l. 898/1970, è rimasto del tutto inalterato anche successivamente all'introduzione del divorzio (analogamente a quanto accaduto, per esempio, all'art. 434 c.c. in tema di cessazione dell'obbligo degli alimenti tra affini).

Ciò ha suscitato diverse letture quasi esclusivamente in ambito dottrinario, proprio con specifico riferimento agli effetti di carattere alimentare in caso di dichiarazione di nullità del matrimonio ovvero di divorzio.

Secondo una parte degli interpreti, solo la dichiarazione di nullità di matrimonio estingue il vincolo di affinità, mentre non viene meno nel caso di divorzio, non tanto perché tale conseguenza non è prevista dal dato letterale dell'art. 78 c.c. (infatti al momento della sua entrata in vigore l'ordinamento non conosceva l'istituto del divorzio né la norma è stata successivamente modificata) quanto perché il divorzio non cancella retroattivamente la realtà storica e giuridica del matrimonio e, quindi, non può essere equiparato alla dichiarazione di nullità. Con riguardo agli effetti, il divorzio è equiparabile alla morte del coniuge, stante il loro comune effetto ex nunc. Conseguentemente, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio non sarebbero idonei di per sé a giustificare il dissolvimento anche dell'impegno solidale minimo rappresentato dall'obbligo alimentare tra persone un tempo strettamente legati da vincoli familiari (Bianca, 2014, 24; Di Rosa, 2010, 17, Giacobbe, Dir. fam., 08, II, 1645).

Tale interpretazione ha trovato il supporto dalla giurisprudenza di legittimità, con la sentenza Cass. n. 2848/1978 che, se pure risalente, è l'unica che si è pronunciata sull'argomento. La Corte ha deciso che nel caso di divorzio, la pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, non determina la caducazione del vicolo di affinità fra un coniuge ed i parenti dell'altro coniuge, atteso che il venir meno di tale vincolo è previsto dall'alt. 78, comma 3, c.c., solo nella diversa ipotesi di declaratoria di nullità del matrimonio, e cioè, sulla sua invalidità originaria e, correlativamente non fa venir meno l'obbligo alimentare tra affini, che resta disciplinato dall'art. 434 c.c. (cfr. Cass. n. 2848/1978). Resta salva, nel caso in cui intervenga la sentenza di divorzio, la richiesta di modifica dell'obbligo alimentare, ma solo se il divorzio determina un mutamento delle condizioni economiche poste alla base del riconoscimento e quantificazione dell'obbligazione alimentare.

Altri autori, al contrario, sostengono che, considerati gli effetti negativi e la volontà disgregatrice tipici del divorzio, sia nei confronti del coniuge sia nei confronti dei di lui parenti, sarebbe opportuno ammettere che con esso vengano meno sia de facto sia de iure anche i vincoli di affinità derivanti dall'unione coniugale (Cattaneo, 2007, 58; ESU, 1999, 518; Galetta, 2008, 136). Dal punto di vista ermeneutico, quindi, l'art. 78, comma 3, c.c. andrebbe letto in coordinamento con l'art. 87, n. 4, c.c. che impedisce il matrimonio agli affini anche se sono cessati gli effetti civili del matrimonio da cui deriva l'affinità; il che, secondo tale orientamento, implicitamente conferma, appunto, che con il divorzio (che consiste in un atto di volontà delle parti – o quantomeno di una di esse – ) l'affinità cessa.

Questo secondo filone ermeneutico è stato seguito da due sentenze di merito (le uniche edite). In questi casi, i giudici di merito hanno ritenuto che la cessazione degli effetti civili del matrimonio determini in via generale la caducazione del vincolo di affinità, e che la permanenza dell'impedimento matrimoniale ex art. 87, comma 1, n. 4, c.c., costituisce una deroga rispetto alla regola generale. Conseguentemente, le decisioni hanno dichiarato la cessazione del vincolo di affinità in linea collaterale e dell'impedimento a contrarre matrimonio a essa correlato dall'art. 87, comma 1, n. 5, c.c., argomentando a contrario dal fatto che questa disposizione, a differenza della precedente, non ne prevede la permanenza dopo la pronuncia del divorzio (Trib. Grosseto 9 ottobre 2003, Trib. Milano 19 luglio 2017).

Ed a questo secondo filone dottrinale che la Corte di Cassazione, nel caso in esame, pare aderire, ritenendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 78 comma 3 c.c., implicitamente richiamato dall'art. 64 comma 4 TUEL, ed investendo della questione la Corte costituzionale, poiché come si legge in motivazione “risulta fuori da ogni logica di sistema e di corrispondenza alla realtà l'esistenza di “affini del divorziato”, come se si potesse predicare il perdurare ad libitum e in termini indissolubili, di una relazione che scaturisce da un rapporto che, secondo l'ordinamento, ha natura dissolubile”.

Riferimenti

S. Giuliano, Affinità e parentela, in IUS Famiglie;

A. Figone, L'obbligazione alimentare, in AA.VV., La crisi delle relazioni familiari, Giuffrè. 2019;

A. Figone, Autorizzabile il matrimonio tra affini in primo grado dopo il divorzio, commento alla sentenza, in IUS Famiglie;

M. Sesta, Codice della famiglia, Giuffrè, 2015

A. Trabucchi, Gli affini del divorziato: un rapporto che non ha senso, in Giurisprudenza italiana, 1978, I, 1, 2091.

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