Lo stato di figlio non può essere rimosso con il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile

Stefania Stefanelli
24 Agosto 2023

Lo stato di figlio della madre intenzionale, risultante dai registri di stato civile per effetto dell'iscrizione del relativo riconoscimento, non può essere rimosso attraverso il giudizio di rettificazione.
Massima

È inammissibile il ricorso ex art. 95 d.P.R. n. 396/2000 che si diriga non a rimuovere un errore commesso al momento della redazione di un atto di stato civile, ma a rimuovere lo status filiationis che, per effetto del riconoscimento contenuto in detto atto, sia stato costituito tra il nato e la donna che ha condiviso con la partoriente il progetto genitoriale realizzato attraverso la procreazione medicalmente assistita praticata all'estero.

Il caso

Due donne, unite civilmente, avviano di comune accordo, in Spagna, un percorso di procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti maschili, grazie al quale viene alla luce, in Italia, un bambino, riconosciuto alla nascita dalla sola partoriente e successivamente dalla compagna. Dell'annotazione del secondo riconoscimento viene data comunicazione alla Procura della Repubblica territorialmente competente, la quale propone ricorso per rettificazione ex art. 95 d.P.R. n.396/2000, domandando l'annullamento della trascrizione del secondo riconoscimento nei registri di stato civile, in quanto contrario al vigente ordinamento giuridico, che non consente al bambino nato in Italia da procreazione medicalmente assistita eterologa l'attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla madre intenzionale che abbia prestato il consenso all'applicazione delle tecniche di aiuto medico alla procreazione.

Il Ministero dell'interno interviene nel giudizio aderendo al ricorso, anche in applicazione dei principi espressi nella propria circolare n. 3 del 19 gennaio 2022, trasmessa ai Sindaci, nella loro veste di ufficiali dello stato civile, per il tramite delle Prefetture.

Le madri resistono eccependo l'inammissibilità del procedimento di rettificazione e domandando, nel merito, il rigetto della domanda di annullamento dell'atto di riconoscimento iscritto nei registri di stato civile.

La questione

La questione in esame è la seguente: una volta che si sia costituito lo stato di figlio nei confronti della madre intenzionale, per il bambino nato in Italia attraverso l'applicazione, all'estero, di tecniche di PMA. eterologa in attuazione di un progetto procreativo condiviso da una coppia di donne, tale status può essere rimosso attraverso il procedimento di rettificazione degli atti di stato civile oppure deve essere proposta una azione di stato tipica?

Le soluzioni giuridiche

La giurisprudenza di legittimità e costituzionale è concorde nell'affermare che non è possibile, allo stato attuale, formare in Italia, per il nato attraverso PMA eterologa praticata all'estero, un atto di nascita contenente un doppio riconoscimento materno, e in tal guisa costituire lo status di figlio riconosciuto anche dalla donna che non ha partorito, stante la preclusione all'accesso alle tecniche per le coppie femminili imposta dall'art. 5 l. 40/2004.

Sebbene l'elusione di detto limite non evochi scenari di contrasto con principi costituzionali (Corte cost. 23 ottobre 2019, n.221, su cui S. Stefanelli, Non è incostituzionale il divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per le coppie omosessuali femminili, in IUS Famiglie, 5 febbraio 2020), il bambino può essere riconosciuto dalla sola partoriente, e all'altra donna resta aperta la domanda di adozione in casi particolari, in ragione dell'applicazione del requisito di impossibilità di affidamento preadottivo, di cui all'art. 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184/1983 alle ipotesi di impossibilità giuridica.

Sebbene ciò implichi un “vuoto di tutela del preminente interesse del minore, che ha pieno riscontro” nei principi costituzionali, e sebbene risulti leso, in particolare, il diritto fondamentale “al riconoscimento formale di un proprio status filiationis, che è «elemento costitutivo dell'identità personale, protetta, oltre che dagli artt. 7 e 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, dall'art. 2 della Costituzione», e in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza”, la Corte Costituzionale ha deciso di arrestare il proprio giudizio “per il rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario”, senza mancare di “affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell'inerzia legislativa, tanto è grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore” (Corte cost. 9 marzo 2021, n. 32).

La Corte di Appello di Milano, aderendo al più recente orientamento di legittimità, aveva ammesso il ricorso per rettificazione diretto a annullare gli effetti del riconoscimento, che fosse stato comunque ricevuto e iscritto nei registri di stato civile, da parte della madre intenzionale, ritenendo che tale giudizio sia diretto “ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o quale dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quale risulta dall'atto di stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso” (Cass. n. 7413/2022; Cass. n. 13000/2019). Ciò anche in quanto il procedimento di rettificazione ha una funzione collegata a quella pubblicitaria degli atti di stato civile, e si conclude con una decisione inidonea ad acquistare efficacia di giudicato in ordine alla sussistenza giuridica del rapporto di filiazione.

Il giudice di primo grado, ampiamente motivando, si discosta dall'orientamento citato, tracciando con efficace sintesi il quadro sistematico dei titoli costitutivi della filiazione, come risultanti dal libro primo del codice civile, e, più in radice, i tre livelli che autorevole dottrina ha disegnato rispetto agli atti di accertamento del vincolo giuridico che lega il nato ai soggetti determinati che, in ragione di tali atti, sono suoi genitori e come tali sono tenuti all'adempimento dei doveri e titolari dei diritti di cui all'art.30 Cost. e art. 24 Carta di Nizza (cfr. A. Palazzo, La filiazione, in Tratt. Cicu Messineo Mengoni Schlesinger Busnelli, fin dalla I ed., Milano, 2007, e quindi nella II ed., Milano, 2012, spec. p. 251 ss.; che è alla base di A. Sassi, F. Scaglione, S. Stefanelli, La filiazione e i minori, in Tratt. dir. civ. Sacco, II ed., Torino, 2018, spec. 221 ss.).

Al primo livello si colloca il fatto materiale della nascita di un essere umano; a quello immediatamente superiore corrisponde l'accertamento giuridico di detta nascita, che realizza la tutela fondamentale della persona umana e coincide con il riconoscimento dei diritti fondamentali di cui all'art. 2 ss. Cost., tant'è che con la formazione dell'atto di nascita viene imposto un nome e un cognome, scelto dall'ufficiale di stato civile in mancanza dell'atto di autoresponsabilità dei genitori o di uno di essi che costituisce l'ulteriore livello di tutela, ed è integrato dal riconoscimento nella filiazione non matrimoniale, e dall'applicazione delle finzioni e presunzioni di paternità e matrimonialità alla dichiarazione del genitore coniugato. Per effetto di tali atti di autoresponsabilità, dichiarativi della discendenza biologica o dell'affettività, si costituisce lo stato e il rapporto giuridico di filiazione tra il nato e uno o due soggetti determinati.

Siffatti titoli hanno tuttavia efficacia intermedia, in quanto i loro effetti possono essere rimossi esclusivamente dal giudicato che si formi su una delle azioni negatorie dello stato disegnate dal libro primo del codice civile (rispettivamente, impugnazione del riconoscimento per la filiazione non matrimoniale, disconoscimento di paternità e contestazione per quella matrimoniale), nel pieno contraddittorio con tutti i soggetti interessati dalla pronuncia e con la necessaria partecipazione del pubblico ministero.

Per tali ragioni, l'attività dell'ufficiale di stato civile che raccoglie la dichiarazione di autoresponsabilità di chi si affermi genitore del nato non ha efficacia costitutiva, ma probatoria di ciò che dallo stesso risulta dichiarato, con la conseguenza che lo status che da esso risulta può essere contestato solo attraverso l'esercizio, da parte dei soggetti legittimati e entro i termini decadenziali previsti a carico di quelli diversi dal figlio, delle azioni tipiche di stato (artt. 244 e 263 c.c.).

In altri termini, una volta ricevuto e trascritto il riconoscimento effettuato dalla madre intenzionale, e a prescindere dalla pretesa irricevibilità di tale dichiarazione, la demolizione dello status non può avvenire sulla base del procedimento ex art. 95 d.P.R. 396/2000, non sussistendo un errore di diritto, ed è necessaria l'istaurazione di un giudizio di stato.

Osservazioni

Il provvedimento costituisce corretta applicazione dei principi che regolano il sistema dei titoli costitutivi della filiazione. Non è invece condivisibile l'orientamento di legittimità contrario, secondo cui la cognizione del giudice della rettificazione sarebbe ampia e si estenderebbe «alla corrispondenza di quanto richiesto dal genitore alla completezza dell'atto di nascita di figlio (e alla corrispondenza) con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica di quest'ultimo», in quanto si tratterebbe, diversamente dal caso che ci occupa, di un accertamento non veridico, che può essere rimosso solo attraverso l'azione di cui all'art. 263 c.c., e non di un atto indebitamente registrato.

Argomentare contrariamente sovverte il descritto sistema di progressiva efficacia preclusiva dei differenti gradi di accertamento, e consentirebbe in ogni tempo al pubblico ministero l'azione di rettificazione, anche oltre i citati termini decadenziali, in difetto e/o senza la prova dei relativi presupposti. Inoltre, la decisione ex art. 95 cit. sarebbe assunta all'esito di un procedimento con contraddittorio incompleto e non farebbe stato nei confronti di chi non abbia partecipato al giudizio, primo tra tutti il nato.

Si osservi che l'eventuale azione ex art. 263 c.c. non sortirebbe comunque l'effetto demolitorio quando risulti la discendenza ingenita dalla madre intenzionale, che abbia offerto il proprio ovocita alla fecondazione con gamete di donatore, perché il riconoscimento risulterebbe veridico alla prova del d.n.a., e altrettanto dovrebbe ritenersi anche nel caso in cui manchi la trasmissione dei caratteri genetici, difettando l'interesse del nato alla rimozione dello stato nei confronti della madre intenzionale, e non potendosi egli sentir dichiarare la filiazione nei confronti del genitore genetico, stante la preclusione risultante dall'art. 9, comma 3, l. 40/2004.

Nel giudizio di impugnazione del riconoscimento la verità biologica della filiazione non riveste, infatti, rilievo esclusivo e determinante, dovendosi al contrario tenere conto della centralità dell'interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano (Corte cost. n. 18 dicembre 2017, n.2017; Cass., 22 dicembre 2016, n. 26767).

Riferimenti

S. Stefanelli, Procreazione medicalmente assistita maternità surrogata. Limiti nazionali e diritti fondamentali, GFL, 2021

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