La ricerca telematica dei beni da pignorare non garantisce l'esistenza del credito

24 Agosto 2023

La problematica sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguardava la valenza da accordare alle risultanze della ricerca telematica dei beni da pignorare trasmesse dall'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c.
Massima

In tema di ricerca telematica dei beni da pignorare ex art. 492-bis c.p.c., la comunicazione dell'Agenzia delle Entrate sull'esistenza di rapporti censiti nell'archivio dei rapporti finanziari non costituisce prova presuntiva della sussistenza di crediti del debitore nei confronti dell'intermediario, in quanto – essendo inserite nell'apposita sezione della banca dati dell'anagrafe tributaria eterogenee notizie relative ai flussi di denaro veicolati dai contribuenti attraverso il circuito bancario e, più in generale, finanziario – la predetta comunicazione non specifica se il rapporto intrattenuto dal soggetto a cui l'interrogazione si riferisce è attivo o passivo.

Il caso

Due avvocati pignoravano i crediti che, sulla scorta delle indagini espletate ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c., i propri debitori vantavano nei confronti di un istituto bancario in forza dei rapporti finanziari con lo stesso intrattenuti.

Non essendo pervenuta la dichiarazione prescritta dall'art. 547 c.p.c. e non essendo il terzo comparso per renderla in udienza, il giudice dell'esecuzione riteneva incontestato, ai sensi dell'art. 548 c.p.c., il credito pignorato e lo assegnava ai creditori procedenti.

Il terzo impugnava l'ordinanza di assegnazione con opposizione ex art. 617 c.p.c., che veniva accolta, in quanto, secondo il Tribunale di Taranto, l'atto di pignoramento non conteneva una specificazione dei crediti pignorati tale da rendere operante il meccanismo della non contestazione previsto dall'art. 548 c.p.c., limitandosi a identificarli quali rapporti finanziari intrattenuti dai debitori, senza nemmeno individuare il titolo da cui avrebbero tratto origine.

Avverso la sentenza del Tribunale di Taranto veniva proposto ricorso per cassazione.

La questione

La problematica sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità riguardava la valenza da accordare alle risultanze della ricerca telematica dei beni da pignorare trasmesse dall'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c.

In particolare, si discuteva se la comunicazione dell'esistenza di rapporti intrattenuti dai debitori esecutati con un istituto di credito, in assenza della dichiarazione di quantità resa da quest'ultimo ai sensi dell'art. 547 c.p.c., consentisse o meno l'identificazione del credito pignorato, onde consentirne l'assegnazione per effetto del meccanismo delineato dall'art. 548 c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza che si annota, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la correttezza delle statuizioni contenute nella sentenza impugnata.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi: 1) il terzo pignorato è legittimato a impugnare, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., l'ordinanza di assegnazione non solo quando lamenti di non avere avuto tempestiva conoscenza del processo esecutivo per irregolarità della notificazione, per caso fortuito o per forza maggiore, ma anche quando contesti la legittimità del provvedimento per avere il giudice dell'esecuzione erroneamente ravvisato il riconoscimento implicito dell'esistenza del credito pignorato previsto dall'art. 548 c.p.c.; 2) l'omessa dichiarazione del terzo prescritta dall'art. 547 c.p.c. non giustifica l'emissione dell'ordinanza di assegnazione quando l'indicazione del credito contenuta nell'atto di pignoramento non sia sufficientemente specifica e non ne consenta, quindi, l'individuazione; 3) da questo punto di vista, la comunicazione, da parte dell'Agenzia delle Entrate, della sussistenza di rapporti finanziari risultanti dall'anagrafe tributaria non dimostra, di per sé, l'esistenza di contratti di investimento in relazione ai quali l'intermediario possa essere considerato senz'altro debitore.

Osservazioni

La pronuncia che si annota si occupa del valore attribuibile alle risultanze delle indagini patrimoniali che il creditore può condurre al fine di individuare beni o crediti del debitore utilmente pignorabili.

Si tratta di uno strumento introdotto con il d.l. n. 132/2014, che, abrogando l'allora vigente comma 7 dell'art. 492 c.p.c. (in virtù del quale, ove il pignoramento fosse risultato negativo o incapiente, l'ufficiale giudiziario, su richiesta del creditore procedente, poteva ricercare beni da sottoporre a esecuzione, rivolgendo specifica richiesta ai gestori dell'anagrafe tributaria o di altre banche dati pubbliche), ha inserito nell'ambito delle disposizioni generali in tema di espropriazione forzata l'art. 492-bis c.p.c.

La norma è stata interessata dalla riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022, che, da un lato, ha sostanzialmente eliminato la necessità di ottenere la preventiva autorizzazione del presidente del tribunale (mantenendola solo per il caso in cui il creditore intenda procedere prima che sia stato notificato il precetto o comunque prima che sia decorso il termine dilatorio di dieci giorni previsto dall'art. 482 c.p.c.) e, dall'altro lato, ha stabilito che la presentazione dell'istanza per l'esecuzione delle ricerche (che va ora rivolta direttamente all'ufficiale giudiziario) determina la sospensione del termine di efficacia del precetto – di cui all'art. 481, comma 1, c.p.c. – fino alla comunicazione dell'esito delle ricerche o della loro mancata esecuzione per mancanza dei presupposti. A tale effetto sospensivo si ricollegano, altresì, le previsioni contenute, rispettivamente, nel nuovo ultimo comma dell'art. 492 c.p.c. (che impone di indicare, nell'atto di pignoramento, la data di deposito dell'istanza di ricerca telematica dei beni, l'autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, nonché la data di comunicazione del verbale di esecuzione delle ricerche) e nel nuovo ultimo comma dell'art. 492-bis c.p.c. (che prescrive di depositare i suddetti atti insieme alla nota di iscrizione a ruolo del pignoramento).

Finora, le ricerche sono state condotte direttamente dagli avvocati, formalizzando la richiesta delle informazioni previste dall'art. 492-bis c.p.c. alla competente direzione regionale dell'Agenzia delle Entrate (come consentito dall'art. 155-quinquies disp. att. c.p.c.), dal momento che gli ufficiali giudiziari non disponevano delle strutture tecnologiche necessarie per interagire con le banche dati dalla stessa gestite. Il 20 giugno 2023, tuttavia, il Ministro della Giustizia e il Direttore dell'Agenzia delle Entrate hanno siglato una convenzione volta proprio a consentire agli ufficiali giudiziari di accedere alle banche dati dall'amministrazione finanziaria, sicché, entro breve, dovrebbe finalmente diventare possibile anche per loro effettuare la ricerca telematica dei beni da pignorare.

Tra le informazioni che vengono rese al creditore procedente, vi è l'elenco dei rapporti che il debitore intrattiene con istituti di credito, intermediari finanziari, imprese e organismi di investimento, società di gestione del risparmio e altri operatori finanziari, risultanti dall'archivio tenuto dall'anagrafe tributaria e alimentato dai dati forniti ai sensi dell'art. 6, comma 7, d.P.R. 605/1973: tale elenco consente di individuare l'istituto con cui intercorre il rapporto (e, dunque, il terzo nei cui confronti indirizzare eventualmente il pignoramento), la tipologia del rapporto (sia pure in termini generali e per categorie), ma non indica se, in forza di esso, l'esecutato vanti oppure no un credito (per esempio, nel caso in cui emerga l'esistenza di un rapporto di conto corrente, se il saldo sia positivo o negativo).

È proprio di questo aspetto che tratta l'ordinanza che si annota, tenuto conto di quanto disposto dall'art. 548 c.p.c., in forza del quale, quando il terzo non abbia rilasciato la dichiarazione ex art. 547 c.p.c. e non l'abbia resa nemmeno all'udienza appositamente fissata dal giudice dell'esecuzione, il credito pignorato, se individuato nell'atto di pignoramento in modo tale da consentirne l'identificazione, si considera non contestato e può formare oggetto di assegnazione ai sensi dell'art. 553 c.p.c., secondo un meccanismo di ficta confessio – che produce effetti limitatamente alla procedura esecutiva – decisamente penalizzante per il terzo pignorato, che, in questo modo, viene responsabilizzato nel suo ruolo di ausiliario di giustizia, gravando su di lui l'onere di portare a conoscenza del giudice dell'esecuzione e delle parti tutte le informazioni necessarie per il regolare svolgimento del processo esecutivo, con riferimento non solo all'esistenza e all'entità del credito pignorato, ma pure al suo assoggettamento a precedenti pignoramenti, sequestri, cessioni.

In primo luogo, i giudici di legittimità precisano che il terzo pignorato è legittimato a impugnare, con opposizione agli atti esecutivi, l'ordinanza di assegnazione del credito non solo quando provi di non avere avuto tempestiva conoscenza del processo esecutivo per irregolarità della notificazione, per caso fortuito o per forza maggiore, ma anche quando ritenga illegittimo il provvedimento emesso dal giudice dell'esecuzione per avere questi erroneamente applicato, in mancanza della dichiarazione prescritta dall'art. 547 c.p.c., il meccanismo della ficta confessio di cui all'art. 548 c.p.c., anziché dare corso al procedimento di accertamento endoesecutivo ex art. 549 c.p.c.

Da questo punto di vista, la contestazione del terzo ben può consistere nella ritenuta inidoneità dell'allegazione svolta dal creditore nell'atto di pignoramento ai fini dell'identificazione del credito pignorato, che preclude al giudice dell'esecuzione di procedere alla sua assegnazione, in assenza di un suo preventivo accertamento da effettuarsi a norma dell'art. 549 c.p.c.

Nel caso di specie, la doglianza dell'istituto di credito atteneva proprio a questo profilo.

Nell'atto di pignoramento, infatti, il credito dei debitori esecutati era stato individuato mediante il richiamo alle risultanze dell'anagrafe tributaria e, in particolare, dell'archivio dei rapporti finanziari, che davano conto dell'esistenza di rapporti dei quali, tuttavia, non veniva fornita alcuna ulteriore specificazione, anche per quanto concerneva il titolo da cui sarebbe scaturito il credito pignorato.

In assenza, dunque, di un'integrazione – che, peraltro, può essere fornita solo nell'ambito del procedimento incidentale di accertamento endoesecutivo da svolgersi, su istanza del creditore, ai sensi dell'art. 549 c.p.c. – che consenta di meglio circoscrivere e dettagliare quanto emerge dalle comunicazioni inviate dall'Agenzia delle Entrate a termini degli artt. 492-bis c.p.c. e 155-quinquies disp. att. c.p.c., queste ultime non sono, di per sé sole, in grado di dare contezza dell'esistenza di un credito derivante da rapporti finanziari, dal momento che le informazioni che gli operatori sono tenuti a fornire in virtù di quanto stabilito dall'art. 7, comma 6, d.P.R. n. 603/1973 riguardano genericamente i dati identificativi di coloro che intrattengono tali rapporti o che hanno effettuato operazioni di natura finanziaria, senza specificare se dagli stessi derivi o sia derivato un credito piuttosto che un debito.

In altre parole, il fatto che dai dati acquisiti ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c. emerga l'esistenza di rapporti finanziari non dimostra che, in relazione agli stessi, il cliente (debitore esecutato) dell'intermediario (terzo pignorato) vanti nei suoi confronti un credito utilmente pignorabile: l'inserimento nella banca dati non dà conto della natura attiva o passiva del rapporto di cui è titolare il soggetto al quale l'interrogazione della banca dati stessa si riferisce, con la conseguenza che, pur disponendosi della notizia circa l'esistenza di un rapporto finanziario, non si è in grado di sapere se, con riferimento a tale rapporto, l'esecutato sia debitore o creditore.

Proprio per questo, quando l'atto di pignoramento sia indirizzato nei confronti di uno o di alcuno degli istituti finanziari riportati nell'elenco fornito dall'Agenzia delle Entrate ai sensi dell'art. 492-bis c.p.c., il creditore:

- oltre a indicare (anche in modo generico, non influendo ciò sulla validità dell'atto) la tipologia di rapporto in forza del quale reputa sussistente un credito del debitore esecutato nei confronti di tale istituto, ne deve individuare in modo sufficientemente circostanziato la natura e l'entità, onde potersi avvalere del meccanismo della ficta confessio di cui all'art. 548 c.p.c.;

- ove ciò non sia possibile e il terzo non abbia reso alcuna dichiarazione, dovrà chiedere lo svolgimento degli accertamenti previsti dall'art. 549 c.p.c., per potere ottenere l'assegnazione del credito che, all'esito degli stessi, risulterà effettivamente sussistente, dovendosi rammentare in proposito che l'istanza che il creditore è tenuto a rivolgere al giudice dell'esecuzione (il quale non può attivare d'ufficio la parentesi cognitiva incidentale), pur non sostanziandosi in una vera e propria domanda giudiziale, deve nondimeno assicurare – attraverso l'allegazione del petitum e della causa petendi – la regolare dialettica processuale e, dunque, consentire alla controparte di esercitare il diritto di difesa in relazione alle pretese altrui, con la conseguenza che, pur non occorrendo un'indicazione analitica del rapporto di cui si chiede l'accertamento, occorre che venga enunciata quantomeno la natura e la tipologia dello stesso (ossia il titolo dell'obbligazione da accertare), nonché l'entità massima del preteso credito dell'esecutato nei confronti del debitor debitoris, al limite anche per relationem, ossia fino a concorrenza dell'importo pignorato (così, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2023, n. 13487).

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