Quesito in tema di accertamenti medici (colpa medica)

Angelo Salerno

Inquadramento

La colpa professionale in ambito terapeutico presenta rilevanti peculiarità, recepite dal legislatore, anche per l'esigenza di scoraggiare la cosiddetta medicina difensiva e non mortificare l'iniziativa dell'esercente la professione sanitaria con il timore di rappresaglie in caso di insuccesso, senza tuttavia indulgere rispetto a decisioni non ponderate o inerzie riprovevoli del professionista stesso. Al fine di restituire al medico la necessaria serenità operativa, è stato recentemente introdotto l'art. 590-sexies c.p., diretto a perseguire la sicurezza delle cure, assicurando all'istituzione sanitaria il pieno governo dell'attività medica, mediante un articolato sistema istituzionale, di impronta pubblicistica, di regolazione dell'attività sanitaria, che ne garantisca lo svolgimento in modo uniforme, aggiornato, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate.

Formula

N..... /.... R.G.N.R.

PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI....

Accerti il consulente [1], esaminati gli atti del fascicolo, la ulteriore documentazione medica eventualmente esibita dalla persona offesa...., presa visione di ogni altra documentazione sanitaria ritenuta utile all'espletamento dell'incarico (rilasciando, sin d'ora, l'autorizzazione ad estrarne copia), visitata altresì la suddetta persona offesa e compiuti, se del caso e purché sotto il suo diretto controllo, tutti gli ulteriori necessari accertamenti ed esami, anche specialistici,

– origine, natura e durata delle lesioni riportate da.... a seguito dei fatti per cui si procede;

– se le cause delle suddette lesioni possano essere fatte risalire ad errore o ritardo (diagnostico, terapeutico, operatorio o comunque esecutivo) dei soggetti nei cui confronti attualmente si procede [2] ovvero comunque di altri sanitari che ebbero effettivamente in cura la suddetta persona offesa;

– (nel caso in cui si ravvisi l'esistenza di un nesso causale tra le lesioni riportate da.... e la condotta degli indagati ovvero di altro personale sanitario) le cosiddette leggi di copertura, scientifiche o statistiche, in base alle quali tale nesso è ritenuto esistente, specificando se tale giudizio è formulato in termini di certezza o di probabilità;

– se le lesioni debbano essere fatte risalire a colpa professionale di uno o più medici ovvero di altri soggetti

– se del caso, quali specifici profili di colpa siano addebitabili a ciascuno e quali siano le specifiche condotte di ognuno, attive od omissive, casualmente rilevanti nella produzione dell'evento (e, viceversa, ai fini del giudizio controfattuale, l'adozione di quali cautele, poste in essere tempestivamente, diligentemente e correttamente, avrebbe, con l'alta credibilità razionale o probabilità logica richieste ai fini della certezza penale, evitato del tutto l'evento lesivo ovvero ne avrebbe comportato esiti sensibilmente minori);

– se le suddette ipotesi di colpa siano derivate da negligenza ovvero da imprudenza ovvero da imperizia;

– se le suddette ipotesi di colpa ipotesi siano qualificabili come colpa lieve o colpa grave e comunque se la diagnosi e la cura delle patologie eventualmente in atto implicasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà;

– se il caso concreto era regolato dalle raccomandazioni di linee guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

– se risulti corretta da parte degli indagati ovvero di altro personale sanitario che ha avuto in cura la persona offesa l'individuazione e la scelta di linee-guida o di buone pratiche ovvero se esse non apparissero adeguate alla specificità del caso concreto (e comunque se la specificità del caso rendesse necessario discostarsene);

– quali siano le attuali condizioni di salute di...., specificando se abbia riportato postumi invalidanti e penalmente rilevanti sotto il profilo medico-legale, a carattere permanente o temporaneo, e determinando, in caso positivo, la durata complessiva della malattia e l'incidenza percentuale sull'integrità fisio-psichica e sulla capacità lavorativa e di guadagno.

Riferisca, infine, di ogni ulteriore elemento egli ritenga necessario ai fini dell'accertamento dei fatti, in particolare segnalando tempestivamente a questo Ufficio i nominativi di eventuali altri soggetti che risultassero in ipotesi responsabili o corresponsabili dell'omicidio o delle lesioni per cui si procede, onde estendere anche a costoro il contraddittorio sugli accertamenti tecnici in atto.

[1]È possibile che le peculiarità del caso concreto e la natura del quesito impongano una consulenza collegiale in cui l'esperto di medicina legale sia affiancato da uno specialista di altra branca della medicina (cardiologia, ginecologia-ostetricia, oncologia, rianimazione, etc.).

[2]La natura tendenzialmente irripetibile degli accertamenti impone al pubblico ministero di procedere senza indugio alla delibazione (sommaria e allo stato degli atti) delle posizioni soggettive su cui si addensano sospetti di reato di consistenza tale da fondare l'iscrizione nel registro ex art. 335 c.p.p., con le conseguenti garanzie di partecipazione.

Commento

Il reato colposo

Il codice penale contiene una definizione generale di colpa. Il dato normativo, per quanto scarno, dopo un secolo di caparbia esegesi, è sufficientemente chiaro nella sua perimetrazione dell'atteggiarsi della volontà: il delitto “è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (art. 43, comma 1 c.p.).

La colpa conserva ancora nel codice carattere di eccezionalità: un reato può essere punito a titolo di colpa solo laddove esista una disposizione che lo preveda espressamente (art. 42, comma 2 c.p.). La previsione “espressa”, secondo la prevalente opinione, non equivale però ad una previsione “esplicita”, ben potendo darsi il caso di una previsione “implicita” ricavabile in via di interpretazione sistematica. Per quanto, almeno apparentemente, discutibile in relazione agli effetti contra reum e alla parziale elusione del principio di tassatività, questo criterio ermeneutico è ormai principio tradizionalmente consolidato in giurisprudenza. Si pensi, ad esempio, al delitto di bancarotta semplice, tradizionalmente punito indifferentemente a titolo di dolo o di colpa seppure nell'evidente difetto di una esplicita previsione in tal senso (cfr., tra le molte, Cass. V, n. 38598/2009).

Altre disposizioni codicistiche concorrono necessariamente a definirne il concetto:

– art. 47 sull'errore sul fatto (secondo cui, la falsa rappresentazione della realtà materiale esclude la punibilità a titolo di dolo, ma non quella a titolo di colpa, laddove l'errore sia determinato da colpa e il fatto sia previsto dalla legge anche come reato colposo);

– art. 83, sull'aberratio delicti (allorquando, per errore nell'uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, col che il colpevole risponde, a titolo di colpa dell'evento non voluto, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo);

– art. 59 sulle circostanze non conosciute o erroneamente supposte (a mente del quale sono imputate all'autore del fatto solo le circostanze aggravanti effettivamente conosciute oppure per colpa ignorate ovvero ritenute erroneamente inesistenti);

– art. 55 sull'eccesso colposo (che ribadisce, in tema di cause di giustificazione la disciplina generale dell'errore e della colpa);

– art. 61 n. 3 (che ammette l'ipotesi – aggravante – di “colpa cosciente”; già l'art. 43, come visto, include espressamente gli eventi previsti, ma non voluti).

D'altronde, operando in negativo, vale a delineare il confine “superiore” della colpa anche la disciplina del dolo, ovvero della coscienza e volontà dell'evento quale conseguenza della propria condotta.

Da questo intersecarsi di disposizioni, emergono con maggior precisione le linee fondamentali dell'istituto, quale atteggiamento antidoveroso della volontà. Presupposto negativo è la mancata volizione dell'autore rispetto all'evento (neppure sotto forma di accettazione del rischio di verificazione). Il comportamento attribuibile all'autore (ovvero l'azione o l'omissione posta in essere, ex art. 42 c.p., con coscienza e volontà) deve connotarsi dell'ulteriore requisito della violazione di regole di condotta, sociali o prasseologiche sub specie di prudenza (avventatezza, superficialità, leggerezza in luogo della doverosa astensione da determinati comportamenti), diligenza (trascuratezza, laddove è richiesto un attivarsi con ben determinate modalità) o imperizia (inettitudine o insufficiente preparazione rispetto all'attività svolta che invece imporrebbe l'osservanza di particolari regole e accorgimenti) ovvero di prescrizioni imposte da autorità pubbliche o private. L'evento non voluto, in ogni caso, doveva essere prevedibile ed evitabile, “secondo la miglior scienza ed esperienza specifiche” (Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 1988, 326-327).

Il tessuto normativo del codice disegna dunque la colpa come sostrato psicologico del reato, ma è un dato ormai acquisito nella scienza penale contemporanea che la colpa abbia una natura anfibia, che cioè costituisca altresì un elemento normativo della fattispecie e rientri quindi contestualmente anche nella descrizione del fatto tipico (Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 485-487). Accanto al fatto proprio colpevole, presidio del principio di colpevolezza, si pone, con funzione schiettamente garantista anche questa peculiare “tipicità del fatto colposo” (Donini, L'elemento soggettivo della colpa. Garanzie e sistematica, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1-2013, 124 ss.).

La dottrina che in un'ottica sistematica prospetta la doppia collocazione della colpa, sia nel fatto che nella colpevolezza, colloca significativamente tale primo profilo dell'imputazione sul piano della tipicità, svolgendo esso un ruolo insostituibile nella configurazione delle singole fattispecie colpose.

Accanto a questo profilo, “obiettivo e impersonale”, solo indirettamente adombrato dalla definizione legale, ve n'è un altro di natura più squisitamente soggettiva, che sottolinea nella colpa la mancanza di volontà dell'evento, così marcando il confine con l'imputazione dolosa.

In positivo, questo profilo, “soggettivo e personale”, della colpa consiste nella capacità soggettiva dell'agente di osservare la regola cautelare, ossia nella concreta possibilità di pretendere da lui l'osservanza della regola stessa: in poche parole, nell'esigibilità del comportamento dovuto. Questo aspetto di rimprovero personale può essere collocato nell'ambito della colpevolezza, personalizzandolo attraverso l'introduzione di una doppia misura del dovere di diligenza, che tenga conto non solo dell'oggettiva violazione di norme cautelari ma anche della concreta capacità dell'agente di uniformarsi alla regola, previa valutazione delle sue specifiche qualità personali.

Dunque, in breve, il rimprovero colposo riguarda la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l'esigibile osservanza delle norme cautelari violate: la prevedibilità ed evitabilità del fatto svolgono un articolato ruolo fondante: sono all'origine delle norme cautelari e sono inoltre alla base del giudizio di rimprovero personale (Cass. IV, n. 12478/2015).

Lo stato dell'arte del reato colposo postula dunque, in estrema sintesi, ai fini di un giudizio di colpevolezza, la verifica di una check-list di questo tipo:

– Espressa previsione normativa del reato colposo (cosiddetta clausola di doppia tassatività);

– Una condotta (attiva o omissiva) volontaria;

– Un dovere di diligenza (nei reati colposi omissivi impropri, “posizione di garanzia”);

– Una violazione di regole cautelari preesistenti e connotate da un contenuto specificamente “modale”;

– La verificazione di un evento lesivo appartenente alla medesima categoria che la regola cautelare violata intendeva prevenire (principio di concretizzazione del rischio);

– Un nesso causale che ricolleghi la condotta dell'agente all'evento lesivo, secondo leggi di copertura, scientifiche o esperienziali;

– La prevedibilità di tale evento, secondo un giudizio ex ante parametrato sul bagaglio professionale del cosiddetto agente modello;

– La mancanza di volontà in capo all'agente di cagionare tale evento (seppure previsto concretamente: cosiddetta “colpa cosciente”);

– La evitabilità di tale evento tenendo la condotta prescritta dalla regola cautelare (quando il comportamento alternativo lecito avrebbe impedito l'evento ovvero avrebbe avuto significative possibilità di scongiurarlo).

I professionisti sanitari

Lo Stato italiano riconosce e disciplina le professioni sanitarie, riservando al rilascio della relativa abilitazione la possibilità di svolgere attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione.

Per quanto, per ragioni facilmente intuibili, la riflessione della dottrina e la casistica si incentrino principalmente sulla categoria dei medici, il perimetro soggettivo dei professionisti sanitari è assai più ampio (e peraltro oggetto di incisive modifiche a seguito della l. n. 3/2018).

Ad oggi, le professioni sanitarie riconosciute dal ministero della salute sono le seguenti:

– medico chirurgo (d.lgs. n. 368/1999),

– farmacista (d.lgs. n. 258/1991),

– odontoiatra (l. n. 409/1985),

– psicologo (l. 18 febbraio 1989, n. 56/1989),

– biologo (art. 9, l. n. 3/2018),

– veterinario (l. n. 750/1984),

– professioni sanitarie infermieristiche

• infermiere (l. n. 905/1980; d.m. n. 739/1994; Direttive comunitarie 77/452/CEE e 77/453/CEE),

• ostetrica (l. n. 296/1985; d.m. n. 740/1994; Direttive comunitarie 80/154/CEE e 80/155/CEE),

• infermiere pediatrico (d.m. n. 70/1997),

– professioni sanitarie riabilitative

• podologo (d.m. n. 666/1994),

• fisioterapista (d.m. n. 741/1994),

• logopedista (d.m. n. 742/1994),

• ortottista/assistente di oftalmologia (d.m. n. 743/1994),

• terapista della neuro- e psicomotricità dell'età evolutiva (d.m. n. 56/1997),

• tecnico riabilitazione psichiatrica (d.m. n. 182/2001),

• terapista occupazionale (d.m. n. 136/1997),

• educatore professionale (d.m. n. 520/1998),

– professioni tecnico sanitarie (area tecnico-diagnostica)

• tecnico audiometrista (d.m. n. 667/1994),

• tecnico sanitario di laboratorio biomedico (d.m. n. 745/1994),

• tecnico sanitario di radiologia medica (d.m. n. 746/1994),

• tecnico di neurofisiopatologia (d.m. n. 183/1995),

• professioni tecnico sanitarie (area tecnico-assistenziale)

• tecnico ortopedico (d.m. n. 665/1994),

• tecnico audioprotesista (d.m. n. 668/1994),

• tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare (d.m. n. 316/1998),

• igienista dentale (d.m. n. 137/1999),

• dietista (d.m. n. 744/1994),

– professioni tecniche della prevenzione

• tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro (d.m. n. 58/1997),

• assistente sanitario (d.m. n. 69/1997),

• operatore di interesse sanitario massofisioterapista (art. 1 l. n. 43/2006).

Le cosiddette arti ausiliarie ricomprendono poi:

– odontotecnico (art. 11 r.d. n. 1334/1928),

– ottico (art. 12 r.d. n. 1334/1928),

– puericultrice (l. n. 1098/1940),

– massaggiatore stabilimenti idroterapici (art. 1 r.d. n. 1334/1928).

La colpa medica

Nell'ambito della colpa professionale (ovvero della responsabilità colposa addebitabile a un professionista che commette un illecito penale nell'ambito della sua attività), si è spesso dibattuto sulla possibilità di valutare la condotta alla luce dei parametri generali di negligenza, imprudenza e imperizia, con rilevanza anche della colpa lieve ovvero della possibile applicazione, quantomeno in analogia iuris, del principio sancito dall'art. 2236 c.c., per cui il professionista risponde soltanto per colpa grave nella soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà (così da circoscrivere la rilevanza penale ai soli casi di negligenza e imprudenza), al fine di presidiarne la discrezionalità tecnica (cfr. Castronuovo, La colpa penale, Milano, 2009, 547 ss.).

In considerazione della estrema delicatezza degli interessi tutelati (la vita e l'incolumità fisica), la colpa professionale in ambito sanitario è sempre stata al centro del dibattito degli interpreti e della pratica giudiziaria.

Il cosiddetto decreto Balduzzi (d.l. n. 158/2012) aveva radicalmente innovato la materia, con l'introduzione di un'ipotesi di esclusione della responsabilità penale configurabile come vera e propria abolitio criminis parziale, prevedendo che l'esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve, fermo restando l'illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.

Il quadro normativo è stato ulteriormente ridisegnato dalla cosiddetta legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017, Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie), che ha peraltro abrogato le suddette disposizioni del decreto Balduzzi. In particolare, l'art. 6, comma 1 della legge Gelli-Bianco ha inserito nel codice penale il nuovo art. 590-sexies, secondo cui chi cagiona per colpa una lesione personale a terzi ovvero la morte di una persona, quando i fatti sono commessi “nell'esercizio della professione sanitaria”, non è punibile, “qualora l'evento si sia verificato a causa di imperizia, quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Salta immediatamente all'occhio dell'interprete come, tenuto conto della struttura del reato colposo come sopra brevemente illustrata, la novella non faccia che confermare ed esplicitare un dato già ampiamente ricavabile dal sistema, purché correttamente interpretato.

La differenza più marcata rispetto al recentissimo precedente del decreto Balduzzi appare il mancato richiamo alla gradazione della colpa: laddove in precedenza la limitazione di responsabilità aveva per oggetto la sola colpa lieve, questo discrimine scompare nel nuovo impianto ordinamentale.

La nuova disciplina è poi applicabile solo per le condotte astrattamente riferibili alla sfera dell'imperizia, mentre una parte della giurisprudenza di legittimità riteneva operativo l'art. 3, d.l. n. 158/2012, anche in ambiti colposi ulteriori rispetto all'imperizia (Cass. IV, n. 23283/2016).

La legge Gelli-Bianco delinea poi una articolata disciplina di settore, con specifiche disposizioni in tema di responsabilità civile, misure di risk management, sistema di accreditamento istituzionale delle linee guida (cfr. anche Petrelli, La legge Gelli-Bianco: dall'etica della responsabilità all'etica dell'intenzione, in Giust. pen., 2017, II, 689 ss.).

Stanti le sostanziali differenze nella disciplina dettata dalle normative in esame, succedutesi nel tempo, la Corte di Cassazione ha evidenziato la necessità, nei processi per fatti commessi prima dell'entrata in vigore dell'art. 590-sexies c.p., che la motivazione della sentenza di merito indichi se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, valuti il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, specificando di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza) nonché appurando se e in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali (Cass. IV, n. 37794/2018). Alla luce di tali elementi sarà dunque possibile stabilire, in concreto, quale disciplina risulti più favorevole per l'imputato ai sensi dell'art. 2, comma 4, c.p.

La giurisprudenza sulla legge Gelli-Bianco

Tenuto conto del rapido alternarsi di disposizioni significativamente diverse, le prime questioni di rilievo sono state quelle di diritto intertemporale.

Secondo una prima interpretazione la previgente disciplina risulta più favorevole, avendo escluso la rilevanza penale delle condotte connotate da colpa lieve in contesti regolati da linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, mentre quella sopravvenuta ha eliminato la distinzione tra colpa lieve e colpa grave ai fini dell'attribuzione dell'addebito, dettando al contempo nuovi criteri per la valutazione della colpa per imperizia in tutte le sue manifestazioni (Cass. IV, n. 28187/2017, secondo cui l'art. 590-sexies, comma 2 c.p. contiene una “nuova regola di parametrazione della colpa in ambito sanitario”. Tale disposizione, nondimeno, presenterebbe connotati di fortissima contraddittorietà intrinseca, dal momento che ha per oggetto un evento verificatosi a causa di imperizia, laddove però all'agente che abbia rispettato le linee guida adeguate al caso concreto non può ascriversi alcuna colpa per imperizia).

Alla luce di queste riflessioni, dunque, la norma di nuova introduzione si applicherebbe soltanto a eventi che costituiscono espressione di condotte governate da linee guida “appropriate al caso concreto e pertinenti alla fattispecie concreta”, in assenza di ragioni per discostarsene radicalmente, senza incidere minimamente (di modo che l'imperizia continua a rilevare penalmente, in conformità alle regole ordinarie)

– negli ambiti non governati da linee guida;

– quando le linee guida non sono appropriate al caso concreto, e devono essere disattese;

– quando le linee guida siano estranee al momento topico in cui l'imperizia lesiva si sia realizzata.

L'abrogazione dell'art. 3, comma 1, d.l. n. 158/2012 implica la reviviscenza della normativa previgente, più severa in quanto non consente distinzioni connesse al grado della colpa. Per i fatti anteriori alla riforma dovrà dunque continuare ad applicarsi il decreto Balduzzi, ex art. 2 c.p., con riguardo alla limitazione di responsabilità ai soli casi di colpa grave.

A conclusioni diametralmente opposte perviene un diverso orientamento della medesima sezione della suprema corte, secondo il quale l'art. 590-sexies, comma 2 c.p., è norma più favorevole (“esplicitamente intes[a] favorire la posizione del medico, riducendo gli spazi per la sua possibile responsabilità penale, ferma restando la responsabilità civile”) rispetto all'art. 3, comma 1, d.l. 158/2012, poiché prevede una vera e propria causa di non punibilità dell'esercente la professione sanitaria collocata al di fuori dell'area di operatività della colpevolezza, che opera, quando ricorrono le condizioni di legge (rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali, adeguate alla specificità del caso), nel solo caso di imperizia e indipendentemente dal grado della colpa, essendo compatibile il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche con la condotta (anche gravemente) imperita nell'applicazione delle stesse (Cass. IV, n. 50078/2017, in tema di colpa grave per imperizia nell'esecuzione di un intervento di lifting).

Il contrasto su quale sia l'ambito applicativo della previsione di “non punibilità” di cui all'art. 590-sexies c.p. è stato risolto dalle Sezioni Unite, secondo cui l'esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall'esercizio di attività medico-chirurgica:

– se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza;

– se l'evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia:

– nell'ipotesi di errore rimproverabile nell'esecuzione dell'atto medico, quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o, in mancanza, dalle buone pratiche clinico-assistenziali;

– nell'ipotesi di errore rimproverabile nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto, fermo restando l'obbligo del medico di disapplicarle quando la specificità del caso renda necessario lo scostamento da esse;

– se l'evento si è verificato per colpa (soltanto “grave”) da imperizia nell'ipotesi di errore rimproverabile nell'esecuzione, quando il sanitario abbia comunque scelto e rispettato le linee-guida o, in mancanza, le buone pratiche che risultano adeguate o adattate al caso concreto, tenuto conto altresì del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell'atto medico.

Opera invece la nuova causa di non punibilità nei casi in cui il sanitario abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni contenute nelle linee guida definite e pubblicate ai sensi dell'art. 5, l. n. 24/2017.

Tali raccomandazioni, pur rappresentando i parametri precostituiti a cui il giudice deve tendenzialmente attenersi nel valutare l'osservanza degli obblighi di diligenza, prudenza e perizia, non integrano veri e propri precetti cautelari vincolanti, capaci di integrare, in caso di violazione rimproverabile, ipotesi di colpa specifica, data la necessaria elasticità del loro adattamento al caso concreto. Ne consegue che, qualora queste raccomandazioni non risultino adeguate rispetto all'obiettivo della migliore cura per la specifica situazione del paziente, il sanitario ha il dovere di discostarsene.

Ciò premesso, si confermano le conclusioni del primo orientamento citato in merito alla individuazione della lex mitior del decreto Balduzzi, sia in relazione alle condotte connotate da colpa lieve per negligenza o imprudenza, sia in caso di errore determinato da colpa lieve per imperizia intervenuto nella fase della scelta delle linee guida adeguate al caso concreto (Cass. S.U., n. 8770/2017).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario