Quesito in tema di accertamenti medici (capacità della persona offesa)

Angelo Salerno

Inquadramento

In alcune rilevanti fattispecie di reato (in particolare, la circonvenzione di incapaci ex art. 643 c.p. e l'abbandono di incapaci ex art. 591 c.p.), la compromissione della capacità della persona offesa di autodeterminarsi e in genere di provvedere consapevolmente ai propri interessi deve essere compiutamente accertata, quale presupposto o quale requisito del fatto tipico.

Formula

N. ... / ... R.G.N.R.

PROCURA DELLA REPUBBLICA

PRESSO IL TRIBUNALE DI ...

Accerti il consulente tecnico, esaminata la persona offesa ..., sentito chiunque sia in grado di riferire notizie utili ed esaminata la documentazione medica a lui relativa e compiuti tutti gli accertamenti del caso, nonché, se del caso, sottoposto il medesimo ad opportuni test psicologici, anche con l'ausilio di personale specializzato

- la storia personale e clinica nonché la struttura di personalità di ...;

- se la persona offesa ... presentasse, al momento dei fatti di causa [1], infermità o deficienze psichiche tali da concretamente incidere, escludendola o scemandola grandemente, sulla capacità di piena autodeterminazione, illustrandone i motivi e descrivendo il rapporto con il fatto commesso;

- se l'incapacità eventualmente riscontrata fosse riconoscibile da parte dei terzi (a prima vista ovvero a seguito di contatti personali o sociali di qualche consistenza ovvero solo dopo approfondita conoscenza).

Riferisca, infine, di ogni ulteriore elemento egli ritenga necessario per l'accertamento dei fatti e comunque utile ai fini di giustizia.

1. Al momento degli accertamenti tecnici potrebbe essere trascorso anche un rilevante lasso di tempo rispetto al tempus commissi delicti, con quanto ne consegue in termini di estrema difficoltà di ricostruzione ora per allora.

Peraltro, non può escludersi che la persona offesa non sia sopravvissuta e che quindi una simile investigazione scientifica non potrà che avvenire senza il suo esame diretto, con il solo ricorso alla documentazione socio-sanitaria, o di altro tipo, e alle fonti orali (in tal caso, evidentemente, l'accertamento sarà manifestamente ripetibile).

Commento

Nei procedimenti relativi a talune specifiche fattispecie delittuose, è indispensabile accertare se la persona offesa dal reato, al momento dei fatti, fosse in grado di autodeterminarsi liberamente.

Tali accertamenti non possono prescindere dall'opera di un esperto (salvo casi rarissimi, tali da consentire al libero convincimento del Giudice di vincere ogni ragionevole dubbio: Cass. II, n. 4816/2010, ammette, ad esempio, la ritualità di una valutazione in via presuntiva in caso di inabilitazione). Essi sono peraltro assai diversi da altre analoghe verifiche di ordine psicologico-psichiatrico-neurologico, quali quelle dirette a verificare la attuale capacità della persona offesa di rendere testimonianza ovvero la capacità dell'indagato di partecipare coscientemente al processo o anche di intendere e di volere quando commise il fatto.

Peraltro, gli accertamenti medici relativi alla capacità della persona offesa devono essere necessariamente plasmati sulle particolarità del singolo fatto tipico.

L'ipotesi di reato più frequente in tale ambito (e con una ulteriore tendenza all'incremento statistico, data la crescente senescenza della popolazione italiana e le risapute conseguenze sociali e culturali) è quella della circonvenzione di persone incapaci, prevista e punita dall'art. 643 c.p.

La condotta, sorretta dal dolo specifico di procurare a sé o ad altri un profitto, di carattere non necessariamente patrimoniale (Cass. II, n. 20677/2022), consiste nell'abusare, alternativamente,

- dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una persona minore;

- dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o inabilitata (secondo Cass. II, n. 24192/2010, rientra nella nozione di “deficienza psichica” qualsiasi minorazione della sfera volitiva e intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie).

È necessario che dalla condotta derivi l'induzione in errore della persona offesa, la quale è così spinta a compiere “un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso” (testamento, donazione, vendita a prezzo vile, riconoscimento di debito, rilascio di quietanza e in genere tutti quegli atti pregiudizievoli e privi di solida causale, che in condizioni normali non sarebbero stati compiuti).

Come evidenziato dalla Corte di Cassazione è sufficiente che si ingeneri un pericolo di pregiudizio per il soggetto passivo, trattandosi di reato di pericolo (Cass. II, n. 20677/2022).

Il delitto di circonvenzione di incapace non esige che il soggetto passivo versi necessariamente in stato di incapacità di intendere e di volere, essendo sufficiente anche una minorata capacità intellettiva, volitiva od affettiva, con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo, tale da rendere possibile l'altrui opera di suggestione e pressione (Cass. II, n. 3209/2013). Presupposto del reato può essere dunque, accanto alla vera e propria malattia mentale, anche qualsiasi menomazione o compromissione significativa delle facoltà di discernimento o di determinazione volitiva, così da rendere possibile l'intervento suggestivo dell'agente. In estrema sintesi, il giudizio di colpevolezza può fondarsi solo sull'assoluta certezza che il soggetto circonvenuto non sia in grado da solo di avere cura dei propri interessi.

Deve però sussistere una concreta correlazione tra l'azione subdola dell'agente e questa alterazione dello stato psichico che ne affievolisce le capacità quantomeno in ordine ai suoi interessi patrimoniali (Cass. II, n. 9358/2015, relativa a persona cui era stato diagnosticato un disturbo delirante in soggetto con involuzione senile). La condotta di abuso dello stato di vulnerabilità del soggetto passivo postula pertanto che l'agente sia ben conscio di tale debolezza e la sfrutti consapevolmente per raggiungere il proprio fine di profitto (Cass. II, n. 39144/2013). Occorrerà dunque verificare non solo le effettive capacità di autodeterminazione del soggetto circonvenuto, ma, andando al di là delle pure dinamiche del foro interno, i riflessi esteriori di tale situazione e soprattutto la possibilità per i terzi di percepirla, quale circostanza prodromica alla prova della maliziosa induzione (Cass. V, n. 29003/2012, che esclude la configurabilità del reato in difetto della oggettiva riconoscibilità della minorata capacità).

Una volta compiutamente dimostrato che l'agente abbia indotto la vittima al compimento di atti per lei dannosi, abusando del suo stato di infermità o di deficienza psichica, il reato sussiste anche se la persona offesa si era comportata in modo analogo quando era ancora compos sui, essendo impossibile stabilire, a causa del sopravvenuto stato di privazione della capacità di discernimento, se la vittima avrebbe continuato a tenere la stessa condotta (Cass. II, n. 1923/2012, in tema di atti di donazione di notevole valore, normali ed incensurabili prima del sopraggiungere dello stato di incapacità, ma che, provato l'abuso, diventano anomali e penalmente rilevanti se compiuti nel predetto stato, a seguito di una costante attività di suggestione e di pressione morale posta in essere dall'imputato).

Altra fattispecie di ampia applicazione (anche per il già accennato attuale contesto sociale), che postula l'incapacità della persona offesa è il delitto di abbandono di persone minori o incapaci ai sensi dell'art. 591 c.p.

Tale disposizione punisce chiunque abbandoni un minore infraquattordicenne ovvero “una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa”, di cui abbia la custodia o debba avere cura.

Anche in questo caso, pertanto, è necessario accertare in concreto, salvo che si tratti di un minore di anni quattordici, l'incapacità del soggetto passivo di provvedere a se stesso. Non vi è presunzione assoluta di incapacità per la pura e semplice età assai avanzata: la vecchiaia non è una condizione patologica, ma fisiologica, che non è sempre e necessariamente causa di inettitudine fisica o mentale all'adeguato controllo di ordinarie situazioni di pericolo per l'incolumità propria. Il dovere di cura e di custodia deve essere dunque sempre raccordato con la capacità, ove sussista, del soggetto anziano. Quanto alla questione di una specifica posizione di garanzia, Cass. V, n. 7974/2015, afferma che l'amministratore di sostegno non risponde del reato di abbandono di persone incapaci in quanto, salvo che sia diversamente stabilito nel decreto di nomina, lo stesso, a differenza del tutore, non è investito di obblighi di diligenza rispetto ai beni della vita e dell'incolumità individuale del soggetto incapace ma solo di un compito di assistenza nella gestione dei suoi interessi patrimoniali.

In generale, la condotta di abbandono può consistere in qualsivoglia azione od omissione che comporti il distacco o l'allontanamento del soggetto attivo dalla persona abbandonata e sottoposta alla sua cura e alle sue funzioni di garanzia, così da non essere più in grado di esercitare il controllo, la cura, la custodia e in genere da non svolgere le attività doverose nell'ambito del rapporto intercorrente fra il soggetto attivo e la persona abbandonata. Non assumono efficacia scusante, in termini di errore sul fatto ex art. 47 c.p., le eventuali valutazioni erronee in ordine alla condizione di pericolo, anche solo potenziale, in cui sia venuto a trovarsi il soggetto abbandonato, come evidenziato dalla Corte di Cassazione, in un caso di abbandono da parte dei genitori di figli di tenera età, lasciati addormentati in auto, dinanzi ad un locale in ore serali e con i finestrini aperti (Cass. V, n. 1780/2022). La Corte ha infatti affermato che l'errore sul fatto ricade su un elemento materiale del reato e consiste in una difettosa percezione o in una difettosa ricognizione della percezione che alteri il presupposto del processo volitivo, indirizzandolo verso una condotta viziata alla base; al contrario, se la realtà è stata esattamente percepita nel suo concreto essere, non v'è errore sul fatto, bensì errore sull'interpretazione tecnica della realtà e sulle norme che la disciplinano, ininfluente ai fini dell'applicazione dell'art. 47 c.p.

In considerazione della natura permanente dei reati di abbandono, perde rilievo sistematico la definitività dell'abbandono, incentrandosi il fatto tipico su una condotta che si protragga nel tempo, sorretta dalla coscienza e volontà di abbandonare. L'abbandono dunque non deve necessariamente essere assoluto e definitivo, ma anche relativo e temporaneo, ogni qualvolta dalla condotta consegua l'impossibilità per le vittime di tutelarsi autonomamente (Cass. IV, n. 35585/2017).

A fianco di altri illeciti di minor rilievo pratico e sistematico che pure annoverano la capacità della persona offesa tra gli elementi o i prerequisiti del fatto tipico (ad esempio, la somministrazione di bevande alcooliche da parte dell'esercente di una pubblica rivendita di cibi o di bevande a persona che appaia affetta da malattia di mente, o che si trovi in manifeste condizioni di deficienza psichica a causa di un'altra infermità, ai sensi dell'art. 689 c.p.), non mancano poi ipotesi di reato in cui simili previsioni non rientrano nella fattispecie astratta, ma analoghi accertamenti possono essere richiesti nel caso concreto. Ad esempio, in tema di estorsione, la connotazione di una condotta come minacciosa e la sua idoneità ad integrare l'elemento strutturale del reato vanno valutate in relazione a concrete circostanze oggettive, tra cui, oltre alla personalità sopraffattrice dell'agente e alle circostanze ambientali in cui opera, le particolari condizioni soggettive della vittima, poiché più marcata è la vulnerabilità di quest'ultima, maggiore è la potenzialità coercitiva di comportamenti anche solo velatamente minacciosi (Cass. II, n. 2702/2015, che ha valorizzato, in ordine alla capacità intimidatoria delle lettere inviate dall'imputata, la particolare vulnerabilità della persona offesa, descritta nella sentenza di primo grado come in condizioni di “depressione nevrotica, disturbo della personalità borderline e abuso alcolico”. Cfr. anche la relativa nota di Rossi, L'elemento oggettivo del reato di estorsione, in Cass. pen., 9-2016, 3301 ss.). 

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario