Referto (art. 334)InquadramentoIl referto rappresenta una denuncia qualificata da parte di una particolare categoria di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio: coloro che esercitano una professione sanitaria, sui quali incombe l'obbligo di segnalare all'autorità giudiziaria ogni circostanza da cui possa desumersi la commissione di un delitto perseguibile di ufficio. FormulaALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ... [1] REFERTO [2] Il sottoscritto ..., nato a ... il ..., nella propria qualità di ... presso ... di ... (ovvero libero professionista) [3], rappresenta doverosamente quanto segue [4]. (Esporre la vicenda storica) [5] .... Questi i fatti, avvenuti, come sopra specificato, in ... in data ... [6]. Per tutto quanto sinora esposto, il sottoscritto presenta formale ATTO DI REFERTO in relazione all'assistenza e all'opera prestata in favore di ..., nato a ... il ..., identificato a mezzo ... [7], per il delitto di ..., ovvero comunque di ogni altra ipotesi di reato che l'Autorità Giudiziaria vorrà ravvisare nei fatti sopra indicati [8]. Si allegano i seguenti documenti. 1) ...; 2) ...; 3) .... Luogo e data ... Firma ... 1. Il referto deve essere presentato o trasmesso “all'autorità giudiziaria, o ad un'altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne” (art. 361 c.p. richiamato dal successivo art. 365). L'individuazione della autorità giudiziaria competente da parte del querelante non è ovviamente vincolante, né tantomeno obbligatoria. In taluni casi, d'altronde (ad esempio, quando si presenti l'atto presso un ufficio di polizia giudiziaria di altro circondario), può essere utile per orientare, sin dal primo colpo d'occhio, la futura attività di trasmissione dell'incartamento. 2. Il referto è un incombente che spetta fisiologicamente a soggetti che, lecitamente, non hanno il minimo bagaglio curricolare in merito alle problematiche del diritto penale sostanziale e processuale. Esso presenta dunque un contenuto più stringato e privo di riferimenti ad attività investigativa. 3. Specificare la qualifica o la posizione professionale del denunciante, l'eventuale istituzione di appartenenza ovvero l'impresa privata presso cui si presta servizio (farmacia, clinica medica, centro veterinario, etc.). 4. Se più persone hanno prestato la loro assistenza nella medesima occasione, sono tutte obbligate al referto, con facoltà di redigere e sottoscrivere un unico atto (art. 334, comma 3, c.p.p.). 5. Il referto indica la persona alla quale è stata prestata assistenza e, se è possibile, le sue generalità, il luogo dove si trova attualmente e quanto altro valga a identificarla nonché il luogo, il tempo e le altre circostanze dell'intervento; dà inoltre le notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare (art. 334, comma 2, c.p.p.). 6. L'esatta collocazione cronologica dell'intervento è fondamentale per attestare la tempestività del referto (che deve essere presentato, ai sensi dell'art. 334, comma 1, c.p.p., entro quarantotto ore o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente). 7. L'espletamento di cure nell'ambito di strutture pubbliche (e talora anche in occasione di attività privata) forniscono spesso dai completi sul paziente. 8. Per quanto la qualificazione giuridica del fatto possa non essere sempre semplice per un professionista estraneo al mondo del diritto, il referto è obbligatorio non per qualunque reato, ma solo per i delitti procedibili di ufficio. Con ogni evidenza, d'altronde, occorrerà una elastica (e non riduttiva) valutazione in iure della vicenda per scongiurare il rischio di una illecita omissione. CommentoI professionisti sanitari Lo Stato italiano riconosce e disciplina le professioni sanitarie, riservando al rilascio della relativa abilitazione la possibilità di svolgere attività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. Ad oggi, le professioni sanitarie riconosciute dal ministero della salute sono le seguenti: - medico chirurgo (d.lgs. n. 368/1999), - farmacista (d.lgs. n. 258/1991), - odontoiatra (l. n. 409/1985), - psicologo (l. n. 56/1989), - biologo (art. 9, l. n. 3/2018), - veterinario (l. n. 750/1984), - professioni sanitarie infermieristiche, • infermiere (l. n. 905/1980; d.m. n. 739/1994; Direttive comunitarie 77/452/CEE e 77/453/CEE), • ostetrica (l. n. 296/1985; d.m. n. 740/1994; Direttive comunitarie 80/154/CEE e 80/155/CEE), • infermiere pediatrico (d.m. n. 70/1997), - professioni sanitarie riabilitative • podologo (d.m. n. 666/1994), • fisioterapista (d.m. n. 741/1994), • logopedista (d.m. n. 742/1994), • ortottista/assistente di oftalmologia (d.m. n. 743/1994), • terapista della neuro- e psicomotricità dell'età evolutiva (d.m. n. 56/1997), • tecnico riabilitazione psichiatrica (d.m. n. 182/2001), • terapista occupazionale (d.m. n. 136/1997), • educatore professionale (d.m. n. 520/1998), - professioni tecnico sanitarie (area tecnico-diagnostica) • tecnico audiometrista (d.m. n. 667/1994), • tecnico sanitario di laboratorio biomedico (d.m. n. 745/1994), • tecnico sanitario di radiologia medica (d.m. n. 746/1994), • tecnico di neurofisiopatologia (d.m. n. 183/1995), - professioni tecnico sanitarie (area tecnico-assistenziale) • tecnico ortopedico (d.m. n. 665/1994), • tecnico audioprotesista (d.m. n. 668/1994), • tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare (d.m. n. 316/1998), • igienista dentale (d.m. n. 137/1999), • dietista (d.m. n. 744/1994), - professioni tecniche della prevenzione • tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro (d.m. n. 58/1997), • assistente sanitario (d.m. n. 69/1997), - operatore di interesse sanitario massofisioterapista (l. n. 43/2006, art. 1), Le cosiddette arti ausiliarie ricomprendono poi: • odontotecnico (art. 11, r.d. n. 1334/1928), • ottico (art. 12, r.d. n. 1334/1928), • puericultrice (l. n. 1098/1940), • massaggiatore stabilimenti idroterapici (art. 1, r.d. n. 1334/1928), L'obbligo di referto e le conseguenze penali dell'omissione I pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e i privati che esercitano – effettivamente e legittimamente, al di là della mera qualifica professionale – una professione sanitaria hanno l'obbligo di un particolare tipo di denuncia denominata “referto”, quando, nell'esercizio della propria professione, abbiano prestato la propria assistenza od opera in casi che possono presentare i caratteri di un delitto procedibile d'ufficio (cfr. l'art. 365 c.p., che sanziona l'omissione o il ritardo della trasmissione del referto). È il caso, ad esempio, del medico del pronto soccorso che si trovi a curare un soggetto attinto da colpi di arma da fuoco o del veterinario che presti la propria opera in favore di un cane con segni evidenti di maltrattamenti o di partecipazione a combattimenti clandestini. L'obbligo di riferire si configura per la semplice possibilità che il fatto presenti i caratteri di un delitto perseguibile di ufficio, secondo un giudizio riferito al momento della prestazione sanitaria in relazione al caso concreto, a differenza di quanto ricorre per la fattispecie di omessa denuncia, dove rileva la sussistenza di elementi capaci di indurre una persona ragionevole a ravvisare l'apprezzabile probabilità dell'avvenuta commissione di un reato. Infatti, in questo caso, la comunicazione fornisce, per vicende riguardanti la persona, elementi tecnici di giudizio a pochissima distanza dalla commissione del fatto, insostituibili ai fini di un efficace svolgimento delle indagini. Il sanitario è quindi esentato dall'obbligo di referto solo quando abbia la certezza tecnica dell'insussistenza del reato, alla luce di un minimo margine di discrezionalità nell'apprezzamento della natura dell'infortunio avuto riguardo al tipo di lesione riscontrata, alla descrizione dei fatti fornita dal paziente o dai suoi eventuali accompagnatori e agli altri possibili elementi di riscontro, secondo una valutazione in concreto, che tenga conto delle peculiarità della situazione effettiva (Cass. VI, n. 51780/2013, che ha ritenuto corretta la condanna di due medici i quali, in relazione al decesso di un minore, pur avendo riconosciuto l'errore diagnostico di un collega, avevano omesso il referto, ritenendo, sulla base di valutazioni probabilistiche ed approssimative, che l'evento letale fosse comunque inevitabile). Del resto, l'omissione di referto costituisce reato di pericolo e non di danno. Non può pertanto ritenersi consentito al professionista della sanità nessun potere di delibazione della configurabilità di estremi di reato: la sua valutazione deve limitarsi al solo esame delle modalità del fatto portato a sua conoscenza. Quando non risulti, in base ad elementi certi ed obiettivi (che quindi non necessitano di verifica in sede di indagine) che il fatto si sia verificato indipendentemente da condotte commissive od omissive di terzi (ivi compresi coloro che avevano l'obbligo giuridico di impedire l'evento), i sanitari sono tenuto all'obbligo del referto. Il dolo di legge, infatti, consiste nella conoscenza degli elementi del fatto per il quale si è prestata opera o assistenza, che valgano a disegnare, ancorché in via meramente probabilistica, la figura di un delitto perseguibile d'ufficio (e il conseguente obbligo di referto) e nella conseguente coscienza e volontà di omettere o ritardare di riferirne all'autorità. L'eventuale pronuncia di assoluzione per carenza dell'elemento psicologico non può mai fondarsi sulle valutazioni in punto di diritto in cui si sia avventurato il sanitario, al di là delle proprie competenze. In tema di elemento soggettivo è stato infatti rilevato che la valutazione da parte dell'esercente la professione sanitaria della perseguibilità di ufficio del delitto ravvisabile nel caso a lui sottoposto non deve essere fatta in astratto, ma in concreto, ossia con l'adozione di ogni criterio di giudizio che tenga conto delle peculiarità della situazione effettiva, dovendosi riconoscere al sanitario un margine di discrezionalità nell'apprezzamento della natura dell'infortunio in relazione al tipo di lesione riscontrata, alla descrizione dei fatti fornita dal paziente o dai suoi eventuali accompagnatori e agli altri possibili elementi di riscontro (Cass. VI, n. 7034/1998). Se la notizia di reato perviene al sanitario in circostanze diverse dall'esercizio della professione (anche se, eventualmente, “a causa di quest'ultima”), potranno essere se del caso applicabili le altre disposizioni in tema di denuncia obbligatoria da parte dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio (ad esempio, per i medici delle strutture sanitarie pubbliche) ovvero di denuncia facoltativa da parte dei privati (per i sanitari che operano in ambito privato). Per non compromettere l'obbligo di assistenza alla base della professione e il diritto alla salute costituzionalmente garantito, si esclude la necessità del referto quando la segnalazione esporrebbe la persona assistita a procedimento penale (non a sanzioni per illeciti amministrativi), quando i fatti che si dovrebbero descrivere nel referto convergano nell'indicare il paziente quale autore del reato esponendolo a procedimento penale (Cass. VI, n. 18052/2001, che ha escluso che il sanitario potesse esimersi dall'obbligo di referto nel caso di ricovero di un paziente per tossicosi acuta da assunzione di droga, in quanto l'ipotesi che l'assistito fosse egli stesso un trafficante non poteva essere direttamente collegata al referto, ma unicamente all'esito di ulteriori indagini che potevano prendere solo spunto dalla segnalazione del sanitario). L'obbligo del referto permane, ma è esclusa la punibilità dell'omissione se il sanitario ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore (art. 384 c.p.). Può fondatamente dubitarsi della sussistenza del necessario elemento psicologico, nel caso in cui si sia agito nell'errato convincimento che all'onere di referto abbiano già adempiuto altri sanitari intervenuti a prestare la loro opera nella medesima vicenda terapeutica, sia pure in fasi diverse. Un simile malinteso infatti si configura come erronea rappresentazione di un elemento di fatto idoneo ad escludere il dolo del delitto, inteso come rappresentazione ed intenzione dell'evento di pericolo proprio della fattispecie legale, cioè la mancata immediata informazione dell'autorità giudiziaria. Normativa speciale Peraltro, specifici obblighi di segnalazione (e specifiche modalità di comunicazione) correlati allo svolgimento dell'attività sanitaria sono previsti da leggi speciali. In particolare: - il medico settore che, procedendo a riscontro diagnostico su un cadavere, abbia il sospetto che la morte sia dovuta a reato deve sospendere le operazioni e darne immediata comunicazione all'autorità giudiziaria (art. 39, comma 3, d.P.R. n. 285/1990); - l'ente ospedaliero, la casa di cura o il poliambulatorio nei quali l'intervento di interruzione della gravidanza è stato effettuato sono tenuti ad inviare al medico provinciale competente per territorio una dichiarazione con la quale il medico che lo ha eseguito dà notizia dell'intervento stesso e della documentazione sulla base della quale è avvenuto, senza fare menzione dell'identità della donna (art. 11, l. n. 194/1978); - gli esercenti la professione di medico-chirurgo, ai sensi dell'art. 103, r.d. n. 1265/1934, sono obbligati a: • denunciare al sindaco le cause di morte entro ventiquattro ore dall'accertamento del decesso. La denuncia, il cui contenuto deve rimanere segreto, non esime il sanitario dall'obbligo del referto; • denunciare al sindaco e all'ufficiale sanitario, entro due giorni dal parto al quale abbiano prestato assistenza, la nascita di ogni infante deforme; • denunciare al sindaco e all'ufficiale sanitario, entro due giorni dall'accertamento, i casi di lesione, da cui sia derivata o possa derivare una inabilità al lavoro, anche parziale, di carattere permanente; • informare il medico provinciale e l'ufficiale sanitario dei fatti che possono interessare la sanità pubblica. Più articolata, e di segno diametralmente opposto, la normativa in tema di tossicodipendenza, secondo la quale chiunque fa uso di sostanze stupefacenti può chiedere al servizio pubblico per le dipendenze o ad una struttura privata autorizzata di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo, beneficiando dell'anonimato nei rapporti con i servizi, i presidi e le strutture, nonché con i medici, gli assistenti sociali e tutto il personale addetto o dipendente. Gli operatori del servizio pubblico per le dipendenze e delle strutture private autorizzate non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, applicandosi loro le disposizioni in tema di segreto professionale ex art. 200 c.p.p. e le medesime garanzie previste per il difensore dalle disposizioni dell'art. 103 c.p.p. in quanto applicabili. L'autorità giudiziaria o amministrativa, quando venga a conoscenza di persone che facciano uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, deve farne segnalazione al servizio pubblico per le tossicodipendenze competente per territorio, che ha l'obbligo di chiamare la persona segnalata per la definizione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo (artt. 120-121, d.P.R. n. 309/1990). Contenuto del referto e modalità di trasmissione Chi ha l'obbligo del referto deve farlo pervenire entro quarantotto ore (o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente) al Pubblico Ministero o a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui ha prestato la propria opera o assistenza ovvero, in loro mancanza, all'ufficiale di polizia giudiziaria più vicino. Nel referto devono essere indicate le generalità della persona assistita o perlomeno il luogo dove si trova attualmente e quanto valga ad identificarla, specificando altresì il luogo, il tempo e le altre circostanze dell'intervento sanitario, con adeguata rappresentazione di ogni notizia utile a stabilire le circostanze del presunto fatto di reato, i mezzi con i quali è stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare (art. 334 c.p.p.). Il mancato rispetto di questi specifici requisiti dell'atto non comporta però la sussistenza del reato di omissione di referto, qualora non via sia sostanziale incompletezza o reticenza della segnalazione, dovendosi escludersi che la norma processuale integri, al di là dei termini per l'adempimento, la norma sostanziale, la quale ha un autonomo valore costitutivo e non meramente sanzionatorio. Il sanitario può trasmette il referto, con effetto liberatorio, anche ad “altra autorità” che abbia l'obbligo di riferire all'autorità giudiziaria, come nel caso delle organizzazioni di tipo gerarchico che vincolano all'informativa interna, riservando a livelli superiori i rapporti esterni. |