Dichiarazione di persona in grado di riferire circostanze utili ai fini della difesa della persona assistita (art. 391-bis)InquadramentoIl codice, come interpolato dalla l. n. 397/2000, contempla tre diverse modalità di contatto tra gli organi dell'investigazione privata e le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa”: il colloquio, la ricezione di dichiarazioni e l'assunzione di informazioni. L'art. 391-ter c.p.p. costruisce la dichiarazione come un'attività di carattere personale del soggetto intervistato che il difensore deve documentare secondo le forme stabilite. Formula
DICHIARAZIONE RESA DA PERSONA IN GRADO DI RIFERIRE CIRCOSTANZE UTILI AI FINI DELL'ATTIVITÀ INVESTIGATIVA Su richiesta dell'Avv....., con studio in...., via...., difensore di fiducia di...., persona sottoposta alle indagini nell'ambito del proc. pen. n....., il sottoscritto...., nato a.... il.... e residente in...., reso edotto dello scopo del presente atto investigativo – cioè di ricercare elementi di prova a favore del suddetto assistito – e ricevuti gli avvertimenti di cui all'art. 391-bis, comma 3, c.p.p., in merito ai fatti.... dichiara quanto segue. .... Ciò è quanto a conoscenza del sottoscritto in merito ai fatti in premessa indicati. Luogo e data.... IL DICHIARANTE V., per autentica della firma Luogo e data.... Firma Avv..... CommentoLe diverse forme di contatto con le persone informate sui fatti Il codice, come interpolato dalla l. n. 397/2000, contempla tre diverse modalità di contatto tra gli organi dell'investigazione privata e le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa”: il colloquio, la ricezione di dichiarazioni e l'assunzione di informazioni. Fermo restando che tutte le forme di contatto presentano, come comune denominatore, un rapporto bilaterale – tra richiedente e destinatario – ed un obiettivo di carattere generale – rappresentato dal chiaro intento di acquisire notizie utili per la conduzione delle stesse indagini difensive e per la determinazione delle conseguenti strategie – mentre il secondo e il terzo costituiscono la tipizzazione di attività formali, destinate ad una eventuale valenza procedimentale (dunque ad essere in senso proprio atti del procedimento), come emerge dalla prevista loro documentazione mediante verbale, il primo configura una attività investigativa del tutto informale. Un significativo elemento di differenziazione tra le diverse forme di contatto conoscitivo funzionale all'acquisizione di elementi dichiarativi è riscontrabile sotto il profilo della legittimazione soggettiva, dal momento che, mentre il colloquio può avere come interlocutore della persona informata qualsivoglia soggetto dell'investigazione privata, ossia il difensore, il sostituto, gli investigatori ed i consulenti tecnici, il ricorso agli strumenti acquisitivi formalizzati è riservato in via esclusiva al difensore ed al sostituto. In passato, come è noto, il dibattito circa l'opportunità di demandare il contatto investigativo al difensore, oppure all'investigatore privato, oscillava tra l'opinione di quanti ritenevano che il primo, delegando l'incombenza, sarebbe stato più libero psicologicamente al momento dell'esame dibattimentale non avendo in precedenza intrattenuto alcun tipo di rapporto con il dichiarante ed il giudizio di chi, invece, individuava nel legale la persona che più di altri avrebbe potuto dare forma, modellandone contenuti ed obiettivi, all'intervista, grazie all'approfondita conoscenza dei fatti oggetto del procedimento ed al superiore bagaglio tecnico-giuridico a disposizione. Il legislatore della riforma ha adottato, come detto, una soluzione parcellizzata, nell'ambito della quale la disciplina della documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni prevista dall'art. 391-ter c.p.p. e che contempla, quali soggetti chiamati rispettivamente all'autenticazione della sottoscrizione del dichiarante ed alla documentazione delle informazioni, esclusivamente il difensore o il sostituto – fatta salva la facoltà di avvalersi, ai fini della materiale redazione del verbale, di persone di loro fiducia – sembra costituire, insieme al rilievo procedimentale attribuito alle correlative risultanze, la giustificazione dell'opzione restrittiva in punto di poteri acquisitivi da fonti dichiarative. Infatti, l'attività acquisitiva formalizzata impone l'assunzione di un ruolo più che mai qualificato e tecnicamente d'avanguardia, essendosi in presenza di un atto nel quale l'investigante assume indefettibili funzioni di certificazione, più o meno estese a seconda della modalità prescelta. È chiaro che un'attività di così grande rilievo ed implicante rilevanti responsabilità non può essere affidata agli investigatori privati o ai consulenti tecnici, ossia ad ausiliari preposti all'assolvimento di funzioni di stampo tipicamente operativo e, sul piano generale, privi di qualsiasi potere di certificazione. Peraltro, la scelta normativa si inserisce all'interno di un modo di concepire la funzione ed il ruolo del difensore e dei sostituti assolutamente diverso rispetto a quelli degli altri ausiliari, questi ultimi visti come figure di autonomo rilievo ma estranee all'organizzazione dello studio professionale, anzi funzionalmente subordinati ai primi. La dichiarazione Qualora il contatto informale svoltosi mediante il colloquio dovesse produrre, in conformità con quanto astrattamente ipotizzato in sede di predisposizione del programma investigativo difensivo, risultanze favorevoli alla posizione dell'assistito, il difensore ed il sostituto si attiveranno al fine di instaurare un successivo momento acquisitivo che, potendo assumere la forma dell'assunzione di informazioni ovvero della ricezione di una dichiarazione, sarà produttivo di elementi i quali, ritualmente documentati, saranno suscettibili di impiego nel prosieguo dell'iter procedimentale. I due atti, equivalenti sotto il profilo della funzione, si distinguono sul piano dell'assetto strutturale poiché, mentre il primo è gestito dal soggetto procedente e si sviluppa secondo una dinamica che fa seguire alla domanda di questi una risposta da parte della persona intervistata, il secondo presenta una connotazione strettamente unilaterale dal momento che, posto un determinato tema, il contenuto informativo dell'atto è interamente prodotto dal dichiarante, in assenza di qualsiasi interferenza esterna, ed assume veste procedimentale soltanto grazie all'intervento documentativo successivo del difensore. La dichiarazione scritta costituisce, infatti, una dichiarazione di scienza proveniente dalla persona informata sui fatti, nella quale essa riferisce, in forma univoca ed unilaterale, le circostanze di cui è a conoscenza utili all'attività di indagine difensiva. La Suprema Corte ha puntualizzato che l'atto notarile contenente le dichiarazioni rese da un funzionario di polizia di uno Stato estero, acquisito nel corso del giudizio su richiesta della difesa, costituisce una dichiarazione scritta ai sensi dell'art. 391-bis, comma 2, c.p.p. inutilizzabile ove non siano stati dati gli avvertimenti previsti dal comma 3 della stessa disposizione, ovvero nel caso in cui siano state disattese le modalità di documentazione di cui all'art. 391-ter c.p.p. (Cass. III, n. 24320/2018). La richiesta finalizzata ad ottenere il rilascio della dichiarazione – in relazione alla quale non sono richiesti forme particolari – può assumere un contenuto “specifico”, nel senso che in essa vengono indicate le domande alle quali la persona è chiamata a rispondere, ovvero “generico”, allorquando si chiede alla persona di esporre ciò di cui è a conoscenza rispetto ad un fatto determinato. Logicamente preceduta da un colloquio informale – in questo caso finalizzato, altresì, ad esporre in via preventiva contenuto e limiti della successiva attività acquisitiva – sarebbe opportuno che la dichiarazione fosse preparata autonomamente dalla persona informata, in modo separato e del tutto indipendente dalla presenza del difensore o dei suoi ausiliari, anche solo per precludere il “sospetto” che, in qualche modo, si tratti di una dichiarazione condizionata o peggio “pilotata” in funzione delle ragioni e degli interessi della difesa. Secondo parte della dottrina, invece, la dichiarazione potrebbe essere scritta anche da un terzo sotto dettatura del dichiarante – dichiarazione c.d. “eterografa” – possibilità che altri circoscrivono, però, alla sola ipotesi in cui la persona informata abbia difficoltà ad esporre in forma scritta ciò che sa per evidenti limiti culturali o tecnici. La stesura personale della dichiarazione è, comunque, da preferire in quanto garantisce la massima genuinità dell'esposizione, mentre è certamente da sconsigliare un'elaborazione diretta da parte del difensore stesso, circostanza idonea ad ingenerare il sospetto della riconduzione a questi del contenuto informativo dell'atto. Le formalità documentative Uno dei limiti più significativi della disciplina delle investigazioni difensive contenuta nell'art. 38 disp. att. c.p.p. era costituito, come è noto, dalla mancanza di una qualsiasi regolamentazione dei mezzi di documentazione delle risultanze acquisite dal difensore. La l. n. 397/2000 non poteva, ovviamente, non occuparsi della questione e in relazione all'atto acquisitivo di elementi dichiarativi ha previsto due distinte modalità documentative, diverse per struttura e requisiti formali e correlate a ciascuna delle possibili forme di contatto con la persona informata sui fatti. Un primo dato merita di essere evidenziato, e cioè che la legge sulle investigazioni difensive ha affidato esclusivamente al difensore la funzione documentativa degli atti investigativi, seguendo una prospettiva diversa da quella costituita dall'etero-documentazione, modalità consistente nella possibilità per il difensore di far documentare le dichiarazioni rilasciate dalle persone informate sui fatti da soggetti terzi – in particolare, notai – dotati di particolari qualifiche di rilievo pubblicistico, in grado di renderli garanti della fedeltà della documentazione, e, nello stesso tempo, funzionalmente estranei alla gestione penale. Durante la vigenza dell'art. 38 disp. att. c.p.p., come è noto, la questione concernente il possibile intervento del notaio in funzione documentativa di atti dichiarativi difensivi aveva dato luogo a notevoli perplessità, determinate soprattutto da un atteggiamento di radicale chiusura della Suprema Corte, orientata a collocare l'atto ricettivo di dichiarazioni testimoniali nell'ambito degli atti contrari all'ordine pubblico, vietati ai sensi dell'art. 28, l. n. 89/1913. Il legislatore, come già detto, ha scelto la strada dell'attribuzione diretta ed esclusiva al difensore procedente della funzione documentativa, della quale, ovviamente sono scanditi in maniera puntuale i passaggi procedurali, seguendo una cadenza caratterizzata dalla tassatività delle forme. Sul punto, la Corte di Cassazione ha, sia pure implicitamente, chiarito che i requisiti di forma prescritti dagli artt. 391-bis e 391-ter c.p.p. sono vincolanti ed inderogabili e, per quel che concerne più da vicino gli adempimenti documentativi, ha precisato che un atto di investigazione difensiva attuato a mezzo di una telefonata registrata tra il difensore dell'imputato e la persona offesa – quest'ultima inserita nelle liste testimoniali di cui all'art. 468 c.p.p. – si pone in radicale contrasto con la specifica disciplina sulle investigazioni difensive, anche perché non vi sarebbe alcuna possibilità di identificare l'interlocutore e si registrerebbe un'assoluta e irrimediabile carenza degli avvertimenti prescritti dall'art. 391-bis, comma 3, c.p.p. Tra l'altro, la Corte di Cassazione non aveva mancato di precisare, in precedenza, che anche la facoltà del difensore di svolgere attività investigative per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito al fine di promuovere il giudizio di revisione deve essere svolta nelle forme prescritte dagli art. 391-bis e ss. c.p.p. La funzione dell'autenticazione della sottoscrizione Detto questo, l'art. 391-ter c.p.p. – il quale, contenendo la disciplina della documentazione degli atti investigativi difensivi a contenuto dichiarativo, si pone come regola base del potere documentativo del difensore, del cui ruolo istituzionale determina un ulteriore e qualificante arricchimento – prevede, innanzitutto, che la dichiarazione di cui all'art. 391-bis, comma 2, c.p.p., redatta e sottoscritta dal dichiarante, deve essere autenticata dal difensore o da un suo sostituto. Mediante siffatto adempimento formale, l'investigante certifica semplicemente la provenienza soggettiva del contributo conoscitivo. In altri termini, l'autenticazione assicura la riconducibilità dell'atto dichiarativo al soggetto che vi appone la sottoscrizione – la quale, sebbene manchi una espressa previsione in tal senso, dovrebbe essere apposta alla presenza del soggetto autenticante – senza, però, estendersi fino al punto da attestare la veridicità della dichiarazione, ovvero, l'esattezza di essa sotto il profilo giuridico. In ogni caso, la soluzione all'insegna dell'autodocumentazione, come appena detto preferita dal legislatore in luogo di modalità documentative diverse, e la puntuale indicazione contenuta nell'art. 391-ter c.p.p. implicano un generale ed assoluto difetto di legittimazione in capo a persone diverse che, sul piano generale, siano dotate di un potere di autenticazione, come i notai, i funzionari di cancelleria ovvero i segretari comunali. |