Richiesta di autorizzazione ad assumere informazioni, ricevere dichiarazioni scritte ovvero conferire con persona in stato di detenzione domiciliare ovvero sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari (art. 391-bis)InquadramentoIl codice, come interpolato dalla l. n. 347/2000, contempla tre diverse modalità di contatto tra gli organi dell'investigazione privata e le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa”: il colloquio, la ricezione di dichiarazioni e l'assunzione di informazioni. L'intervista di persona in stato di detenzione non può avere luogo senza che sia stata autorizzata dal Giudice che procede, sentiti il difensore della stessa ed il Pubblico Ministero. FormulaPreg.mo Sig. Giudice per le indagini preliminari Tribunale di ... [1] ISTANZA DI AUTORIZZAZIONE - Art. 391-bis, comma 7, c.p.p. - L'Avv. ..., con studio in ..., via ..., n. ... difensore di fiducia di ..., persona sottoposta alle indagini nell'ambito del procedimento penale n. ... iscritto dalla procura della Repubblica presso il Tribunale di ..., premesso: a. che, nell'ambito delle investigazioni difensive che intende svolgere nell'interesse del su indicato assistito, deve conferire con il Sig. ... nato a ... il ..., residente in ..., via ..., n ... in ordine ai seguenti fatti: ...; b. che il Sig. ... risulta essere sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari per effetto dell'ordinanza n. ... emessa dall'ufficio in intestazione in data ... [2], misura in atto in corso di esecuzione presso la residenza dello stesso in ..., via ... n. .... c. Che l'atto da compiere avrà forma di assunzione di informazioni, documentate ai sensi dell'art. 391-ter c.p.p. Tutto ciò premesso, con la presente rivolge istanza alla S.V. Ill.ma affinché voglia autorizzare l'odierno istante al compimento dell'atto. Luogo e data ... Avv. ... 1. L'istanza si rivolge al Giudice che procede e, durante l'esecuzione della pena, al magistrato di sorveglianza. 2. Ovvero, detenuto in esecuzione della pena ... irrogata con la sentenza n. ... del ..., passata in giudicato il .... CommentoLe diverse forme di contatto con le persone informate sui fatti Il codice, come interpolato dalla l. n. 347/2000, contempla tre diverse modalità di contatto tra gli organi dell'investigazione privata e le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa”: il colloquio, la ricezione di dichiarazioni e l'assunzione di informazioni. Fermo restando che tutte le forme di contatto presentano, come comune denominatore, un rapporto bilaterale – tra richiedente e destinatario – ed un obiettivo di carattere generale – rappresentato dal chiaro intento di acquisire notizie utili per la conduzione delle stesse indagini difensive e per la determinazione delle conseguenti strategie – mentre il secondo e il terzo costituiscono la tipizzazione di attività formali, destinate ad una eventuale valenza procedimentale (dunque ad essere in senso proprio atti del procedimento), come emerge dalla prevista loro documentazione mediante verbale, il primo configura una attività investigativa del tutto informale. Un significativo elemento di differenziazione tra le diverse forme di contatto conoscitivo funzionale all'acquisizione di elementi dichiarativi è riscontrabile sotto il profilo della legittimazione soggettiva, dal momento che, mentre il colloquio può avere come interlocutore della persona informata qualsivoglia soggetto dell'investigazione privata, ossia il difensore, il sostituto, gli investigatori ed i consulenti tecnici, il ricorso agli strumenti acquisitivi formalizzati è riservato in via esclusiva al difensore ed al sostituto. In passato, come è noto, il dibattito circa l'opportunità di demandare il contatto investigativo al difensore, oppure all'investigatore privato, oscillava tra l'opinione di quanti ritenevano che il primo, delegando l'incombenza, sarebbe stato più libero psicologicamente al momento dell'esame dibattimentale non avendo in precedenza intrattenuto alcun tipo di rapporto con il dichiarante ed il giudizio di chi, invece, individuava nel legale la persona che più di altri avrebbe potuto dare forma, modellandone contenuti ed obiettivi, all'intervista, grazie all'approfondita conoscenza dei fatti oggetto del procedimento ed al superiore bagaglio tecnico-giuridico a disposizione. Il legislatore della riforma ha adottato, come detto, una soluzione parcellizzata, nell'ambito della quale la disciplina della documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni prevista dall'art. 391-ter c.p.p. e che contempla, quali soggetti chiamati rispettivamente all'autenticazione della sottoscrizione del dichiarante ed alla documentazione delle informazioni, esclusivamente il difensore o il sostituto – fatta salva la facoltà di avvalersi, ai fini della materiale redazione del verbale, di persone di loro fiducia – sembra costituire, insieme al rilievo procedimentale attribuito alle correlative risultanze, la giustificazione dell'opzione restrittiva in punto di poteri acquisitivi da fonti dichiarative. Infatti, l'attività acquisitiva formalizzata impone l'assunzione di un ruolo più che mai qualificato e tecnicamente d'avanguardia, essendosi in presenza di un atto nel quale l'investigante assume indefettibili funzioni di certificazione, più o meno estese a seconda della modalità prescelta. È chiaro che un'attività di così grande rilievo ed implicante rilevanti responsabilità non può essere affidata agli investigatori privati o ai consulenti tecnici, ossia ad ausiliari preposti all'assolvimento di funzioni di stampo tipicamente operativo e, sul piano generale, privi di qualsiasi potere di certificazione. Peraltro, la scelta normativa si inserisce all'interno di un modo di concepire la funzione ed il ruolo del difensore e dei sostituti assolutamente diverso rispetto a quelli degli altri ausiliari, questi ultimi visti come figure di autonomo rilievo ma estranee all'organizzazione dello studio professionale, anzi funzionalmente subordinati ai primi. L'assunzione di informazioni vede nel difensore e nel sostituto gli indiscussi protagonisti dell'atto acquisitivo, trattandosi dei soggetti investigativi che, attraverso la formulazione delle domande, pongono sul tappeto i temi che costituiscono l'oggetto delle successive e correlate affermazioni probatorie, ossia degli elementi formativi del contenuto utilizzabile dell'atto. Gli atti investigativi difensivi riguardanti persone detenute Il codice di procedura penale prevede espressamente la possibilità di compiere atti investigativi difensivi a contenuto dichiarativo che coinvolgano una persona che si trovi in stato di detenzione, fatto salvo l'obbligo di osservare, in questa evenienza, talune cautele preliminari. L'art. 391-bis, comma 7, c.p.p. stabilisce, infatti, che per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi della specifica autorizzazione del Giudice che procede nei suoi confronti, sentiti il suo difensore ed il Pubblico Ministero. In punto di titolarità del potere autorizzativo, poi, la norma precisa che, prima dell'esercizio dell'azione penale, l'autorizzazione deve essere rilasciata dal Giudice per le indagini preliminari, mentre durante la fase dell'esecuzione della pena competente a provvedere è il magistrato di sorveglianza. La Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di indagini difensive la richiesta di autorizzazione a ricevere dichiarazioni o ad assumere informazioni da un detenuto, di cui all'art. 391-bis, comma 7, c.p.p., deve contenere, ai fini della sua ammissibilità, le indicazioni relative all'addebito per cui si procede nei confronti della persona assistita dal difensore che intende esaminare il detenuto e del legame di quest'ultimo con il tema d'indagine, in modo da consentire al Giudice, e prima ancora al Pubblico Ministero e al difensore della persona detenuta, di apprezzare l'esistenza di un interesse concreto, diretto ed attuale al compimento dell'atto (Cass. I, n. 28216/2019). Una prima questione da affrontare concerne la legittimazione soggettiva al compimento dell'atto investigativo, non essendo chiaro se lo specifico riferimento al “difensore” contenuto nella norma in esame implichi la configurazione di un regime preclusivo rispetto agli altri soggetti dell'investigazione difensiva. A dire il vero, il riferimento normativo è strutturato in maniera completamente diversa rispetto alla previsione contenuta nell'art. 391-bis, comma 5, c.p.p. – nella quale il difensore figura esclusivamente quale soggetto richiedente la nomina del difensore d'ufficio – e ciò può far pensare che il difensore il quale deve munirsi – e quindi è destinatario – dell'autorizzazione giudiziale ex art. 391-bis, comma 7, c.p.p. sia l'unico titolare della specifica facoltà d'indagine in relazione alla quale essa è stata rilasciata. Tuttavia, siffatta prospettazione ermeneutica – la quale appare, altresì, in linea con la ratio della disciplina speciale prevista in ragione del peculiare status della persona interessata – si presta ad essere contraddetta alla luce del fatto che la norma non contiene alcuna previsione derogatoria della disciplina generale dettata dai commi precedenti, di talché nulla vieterebbe al difensore, unico soggetto legittimato a proporre istanza di autorizzazione, di gestire l'esercizio della facoltà acquisitiva autorizzata facendo ricorso, secondo le regole generali, agli ausiliari. Anche in questa ipotesi, però, la necessità di identificare con certezza le persone titolate a compiere l'atto rende indispensabile l'ancoraggio del provvedimento autorizzativo ad una puntuale ed anticipata indicazione dei soggetti che, eventualmente in luogo del titolare della funzione difensiva, attueranno in concreto l'attività autorizzata. L'autorizzazione Come può notarsi, l'atto autorizzativo è necessario a prescindere dalla forma di acquisizione prescelta, per cui, nel caso in cui il difensore preferisca la modalità costituita dalla ricezione di dichiarazioni, l'intervento del magistrato è richiesto sebbene si realizzi un contatto personale e diretto con la persona detenuta dai contenuti molto limitati. Considerata la formulazione della disposizione, appaiono, altresì, irrilevanti sia il titolo della detenzione – può trattarsi, quindi, di un provvedimento cautelare ovvero di un ordine di esecuzione ai sensi dell'art. 656 c.p.p. – sia le relative modalità, essendo necessario munirsi dell'autorizzazione anche in caso di arresti domiciliari o di detenzione domiciliare. Qualche perplessità può sorgere relativamente al caso in cui l'atto investigativo debba essere compiuto nei confronti di persona condannata alla pena della permanenza domiciliare continuativa, ai sensi dell'art. 53, comma 1, d.lgs. n. 274/2000. L'art. 391-bis, comma 7, c.p.p., infatti, fa riferimento alla persona detenuta ed a fronte di siffatta specifica indicazione – la quale sembra alludere ad una situazione restrittiva tecnicamente e giuridicamente riconducibile alle situazioni costituenti “stato di detenzione” – sembra doversi escludere qualsiasi riferimento al regime preclusivo proprio della sanzione comminabile dal Giudice di pace, posto che l'art. 53, comma 2 del citato decreto chiarisce che il condannato “non è considerato in stato di detenzione”. La norma non chiarisce come debba orientarsi il difensore che voglia acquisire dichiarazioni da persona in stato di detenzione in forza di una pluralità di titoli, per cui appare necessario, in questa evenienza, dotarsi dell'autorizzazione di tutte le autorità titolari del correlato potere in relazione a ciascuna causa di detenzione. La conclusione appare, d'altra parte, in linea con la ratio della disposizione, la quale deve individuarsi nella necessità di sottoporre a verifica giurisdizionale qualsiasi momento di contatto con persone il cui status è inciso da un provvedimento dell'autorità giudiziaria che, per sua natura, implica stringenti limitazioni delle normali attività di vita e relazionali, limitazioni funzionali alla realizzazione delle finalità sottese alla sua adozione. Si è detto, in dottrina che la richiesta di autorizzazione implica l'esigenza, da parte dell'autorità giudiziaria, di poter verificare e bilanciare gli interessi sottostanti alla materia in esame: il diritto di difendersi provando e l'esigenza di un corretto esercizio della giurisdizione penale. In tal caso, cioè, vi è una vera e propria riserva di giurisdizione in merito alla valutazione di quali, tra gli interessi in giuoco, sia quello prevalente. La notazione merita di essere condivisa, fatte salve, però, alcune precisazioni circa l'identificazione dei confini entro i quali delimitare l'esercizio di poteri di verifica e bilanciamento che, altrimenti, rischiano di costituire dei veri e propri, quanto arbitrari, limiti al potere d'indagine del difensore. È evidente, infatti, che il potere di verifica funzionale al rilascio dell'autorizzazione non può spingersi fino al punto da implicare un sindacato sulla necessità e rilevanza dell'atto d'indagine, verifica che, tra le altre cose, richiederebbe l'acquisizione di dati informativi circa le finalità ed i presumibili contenuti di esso, che nessuna norma impone al difensore di fornire all'atto della proposizione dell'istanza. La verifica preliminare al rilascio dell'autorizzazione è intimamente correlata alle esigenze connesse allo stato detentivo della persona da assumere e, quindi, deve proporsi di individuare le modalità e condizioni di effettuazione dell'atto d'indagine – il cui compimento deve, quindi, almeno tendenzialmente essere garantito – che siano maggiormente compatibili con siffatte esigenze. Assume, dunque, fondamentale rilievo, sotto questo profilo, il contenuto della richiesta difensiva, il quale dovrà essere particolarmente analitico e compendiare dettagliate informazioni circa la tipologia dell'atto da compiere e, soprattutto, il luogo di effettuazione di esso, in vista della necessità che il Giudice autorizzante includa o alleghi al provvedimento un eventuale ordine di traduzione. Il procedimento autorizzativo è avviato da un'istanza del difensore e prevede, quali fasi necessarie, l'audizione del Pubblico Ministero e del difensore della persona detenuta. Il parere da questi espresso – da taluni ritenuto obbligatorio e non vincolante anche se non vi sono dati normativi che impediscano di configurarlo in termini di facoltatività, soluzione preferibile posto che, in caso contrario, l'omessa formulazione di esso finirebbe con il bloccare la procedura – non può che riguardare i dati estrinseci all'atto d'indagine sulla base dei quali il Giudice è chiamato a valutare la richiesta di autorizzazione e, in assenza di una specifica disciplina dell'itinerario procedimentale, deve ritenersi consentito il ricorso a qualsiasi modalità comunicativa, ancorché diversa dalla procedura camerale. Inoltre, non è impugnabile, non essendo espressamente dalla legge assoggettato ad alcuna forma di controllo, il provvedimento con cui il magistrato di sorveglianza autorizzi la ricezione di dichiarazioni o l'assunzione di informazioni da un detenuto ai sensi dell'art. 391-bis, comma 7, c.p.p., salvo che sia stato emesso in difetto di potere o in violazione delle prerogative del Pubblico Ministero sull'esclusiva potestà di disporre, al di fuori del giudizio, della fonte di prova, nel qual caso lo stesso, in quanto affetto da abnormità, è ricorribile per cassazione (Cass. I, n. 46437/2019). Il procedimento e la documentazione dell'atto d'indagine Il codice non disciplina i profili della procedura incidentale concernenti i termini e la forma del provvedimento conclusivo, di talché deve ritenersi applicabile la disciplina emergente dal combinato disposto degli artt. 121 e 125 c.p.p. Pertanto, dal momento che in ogni stato e grado del procedimento le parti e i difensori possono presentare al Giudice memorie o richieste scritte, mediante deposito in cancelleria, sulle richieste ritualmente formulate il Giudice deve provvedere – con atto avente, in assenza di diverse indicazioni, forma di ordinanza – senza particolari formalità e senza ritardo e comunque, salve specifiche disposizioni di legge, entro quindici giorni. L'atto d'indagine autorizzato, pur concernendo persone in stato di detenzione, non deve necessariamente essere documentato con le forme garantite prescritte dall'art. 141-bis c.p.p. (da ultimo modificato ad opera del d.lgs. n. 150/2022), posto che la Suprema Corte ha chiarito come per “interrogatorio” deve intendersi, ai fini dell'applicazione della norma predetta – la cui ratio è rappresentata dalla necessità di impedire la coartazione della volontà del detenuto e di prevenire suggestioni comportamentali avuto riguardo non solo agli addebiti mossigli, ma anche a quei fatti riferibili a soggetti diversi dal dichiarante da cui, attraverso interrogatori non garantiti, possa derivare, nei loro confronti, un'affermazione di penale responsabilità – soltanto quello reso davanti all'autorità giudiziaria dall'indagato o da persona imputata in un procedimento connesso o di reato collegato, restando quindi esclusi, dall'ambito di operatività della norma, le sommarie informazioni o le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria a norma degli artt. 350 e 351 c.p.p., nonché gli interrogatori assunti da quest'ultima su delega del Pubblico Ministero, le dichiarazioni spontaneamente rese al Pubblico Ministero o al Giudice e gli interrogatori resi in udienza. Resta da verificare quali siano le conseguenze di ordine processuale del compimento di un atto acquisitivo di dichiarazioni posto in essere in assenza della prescritta autorizzazione. Ovvio che l'ipotesi appare priva di serio rilievo rispetto al caso di detenzione custodiale – essendo improbabile, infatti, che l'istituto di detenzione consenta al difensore di accedere ed instaurare un contatto con la persona detenuta in assenza della specifica autorizzazione – ma può assumere significato pratico relativamente ai casi di detenzione in ambito domiciliare, essendo in astratto ipotizzabile l'instaurazione di un'abusiva vicenda acquisitiva. In queste evenienze, ferme restando le conseguenze di carattere penale configurabili in capo al difensore, non sembra ipotizzabile alcun effetto sulla validità ed efficacia dell'atto d'indagine, non essendo prevista alcuna conseguenza sanzionatoria di ordine processuale relativamente alla violazione della norma in esame. |