Verbale di accesso ai luoghi (artt. 391-sexies e 391-septies)

Leonardo Suraci

Inquadramento

La legge sulle investigazioni difensive disciplina la facoltà difensiva di accedere in un luogo, pubblico o privato, al fine di svolgere distinte tipologie di attività, diversamente calibrate e variamene invasive alla luce delle esigenze di accertamento correlate alla posizione dell'assistito. Anche rispetto a siffatta tipologia di atti emerge l'assenza di poteri coercitivi, assenza la quale implica la necessità di un intervento autorizzativo allorché il privato che abbia la disponibilità del luogo neghi il proprio consenso all'accesso.

Formula

VERBALE D'ACCESSO AI LUOGHI

(ART. 391-SEXIES c.p.p.)

L'anno...., il giorno.... del mese di...., alle ore...., in...., via...., n....., nel.... luogo dell'accesso, sono presenti l'Avv..... difensore di fiducia di.... e le seguenti persone intervenute:.....

L'Avv....., alla presenza dei sopra indicati intervenuti, prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose che ivi si trovano.

Dopo aver preso visione dei luoghi e delle cose sopra indicati, si procede a descriverne lo stato come segue:.....

Vengono eseguiti da.... anche i seguenti rilievi tecnici, fotografici e audiovisivi:.... che fanno parte integrante del presente verbale ed al quale vengono allegati.

L'accesso ha termine alle ore.... e di esso è redatto verbale che viene chiuso alle ore.... previa sottoscrizione delle persone intervenute.

Firma Avv.....

Firma degli intervenuti....

Commento

L'accesso ai luoghi

Nell'ambito di un quadro legislativo complessivamente proteso verso la tendenziale assimilazione degli atti delle investigazioni difensive agli atti del Pubblico Ministero, è stata introdotta la possibilità che i soggetti dell'investigazione privata compiano atti di natura ispettiva, la cui regolamentazione è enucleabile mediante la combinazione sistematica delle norme contenute negli artt. 391-sexies, 391-septies e 391-decies c.p.p.

La prima delle disposizioni citate, introdotta dall'art. 11 della legge di riforma delle investigazioni difensive, disciplina – a dire il vero, la norma regola soltanto il profilo attinente alla documentazione dell'atto, il potere di compiere il quale è dato per riconosciuto ed acquisito – il c.d. “accesso ai luoghi”, prevedendo che il difensore, il sostituto e gli ausiliari indicati nell'art. 391-bis c.p.p. possono effettuare un accesso finalizzato a prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose, ovvero per procedere alla loro descrizione o, ancora, per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi.

Si tratta, è stato notato, di un potere simmetrico a quello attribuito al Pubblico Ministero dall'art. 359 c.p.p. ed in parte coincidente con quanto è consentito agli ufficiali di polizia giudiziaria, in situazioni di urgenza, dall'art. 354, comma 2, c.p.p., dando vita ad uno strumento di indagine molto prezioso perché permette di guardare e controllare direttamente l'ambiente e le cose attinenti al reato consentendo di avere contezza dello scenario in cui si è svolta l'azione de qua.

I luoghi suscettibili di accesso difensivo, va subito precisato, non sono necessariamente quelli del commesso reato, ma qualsiasi luogo in cui è possibile reperire elementi utili alla difesa dell'assistito in virtù del potenziale reperimento di elementi a discarico.

La documentazione dell'atto investigativo avviene, di regola, mediante la redazione di un verbale – previsto come una facoltà, esso diviene un adempimento necessario nella misura in cui l'atto ispettivo consegna elementi suscettibili di utilizzazione processuale – nel quale devono essere riportati in maniera fedele la data ed il luogo dell'accesso, le generalità dell'autore e quelle delle persone intervenute (le quali devono sottoscriverlo), la descrizione dello stato dei luoghi e delle cose e, infine, l'indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi eseguiti, che fanno parte integrante dell'atto e sono allegati al medesimo.

L'art. 391-septies c.p.p., introdotto anch'esso dall'art. 11, l. n. 397/2000, puntualizza che, qualora sia necessario – ovviamente al fine di compiere le medesime operazioni enunciate dall'articolo precedente con riferimento ai luoghi pubblici ed aperti al pubblico, trattandosi di una figura identica al modello generale per natura e finalità dell'atto – accedere a luoghi privati o non aperti al pubblico, occorre acquisire il preventivo assenso da parte di tutti coloro che ne hanno la disponibilità.

In mancanza di un atto dispositivo, l'accesso, su richiesta del difensore, deve essere, a pena di inutilizzabilità delle relative risultanze, autorizzato dal Giudice mediante un decreto motivato, inoppugnabile e revocabile, nell'ambito del quale devono essere specificate le concrete modalità di effettuazione dell'atto, ossia i limiti temporali dell'accesso e le attività da svolgere.

In ogni caso, la persona che del luogo abbia la disponibilità, qualora presente al momento dell'accesso, deve essere avvertita della facoltà di farsi assistere da persona di fiducia, purché questa sia prontamente reperibile e idonea a norma dell'art. 120 c.p.p.

La norma, disciplinante il peculiare istituto della testimonianza c.d. ad acta, prevede che non possono intervenire come testimoni ad atti del procedimento i minori di anni quattordici e le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope (la capacità – precisa il legislatore – si presume sino a prova contraria), nonché le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, ovvero, a misure di prevenzione.

Ci si è chiesti, in dottrina, se il diniego opposto dal privato costituisca un presupposto legittimante la richiesta di autorizzazione giudiziale, di talché la relativa istanza sarebbe irricevibile se non corredata da adeguata documentazione attestante il veto del soggetto che abbia la disponibilità del luogo.

Sebbene la disposizione normativa sembri ricostruire in questi termini i rapporti tra le due forme di autorizzazione, sembra preferibile la tesi di chi ritiene che il difensore, per porre in essere un atto a sorpresa che non consenta a chi ha la disponibilità del luogo di opporre un dissenso strumentale al fine di fruire del tempo sufficiente ad occultare ovvero alterare le tracce del reato, sia legittimato a richiedere l'autorizzazione giudiziale a prescindere dal tentativo di previa acquisizione del consenso dell'interessato.

Siffatta impostazione, tra l'altro, consentirebbe di superare l'effetto paralizzante derivante da un'eventuale impossibilità di individuazione o di reperimento del soggetto che abbia la disponibilità del luogo, non essendo riconducibili, le situazioni appena richiamate, a quella costituita dalla mancanza di consenso, a rigore l'unica idonea a legittimare il ricorso all'autorità giudiziaria.

Esigenze di tutela della riservatezza hanno imposto di vietare l'accesso ai luoghi di abitazione ed alle pertinenze di essi, con la sola eccezione costituita dalla necessità di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato.

In relazione a quest'ultima facoltà investigativa la norma non chiarisce se le connesse attività debbano in ogni caso essere compiute previa autorizzazione del Giudice, ovvero se, come sembra preferibile, sia possibile accedere al luogo privato anche sulla base del mero consenso della persona che ne ha la disponibilità.

Le attività espletabili ed i limiti di esse

La disciplina complessiva dell'istituto dell'acceso autorizza i soggetti dell'investigazione difensiva a “prendere visione” dello stato dei luoghi e delle cose, a “procedere alla loro descrizione” ed “eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi”.

Si tratta di un'attività finalizzata alla constatazione e raccolta di dati che, per i limiti strutturali che la connotano sotto il profilo delle potenzialità invasive e manipolative, non potrebbe comportare alcuna alterazione della configurazione del luogo e delle cose ivi esistenti.

Se, dunque, la norma, in sé considerata, autorizza la difesa ad una mera osservazione esterna, constatazione, memorizzazione, ricerca e raccolta di dati materiali per poter compiere poi in una sede diversa lo studio e l'analisi, le potenzialità dell'azione ispettiva del difensore emergenti dall'art. 391-sexies c.p.p. devono essere opportunamente integrate, dal momento che la possibilità di compiere, in occasione dell'accesso ai luoghi, atti non ripetibili emerge da una disposizione apparentemente deputata a disciplinare, conformemente alla sua rubrica, l'utilizzazione della documentazione delle investigazioni difensive.

I riferimenti contenuti nell'art. 391-decies c.p.p. – non a caso ritenuta una delle disposizioni da cui più esplicitamente si coglie l'intensità della voluntas legis di ampliare fin dove possibile i poteri di investigazione difensiva, secondo la linea della par condicio – consentono, infatti, al difensore di superare i limiti imposti dalla disposizione sopra richiamata, autorizzando interventi molto più penetranti ed incisivi che, andando oltre la mera osservazione, si spingono fino all'accertamento di natura tecnica.

La situazione normativa appena esaminata apre le porte dell'investigazione difensiva alla c.d. “prova scientifica”, ossia quella prova che, partendo da un fatto dimostrato, utilizza una legge tratta dalla scienza per accertare l'esistenza di un ulteriore fatto da provare.

Gli effetti, come è immediatamente percepibile, sono dirompenti e per rendersene conto è sufficiente considerare che, sempre più frequentemente, l'itinerario che conduce all'accertamento giurisdizionale dei fatti penalmente rilevanti e delle correlate responsabilità, soprattutto in relazione a settori nevralgici per la tutela di beni primari quali la vita, la salute ovvero l'ambiente, è incentrato sulle risultanze di siffatta tipologia di prova.

Il quadro complessivo emergente dal combinato disposto delle richiamate norme processuali è dotato, dunque, di una portata potenzialmente devastante rispetto agli equilibri che tradizionalmente connotavano la presenza difensiva sulla scena del crimine, di talché è stata fortemente avvertita l'esigenza di delineare criteri operativi da osservare a tutela dell'interesse pubblicistico alla conservazione dello stato dei luoghi in funzione delle esigenze investigative del Pubblico Ministero e della polizia giudiziaria.

Lo spazio che il legislatore ha lasciato vuoto è tale che eventuali rischi di sovrapposizione sono stati fronteggiati riconoscendo che, in caso di contemporaneo intervento nello stesso luogo degli organi di investigazione pubblici e di quelli dell'indagine difensiva, debbano necessariamente prevalere le esigenze dei primi, alle disposizioni di tipo cautelativo ed alle direttive dei quali i secondi devono rigorosamente attenersi.

Pertanto, sebbene sia certamente da condividere l'auspicio di un coordinamento tra i contrapposti organi dell'investigazione, è innegabile che, in difetto di ciò, il carattere preminente di regolazione dell'accesso spettante alla polizia giudiziaria impone al difensore di posticipare l'esecuzione di autonomi accertamenti rispetto alla conclusione delle operazioni degli organi pubblici o, comunque, di sistemarle negli spazi operativi che questi riterranno di riconoscergli in base alle esigenze del caso concreto.

Nell'ipotesi in cui, invece, l'accesso del difensore abbia luogo prima dell'intervento degli organi pubblici ed all'insaputa dei medesimi – tipicamente, nell'ambito di un'attività investigativa di tipo preventivo – l'obiettiva difficoltà di enunciare regole di condotta adeguate per simili evenienze investigative non consente di spingersi oltre il tenue suggerimento di porre in essere le operazioni investigative con estrema cautela, al fine di evitare accidentali, quanto irreversibili, manomissioni del quadro probatorio.

Il che non significa, ovviamente, che il difensore debba prospettarsi limitazioni – tra l'altro, dalla legge non previste – al fine di fare fronte alle ipotizzabili esigenze di una possibile, futura attività d'indagine del Pubblico Ministero.

Di talché, se la via dell'effettuazione di accertamenti tecnici irripetibili è sbarrata dal disposto dell'art. 391-nonies c.p.p., nulla vieta al difensore di procedere al compimento di atti irripetibili diversi dagli accertamenti, trattandosi di attività rispetto alle quali la partecipazione del Pubblico Ministero – ai sensi dell'art. 391-decies c.p.p. – non soltanto non è prevista come necessaria, ma nemmeno si richiede che venga in qualche modo provocata.

Sebbene, dunque, ci siano motivi per porsi in posizione critica rispetto ad una disciplina del sopralluogo difensivo preventivo che non compendia specifici meccanismi di garanzia della funzione delle indagini in relazione al compimento di atti irripetibili, essi non sono di per sé idonei a scalfire la legittimità di un'opzione investigativa che consti di attività particolarmente invasive e, eventualmente, modificative della fisionomia di luoghi e cose.

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