Ordinanza applicativa del divieto di espatrio

Costantino De Robbio

Inquadramento

Con questo provvedimento il Giudice può prescrivere all'indagato/imputato di non allontanarsi dal territorio dello Stato.

Il provvedimento è emesso inaudita altera parte, su richiesta del Pubblico Ministero.

Per la sua adozione occorre motivare in merito alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato per un reato punito con pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione e di almeno una delle tre esigenze cautelari tipizzate dall'art. 274 c.p.p.: a) inquinamento probatorio; b) pericolo di fuga; c) pericolo di reiterazione dei delitti della stessa specie di quelli per cui si procede. La misura cautelare del divieto di espatrio deve essere applicata ogni volta che il Giudice applichi un'altra delle misure cautelari personali (art. 281, comma 2-bis, c.p.p.).

Formula

TRIBUNALE PENALE DI ...

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

ORDINANZA APPLICATIVA DEL DIVIETO DI ESPATRIO

art. 281 c.p.p.

Il Giudice

Letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, nei confronti di:

1. ..., nato il ... a ..., residente in ..., difeso di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...;

2. ..., nata il ... a ..., residente in ..., difesa di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...;

per il reato previsto e punito dall'art. ...,

per i reati previsti e puniti dagli artt. ....

In ... Commesso/Accertato in ..., il ....

Ritenuto che sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato per cui si procede, in particolare (indicare gli elementi indiziari, tenendo conto del tempo trascorso dalla commissione del fatto - art. 292, comma 2, lett. c), c.p.p.)

che sussiste altresì l'esigenza (indicare una delle esigenze cautelari dell'art. 274 c.p.p.);

Per Questi Motivi

Dispone a carico di ... la misura cautelare del divieto di espatrio, prescrivendo all'indagato/imputato di non uscire dal territorio nazionale senza l'autorizzazione del Giudice che procede.

Visto l'art. 92 disp. att. c.p.p., manda alla Cancelleria di trasmettere immediatamente la presente ordinanza al Pubblico Ministero che ne curerà l'esecuzione.

Manda, altresì, alla Cancelleria di effettuare tempestivamente, e comunque prima dell'interrogatorio di garanzia, ai difensori l'avviso di deposito di cui all'art. 293 c.p.p.

Luogo e data ...

Il Giudice per le indagini preliminari ...

Firma ...

Commento

Le misure cautelari personali sono provvedimenti del Giudice – in forma di ordinanza – con cui si comprime la libertà dell'indagato al fine di proteggere (cautelare) il procedimento penale nella fase di accertamento che precede il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Di fatto, coincidono con la pena detentiva.

Per evitare che l'indagato sconti la pena in un momento in cui non è ancora stata accertata la sua responsabilità per il reato di cui è accusato (abuso della carcerazione preventiva), alcune recenti riforme (l. n. 117/2014 e l. n. 47/2015) hanno inciso notevolmente su questo istituto secondo le seguenti direttive:

a) Accentuata la analisi del merito della vicenda: oggi è richiesta al Giudice della cautela una prognosi dell'esito del processo, per evitare l'adozione di misure ogni volta che è prevedibile che l'indagato, anche se condannato, non sconti una pena detentiva (sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p., sospensione dell'esecuzione ex art. 656 c.p.p.).

b) Proporzionalità: lo scopo per il quale il provvedimento è adottato deve essere raggiunto con il minimo sacrificio possibile alla libertà personale. Pertanto nell'applicare la misura cautelare il Giudice dovrà spiegare perché ha ritenuto insufficiente ogni altra misura coercitiva e/o interdittiva meno afflittiva.

c) Plasticità delle misure cautelari: possono essere combinate più misure cautelari (sia coercitive che interdittive).

d) Rafforzato l'obbligo di motivazione.

Il primo requisito per l'applicazione di una misura cautelare personale è costituito dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (accertamento interinale sulla fondatezza della ricostruzione accusatoria).

Le dichiarazioni della persona offesa possono costituire da sole elemento idoneo all'adozione di una misura cautelare, anche in assenza di riscontri estrinseci, quando siano ritenute dal Giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (Così Cass. II, n. 26764/2013).

La verifica della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza è finalizzata ad evitare l'applicazione di misure cautelari basate su fatti che non potranno essere utilizzati per la decisione, per ridurre al minimo il rischio di assoluzioni dopo la carcerazione preventiva.

Il secondo requisito è la verifica delle esigenze cautelari (pericolo di reiterazione del delitto, pericolo di fuga, pericolo di inquinamento probatorio).

Ratio è la cautela del processo penale, intesa come protezione del procedimento di accertamento della verità processuale dagli attacchi o comunque dai fattori di disturbo esogeni.

Le esigenze cautelari devono essere attuali: la situazione di pericolo deve essere il più possibile riferibile al momento dell'intervento del Giudice.

In merito l'arresto giurisprudenziale più significativo è Cass. S.U., n., 40538/2009, che ha precisato che “in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all'art. 292, comma 2, lett. c) c.p.p., impone al Giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari”.

Pericolo di inquinamento probatorio: la necessità di intervenire deve essere dovuta ad esigenze “specifiche ed inderogabili”. Non può essere desunto dalla mancata confessione o dall'esercizio della facoltà di non rispondere. Solo per questo caso è previsto un termine di scadenza della misura cautelare in relazione alla prevedibile durata delle indagini da compire.

Pericolo di fuga. Condotte sintomatiche: l'acquisto di biglietti aerei per una località estera, il trasferimento di fondi in un conto corrente sito al di fuori del territorio nazionale, la preparazione di valigie o di operazioni di trasloco. Valgono anche motivazioni basate sul tenore di vita del soggetto, sulla mancanza di stabili legami in territorio nazionale o di fissa dimora, o viceversa l'accertata esistenza di legami con paesi esteri o con coindagati di nazionalità straniera in grado di reperire una dimora ed una sistemazione nel loro paese, nonché lo stato di disoccupazione e i precedenti penali.

Dopo le modifiche apportate alla norma in esame dalla l. n. 47/2015, la gravità della sanzione a cui l'indagato è esposto non potrà più essere unico criterio di valutazione per la sussistenza dell'esigenza cautelare in esame.

Pericolo di reiterazione: deve risultare sia da “specifiche modalità e circostanze del fatto” che dalla “personalità della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato”. Questa esigenza cautelare deve poi essere riferita ad una delle quattro categorie di reati seguenti:

a) gravi delitti con uso di armi;

b) gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale;

c) delitti di criminalità organizzata;

d) delitti della stessa specie di quello per cui si procede.

Il primo elemento che determina la scelta della misura da adottare è la richiesta del Pubblico Ministero. Al magistrato inquirente è infatti devoluto non solo il potere di iniziativa, ma anche quello di determinare la misura cautelare che il Giudice dovrà emettere: egli non potrà limitarsi a richiedere l'adozione di “una” misura cautelare, ma dovrà specificare quale tipo di ordinanza richiede al Giudice.

Al Giudice è invece riservato il ruolo di valutazione della fondatezza della domanda cautelare, nell'ambito del “recinto” fissato dal magistrato inquirente.

La prima conseguenza di questa potestà assegnata alla procura di fissare il thema decidendum dell'intervento del Giudice è data dal fatto che non sono legittime ordinanze con cui si imponga una misura cautelare più grave di quella richiesta.

Può dunque dirsi che il Giudice è libero di adottare la misura nell'ambito del petitum che è determinato dalla domanda cautelare. L'ordinanza applicativa di una misura più grave di quella richiesta è affetta da nullità assoluta ed insanabile, e non può essere emendata nemmeno con l'annullamento da parte del Tribunale del Riesame che eventualmente riporti l'equilibrio violato tra chiesto e pronunciato (Cass. III, n. 28443/2014).

Nell'ambito del petitum, il Giudice sceglie la misura avendo come obiettivo il massimo risultato (principio di adeguatezza) con il minimo sacrificio della libertà del destinatario (proporzionalità).

Oggi la legge consente al Giudice non solo di scegliere tra i vari modelli di misura cautelare disegnati dal codice ma di disegnare modelli nuovi, adattandoli al caso concreto.

Questa discrezionalità incontra dei limiti. Il primo è dettato dall'art 275, comma 1: nel giudizio di idoneità “il Giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna” misura cautelare.

Un secondo parametro è pure ricavabile dalla stessa norma (art. 275, comma 1, c.p.p.) che impone al Giudice di scegliere “in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”. È importante considerare anche ciò che questa norma non dice: il riferimento esclusivo alle esigenze cautelari implica che il Giudice non deve scegliere le misure in base alla gravità del reato né alla gravità degli indizi di colpevolezza.

L'unico parametro corretto di riferimento è dunque costituito dalla gravità delle esigenze cautelari: maggiore sarà il pericolo per queste ultime, più incisiva dovrà essere la risposta del Giudice.

È però vero che il criterio ora analizzato dovrà tenere conto del principio enunciato nel comma 2 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, ove si legge che “ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”.

Con il provvedimento che dispone il divieto di espatrio il Giudice prescrive al destinatario della misura di non allontanarsi dal territorio nazionale senza autorizzazione.

A tale fine, si procede in genere al ritiro del passaporto e dei documenti di identità validi per l'espatrio.

La ratio della misura cautelare in esame è senza dubbio ravvisabile nella necessità di impedire che il destinatario si sottragga alle conseguenze del delitto per il quale sono in corso le indagini o il processo: è dunque evidente che il campo di applicazione pressocché esclusivo di questa misura cautelare è costituito dalla previsione della lettera b) dell'art. 274 c.p.p. (pericolo di fuga).

La giurisprudenza ha peraltro esplicitamente escluso che possa essere applicata la misura del divieto di espatrio per scongiurare il pericolo di reiterazione del delitto (art. 274, lett. c), c.p.p.), precisando che “la misura coercitiva del divieto di espatrio (art. 281 c.p.p.) può essere applicata, nelle ipotesi in cui si procede per uno dei delitti previsti dall'art. 280 c.p.p., quando dagli atti emerga un concreto e attuale pericolo che l'imputato si dia alla fuga all'estero, e non per il soddisfacimento delle esigenze cautelari di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p.” (Cass. VI, n. 3503/2014).

Tale limitazione discende, prima che da considerazioni di carattere giuridico, da regole di buon senso: è ben difficile fare divieto all'indagato/imputato di allontanarsi dal territorio nazionale per impedirgli di compiere reati della stessa specie di quelli per cui si procede, poiché tale ordinanza presupporrebbe che solo all'estero possano essere compiuti tali delitti, circostanza alquanto singolare (anche se non impossibile in astratto).

Per l'applicazione del divieto di espatrio occorre che si sia in presenza di una ragionevole, concreta ed attuale probabilità, data da occasioni prossime e favorevoli, che l'indagato faccia perdere all'estero le proprie tracce.

Non è necessario che il Giudice rinvenga negli atti allegati alla richiesta del Pubblico Ministero elementi rivelatori di una condotta specificamente diretta all'espatrio, essendo sufficiente desumere dal comportamento dell'indagato o dalla sua personalità, dalla situazione economica e personale elementi idonei a conferire significativa consistenza al periculum libertatis.

Sono considerati sintomi significativi in tal senso lo stato di pregressa latitanza anche per fatti diversi da quello per cui si procede, in quanto ricollegabile ad una propensione a sottrarsi alle conseguenze delle proprie illecite condotte mediante la fuga, ed il trasferimento all'estero avvenuto prima dell'apertura del procedimento penale, se tale trasferimento non sia giustificabile con motivazioni lecite.

Originariamente il divieto di espatrio era previsto come misura aggiuntiva in ogni caso di applicazione di ogni altra misura cautelare coercitiva, ma la norma che prevedeva tale obbligo (art. 281, comma 3, c.p.p.) era stata dichiarata incostituzionale nel 1994.

La Corte ritenne all'epoca che l'automatica applicazione di una limitazione della libertà personale fosse irragionevole, e che il cumulo indefettibile con altre misure cautelari violasse i principi di adeguatezza e proporzionalità, oltre a comprimere ingiustificatamente la discrezionalità del decidente.

Alla luce delle modifiche recentemente apportate dalla l. n. 47/2015, che ha esplicitamente previsto ed incoraggiato la possibilità di cumulo di più misure cautelari, il ragionamento seguito dalla Corte ha perso di attualità nella parte relativa alla violazione dei principi di adeguatezza e proporzionalità, ed è verosimile che la misura del divieto di espatrio troverà maggior applicazione di quanto accaduto finora proprio in cumulo con altre misure cautelari coercitive.

Rimane ferma ovviamente la necessità di motivare adeguatamente sulla necessità della sua applicazione, elemento già messo in luce dalla menzionata pronuncia della Corte costituzionale.

I rapporti del divieto di espatrio con le misure di prevenzione personali

Il divieto di abbandonare il territorio nazionale ha funzione cautelare in quanto impedisce che il destinatario si sottragga alle conseguenze del delitto nelle more dell'accertamento della sua responsabilità.

Tale misura è facilmente utilizzabile anche in funzione preventiva, poiché può limitare gli spostamenti internazionali di soggetti pericolosi.

Per tale motivo, il divieto di espatrio ed il ritiro del passaporto e dei documenti validi per l'espatrio sono previste come misure interinali nelle more dell'adozione della misura di prevenzione personale dell'obbligo di sorveglianza speciale, quando a questa è abbinato l'obbligo o il divieto di soggiorno.

Prima che il procedimento di adozione previsto dagli artt. 7 e 8 del d.lgs. n. 159/2011 si concluda, il presidente del Tribunale può infatti disporre “il ritiro del passaporto della sospensione della validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente” (art. 9, comma 1).

Tal facoltà è stata estesa dal decreto l. n. 7/2015, noto come “decreto antiterrorismo” al Questore, attraverso l'inserimento nel corpus dell'art. 9 del nuovo comma 2-bis.

È dunque oggi possibile, nel caso in cui la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale sia rivolta a determinate categorie di soggetti: “coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato, con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, del libro II del codice penale o dagli artt. 284,285,286,306,438,439,605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione dei reati con finalità di terrorismo anche internazionale”: così l'art. 4, lettera d) del d.lgs. 159/2011.

All'interno di siffatto quadro normativo, il legislatore del 2015 rafforza la tutela anticipata nell'ipotesi in cui l'azione di prevenzione volta all'applicazione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e dell'obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale sia stata esercitata nei confronti dei soggetti di cui all'art. 4, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 159/2011, consentendo, nei casi di necessità ed urgenza, al questore, all'atto di presentazione della proposta, di disporre il temporaneo ritiro del passaporto e la sospensione di validità ai fini dell'espatrio di ogni altro documento equipollente.

Il provvedimento del Questore dovrà poi essere trasmesso al Pubblico Ministero che se ritiene chiederà la convalida al presidente del Tribunale in un termine strettissimo, mutuato da quello tradizionale della convalida delle misure cautelari disposte di urgenza dalla Polizia Giudiziaria e che deriva dai limiti rigorosi dell'articolo 13 della Costituzione.

È evidente che si tratta di misure con funzione “cautelare” previste all'interno del procedimento di adozione di una misura di prevenzione, con gli stessi scopi di protezione della necessità di assicurare l'effettività del futuro decreto di applicazione della sorveglianza nelle more dell'accertamento dei suoi presupposti.

Il contenuto della misura è il medesimo della misura cautelare del divieto di espatrio in esame, il che pone in astratto problemi di compatibilità e di coesistenza tra i due strumenti.

Può concordarsi sul punto con la giurisprudenza di legittimità, che ha sempre affermato la piena compatibilità tra le due misure, escludendo che in caso di applicazione della misura cautelare prevista dall'art. 281 c.p.p. si dovesse procedere alla sospensione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale e di fatto attestando non solo la piena compatibilità tra i due strumenti ma anche la possibilità di una loro convivenza contestuale.

Aspetti procedimentali

Il Pubblico Ministero non deve motivare la richiesta, ma è tenuto all'allegazione degli elementi su cui la richiesta si fonda. La selezione degli atti non potrà andare a detrimento delle esigenze difensive: l'allegazione degli atti a favore del destinatario della misura deve essere completa.

Sono utilizzabili in sede cautelare:

- le sentenze anche se non ancora passate in giudicato;

- il dispositivo di sentenza resa in altro processo, anche senza motivazione;

- le dichiarazioni rese da soggetti escussi a sommarie informazioni, anche se non sottoscritte dagli interessati;

- le prove acquisite illegittimamente o senza l'osservanza delle prescrizioni formali;

- Per le intercettazioni, basta depositare i brogliacci.

In caso di incompetenza il Giudice emette la misura e si dichiara incompetente; segue procedura di conferma da parte del Giudice competente entro venti giorni (art. 27 c.p.p.).

Motivazione: secondo le prescrizioni dettate dall'art. 292 c.p.p., l'ordinanza di applicazione di una misura cautelare deve dunque contenere innanzitutto una descrizione sommaria del fatto con “l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate”.

Il secondo elemento è costituito dalla “esposizione e l'autonoma valutazione (inciso aggiunto dalla l. n. 47/2015) delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del delitto”.

Uno specifico passaggio della motivazione dell'ordinanza riguarda la confutazione degli argomenti a favore dell'indagato, se questi siano stati forniti dalla difesa.

In seguito alla riforma delle intercettazioni del 2017, è stato aggiunto un nuovo comma all'art. 292 c.p.p. (comma 2-ter) che impone al Giudice che emette un'ordinanza di custodia cautelare di limitare i richiami ai brani delle intercettazioni, che non potranno più essere riprodotti integralmente ma solo “nelle parti essenziali” ed esclusivamente quando “è necessario”.

La fase esecutiva. L'organo che cura l'esecuzione della misura cautelare è il Pubblico Ministero. Da questo momento si determina l'instaurazione del contraddittorio. Due ulteriori adempimenti chiudono la fase esecutiva.

1. L'avviso di deposito, notificazione al difensore dell'avvenuto deposito in cancelleria dell'ordinanza, della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti ad essa allegati.

Mediante questo atto dunque il Giudice mette a disposizione della difesa gli atti su cui si basa l'accusa nei confronti del suo assistito, attuando una completa discovery degli elementi presenti nel fascicolo cautelare. Con l'entrata in vigore della l. n. 199/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) è stato aggiunto l'ulteriore obbligo di avvisare il soggetto attinto dalla misura cautelare della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

2. L'interrogatorio del destinatario della misura, che deve avvenire, ex art. 294 c.p.p. “immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio di esecuzione della custodia cautelare”; per le misure diverse da quelle custodiali, il termine è di dieci giorni (art. 294, comma 1-bis).

L'obbligo di interrogare il destinatario della misura cautelare non sussiste nei casi di:

a) Impedimento della persona da interrogare;

b) Misura cautelare applicata dopo l'apertura del dibattimento;

c) Precedente interrogatorio espletato in fase di convalida dell'arresto o del fermo;

d) Misura cautelare applicata dal Tribunale per il Riesame o dalla Cassazione;

e) Il ripristino della misura cautelare;

f) L'aggravamento della misura;

g) La rinnovazione della misura ai sensi dell'art. 27 c.p.p.;

h) La rinnovazione della misura ex art. 302 c.p.p.

Con l'entrata in vigore della l. n. 199/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) è ora prevista la possibilità sia per la parte che per il difensore che ne facciano richiesta di partecipare all'interrogatorio a distanza, su autorizzazione del Giudice.

Dell'atto è inoltre prevista riproduzione con mezzi di riproduzione audio-visiva e (solo laddove ciò non sia possibile) fonografica. La collocazione di questa previsione nella norma generale prevista per gli adempimenti esecutivi di tutte le misure cautelari induce a ritenere che essa sia applicabile anche alle misure cautelari non detentive, a differenza di quanto previsto dall'art. 141-bis disp. att. c.p.p. che limitava tale obbligo ai soli interrogatori di soggetti in stato di detenzione.

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