Comunicazione alla persona offesa dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare o di divieto di avvicinamento.

Costantino De Robbio

Inquadramento

Con questo provvedimento il Giudice comunica alla persona offesa l'adozione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare o del divieto di avvicinamento ai luoghi nei confronti dell'indagato/imputato.

Si tratta di una comunicazione cui il Giudice è obbligato. L'obbligo è per consentire alla persona offesa di riprendere lo stile di vita turbato dal comportamento denunciato (ad esempio, nel caso di allontanamento dell'indagato/imputato dalla casa familiare, la comunicazione consente alla persona offesa di tornare a vivere nell'abitazione; nel caso di ordinanza di divieto di avvicinamento, di riprendere l'attività lavorativa e così via).

Formula

TRIBUNALE PENALE DI ...

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

COMUNICAZIONE ALLA PERSONA OFFESA DELL'ADOZIONE DI UNA MISURA CAUTELARE

art. 282- qua ter c.p.p.

Il Giudice

Letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, nei confronti di:

1. ..., nato il ... a ..., residente in ..., difeso di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...;

2. ..., nata il ... a ..., residente in ..., difesa di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...;

per il reato previsto e punito dall'art. ...;

per i reati previsti e puniti dagli artt. ....

In ... Commesso/Accertato in ..., il ....

COMUNICA

a ... che in data ... è stata emessa dal G.I.P. scrivente la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare (oppure: del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) nei confronti di ....

Pertanto a far data da oggi l'indagato/imputato dovrà lasciare la casa familiare sita in ... via ... n. ... e non potrà farvi ritorno senza autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria (ovvero non potrà avvicinarsi all'abitazione sita in ... via ... n. ..., nonché al luogo di lavoro sito in ..., via ..., alla scuola ... sita in ... via ... frequentata dalla figlia minore ..., all'abitazione dei genitori sita in ..., via ... senza autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria);

sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato per cui si procede, in particolare (indicare gli elementi indiziari, tenendo conto del tempo trascorso dalla commissione del fatto - art. 292, comma 2, lett. c), c.p.p.).

Luogo e data ...

Il Giudice per le indagini preliminari

Firma ...

Commento

Le innumerevoli denunce per minacce per lesioni e maltrattamenti avanzate da donne e minori nei confronti dei rispettivi coniugi e padri conviventi ed i frequenti casi di omicidio maturati tra le mura domestiche hanno reso questo tipo di delitti una sorta di problema endemico, cui gli esistenti congegni di risposta repressiva hanno dimostrato di non sapere fare fronte con la dovuta efficacia.

La necessità di provvedere in tempi rapidi in occasione di condotte illecite, che spesso evolvevano rapidamente da fenomeni di ingiurie e minacce alla soppressione violenta delle vittime, nelle more dell'instaurazione di un procedimento penale che portava comunque a pene inefficaci per i bassi limiti edittali previsti per i reati contestati, ha scaricato – come spesso accade - l'emergenza sul sistema cautelare.

Anche questo tipo di risposta si è tuttavia rivelata insufficiente, a causa della impossibilità - nella quasi totalità dei casi – di intervenire con una misura custodiale: nessuno dei reati ipotizzabili in casi siffatti, dalle lesioni alle minacce, superava i limiti previsti dall'art. 280 c.p.p., tranne ovviamente l'omicidio; ma in quest'ultimo caso il problema della tutela della vittima non sussisteva più.

Le misure non custodiali allora esistenti, dall'obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria al divieto di espatrio o all'obbligo di dimora, si erano rivelate del tutto inadeguate; una limitata efficacia aveva dimostrato il divieto di dimora, che peraltro sembrava da un lato ultronea rispetto ai fini avuti di mira, dall'altra difficile da applicare ai casi di violenza.

Il legislatore è dunque intervenuto con modifiche sia di carattere sostanziale – l'introduzione della fattispecie di reato degli atti persecutori (nota come “stalking”, oggi disciplinato dall'art. 612-bis c.p.) e l'innalzamento dei limiti edittali del delitto di maltrattamenti in famiglia (previsto dall'art. 572 c.p.) in modo da consentire l'adozione di misure cautelari anche custodiali – che di carattere procedurale, mediante l'arricchimento, per la prima volta dal 1989, del catalogo delle misure cautelari.

Sono state introdotte due nuove misure cautelari assolutamente inedite nel nostro sistema processuale: l'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.).

La loro caratteristica principale, che le distingue da tutte le altre misure cautelari personali, è di essere previste specificamente per una tipologia di reati.

Mentre le misure cautelari tradizionali sono infatti connotate dalla loro universalità, potendo essere applicate ad ogni tipo di reato senza distinzione alcuna, i provvedimenti in esame sono ritagliati su una specifica tipologia di autore e di fatto sono inapplicabili a reati differenti da quelli concernenti il fenomeno delle violenze intrafamiliari.

L'evidente riconducibilità di queste misure cautelari ad un determinato tipo di autore (lo stalker, l'autore di violenze intrafamiliari o di comportamenti sessualmente deviati nei confronti dei congiunti) e il loro atteggiarsi concreto ad impedire uno specifico tipo di condotte di reato avvicina per certi versi queste misure, indubitabilmente appartenenti al novero dei provvedimenti cautelari coercitivi, a delle misure cautelari di tipo interdittivo.

A sottolineare la portata specifica delle norme in esame, la giurisprudenza ha peraltro rilevato che l'applicazione della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare ad individui estranei al novero dei familiari conviventi - nel caso di specie, a soggetto accusato di molestie nei confronti dei vicini - deve ritenersi addirittura illegittima.

A completare il catalogo delle misure cautelari in funzione di contrasto alla violenza contro le cosiddette “fasce deboli”, nel 2009 è stata introdotta come misura cautelare autonoma il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.).

In precedenza, tale divieto era stato pensato come prescrizione aggiuntiva della misura dell'allontanamento dalla casa familiare (la formula è mutuata da quella tutt'ora prevista dall'art. 282-bis, comma 2), ma la sua indubbia efficacia deterrente ha indotto il legislatore a farne una misura a se stante.

È dunque possibile oggi impedire al destinatario della misura l'accesso o l'avvicinamento a uno o più luoghi sul semplice presupposto che essi siano frequentati dalla persona offesa: non solo l'abitazione, ma anche il luogo di lavoro di quest'ultima, o il luogo di svago (ad esempio, la villa comunale ove la moglie porta il bambino abusato, o la scuola di quest'ultimo, ma anche la palestra abitualmente frequentata dalla persona offesa, e così via).

Tale misura, come è stato rilevato dalla Cassazione, “esprime una precisa scelta normativa di privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell'esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza, anche laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che il contenuto concreto della misura in questione deve modellarsi rispetto alla predetta esigenza e che la tutela della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazioni nella sola sfera del lavoro, degli affetti familiari e degli ambiti ad essa assimilabili”.

È naturalmente necessario che i luoghi “riservati” alla frequentazione della persona offesa siano specificamente indicati (non è possibile genericamente impedire a taluno di avvicinarsi “a tutti i luoghi frequentati” da altri), sia per evitare che la determinazione in concreto delle prescrizioni dell'indagato sia rimessa alla discrezionalità della persona offesa che per favorire l'esercizio da parte della polizia giudiziaria dei controlli sull'effettivo adempimento delle prescrizioni medesime.

È inoltre assicurata tutela alla persona offesa nella sua vita di relazione e di circolazione: la misura cautelare può infatti consistere anche nel divieto di avvicinarsi alla stessa oltre una certa distanza, dunque a prescindere dai luoghi da essa frequentati.

“Il riferimento oggettuale del divieto di avvicinamento non più solo ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale, esprime una precisa scelta normativa di privilegio, anche nelle situazioni in esame, della libertà di circolazione del soggetto passivo. La norma, in altre parole, esprime una scelta di priorità dell'esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità anche laddove la condotta dell'autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali; con la conseguenza che è rispetto a tale esigenza che deve modellarsi il contenuto concreto di una misura la quale, non lo si dimentichi, ha comunque natura inevitabilmente coercitiva rispetto a libertà anche fondamentali dell'indagato”: così Cass. V, n. 13568/2012.

Può dunque dirsi che la misura cautelare in esame ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di cautela del caso concreto.

Ad accentuare la natura di misure antiviolenza ed a tutela della incolumità della persona offesa, il legislatore prevede che l'adozione delle misure dell'allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa siano comunicati alla stessa persona offesa, nonché all'autorità di pubblica sicurezza per l'adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni.

Il provvedimento è formalmente emesso dal Giudice, ma può essere contenuto nella stessa ordinanza applicativa della misura cautelare come ordine alla Cancelleria di comunicare il contenuto dell'ordinanza stessa (o copia di essa) alla persona offesa.

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