Ordinanza applicativa degli arresti domiciliari

Costantino De Robbio

Inquadramento

Con questo provvedimento il Giudice può privare l'indagato/imputato della libertà personale ingiungendogli di non allontanarsi senza autorizzazione dal proprio domicilio o da altro luogo di privata dimora ovvero, se ricoverato, da un luogo di cura o ancora da una casa familiare protetta. Si tratta di una misura cautelare detentiva, parificata a tutti gli effetti alla custodia in carcere. Il tempo trascorso agli arresti domiciliari viene dunque scomputato, in caso di condanna, dalla pena detentiva da scontare (cosiddetto "presofferto").

Il provvedimento è emesso inaudita altera parte, su richiesta del Pubblico Ministero.

Per la sua adozione occorre motivare in merito alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza del reato per un reato punito con pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione e di almeno una delle tre esigenze cautelari tipizzate dall'art. 274 c.p.p.: a) inquinamento probatorio; b) pericolo di fuga; c) pericolo di reiterazione dei delitti della stessa specie di quelli per cui si procede. Gli arresti domiciliari possono essere adottati solo se ogni altra misura meno afflittiva risulti inadeguata: deve dunque essere specificata la ragione per cui si ritiene che le esigenze cautelari non siano adeguatamente tutelate con l'adozione di una misura non custodiale.

Il Giudice deve infine dare conto del fatto che, in caso di condanna, la pena non sarà sospesa, dunque sarà superiore al limite di due anni di reclusione e non vi siano motivi per ritenere che l'imputato commetta altri reati (artt. 275, comma 2-bis, c.p.p., 163 e 164 c.p.).

Alla misura degli arresti domiciliari può essere aggiunta, quale particolare modalità di controllo, lo strumento di controllo del braccialetto elettronico (art. 275-bis c.p.p.), qualora disponibile e se l'indagato acconsenta.

Formula

TRIBUNALE PENALE DI ...

UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

ORDINANZA APPLICATIVA DEGLI ARRESTI DOMICILIARI

– artt. 284-275-bis c.p.p. –

Il Giudice

Letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, nei confronti di:

1. ..., nato il ... a ..., residente in ..., difeso di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...;

2. ..., nata il ... a ..., residente in ..., difesa di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...;

per il reato previsto e punito dall'art. ...,

per i reati previsti e puniti dagli artt. ....

In ... Commesso/Accertato in ..., il ....

Ritenuto che sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato per cui si procede, in particolare (indicare gli elementi indiziari, tenendo conto del tempo trascorso dalla commissione del fatto - art. 292, comma 2, lettera c), c.p.p.);

che sussiste altresì l'esigenza (indicare una delle esigenze cautelari dell'art. 274 c.p.p.);

che in relazione agli elevati limiti edittali previsti per i delitti contestati (o perché l'indagato ha già goduto in passato del beneficio), può escludersi che in caso di condanna l'indagato possa beneficiare della sospensione condizionale della pena;

che (indicare perché ogni altra misura è inadeguata alla tutela delle esigenze cautelari) l'unica misura cautelare idonea alla protezione delle esigenze cautelari sopra menzionate è quella degli arresti domiciliari (indicare perché non si ritengono efficaci misure non custodiali, anche congiuntamente applicate).

Per Questi Motivi

Dispone a carico di ... la misura degli arresti domiciliari, prescrivendo all'indagato di recarsi nel domicilio che eleggerà al momento della notifica del presente atto (ovvero nel luogo di cura o nella casa familiare protetta) e di non allontanarsene senza autorizzazione dell'Autorità Giudiziaria.

Ordina agli ufficiali ed agenti di P.G. di procedere all'immediata notifica del presente provvedimento all'indagato.

Visto l'art. 92 disp. att. c.p.p., manda alla Cancelleria di trasmettere immediatamente la presente ordinanza al Pubblico Ministero che ne curerà l'esecuzione.

Manda, altresì, alla Cancelleria di effettuare tempestivamente, e comunque prima dell'interrogatorio di garanzia, ai difensori l'avviso di deposito di cui all'art. 293 c.p.p.

Luogo e data ...

Il Giudice per le indagini preliminari ...

Firma ...

Commento

Le misure cautelari personali sono provvedimenti del Giudice – in forma di ordinanza – con cui si comprime la libertà dell'indagato al fine di proteggere (cautelare) il procedimento penale nella fase di accertamento che precede il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Di fatto, coincidono con la pena detentiva.

Per evitare che l'indagato sconti la pena in un momento in cui non è ancora stata accertata la sua responsabilità per il reato di cui è accusato (abuso della carcerazione preventiva), alcune recenti riforme (l. n. 117/2014 e l. n. 47/2015) hanno inciso notevolmente su questo istituto secondo le seguenti direttive:

a) accentuata la analisi del merito della vicenda: oggi è richiesta al Giudice della cautela una prognosi dell'esito del processo, per evitare l'adozione di misure ogni volta che è prevedibile che l'indagato, anche se condannato, non sconti una pena detentiva (sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p., sospensione dell'esecuzione ex art. 656 c.p.p.).

b) Proporzionalità: lo scopo per il quale il provvedimento è adottato deve essere raggiunto con il minimo sacrificio possibile alla libertà personale. Pertanto nell'applicare la misura cautelare il Giudice dovrà spiegare perché ha ritenuto insufficiente ogni altra misura coercitiva e/o interdittiva meno afflittiva. Nell'adottare la misura degli arresti domiciliari si dovrà dunque motivare sul perché non si ritiene sufficiente l'adozione di una misura non custodiale o di più misure non custodiali applicate congiuntamente (possibilità introdotta con la menzionata l. n. 47/2015).

c) Plasticità delle misure cautelari: possono essere combinate più misure cautelari (sia coercitive che interdittive).

d) Rafforzato l'obbligo di motivazione.

Il primo requisito per l'applicazione di una misura cautelare personale è costituito dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (accertamento interinale sulla fondatezza della ricostruzione accusatoria).

Le dichiarazioni della persona offesa possono costituire da sole elemento idoneo all'adozione di una misura cautelare, anche in assenza di riscontri estrinseci, quando siano ritenute dal Giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (Così Cass. II, n. 26764/2013).

La verifica della sussistenza di gravi indizi di colpevolezza è finalizzata ad evitare l'applicazione di misure cautelari basate su fatti che non potranno essere utilizzati per la decisione, per ridurre al minimo il rischio di assoluzioni dopo la carcerazione preventiva.

Il secondo requisito è la verifica delle esigenze cautelari (pericolo di reiterazione del delitto, pericolo di fuga, pericolo di inquinamento probatorio).

Ratio è la cautela del processo penale, intesa come protezione del procedimento di accertamento della verità processuale dagli attacchi o comunque dai fattori di disturbo esogeni.

Le esigenze cautelari devono essere attuali: la situazione di pericolo deve essere il più possibile riferibile al momento dell'intervento del Giudice.

In merito l'arresto giurisprudenziale più significativo è Cass. S.U., n. 40538/2009, che ha precisato che “in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al "tempo trascorso dalla commissione del reato" di cui all'art. 292, comma 2, lett. c), c.p.p., impone al Giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari”.

Pericolo di inquinamento probatorio: la necessità di intervenire deve essere dovuta ad esigenze “specifiche ed inderogabili”. Non può essere desunto dalla mancata confessione o dall'esercizio della facoltà di non rispondere. Solo per questo caso è previsto un termine di scadenza della misura cautelare in relazione alla prevedibile durata delle indagini da compire.

Pericolo di fuga. Condotte sintomatiche: l'acquisto di biglietti aerei per una località estera, il trasferimento di fondi in un conto corrente sito al di fuori del territorio nazionale, la preparazione di valigie o di operazioni di trasloco. Valgono anche motivazioni basate sul tenore di vita del soggetto, sulla mancanza di stabili legami in territorio nazionale o di fissa dimora, o viceversa l'accertata esistenza di legami con paesi esteri o con coindagati di nazionalità straniera in grado di reperire una dimora ed una sistemazione nel loro paese, nonché lo stato di disoccupazione e i precedenti penali.

Dopo le modifiche apportate alla norma in esame dalla l. n. 47/2015, la gravità della sanzione a cui l'indagato è esposto non potrà più essere unico criterio di valutazione per la sussistenza dell'esigenza cautelare in esame.

Pericolo di reiterazione: deve risultare sia da “specifiche modalità e circostanze del fatto” che dalla “personalità della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato”. Questa esigenza cautelare deve poi essere riferita ad una delle quattro categorie di reati seguenti:

a) gravi delitti con uso di armi;

b) gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale;

c) delitti di criminalità organizzata;

d) delitti della stessa specie di quello per cui si procede.

La misura cautelare degli arresti domiciliari è considerata dal legislatore particolarmente afflittiva, tanto da essere equiparata alla custodia in carcere ai fini del calcolo del cosiddetto “presofferto”: a norma del comma 5 dell'art. 284 c.p.p., “l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare”.

Ciò comporta, tra l'altro, l'applicazione delle regole sulla contestazione a catena (art. 297, comma 3, c.p.p.) e quelle sulla riparazione per ingiusta detenzione a norma dell'art. 314 c.p.p.

La misura degli arresti domiciliari per essere effettiva ha bisogno della collaborazione dell'indagato, cui sono imposte delle prescrizioni: nel caso di specie, la prescrizione connaturata all'imposizione degli arresti domiciliari è quella di non allontanarsi dal domicilio senza autorizzazione.

Dal momento della notificazione dell'ordinanza il destinatario è dunque tenuto a raggiungere il domicilio indicato nella misura stessa o quello eletto ed a rimanervi fino alla scadenza della misura stessa.

Egli potrà normalmente ricevere terzi e comunicare con loro all'interno del domicilio: ciò che conta è che non si allontani fisicamente dal luogo conosciuto all'autorità giudiziaria e alle forze dell'ordine, che possono in qualsiasi momento del giorno e della notte, senza bisogno di preavviso alcuno, recarsi a controllare l'adempimento della prescrizione imposta.

In caso di assenza del soggetto controllato, egli risponderà del delitto di evasione punito dall'art. 385 c.p.; come conseguenza ulteriore, non potrà essere ammesso alla misura cautelare degli arresti domiciliari, in caso di nuovo procedimento per altro reato, nei successivi cinque anni dalla condanna per il reato menzionato.

Spetta al Giudice la decisione circa il luogo ove tradurre il destinatario dell'ordinanza applicativa della misura: l'individuazione del luogo concreto ove la misura dovrà essere eseguita non è delegabile neanche al Pubblico Ministero, anche se come noto tale organo giurisdizionale è quello incaricato di eseguire l'ordinanza.

L'autorità giudiziaria emittente tenderà comunque in genere a seguire le indicazioni dello stesso indagato nell'individuazione del domicilio: è spesso adottata nella prassi una formula che delega allo stesso indagato la scelta di eleggere un domicilio ove intende scontare la misura cautelare, lasciando al destinatario la possibilità di dare l'indicazione direttamente alla polizia giudiziaria al momento della notificazione del provvedimento impositivo.

Qualora non sia possibile individuare un domicilio idoneo – perché ad esempio il destinatario è senza fissa dimora – è legittima l'adozione della misura della custodia in carcere.

Il divieto di comunicare con terzi

Laddove necessario il Giudice può aggiungere alla “prescrizione fisiologica” degli arresti domiciliari ulteriori limitazioni, imponendo limiti o divieti alla facoltà di comunicare con gli altri: in questo caso, la misura cautelare in esame, oltre ad impedire all'indagato di muoversi al di fuori della propria abitazione, produce l'effetto di confinare di fatto quest'ultimo in una sorta di isolamento all'interno del domicilio.

Tale prescrizione assolve la funzione di impedire lo scambio di informazioni del soggetto ristretto nel domicilio con l'esterno, scambio ritenuto potenzialmente pregiudizievole per le esigenze cautelari.

Non rientrano nei limiti alla facoltà di comunicare, per espressa previsione di legge, i contatti con coloro che coabitano con il destinatario della misura nel domicilio: si è voluto evitare che l'esecuzione della misura così congegnata si trasformasse in una sorta di allontanamento coatto dal domicilio per tutti i familiari e conviventi dell'indagato.

È importante rilevare che il divieto di comunicare con terzi deve necessariamente essere oggetto di esplicita richiesta da parte del Pubblico Ministero: in caso di mancata richiesta in tal senso, il Giudice non potrà prevedere questa prescrizione aggiuntiva, in ossequio al principio generale vigente in tema di misure cautelari che impedisce l'adozione di misure più gravose di quelle richieste dall'organo inquirente.

Trattandosi di prescrizione incidente sensibilmente sulla libertà del destinatario, è ammessa la richiesta di revoca del solo divieto di comunicare con terzi; in caso di rigetto della richiesta, è possibile fare appello al Tribunale per il Riesame.

L'autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio

In applicazione del principio generale esposto dall'art. 277 c.p.p., secondo cui “le modalità di esecuzione delle misure cautelari devono salvaguardare i diritti della persona ad esse sottoposta, il cui esercizio non sia incompatibile con le esigenze cautelari del caso concreto”, è prevista la possibilità di ottenere l'autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio “nel corso della giornata” per provvedere alle proprie esigenze di vita o per esercitare un'attività lavorativa.

La necessità di protezione delle esigenze cautelari deve dunque essere contemperata, laddove possibile, con il diritto al sostentamento materiale: laddove il divieto di allontanarsi dal proprio domicilio metta in concreto l'indagato nell'impossibilità di procurarsi il denaro sufficiente per acquistare cibo ed altri beni necessari alle esigenze indispensabili di vita, o manchi in concreto qualcuno che provveda a portare questi beni all'interno del domicilio, è necessario limitare l'operatività del divieto e consentire al destinatario della misura di provvedere personalmente.

Tale autorizzazione è assoggettata a rigorosi limiti.

Il primo limite è costituito dal fatto che le “indispensabili esigenze di vita” devono essere riferite ai soli bisogni materiali e sono in stretto collegamento con lo stato di indigenza che la norma richiama immediatamente dopo: non è possibile ottenere l'autorizzazione in esame per soddisfare bisogni culturali, spirituali o affettivi.

Rientrano invece tra i bisogni materiali tutelati dalla norma in esame le spese per il vitto, l'alloggio e il vestiario, nonché le esigenze relative alla comunicazione, all'educazione e alla salute.

Un ulteriore limite è dato proprio dal richiamo allo “stato di assoluta indigenza”: l'autorizzazione non può essere concessa per mantenere il medesimo tenore di vita che si aveva in precedenza, né per impedire un depauperamento delle proprie risorse materiali conseguente alla perdita degli introiti, ma deve essere limitata ai casi in cui l'indagato versi in stato di tale scarsità di denaro da non potersi permettere il sostentamento quotidiano, fatte salve in ogni caso le condizioni di vita dignitosa.

La prova dello stato di assoluta indigenza spetta all'indagato, e dovrà essere valutata con particolare rigore da parte del Giudice.

Ulteriore limite è dato dal fatto che l'autorizzazione dovrà essere concessa nei limiti dello stretto indispensabile.

Ancora, l'autorizzazione in esame dovrà comunque garantire il rispetto delle prescrizioni conseguenti alla misura cautelare in corso, e dunque dovrà essere possibile in ogni momento alla polizia giudiziaria effettuare i controlli previsti dal comma 4 dell'art. 284 c.p.p.

L'allontanamento dal luogo in cui l'indagato è autorizzato a svolgere l'attività lavorativa è considerato alla stregua di una vera e propria evasione, valutabile ai sensi dell'art. 276 c.p.p.

In tema di violazioni va altresì considerato che ai fini dell'aggravamento ex art. 276, comma 1, c.p.p., conseguente alla trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura degli arresti domiciliari, rilevano, per il principio di tassatività, le violazioni degli obblighi tipizzati dall'art. 284 c.p.p. e non anche l'infrazione di ulteriori prescrizioni, ancorché imposte nell'ordinanza genetica, volte a contrastare condotte genericamente elusive della finalità perseguita con l'imposizione del vincolo limitativo della libertà personale (Cass. VI, n. 30032/2022).

Il procedimento di adozione

Il primo elemento che determina la scelta della misura da adottare è la richiesta del Pubblico Ministero. Al magistrato inquirente è infatti devoluto non solo il potere di iniziativa, ma anche quello di determinare la misura cautelare che il Giudice dovrà emettere: egli non potrà limitarsi a richiedere l'adozione di “una” misura cautelare, ma dovrà specificare quale tipo di ordinanza richiede al Giudice.

Al Giudice è invece riservato il ruolo di valutazione della fondatezza della domanda cautelare, nell'ambito del “recinto” fissato dal magistrato inquirente.

La prima conseguenza di questa potestà assegnata alla procura di fissare il thema decidendum dell'intervento del Giudice è data dal fatto che non sono legittime ordinanze con cui si imponga una misura cautelare più grave di quella richiesta: pertanto, la misura cautelare degli arresti domiciliari non può essere applicata in seguito a richiesta di applicazione di una misura non custodiale o di una misura interdittiva.

Può dunque dirsi che il Giudice è libero di adottare la misura nell'ambito del petitum che è determinato dalla domanda cautelare. L'ordinanza applicativa di una misura più grave di quella richiesta è affetta da nullità assoluta ed insanabile, e non può essere emendata nemmeno con l'annullamento da parte del Tribunale del Riesame che eventualmente riporti l'equilibrio violato tra chiesto e pronunciato (Cass. III, n. 28443/2014).

Nell'ambito del petitum, il Giudice sceglie la misura avendo come obiettivo il massimo risultato (principio di adeguatezza) con il minimo sacrificio della libertà del destinatario (proporzionalità).

Oggi la legge consente dunque al Giudice non solo di scegliere tra i vari modelli di misura cautelare disegnati dal codice ma di disegnare modelli nuovi, adattandoli al caso concreto.

Questa discrezionalità incontra dei limiti. Il primo è dettato dall'art. 275, comma 1: nel giudizio di idoneità “il Giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna” misura cautelare.

Un secondo parametro è pure ricavabile dalla stessa norma (art. 275, comma 1, c.p.p.) che impone al Giudice di scegliere “in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”. È importante considerare anche ciò che questa norma non dice: il riferimento esclusivo alle esigenze cautelari implica che il Giudice non deve scegliere le misure in base alla gravità del reato né alla gravità degli indizi di colpevolezza.

L'unico parametro corretto di riferimento è dunque costituito dalla gravità delle esigenze cautelari: maggiore sarà il pericolo per queste ultime, più incisiva dovrà essere la risposta del Giudice.

È però vero che il criterio ora analizzato dovrà tenere conto del principio enunciato nel comma 2 dell'art. 275 c.p.p., ove si legge che “ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata”.

Ulteriore elemento da valutare nella scelta della misura è poi quello imposto dal comma 2-bis dell'art. 275 c.p.p., secondo cui non può essere applicata la misura della custodia in carcere o degli arresti domiciliari se il Giudice ritiene che in caso di futura condanna la pena sarà sospesa condizionalmente ai sensi dell'art. 163 c.p.

La norma subisce però una deroga: nel caso di violazione delle prescrizioni inerenti una misura cautelare non custodiale (art. 280, comma 3, c.p.p.) potrà essere applicata la misura degli arresti domiciliari anche se il reato per cui si procede prevede limiti edittali inferiori a tre anni di reclusione.

Aspetti procedimentali

Il Pubblico Ministero non deve motivare la richiesta, ma è tenuto all'allegazione degli elementi su cui la richiesta si fonda. La selezione degli atti non potrà andare a detrimento delle esigenze difensive: l'allegazione degli atti a favore del destinatario della misura deve essere completa.

Sono utilizzabili in sede cautelare:

- le sentenze anche se non ancora passate in giudicato;

- il dispositivo di sentenza resa in altro processo, anche senza motivazione;

- le dichiarazioni rese da soggetti escussi a sommarie informazioni, anche se non sottoscritte dagli interessati;

- le prove acquisite illegittimamente o senza l'osservanza delle prescrizioni formali;

- per le intercettazioni, basta depositare i brogliacci.

In caso di incompetenza il Giudice emette la misura e si dichiara incompetente; segue procedura di conferma da parte del Giudice competente entro venti giorni (art. 27 c.p.p.).

Motivazione: secondo le prescrizioni dettate dall'art. 292 c.p.p., l'ordinanza di applicazione di una misura cautelare deve dunque contenere innanzitutto una descrizione sommaria del fatto con “l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate”.

Il secondo elemento è costituito dalla “esposizione e l'autonoma valutazione (inciso aggiunto dalla l. n. 47/2015) delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del delitto”.

Uno specifico passaggio della motivazione dell'ordinanza riguarda la confutazione degli argomenti a favore dell'indagato, se questi siano stati forniti dalla difesa.

In seguito alla riforma delle intercettazioni del 2017, è stato aggiunto un nuovo comma all'art. 292 c.p.p. (comma 2-ter) che impone al Giudice che emette un'ordinanza di custodia cautelare di limitare i richiami ai brani delle intercettazioni, che non potranno più essere riprodotti integralmente ma solo “nelle parti essenziali” ed esclusivamente quando “è necessario”.

La fase esecutiva. L'organo che cura l'esecuzione della misura cautelare è il Pubblico Ministero. Da questo momento si determina l'instaurazione del contraddittorio. Due ulteriori adempimenti chiudono la fase esecutiva.

1. L'avviso di deposito, notificazione al difensore dell'avvenuto deposito in cancelleria dell'ordinanza, della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti ad essa allegati.

Mediante questo atto dunque il Giudice mette a disposizione della difesa gli atti su cui si basa l'accusa nei confronti del suo assistito, attuando una completa discovery degli elementi presenti nel fascicolo cautelare. Con l'entrata in vigore della l. n. 199/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) è stato aggiunto l'ulteriore obbligo di avvisare il soggetto attinto dalla misura cautelare della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa.

2. L'interrogatorio del destinatario della misura, che deve avvenire, ex art. 294 c.p.p. “immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio di esecuzione della custodia cautelare”; per le misure diverse da quelle custodiali, il termine è di dieci giorni (art. 294, comma 1-bis).

L'obbligo di interrogare il destinatario della misura cautelare non sussiste nei casi di:

a) Impedimento della persona da interrogare;

b) Misura cautelare applicata dopo l'apertura del dibattimento;

c) Precedente interrogatorio espletato in fase di convalida dell'arresto o del fermo;

d) Misura cautelare applicata dal Tribunale per il Riesame o dalla Cassazione;

e) Il ripristino della misura cautelare;

f) L'aggravamento della misura;

g) La rinnovazione della misura ai sensi dell'art. 27 c.p.p.;

h) La rinnovazione della misura ex art. 302 c.p.p.

Con l'entrata in vigore della l. n. 199/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) è ora prevista la possibilità sia per la parte che per il difensore che ne facciano richiesta di partecipare all'interrogatorio a distanza, su autorizzazione del Giudice.

Dell'atto è inoltre prevista riproduzione con mezzi di riproduzione audio-visiva e (solo laddove ciò non sia possibile) fonografica. La collocazione di questa previsione nella norma generale prevista per gli adempimenti esecutivi di tutte le misure cautelari induce a ritenere che essa sia applicabile anche alle misure cautelari non detentive, a differenza di quanto previsto dall'art. 141-bis disp. att. c.p.p. che limitava tale obbligo ai soli interrogatori di soggetti in stato di detenzione.

Gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (275 - bis )

La misura cautelare in esame presenta comunque indubbie potenzialità poiché consente un controllo dei movimenti del destinatario pressocché totale, garantendo l'adempimento delle medesime prescrizioni cui è preordinata la misura cautelare degli arresti domiciliari, senza dover ricorrere alla collaborazione del soggetto a cui è applicata.

Essa risponde in particolare alle esigenze cautelari del pericolo di fuga, che è materialmente impedito dall'attivazione dello strumento elettronico – salvi i casi di evasione, naturalmente, ma in questo caso teoricamente nemmeno la custodia in carcere è a prova di violazione – ed a quella del pericolo di reiterazione di delitti, in particolare nei casi in cui le condotte delittuose si svolgano lontano dal domicilio dell'indagato.

Infine, essa può impedire indirettamente le condotte di inquinamento probatorio, ancora una volta nei casi in cui tali condotte presuppongono in concreto l'allontanamento del soggetto interessato dal proprio domicilio.

L'adozione di questa misura presuppone che il Giudice consideri pienamente tutelate le esigenze cautelari del caso mediante gli arresti domiciliari e non ci sia bisogno (o non ci sia più bisogno, nel caso si tratti di ordinanza di sostituzione della misura della custodia in carcere originariamente adottata) della misura di massimo rigore.

Conseguenza rilevantissima di questa impostazione è che la mancanza di disponibilità dello strumento elettronico comporta che il soggetto dovrà essere tradotto agli arresti domiciliari tradizionali: se in concreto e per motivi contingenti ed estranei al ragionamento che ha sorretto la motivazione dell'ordinanza del Giudice emittente la misura cautelare rimane priva di quello strumento ulteriore di controllo costituito dall'attivazione del braccialetto, cionondimeno la misura spiega compiutamente la sua efficacia di limitare la circolazione del destinatario confinandolo nel domicilio eletto a fini cautelari.

Molti Giudici hanno reagito alla cronica carenza di strumenti elettronici con adozione di ordinanze in cui è prevista, in caso di mancanza di disponibilità del braccialetto, l'adozione (o il ripristino, nel caso di ordinanza di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico) della misura della custodia in carcere.

Tali ordinanze sono basate sul presupposto che le esigenze cautelari non siano tutelabili mediante adozione degli arresti domiciliari tradizionali, a meno che l'osservanza delle relative prescrizioni non sia resa certa ed effettiva dall'adozione dello strumento elettronico.

Il Giudice, in altri termini, non ritiene sufficiente la misura cautelare prevista dall'art. 284 c.p.p. proprio perché questa deve necessariamente fare affidamento sul corretto adempimento delle prescrizioni da parte del destinatario.

L'introduzione della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico dà però ora al Giudice una nuova possibilità in tal senso, che egli è obbligato a considerare prioritariamente in virtù del principio generale di gradualità delle misure cautelari.

Discende ancora dal principio di residualità della custodia in carcere il “nuovo” obbligo del Giudice di motivare anche il perché, nel disporre la custodia in carcere, non ritenga sufficiente l'adozione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Tale obbligo motivazionale è oggi sancito da specifica disposizione di legge: l'art. 4, comma 3-bis della l. n. 47/2015 ha infatti introdotto il nuovo comma 3-bis all'art. 275 c.p.p., sicché oggi, “nel disporre la custodia cautelare in carcere il Giudice deve indicare le specifiche ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'art. 275-bis, comma 1”.

La misura cautelare in esame sembra dunque diventata quella di elezione del nostro sistema, relegando la custodia in carcere a casi residuali.

Tuttavia, la scarsità degli strumenti elettronici di cui si è detto rende di fatto vani gli sforzi del legislatore.

La norma in esame statuisce che, nel provvedimento di applicazione della misura cautelare in esame, il Giudice preveda che, qualora l'imputato non dia il consenso all'adozione del braccialetto elettronico, sia disposta la misura cautelare della custodia in carcere.

La sensibile limitazione alla libertà di movimento è stata avvertita dal legislatore come talmente importante da doversi richiedere dunque il consenso del destinatario della misura.

Tale previsione desta qualche perplessità: tutte le misure cautelari sono basate sulla coercizione e prescindono dunque dalla volontà del soggetto, sicché non si comprende per quale motivo solo per questo specifico caso sia stato previsto il consenso.

Se è vero infatti che l'adozione dello strumento elettronico può essere sentita dall'indagato/imputato come una forma umiliante di assoggettamento a coercizione per di più visibile a terzi, va considerato che tale strumento è reso necessario per la tutela di esigenze della collettività dell'ordine pubblico ritenute più pressanti in quel momento dei diritti individuali, come accade in tute le misure cautelari, e che a monte dell'emanazione dell'ordinanza il Giudice ha già compiuto una scelta che tiene conto della comparazione tra i diritti del singolo e quelli collettivi.

In tale contesto la necessità di ottenere il consenso appare del tutto fuori sistema, soprattutto in considerazione che analogo consenso non è richiesto per l'adozione di alcuna delle altre misure cautelari, nemmeno di quella assai più gravosa che è la custodia in carcere.

Peraltro, è esplicitamente previsto come si è detto in precedenza che la mancanza del predetto consenso comporta automaticamente la sostituzione dell'ordinanza con quella della custodia in carcere.

Ben si comprende la ratio di questa disposizione: evitare che il soggetto interpellato possa, esercitando la facoltà che gli è concessa dalla legge, ottenere un trattamento di favore (gli arresti domiciliari tradizionali) vanificando di fatto ogni possibilità di adozione in concreto della norma.

E tuttavia, l'effetto della previsione normativa in esame appare paradossale: il legislatore, consapevole della gravosità degli effetti della misura cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, ha previsto che sia necessario il consenso dell'interessato, salvo poi di fatto “estorcere” tale consenso con la minaccia in caso di dissenso di una misura assai più gravosa.

L'effetto pratico, alquanto ovvio, è che non si registrano nella prassi casi di rifiuto del consenso, ciò che rafforza il convincimento che ci si trovi di fronte tutto sommato ad un consenso a dir poco “viziato”.

Parimenti ambigua è infine la previsione dell'obbligo del destinatario della misura di “agevolare le procedure di installazione” dello strumento elettronico: è evidente infatti che come formulata la norma appare del tutto superflua, poiché in caso di resistenza (attiva o passiva) al momento dell'installazione il soggetto appare addirittura passibile di denuncia per violazione dell'art. 337 c.p. (con conseguente arresto in flagranza di reato ed applicazione della misura cautelare della custodia in carcere).

Può ipotizzarsi che la condotta di agevolazione imposta dall'art. 275-bis, ultimo comma, c.p.p. si estenda anche alla collaborazione nella ricerca e nella messa a disposizione di un luogo all'interno del domicilio ove sistemare la centralina addetta al segnale da inviare all'ufficio di polizia giudiziaria addetta al controllo, ma si tratta anche in questo caso di condotte la cui violazione può agevolmente farsi rientrare nella norma penale sopra richiamata.

Infine, considerazioni analoghe possono essere ripetute per l'ultimo inciso dell'art. 275-bis, comma 3, c.p.p. in esame, secondo cui il destinatario della misura è tenuto ad osservare le prescrizioni imposte dalla misura stessa: anche in questo caso si tratta di norma superflua, poiché la violazione delle misure cautelari è già disciplinata analiticamente dal successivo art. 276 del codice medesimo.

Infine, la collocazione sistematica dell'istituto in esame come modalità esecutiva degli arresti domiciliari e non come misura cautelare autonoma comporta rilevanti conseguenze anche in tema di impugnazione della stessa: si ritiene in dottrina che non possa essere esperito ricorso per riesame ex art. 309 c.p.p. limitato al solo provvedimento di imposizione dello strumento elettronico di controllo a distanza, in quanto la finalità del ricorso per il riesame è di sostituire ovvero di revocare in toto la misura e non semplicemente di modificare le modalità esecutive della stessa.

È invece esperibile appello ai sensi dell'art. 310 c.p.p., in aderenza all'interpretazione che considera impugnabili con tale mezzo tutti i provvedimenti che contribuiscono ad inasprire o ad attenuare il grado di afflittività della misura.

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