Dichiarazione di latitanzaInquadramentoCon questo provvedimento il Giudice prende atto della mancata esecuzione di un'ordinanza che dispone una misura cautelare coercitiva per il mancato rintraccio del destinatario e la conseguente impossibilità di notificazione del provvedimento (o, nel caso di custodia cautelare in carcere, di catturarlo). Il provvedimento è preceduto da un verbale della Polizia Giudiziaria che attesta di avere eseguito tutte le ricerche possibili senza esito (verbale di vane ricerche, art. 295 c.p.p.); il Giudice che ha emesso la misura cautelare, ricevuto il verbale, se ritiene le ricerche compiute esaurienti, dichiara la latitanza dell'indagato con decreto motivato. In caso contrario dispone l'integrazione delle ricerche. Gli effetti della dichiarazione di latitanza sono due: a) la nomina di un difensore di ufficio, cui si procede se l'indagato non aveva provveduto in precedenza a nominare un difensore di fiducia; b) il deposito dell'ordinanza in cancelleria, con cui si perfeziona la procedura esecutiva della misura cautelare (in realtà, dandosi atto della mancata esecuzione del provvedimento). FormulaTRIBUNALE PENALE DI ... UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI DICHIARAZIONE DI LATITANZA – art. 296 c.p.p. – Il Giudice Letti gli atti del procedimento penale indicato in epigrafe, nei confronti di: 1. ..., nato il ... a ..., residente in ..., difeso di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...; 2. ..., nata il ... a ..., residente in ..., difesa di ufficio/fiducia dall'Avv. ... del Foro di ...; per il reato previsto e punito dall'art. ..., per i reati previsti e puniti dagli artt. .... In ... Commesso/Accertato in ..., il .... premesso che in data ... è stata emessa la misura cautelare della custodia in carcere (oppure altra misura coercitiva da indicare) nei confronti dell'indagato; che non è stato possibile eseguire la misura cautelare in quanto l'indagato non è stato rintracciato nel luogo di residenza nè in alcuno dei luoghi indicati dall'art. 157 c.p.p.; che la conoscenza del provvedimento applicativo della misura cautelare risulta dalle seguenti circostanze: ...; che risulta altresì la volontà dell'indagato/imputato di sottrarsi alle ricerche da ...; che in data ... con informativa la Compagnia dei Carabinieri ... (o altro organo di P.G. incaricato dell'esecuzione della misura) ha trasmesso il verbale di vane ricerche ai sensi dell'art. 295 c.p.p.; che le ricerche eseguite appaiono esaurienti; Per Questi Motivi Dichiara la latitanza di .... Nomina suo difensore di ufficio l'Avv. .... Ordina che copia della misura cautelare emessa a suo carico in data ... sia depositata in cancelleria e dispone che copia dell'avviso di deposito della stessa sia notificata al difensore nominato. Luogo e data ... Il Giudice per le indagini preliminari ... Firma ... CommentoDopo l'emissione da parte del Giudice, l'ordinanza cautelare deve essere affidata agli organi competenti per il compimento di quegli atti che la rendono produttiva di effetti nel mondo giuridico e materiale, e che costituiscono la fase esecutiva del procedimento cautelare. Questa fase presenta numerose analogie con quella prevista per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali disciplinata dal libro X del codice di procedura penale: identica è la funzione, di garantire effettività al provvedimento dell'autorità giudiziaria, e analoghi sono gli organi coinvolti e le procedure da seguire nell'uno e nell'altro caso. Con la trasmissione dell'ordinanza al Pubblico Ministero inizia la fase esecutiva vera e propria. L'inizio dell'efficacia delle misure cautelari coincide con la notificazione dell'atto che contiene le prescrizioni al suo destinatario, dunque l'esecuzione della misura cautelare consiste essenzialmente nella notificazione dell'atto da parte del Pubblico Ministero, che si serve all'uopo della Polizia Giudiziaria. Fa eccezione la custodia cautelare in carcere, il cui nucleo centrale non consiste in una prescrizione limitativa della libertà personale ma nella sua totale privazione, attraverso la restrizione del destinatario in un istituto di custodia. In questo caso dunque, l'esecuzione della misura cautelare consiste, oltre che nella notificazione dell'ordinanza, nell'accompagnamento in un istituto di custodia. Significativamente, l'art. 293 c.p.p. non parla di notificazione, ma di consegna di copia dell'ordinanza al destinatario. Sebbene la procedura si modelli su quella dell'art. 157 c.p.p. (tanto che in caso di destinatario già detenuto, per questa o altra causa, si fa esplicito richiamo alle modalità di notificazione previste dall'art. 156 c.p.p.), non sono ammessi equipollenti a quella che l'art. 157 c.p.p. considera solo una delle tante modalità di notificazione. In particolare, non sono valide consegne di copia a familiari, coabitanti, portieri e familiari e non è ammessa la notificazione mediante posta né gli altri mezzi equipollenti disciplinati dai commi successivi al primo della norma da ultimo menzionata. Va per altro verso rilevato che la funzione dell'atto è di consentire all'indagato la conoscenza del titolo custodiale e delle motivazioni sulle quali si basa la compressione della sua libertà personale, anche ai fini di esercitare il diritto di difesa mediante impugnazione. Eventuali vizi della notificazione pertanto non si ripercuotono sulla validità dell'ordinanza, che resta valida a tutti gli effetti, quando non si verifichi violazione del diritto di difesa. Così, la Cassazione ha rilevato che “la notificazione di una copia incompleta, perché mancante di alcune pagine, dell'ordinanza cautelare, non determina alcuna nullità di quest'ultima, il cui originale è posto a disposizione dell'interessato con il deposito in cancelleria” (Cass. III, n. 6662/2010). È stato sottolineato in proposito che, laddove l'interessato abbia impugnato l'atto – ancorché incompleto – la mancata violazione del diritto di difesa emerge per facta concludentia, sicché il vizio non rileva neanche quale vizio della notificazione dell'atto. Naturalmente, non è sanabile il vizio nei casi in cui l'incompletezza della copia consegnata sia tale da renderla inidonea a dare contezza dei requisiti necessari per la sua validità (descrizione del fatto, esigenze cautelari e gravi indizi di colpevolezza) ed a fungere da sostitutivo dell'originale, che rimane comunque quello depositato nella cancelleria del Giudice. Al termine degli atti esecutivi predetti, la Polizia Giudiziaria redige verbale delle operazioni compiute e trasmette gli atti sia al Pubblico Ministero che al Giudice: il primo è ovviamente interessato quale organo dell'esecuzione, il secondo perché dovrà svolgere gli adempimenti finali della fase esecutiva: l'avviso di deposito e l'interrogatorio di garanzia. l'esecuzione di ogni tipo di misura cautelare personale presuppone il contatto diretto tra il destinatario della stessa e la Polizia Giudiziaria incaricata dal Pubblico Ministero di consegnare copia dell'ordinanza ed accompagnare il soggetto in una casa circondariale nel caso di custodia in carcere, o negli altri casi. La Polizia Giudiziaria dovrà dunque fisicamente rintracciare il destinatario degli adempimenti esecutivi in esame, eventualmente eseguendo accertamenti sui luoghi di residenza o domicilio laddove le indagini culminate nella misura cautelare non abbiano comportato anche un monitoraggio sul soggetto – ad esempio attraverso intercettazioni da cui emerga la posizione “in tempo reale” dell'indagato. In caso di mancato successo delle operazioni di notificazione, l'ufficiale di polizia giudiziaria redige un “verbale di vane ricerche”, che trasmette al Giudice che ha emesso l'ordinanza, affinché questi emetta a sua volta un decreto di latitanza. Prima di compiere tale atto, che altro non è che una presa d'atto della impossibilità di eseguire la misura cautelare per irreperibilità del destinatario, il Giudice ha peraltro l'onere di verificare se le ricerche compiute dalla polizia giudiziaria siano esaurienti o meno, e di ordinare eventualmente mediante ordinanza un'integrazione delle stesse. In ogni caso, la completezza delle ricerche deve essere valutata non con riferimento a parametri prefissati, ma avendo riguardo alle concrete evenienze di fatto, e, in particolare, alla connotazione dell'attività criminosa ed alla condizione personale del soggetto, con accertamento connotato da ampia discrezionalità. La l. n. 199/2022 (c.d. “riforma Cartabia”) ha inteso rafforzare i presidi a tutela della effettiva conoscenza dell'ordinanza cautelare da parte del destinatario della medesima, inserendo nell'art. 295 c.p.p. la esplicita previsione della continuazione delle ricerche qualora ritenute insufficienti da parte del Giudice. È stata inoltre inserito nell'art. 296 c.p.p. l'obbligo di motivare il decreto di latitanza. I requisiti per l'emissione del decreto di latitanza sono essenzialmente due: l'impossibilità di eseguire la misura cautelare per mancato rintraccio del destinatario e l'accertamento della volontaria sottrazione di quest'ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti. Le ricerche effettuate dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'art. 295 c.p.p. non devono necessariamente ricomprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità, essendo finalizzate a scopi differenti da quelli previsti dal sistema generale delle notificazioni degli atti disciplinato dagli artt. 157 e ss. del codice menzionato. Così, ad esempio, è stato chiarito dalla Cassazione a Sezioni Unite che tali ricerche non devono necessariamente comprendere le ricerche all'estero quando ricorrano le condizioni previste dall'art. 169, comma 4, dello stesso codice. Peraltro, l'accertata assenza del ricercato del territorio dello Stato è ritenuta, di per sé, circostanza sufficiente per la dichiarazione della latitanza. In applicazione di tale principio, è stato ritenuto perfettamente valido il decreto di latitanza basato sulle ricerche dell'indagato straniero senza fissa dimora limitate al tentativo di rintraccio presso l'ultima dimora conosciuta, non occorrendo in tal caso neanche verificare l'avvenuto rimpatrio dello straniero né è esigibile un'attività di ricerca dell'imputato nello Stato d'origine, in assenza di qualsiasi indicazione sulla località in cui possa trovarsi , ma finanche sulla stessa ipotesi di un suo rimpatrio. Come si è detto in precedenza, dalla ritenuta completezza del verbale di vane ricerche redatto dalla polizia giudiziaria non discende automaticamente il decreto di latitanza del Giudice. Questi non dovrà infatti compiere una valutazione della congruità e sufficienza delle ricerche effettuate, ma verificare la sussistenza del secondo dei requisiti che si sono indicati dianzi: la volontarietà dell'irreperibilità, che consiste nella coscienza e volontà di sottrarsi all'esecuzione di una misura cautelare. Questo requisito non postula la concreta conoscenza da parte dell'indagato dell'esistenza di un provvedimento di applicativo di misura cautelare emesso nei suoi confronti: è sufficiente che egli sappia che un ordine o un mandato può essere emesso perché il suo mancato rintraccio sia valutabile come sottrazione volontaria all'esecuzione della misura ed apprezzabile da parte del Giudice che emette il decreto di latitanza. In altri termini, è sufficiente che l'interessato si ponga in condizioni di irreperibilità, sapendo che quel provvedimento può essere emesso. Anche il Pubblico Ministero interviene in questo procedimento interinale di formazione del decreto di latitanza, poiché può chiedere al Giudice di disporre delle intercettazioni volte al rintraccio del soggetto ricercato. Il Giudice può disporre tali intercettazioni anche d'ufficio: trattasi dunque dell'unico caso di intercettazioni eventualmente disposte senza richiesta del magistrato inquirente, proprio perché asservite non alla raccolta di elementi a sostegno della ricostruzione accusatoria ma al limitato fine di seguire l'ordinanza del magistrato giudicante. A parte questa peculiarità che riguarda il potere di iniziativa le intercettazioni previste dall'art. 295 c.p.p. seguono la disciplina prevista per le intercettazioni ordinarie: si applicano in particolare gli artt. 266 e 267 c.p.p., che riguardano rispettivamente i limiti di ammissibilità ed i presupposti e le forme del provvedimento di autorizzazione alle intercettazioni, nonché le regole che disciplinano l'esecuzione delle operazioni, la conservazione della documentazione, e l'utilizzazione in altri procedimenti (artt. 268,269 e 270 c.p.p., norme richiamate dall'art. 295, comma 3, c.p.p.). Gli effetti del provvedimento che dichiara la latitanza Con il provvedimento che dichiara la latitanza il Giudice prende atto del mancato rintraccio del destinatario della misura cautelare e, nel caso in cui il soggetto dichiarato latitante non abbia nominato un difensore di fiducia, designa un difensore di ufficio ai sensi dell'art. 97 c.p.p. La nomina del difensore può essere effettuata anche dai parenti del latitante, conformemente alla regola generale valevole per tutti i detenuti. Contestualmente, ordina che copia della misura cautelare rimasta ineseguita sia depositata in cancelleria e notifica al difensore (di fiducia o di ufficio) l'avviso di deposito della copia dell'ordinanza. Da questo momento, tutte le successive notificazioni inerenti il procedimento penale nel quale è stata dichiarata la latitanza saranno eseguite mediante consegna di copia al difensore. Dunque, la semplificazione del regime delle notificazioni estende i suoi effetti dal procedimento cautelare a tutte le vicende del procedimento penale: anche l'avviso di conclusione delle indagini preliminari, la richiesta di rinvio a giudizio e così via, saranno notificate al difensore ai sensi dell'art. 165 c.p.p. e ciò consentirà di non sospendere il processo e perfino di giungere a condanna definitiva senza che l'imputato sia mai comparso in giudizio. Peraltro, la previsione in esame non ammette equipollenti, sicché anche l'eventuale elezione di domicilio effettuata dall'indagato prima di essere dichiarato latitante sarà travolta dal decreto di latitanza, ed anche in questo caso le notificazioni successive a tale decreto dovranno essere eseguite mediante consegna al difensore e non mediante tentativo di notificazione al domicilio eletto. Naturalmente occorrerà che il soggetto abbia comunque avuto notizia del procedimento penale pendente. Questo elemento è di recente introduzione nel nostro sistema: come noto, fino all'adozione della l. n. 67/2014 non era necessario che l'imputato fosse messo a conoscenza dell'esistenza di un processo a suo carico, potendo essere processato in contumacia. Oggi tale possibilità non è più possibile, sicché il processo non potrà essere instaurato, e dovrà essere sospeso, se il Giudice non accerta l'effettiva conoscenza da parte dell'imputato di un'accusa a suo carico, da cui discende la presunzione legale della volontarietà della sua assenza. Nulla è cambiato per la fase cautelare, sicché è ancora possibile emettere un decreto di latitanza a carico di soggetto a prescindere dalla prova in atti della sua conoscenza dell'esistenza del procedimento a suo carico. Merita però approfondimento l'inciso contenuto nel primo comma dell'art. 420-bis c.p.p., che impone la rinnovazione dell'avviso all'imputato quando la notificazione non è andata a buon fine “sempre che il fatto non sia dovuto a sua colpa”: dunque la procedura introdotta dalla modifica del 2014, che prevede la rinnovazione, ed in caso di persistente insuccesso la sospensione del processo e la sua stasi anche perpetua non è necessaria se l'insuccesso della notificazione è dovuto a colpa del destinatario. Se taluno non viene a conoscenza dell'esistenza di un processo a suo carico in conseguenza di una sua condotta, perché ad esempio ha eletto un domicilio inesistente, la mancata conoscenza del processo ricade sulle sue spalle. Tra i casi di mancata conoscenza volontaria di questo tipo rientra sicuramente la latitanza, che come si è detto consiste nella volontaria sottrazione ad una misura cautelare. Come si è visto, peraltro, non sempre la latitanza presuppone un accertamento della effettiva volontarietà della sottrazione, soccorrendo una sorta di presunzione legale di conoscenza. Non sempre dunque l'esistenza di un decreto di latitanza comporterà l'applicazione della norma prevista dall'art. 420-bis c.p.p. che consente di superare la complessa ed articolata disciplina della sospensione del processo. È infatti possibile che, dopo che il Giudice della cautela ha dichiarato l'indagato latitante presumendo che egli si sia sottratto volontariamente alla misura emanata, il Giudice del processo non ritenga sufficientemente provata la conoscenza da parte dell'imputato latitante del procedimento penale a suo carico e sospenda il processo, creando una situazione apparentemente incompatibile con il decreto emesso dal Giudice della cautela. A norma dell'art. 296, comma 4, c.p.p., la qualità di latitante permane fino a che la misura cautelare non sia per qualsiasi motivo revocata (ai sensi dell'art. 299 c.p.p.) o dichiarata inefficace, o nei casi in cui – concluso il processo – il reato sia dichiarato estinto o l'imputato assolto. La cessazione dello stato di latitanza implica la illegittimità delle successive notifiche eseguite ai sensi dell'art. 165 c.p.p. Su questo punto la giurisprudenza è assai rigorosa, ritenendo illegittime le notifiche anche nel caso in cui il Giudice non fosse a conoscenza della circostanza che ha provocato la cessazione della latitanza, poiché l'accertamento del permanere delle condizioni per l'operatività dell'art. 165 c.p.p. è considerato preciso onere del Giudice che ha emesso il decreto. Un'ipotesi particolare di cessazione dello stato di latitanza è costituito dall'arresto del destinatario della misura al di fuori dei confini nazionali, in esecuzione di altra misura cautelare. In questo caso, secondo un recente intervento della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la cessazione dello stato di latitanza, non implica la illegittimità delle successive notificazioni, eseguite nelle forme previste per l'imputato latitante, fino a quando il Giudice procedente non abbia avuto notizia dell'arresto. A tal fine, è compito della polizia giudiziaria, deputata alle ricerche del latitante, di procedere alla costante verifica di tutte le informazioni, desumibili, tra l'altro, dai sistemi informativi nazionali ed internazionali e di comunicare prontamente alla autorità giudiziaria procedente l'eventuale arresto della persona ricercata (così Cass. S.U., n. 18822/2014). Va infine ricordato che l'erronea dichiarazione di latitanza inficia la validità della citazione a giudizio che è da considerare tamquam non esset e travolge ogni atto successivo, imponendo la regressione del procedimento innanzi al Giudice dell'udienza preliminare (Cass. II, n. 33618/2021). |