Richiesta di rinvio per impedimento dell'imputato (art. 420-ter)

Angelo Salerno
Marco Nassi

Inquadramento

La partecipazione dell'imputato all'udienza preliminare è elemento indefettibile per assicurare il rispetto del principio del giusto processo e per dare piena attuazione al diritto di difesa. L'intervento dell'imputato è assistito dalla previsione di una nullità di ordine generale allorquando ne sia stata omessa la citazione nei casi in cui la sua presenza è prevista come obbligatoria. Ove la mancata presenza dell'imputato sia ricondotta ad una scelta volontaria di non partecipazione, il giudice dispone con ordinanza di procedere in sua assenza, nel qual caso l'imputato si considera ad ogni effetto rappresentato dal difensore. Al giudice è precluso procedere in absentia qualora risulti o appaia probabile che l'imputato, anche se detenuto, si è trovato in un'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, dovendo adottare ordinanza con cui, anche di ufficio, rinvia ad una nuova udienza disponendo che all'imputato sia rinnovato l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare. Il meccanismo è replicabile senza limiti anche alle successive udienze, ogni qual volta l'imputato non compaia e risulti o appaia probabile che la comparizione era impossibile per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. L'omessa adozione dell'ordinanza di rinvio di cui all'art. 420-ter c.p.p. determina una nullità assoluta e insanabile di tutti gli atti successivi.

Formula

TRIBUNALE DI.... UFFICIO DEL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE

giudice....

PROC. PEN. N..... R.G.N.R. – N..... R.G.I.P.

UDIENZA DEL....

RICHIESTA DI RINVIO DELL'UDIENZA PER LEGITTIMO IMPEDIMENTO DELL'IMPUTATO

(ART. 420-TER, COMMA 1, C.P.P.)

Il sottoscritto Avv....., con studio in...., via...., quale difensore di fiducia e procuratore speciale, come da procura speciale già depositata e presente in atti, di

1....., nato a.... il....;

imputato nel procedimento penale n..... /.... R.G.N.R., per i seguenti reati

1..... (riportare capi di imputazione)

2..... (riportare capi di imputazione)

PREMESSO

che in data.... è stato notificato avviso di fissazione dell'udienza preliminare per il giorno....;

di avere appreso in data.... che la partecipazione a tale udienza dell'imputato non sarà possibile per i seguenti motivi.... (indicare le ragioni che rendono assolutamente impossibile la partecipazione all'udienza);

[ad esempio:

il medesimo giorno/il giorno precedente è stato programmato da tempo intervento chirurgico per.... (descrivere tipologia dell'intervento), a seguito del quale, come da attestazione medica che si allega, sarà assolutamente impossibile la deambulazione per.... giorni;

l'imputato è affetto da.... (descrivere la patologia diagnosticata), come da certificazione medica che si allega e dalla quale risulta la assoluta impossibilità di deambulare per le ragioni ivi indicate;

il medesimo giorno è prevista la celebrazione di udienza dibattimentale presso il Tribunale di.... (proc. pen. n.....) per i reati p. e p. dagli artt....., a cui l'imputato ha manifestato la volontà di voler presenziare tenuto conto dell'importanza degli incombenti di udienza già fissati e della gravità delle imputazioni;

in data.... l'imputato è stato ristretto nella Casa Circondariale di.... giusta ordinanza di applicazione della custodia cautelare in carcere nell'ambito del proc. pen. n..... per i seguenti reati...., ed ha manifestato la volontà di voler presenziare all'udienza sopra emarginata;]

TUTTO CIÓ PREMESSO,

visto l'art. 420-ter c.p.p.

CHIEDE

che il Giudice, ritenute sussistenti le condizioni dall'art. 420-ter c.p.p., voglia disporre il rinvio dell'udienza sopra indicata.

Si allegano i documenti richiamati in narrativa.

Luogo e data....

Firma Avv.....

Commento

Premessa

La partecipazione dell'imputato all'udienza preliminare è elemento indefettibile per assicurare il rispetto del principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e per dare piena attuazione al diritto di difesa (art. 24 Cost.).

L'intervento dell'imputato è assistito dalla previsione di una nullità di ordine generale (art. 178, comma 1, lett. c) c.p.p.) – di tipo assoluto, insanabile e rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento – allorquando ne sia stata omessa la citazione nei casi in cui la sua presenza è prevista come obbligatoria (art. 179 c.p.p.).

Come noto, al termine delle indagini preliminari il pubblico ministero deve adottare le proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione penale (art. 326 c.p.p.).

Qualora ritenga l'infondatezza della notizia di reato perché gli elementi acquisiti nella fase investigativa non sono reputati nel loro complesso idonei a sostenere l'accusa in giudizio (art. 125 disp. att. c.p.p.) ovvero ove ricorra uno degli altri casi previsti nell'art. 411 c.p.p., presenterà al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di archiviazione e di restituzione degli atti al proprio ufficio.

Per converso, laddove valuti la notizia di reato fondata e non ricorrano le condizioni previste dall'art. 550 c.p.p., eserciterà l'azione penale presentando nella cancelleria del giudice dell'udienza preliminare la richiesta di rinvio a giudizio.

Con la richiesta di rinvio a giudizio – che contiene, tra l'altro, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge – il pubblico ministero trasmette il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate, i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari e il corpo del reato e le cose ad esso pertinenti sempre che non debbano essere custodite altrove (art. 416 c.p.p.).

Entro cinque giorni dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio – termine meramente ordinatorio al pari di quello che individua l'intervallo tra il deposito della richiesta da parte del pubblico ministero e quello dell'udienza in camera di consiglio – il giudice fissa con decreto il giorno, l'ora e il luogo dell'udienza preliminare (art. 418 c.p.p.).

Nel caso in cui il pubblico ministero abbia compiuto ulteriori indagini dopo la presentazione della richiesta di rinvio a giudizio è tenuto a trasmetterne la relativa documentazione alla cancelleria del giudice dell'udienza preliminare prima della data dell'udienza fissata dal giudice e comunicata con l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare (art. 419, comma 3 c.p.p.).

Con l'avviso – notificato almeno dieci giorni prima della data dell'udienza all'imputato e alla persona offesa di cui risulti agli atti l'identità e il domicilio – l'imputato viene avvertito che qualora non compaia si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 420-bis (“Assenza dell'imputato”), 420-ter (“Impedimento a comparire dell'imputato o del difensore”), 420-quater (“Sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell'imputato”), 420-quinquies (“Atti urgenti”) e 420-sexies c.p.p. (Revoca della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo), disposizioni che in quanto compatibili sono applicabili anche al momento degli accertamenti sulla costituzione delle parti negli atti introduttivi della fase dibattimentale (art. 484, comma 2-bis, c.p.p.).

L'avviso di fissazione dell'udienza preliminare è altresì comunicato al pubblico ministero e notificato al difensore dell'imputato con l'avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmessi dal pubblico ministero all'atto della presentazione della richiesta di rinvio a giudizio, nonché della facoltà di presentare memorie e produrre documenti, avvertimenti questi ovviamente finalizzati a permettere all'imputato e al suo difensore di meglio potersi determinare in ordine al successivo sviluppo processuale.

La mancata presenza dell'imputato. Il procedimento in assenza

La mancata comparizione dell'imputato all'udienza preliminare è circostanza in sé neutra, potendo essere la conseguenza di evenienze variegate e assolutamente del tutto difformi che vanno da una consapevole scelta processuale di non partecipazione personale attiva all'opposta totale ignoranza della stessa celebrazione dell'udienza.

Le prime attività che il giudice dell'udienza preliminare è tenuto dunque ad eseguire riguardano la verifica della regolarità e della validità delle notificazioni e delle comunicazioni degli avvisi (al pubblico ministero, all'imputato, alla persona offesa e al difensore dell'imputato) e delle citazioni (del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria): ove accerti la sussistenza di una ipotesi di nullità, è previsto che ordini la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui ha dichiarato la nullità, così da poter giungere alla corretta costituzione del rapporto processuale (art. 420 c.p.p.).

In presenza di una situazione di regolarità dei processi notificatori, la mancata presenza dell'imputato all'udienza preliminare determina conseguenze differenti a seconda degli esiti degli accertamenti giudiziali preliminari.

Può darsi il caso che l'imputato abbia espressamente comunicato al giudice la propria volontà di rinunciare ad assistere all'udienza. In tal caso il giudice ne dichiarerà a verbale l'assenza e potrà procedere oltre, perché il diritto di difesa può trovare piena e totale esplicazione ed attuazione anche con la rinuncia alla presenza e alla partecipazione personale e attraverso la pura e semplice difesa tecnica (art. 420, comma 1, c.p.p.).

La rinuncia espressa può provenire tanto dall'imputato libero che in vinculis (ipotesi che più di frequente nella prassi si presta a porre problematiche relative alla verifica delle ragioni della mancata comparizione in udienza). Sebbene la rinuncia sia un atto personale dell'imputato, essa può essere portata a conoscenza del giudice anche mediante il difensore che, in una simile ipotesi, non pone in essere un atto rappresentativo limitandosi piuttosto a comunicare il volere del proprio assistito (Cass. I, n. 11943/2016).

La rinuncia a comparire all'udienza da parte dell'imputato non ne consuma il diritto alla successiva partecipazione. Nella giurisprudenza di legittimità è pacifico il principio secondo cui gli effetti della rinuncia a comparire in udienza da parte dell'imputato detenuto permangono fino al momento della revoca espressa di tale rinuncia, cioè fino a quando l'interessato non manifesti, nelle forme e nei termini di legge, la volontà di essere nuovamente presente e di mettere nel nulla il suo precedente consenso alla celebrazione dell'udienza in sua assenza (Cass. VI, n. 36708/2015). In tali casi, tuttavia, è onere dell'imputato detenuto concorrere alla chiarezza delle modalità di espressione delle proprie dichiarazioni, facendo sì che esse si formalizzino in un atto ricevuto dal direttore del carcere ai sensi dell'art. 123 c.p.p. (Cass. VI, n. 914/2014) e senza che tale atto possa essere surrogato da equipollenti (Cass. II, n. 2253/2000). Ai fini della dichiarazione di rinuncia a comparire, l'estratto del registro (Mod. IP1) previsto dall'art. 123 citato, sottoscritto dal direttore dell'istituto, fa piena prova di quanto in esso risulta attestato, senza necessità che concorra sullo stesso la firma del detenuto (Cass. I, n. 54606/2018). La rinuncia ha effetto non solo per l'udienza in relazione alla quale essa è formulata ma anche per quelle successive, tanto in caso di costante restrizione in esecuzione del medesimo titolo quanto nel caso in cui tra le due udienze intervenga una nuova forma di restrizione per altra causa (Cass. IV, n. 50444/2019), così come, specularmente, produce effetti anche per le successive – in difetto di nuova rinuncia – la volontà di comparire all'udienza che sia tempestivamente manifestata (Cass. I, n. 10508/2019, secondo cui in caso di rinvio a udienza fissa la mancata traduzione del detenuto all'udienza di rinvio determina la nullità della relativa sentenza).

Alla rinuncia espressa il legislatore ha accostato le ipotesi di rinuncia implicita o tacita, accompagnate da una presunzione legale di conoscenza del processo.

Ai sensi del secondo comma dell'art. 420-bis c.p.p. (per come sostituito dall'art. 9, comma 2 l. n. 67/2014, “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”, pubblicata nella Gazz. Uff. 2 maggio 2014, n. 100) il giudice procede altresì in assenza dell'imputato qualora, alternativamente e non congiuntamente: a) nel corso del procedimento quest'ultimo abbia dichiarato od eletto domicilio; b) sia stato sottoposto a misure precautelari (arresto, fermo) o cautelari; c) abbia nominato un difensore di fiducia; d) abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso di fissazione dell'udienza; e) risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento; f) si sia volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo.

Si tratta di ipotesi ben delineate nella loro oggettività (lett. a), b), c), d)) ovvero elastiche nel contenuto (e), f)) in cui il tratto unificante è rappresentato da una situazione fattuale che segnala la conoscenza da parte dell'imputato dell'esistenza a proprio carico del procedimento penale (nella sua estensione più ampia), da cui, con un ragionamento inferenziale che tiene conto della mancata presenza dello stesso davanti al giudice, il legislatore ricava il disinteresse alla partecipazione attiva e, in definitiva, una rinuncia implicita a comparire.

Il sindacato sulla correttezza della presunzione di conoscenza del processo è̀ stato circoscritto dallo stesso legislatore a casi del tutto particolari quando, come testualmente previsto dall'art. 420-ter c.p.p., il giudice abbia la certezza o anche soltanto il dubbio che l'assenza dell'imputato, pure formalmente citato in modo regolare e versante in una delle situazioni sopra descritte, sia dovuta a assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore (Cass. V, n. 40848/2017) o altro legittimo impedimento.

Con particolare riferimento all'ipotesi di dichiarazione o elezione di domicilio nel corso del procedimento (art. 420-bis, comma 2, c.p.p.), accade sovente nella prassi che tale atto sia contenuto nel verbale di identificazione redatto dalla polizia giudiziaria di propria iniziativa – e non su delega del pubblico ministero o del giudice (art. 161, comma 1, c.p.p.) – in occasione del primo accertamento del reato e, poi, inviato al pubblico ministero in sede di trasmissione della comunicazione di notizia di reato ai sensi dell'art. 347 c.p.p., quando cioè ancora non esiste tecnicamente un procedimento penale per non essere ancora stata iscritta la notizia di reato.

In alcune recenti pronunce la Suprema Corte ha ribadito il principio – già affermatosi nella vigenza della disciplina antecedente alla novella del 2014 – secondo cui la conoscenza dell'esistenza del procedimento non può essere desunta da atti formati di iniziativa dalla polizia giudiziaria prima della trasmissione della c.n.r.

Più precisamente, secondo un primo arresto è stato escluso che la conoscenza del procedimento potesse essere ricavata dalla elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell'immediatezza dell'accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d'iniziativa della polizia giudiziaria (Cass. II, n. 9441/2017, Seli). Il giudice di legittimità ha ritenuto che successivamente all'entrata in vigore della l. n. 67/2014 – disciplina emanata per fronteggiare le criticità stigmatizzate nella giurisprudenza della Corte EDU con riguardo al processo contumaciale – non potessero non trovare applicazione i principi affermatisi successivamente alla sentenza della Corte cost. n. 317/2009 che aveva dettato un vero e proprio statuto del diritto di difesa dell'imputato contumace sulla scorta della giurisprudenza sovranazionale della medesima Corte EDU, secondo cui: a) l'imputato ha il diritto di esser presente al processo svolto a suo carico; b) lo stesso può rinunciare volontariamente all'esercizio di tale diritto; c) l'imputato deve essere consapevole dell'esistenza di un processo nei suoi confronti; d) devono esistere strumenti preventivi o ripristinatori, per evitare processi a carico di contumaci inconsapevoli o per assicurare in un nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che non è stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già concluso. La rinuncia volontaria al diritto di presenziare presuppone in altri termini la conoscenza del procedimento che, a sua volta, presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l'accusato della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico, e la sua vocatio in iudicium al fine di consentirgli di difendersi nel merito, con l'ulteriore conseguenza che l'effettiva conoscenza del procedimento non può essere fatta coincidere con la conoscenza di un atto posto in essere a iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l'iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro di cui all'art. 335 c.p.p.. In definitiva, un conto è la conoscenza di un atto del procedimento, un conto la conoscenza di un atto che è solo prodromico ad esso e posto in essere ad iniziativa della polizia giudiziaria anteriormente alla sua formale instaurazione, che si realizza solo con l'iscrizione del nome della persona sottoposta a indagini nel registro degli indagati (Cass. II, n. 12630/2015). Tale impostazione ha trovato conferma in Cass. I, n. 16416/2017, che ha escluso che la conoscenza del procedimento da parte dell'imputato potesse essere desunta dai rilievi foto-segnaletici compiuti dalla polizia giudiziaria nell'ambito di accertamenti aventi ad oggetto l'illecito di cui all'art. 14, comma 5-quater d.lgs. n. 289/1998, prima della formale iscrizione dell'indagato nel registro delle notizie di reato.

L'indicato orientamento ha avuto consacrazione nella sentenza delle Sezioni unite n. 23948/2019 (depositata il 17 agosto 2020) che, anche riprendendo i contenuti di Cass. S.U., n. 28912/2019 (depositata il 3 luglio 2019), ha messo in evidenza come le presunzioni di conoscenza contenute nell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p. non possano avere carattere assoluto, non trattandosi in verità di vere e proprie presunzioni (vd. § 13.7 della motivazione: “...in nessuna parte delle disposizioni sulla absentia si legge di ‘presunzioni'”). Operando una ricca ricostruzione dell'evoluzione del sistema processuale, anche grazie agli interventi della Corte EDU in tema di contumacia (a partire da Corte EDU, 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia) e ai plurimi interventi normativi che si sono succeduti per valorizzare il dato della conoscenza reale del procedimento a prescindere dal rispetto delle regole sulla notificazione, le Sezioni unite hanno evidenziato le regressioni a cui il sistema sarebbe sottoposto qualora si aderisse a interpretazioni che esaltassero in modo acritico gli indici di conoscenza del processo costituiti dalla dichiarazione o elezione di domicilio, dall'applicazione di misure precautelari o cautelari e dalla nomina di un difensore di fiducia. Al contrario, anche richiamando la sentenza della Corte cost. n. 31/2017, la Corte di cassazione ribadisce che gli indici di conoscenza dell'art. 420-bis c.p.p., comma 2, genericamente indicati nella disposizione, vanno interpretati secondo loro funzione: con specifico riferimento all'elezione di domicilio presso il difensore (di ufficio o di fiducia) è necessario valutare se vi sia stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato o l'imputato e, quindi, se si siano o meno realizzate le condizioni da cui dedurre l'esistenza di un rapporto di informazione tra il legale, benché nominato di ufficio, e l'assistito.; nel caso di misure precautelari è necessario verificare la consapevolezza del processo, situazione che potrebbe mancare nel caso, ad esempio, del soggetto arrestato in flagranza che riesca a fuggire subito dopo la cattura, prima ancora della formalizzazione dell'attività della polizia giudiziaria e della presentazione al giudice; parimenti deve avvenire nel caso di misure cautelari rimaste ineseguite per irreperibilità dell'indagato, in cui, come per le misure precautelari, quel che rileva effettivamente è il contatto con il giudice e la contestazione degli addebiti; la nomina del difensore di fiducia, infine, richiede un giudizio di effettività, intesa come nomina accettata dal difensore perché altrimenti non potrebbe ritenersi la ricorrenza del presupposto del regolare rapporto informativo tra difensore e assistito. Secondo la Corte, Il fondamento del sistema è che la parte sia personalmente informata del contenuto dell'accusa e del giorno e luogo della udienza e, quindi, in necessaria applicazione dei principi sopra richiamati, il processo in assenza è ammesso solo quando sia raggiunta la certezza della conoscenza da parte dell'imputato. L'art 420-quater c.p.p. ne rappresenta la conferma, prevedendosi che il giudice, quando non abbia raggiunto la certezza della conoscenza della chiamata in giudizio da parte dell'imputato, deve disporre la notifica “personalmente ad opera della polizia giudiziaria”.

Gli indici di conoscenza elencati nell'art. 420-bis, comma 2, c.p.p., lungi dal rappresentare presunzioni di conoscenza, rappresentano il frutto di una tipizzazione di casi in cui, ai fini della certezza della conoscenza della vocatio in ius, può essere valorizzata una notifica che non sia stata effettuata a mani proprie dell'imputato, perché, alle condizioni sopra evidenziate, fanno ritenere ragionevolmente che l'imputato abbia effettivamente conosciuto l'esistenza del processo a proprio carico. Il giudice non è dunque esonerato dal verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un'effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l'indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest'ultimo abbia conoscenza del procedimento ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso.

Con riguardo a quest'ultimo indice, di portata evidentemente molto elastica e posto a presidio della difesa dai “finti inconsapevoli”, le Sezioni unite precisano che la volontaria sottrazione alla conoscenza del procedimento deve inverarsi in condotte positive, rispetto alle quali si rende necessario un accertamento in fatto, anche quanto al coefficiente psicologico della condotta. L'art. 420-bis c.p.p. non “tipizza” e non consente di tipizzare alcuna condotta particolare che possa ritenersi tale; quindi non possono farsi rientrare automaticamente in tale ambito le situazioni comuni quali la irreperibilità, il domicilio eletto etc. Certamente la manifesta mancanza diligenza informativa, la indicazione di un domicilio falso, pur se apparentemente valido ed altro, potranno essere circostanze valutabili nei casi concreti, ma non possono essere di per sé determinanti, su di un piano solo astratto, per potere affermare la ricorrenza della “volontaria sottrazione”: se si esaspera il concetto di “mancata diligenza” sino a trasformarla automaticamente in una conclamata volontà di evitare la conoscenza degli atti, ritenendola sufficiente per fare a meno della prova della consapevolezza della vocatio in ius per procedere in assenza, si farebbe una mera operazione di cambio nome e si tornerebbe alle vecchie presunzioni, il che ovviamente è un'operazione non consentita (Cass. S.U., n. 23948/2019).

Una delle prime sentenze successive al doppio pronunciamento delle Sezioni unite è Cass. II, n. 23575/2020, che ne ha ripreso i contenuti ribadendo l'inammissibilità di forme di conoscenza solo presunte. Per converso, Cass. IV, n. 10238/2020 (depositata il 16 marzo 2020, dopo la data di deposito della sentenza Cass. S.U., n. 28912/2019 depositata il 3 luglio 2019 (ma prima di Cass. S.U., n. 23948/2019, depositata il 17 agosto 2020), ha riaffermato che deve escludersi l'incolpevole mancata conoscenza del processo nel caso in cui risulti che l'imputato abbia, nel corso dell'identificazione da parte della polizia giudiziaria, prima ancora dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato, eletto domicilio presso il difensore di ufficio, derivando da ciò una presunzione di conoscenza del processo che legittima il giudice a procedere in assenza dell'imputato, sul quale grava l'onere di attivarsi per tenere contatti informativi con il proprio difensore sullo sviluppo del procedimento.

Il disegno di legge (A.C. 2435), presentato il 13 marzo 2020, recante “Delega al Governo per l'efficienza del processo penale e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari pendenti presso le corti d'appello”, attualmente pendente presso la II Commissione (Giustizia) della Camera dei deputati, contiene disposizioni destinate a riformulare la disciplina in tema di notificazioni e di rapporti tra l'indagato e l'imputato e il proprio difensore.

L'art. 2 (Disposizioni per l'efficienza dei procedimenti penali e in materia di notificazioni), comma 1, lett. l) individua come principio e criterio direttivo per l'esercizio della delega la previsione che tutte le notificazioni all'imputato non detenuto successive alla prima siano eseguite mediante consegna al difensore, con la possibilità di eseguire le notificazioni con modalità telematiche, anche mediante soluzioni tecnologiche diverse dalla posta elettronica certificata che diano garanzia dell'avvenuta ricezione. Dispone inoltre che al di fuori dei casi indicati negli artt. 161 e 162 c.p.p., siano previste opportune deroghe alla notificazione degli atti mediante consegna di copia al difensore, a garanzia dell'effettiva conoscenza dell'atto da parte dell'imputato, nel caso in cui questi sia assistito da un difensore d'ufficio e la prima notificazione non sia stata eseguita mediante consegna dell'atto personalmente all'imputato o a persona che con lui conviva anche temporaneamente o al portiere o a chi ne fa le veci. La successiva lettera m) imporrà al legislatore delegato di prevedere che il primo atto notificato all'imputato contenga anche l'espresso avviso che le successive notificazioni saranno effettuate mediante consegna al difensore, anche con modalità telematiche, e che l'imputato abbia l'onere di indicare al difensore un recapito idoneo ove effettuare le comunicazioni e di comunicargli ogni mutamento dello stesso, fermo restando che le omesse o ritardate comunicazioni del difensore al proprio assistito per fatti imputabili a quest'ultimo non determineranno responsabilità professionale (lettera n)). La lettera o), infine, demanda al Governo di disciplinare i rapporti tra la notificazione mediante consegna al difensore e gli altri criteri stabiliti dal codice di procedura penale per le notificazioni degli atti all'imputato, in particolare con riferimento ai rapporti tra la notificazione mediante consegna al difensore e la notificazione nel caso di dichiarazione o elezione di domicilio e, nel caso di imputato detenuto, ai rapporti tra dette notificazioni e quelle previste dall'art. 156 c.p.p.

L'impedimento a comparire. Nozione e casistica

Ove la mancata presenza dell'imputato sia ricondotta nei termini sopra indicati ad una scelta volontaria di non partecipazione, il giudice dispone con ordinanza di procedere in assenza dell'imputato, nel qual caso l'imputato si considera ad ogni effetto rappresentato dal difensore (art. 420-bis, comma 3 c.p.p.).

La disciplina dell'art. 420-bis c.p.p., come riformulata per effetto del d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, prevede oggi che se l'imputato, libero o detenuto, non è presente all'udienza, si procede in sua assenza nei seguenti casi:

a) quando l'imputato è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell'atto in mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell'atto;

b) quando l'imputato ha espressamente rinunciato a comparire o, sussistendo un impedimento ai sensi dell'articolo 420-ter c.p.p., ha rinunciato espressamente a farlo valere.

Il nuovo comma 2 dell'articolo consente di procedere in assenza dell'imputato anche quando il giudice ritenga altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all'udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole. La norma prevede che, a tal fine, il giudice tenga conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall'imputato prima dell'udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante.

Fuori dei casi descritti, ai sensi del comma 3 dell'art. 420-bis c.p.p., il giudice procede in assenza dell'imputato anche quando questi sia stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo.

Allorché l'imputato sia stato dichiarato assente, egli è rappresentato dal difensore.

Ai sensi del successivo art. 420-ter, comma 1, c.p.p., non è possibile invece precluso procedere in assenza dell'imputato qualora risulti o appaia probabile che l'imputato, anche se detenuto, si è trovato in un'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. In tal caso, come oggi previsto a seguito della Riforma Cartabia, il giudice, anche d'ufficio, rinvia con ordinanza ad una nuova udienza e dispone la notificazione dell'ordinanza medesima all'imputato.

Per adottare la propria decisione in ordine alla sussistenza o meno delle condizioni per procedere in assenza, il giudice è tenuto a valutare la documentazione di parte dalla quale dovrebbe desumersi l'assoluta impossibilità di comparizione dell'imputato per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, anche quando consista in atti redatti in lingua straniera, atteso che l'art. 242, comma 1, c.p.p. prescrive la traduzione di ogni documento acquisito quando sia necessaria per la sua comprensione e l'art. 124 c.p.p. impone l'osservanza anche delle norme non corredate da sanzione di nullità: l'omessa valutazione della documentazione per la mancata traduzione non assurgerebbe ad assenza di prova dell'impedimento, quanto piuttosto alla sottrazione da parte del giudice ai doverosi oneri di verifica (Cass. V, n. 38774/2002, estensibile alla disciplina dell'assenza).

Per la decodificazione dei concetti di caso fortuito e forza maggiore può farsi riferimento alle nozioni sostanzialistiche, calate nel peculiare ambito processuale e, più nello specifico, in quello della impossibilità di comparire all'udienza. Le Sezioni Unite hanno ricordato che nell'elaborazione giurisprudenziale del giudice di legittimità, in relazione ai concetti di forza maggiore e caso fortuito, può ritenersi ormai pacifico che costituisca causa di forza maggiore quel fatto umano o naturale al quale non può opporsi una diversa determinazione volitiva e che, perciò, è irresistibile, mentre si definisce caso fortuito ogni evento non evitabile con la normale diligenza e non imputabile al soggetto a titolo di colpa o dolo. Ciò che caratterizza, dunque, il caso fortuito è la sua “imprevedibilità”, mentre nota distintiva della forza maggiore è l'elemento della “irresistibilità”. Connotazione comune ad entrambi è la “inevitabilità” del fatto (Cass. S.U., n. 14991/2006, emessa in tema di restituzione nel termine per proporre impugnazione). La forza maggiore – spesso invocata per giustificare la mancata comparizione – si configura come un particolare impedimento che rende vano ogni sforzo dell'uomo e che deriva da cause estranee, a lui non imputabili, e non è ravvisabile ogni qualvolta tale impedimento non si presenti come assoluto, vale a dire non superabile con una intensità di impegno o di diligenza superiore ad un certo grado, considerato tipico o normale. Così, ad esempio, è stato affermato che uno sciopero a carattere nazionale dei mezzi pubblici, se non preannunciato tempestivamente e protratto per una durata temporale ampia ed ininterrotta, può rappresentare ragionevole causa di impedimento a raggiungere, in mancanza di soluzioni alternative, talune località geografiche (come nel caso delle isole), e integrare così la forza maggiore. Diversamente, tale situazione non costituisce legittimo impedimento a comparire in giudizio, laddove sia possibile fronteggiarla, con opportuna e fattiva opera di prudenziale anticipazione di ricorso a tali mezzi di trasporto, nel tempo in cui lo sciopero non è operativo, pur se, comprensibilmente, tale soluzione possa creare un qualche disagio (Cass. VI, n. 22/2003).

Non basta, pertanto, la prova di un'impossibilita relativa (che equivale a difficoltà), concepita come impedimento che possa essere vinto soltanto con una intensità di sforzo e di diligenza superiore ad un certo grado, considerato come tipico o normale, ma occorre addirittura la dimostrazione che la mancata comparizione sia stata resa impossibile a causa di un evento non previsto né prevedibile dalla parte e quindi inevitabile e tale da neutralizzare qualsiasi nesso psicologico tra la volontà cosciente del soggetto interessato e la situazione impeditiva venutasi a creare.

Quanto alla locuzione “altro legittimo impedimento” contenuta nell'art. 420-ter c.p.p. essa costituisce una formula di chiusura in cui, peraltro, vengono generalmente fatte rientrare situazioni che ben potrebbero essere qualificate in termini di caso fortuito o forza maggiore. Per la soluzione della questione se la situazione fattuale che rende materialmente impossibile la presenza all'udienza costituisca o meno impedimento legittimo tale da imporre al giudice il rinvio dell'udienza e la rinnovazione dell'avviso all'imputato dovrà farsi riferimento alle linee interpretative sopra sommariamente indicate.

È stato così ritenuto non costituire legittimo impedimento l'avvenuta espulsione dell'imputato straniero dal territorio dello Stato, poiché a norma dell'art. 17 d.lgs. n. 286/1998 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, Pubblicato nella Gazz. Uff. 18 agosto 1998, n. 191, S.O.) lo straniero parte offesa ovvero sottoposto a procedimento penale è autorizzato a rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario per l'esercizio del diritto di difesa, al solo fine di partecipare al giudizio o al compimento di atti per i quali è necessaria la sua presenza (Cass. VI, n. 15739/2018, Daja e altri; Cass. V, n. 18708/2013).

Numerose sono le sentenze intervenute sul tema della detenzione, atteso che il primo comma dell'art. 420-ter c.p.p. precisa che lo status liberatis è irrilevante ai fini della valutazione delle ragioni della mancata comparizione che deve essere dunque condotto dal giudice secondo i medesimi criteri valutativi.

Lo stato di detenzione per altra causa, anche all'estero (purché risultante dagli atti, Cass. VI, n. 14788/2020), implicando l'assenza assoluta della libertà di locomozione dell'imputato, costituisce per giurisprudenza consolidata un impedimento assoluto a comparire quasi paradigmatico. La soluzione è con tutta evidenza quella dell'emissione di un ordine di traduzione, determinandosi altrimenti una chiara compressione del diritto dell'imputato di intervenire nel processo e di difendersi, anche personalmente, rendendo dichiarazioni spontanee o chiedendo di essere sottoposto ad interrogatorio. Ove la partecipazione non sia possibile viene integrata una causa di legittimo impedimento a comparire cui consegue la sospensione necessaria del giudizio ai sensi del novellato art. 420-quater c.p.p. che, per gli effetti previsti dall'art. 420-quinquies c.p.p., è destinata a protrarsi per la durata dell'intera espiazione della pena dell'imputato all'estero (Cass. VI, n. 47594/2014) e comporta la sospensione del corso della prescrizione (Cass. V, n. 37416/2014).

Per l'accoglimento dell'istanza di rinvio non è necessario che vi sia stata una sua congrua anticipazione al giudice che procede in modo da porlo nelle condizioni di disporne la traduzione. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale sul tema della doverosità della tempestiva comunicazione nella vigenza della disciplina sulla contumacia, chiarendo che la detenzione dell'imputato per altra causa, sopravvenuta nel corso del processo e comunicata solo in udienza, integra un'ipotesi di legittimo impedimento a comparire e preclude la celebrazione del giudizio in contumacia, anche quando risulti che l'imputato medesimo avrebbe potuto informare il giudice del sopravvenuto stato di detenzione in tempo utile per la traduzione, in quanto non è configurabile a suo carico alcun onere di tempestiva comunicazione dell'impedimento (Cass. S.U., n. 37483/2006, Arena). Né tale onere può essere desunto dalla diversa ed esplicita previsione dettata per il difensore (art. 420-ter, comma 5 c.p.p. secondo cui l'impedimento deve essere prontamente comunicato), la quale, al contrario, consente di escludere che un analogo onere di tempestiva deduzione possa implicitamente desumersi dal sistema per l'imputato, anche alla luce delle norme sovranazionali ed in particolare della Convenzione europea dei diritti dell'uomo – come interpretati dalla giurisprudenza della Corte EDU – alle quali lo Stato italiano ha l'obbligo di conformarsi (Cass. V, n. 37620/2006).

Tale principio è stato ribadito anche in successive pronunce (Cass. II, n. 30258/2017; Cass. II, n. 8098/2016; Cass. IV, n. 19130/2014; Cass. VI, n. 2300/2013) e pur se originanti da casi in cui si verteva di contumacia sono ovviamente estensibili all'assenza.

In conclusione, ciò che rileva è che l'impedimento sussista in concreto, che esso sia conosciuto dal giudice e che manchi una manifestazione di volontà abdicativa del diritto alla partecipazione e all'autodifesa, tutte circostanze che precludono l'emissione di ordinanza dichiarativa dell'assenza, mentre non è ravvisabile né è proponibile alcun onere (normativamente non previsto) di previa comunicazione da parte dell'imputato del legittimo impedimento, essendo tale onere imposto al contrario solamente al difensore perché si tratta di materia del tutto diversa, attinente non a quello dell'autodifesa, indelegabile e non confiscabile, ma della difensa tecnica nel processo che può comunque essere assicurata con la nomina di un difensore di ufficio (Cass. S.U., n. 37483/2006 citata).

Recentemente le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 7635/2021) hanno risolto un annoso contrasto giurisprudenziale in materia di legittimo impedimento in caso di imputato sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari in altro procedimento, affermando che detta restrizione, documentata o, comunque, comunicata al giudice procedente in qualunque tempo, va ad integrare un impedimento legittimo a comparire che impone al medesimo giudice di rinviare ad una nuova udienza e disporne la traduzione.

In materia di tutela del diritto alla salute è stato ripetutamente affermato che non costituisce legittimo ed assoluto impedimento a partecipare al processo la necessità dell'imputato di sottoporsi ad un accertamento medico certificato come indifferibile a causa delle esigenze organizzative della struttura sanitaria presso cui deve essere eseguito e non in ragione delle specifiche ed impellenti condizioni di salute del medesimo, perché accedere alla soluzione contraria significherebbe affermare il principio generale che le esigenze della struttura sanitaria prevalgono, per sé, sulle esigenze di giustizia, sebbene queste ultime costituiscano oggetto di immediata tutela costituzionale, a differenza di quelle attinenti l'organizzazione dei servizi sanitari (Cass. VI, n. 49538/2016; Cass. VI, n. 45659/2010).

È stato considerato legittimo il rigetto dell'istanza di rinvio dell'udienza per impedimento dell'imputata, fondata su certificato medico recante il generico riferimento alla necessità di dover somministrare latte materno alla propria figlia neonata, senza alcuna specifica indicazione circa eventuali patologie che rendano, per entrambe o una sola di loro, impossibile o rischioso lo spostamento per raggiungere il luogo dell'udienza, non essendosi in presenza, in tal caso, di quell'assoluto impedimento fisico a comparire richiesto dalla legge (Cass. II, n. 24515/2015).

Quanto al grado di resistenza del certificato medico rispetto alla libera valutazione del giudice, è stato reiteratamente osservato che il giudice di merito può ritenere l'insussistenza dell'impedimento a comparire dell'imputato dedotto mediante l'allegazione di certificato medico anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza idonee a valutare l'impossibilità del soggetto portatore della prospettata patologia di essere presente in giudizio, se non a prezzo di un grave e non evitabile rischio per la propria salute. Così nel caso (frequente nella prassi giudiziaria) dell'asserito impedimento per “lombosciatalgia acuta, con necessità di riposo assoluto”, il rigetto della richiesta di rinvio dell'imputato è stato motivato in ragione della mancata indicazione nella documentazione medica dell'impossibilità di deambulare o comunque di raggiungere l'aula di udienza trasportato da altri (Cass. VI, n. 36636/2014) ovvero evidenziando che tale patologia non costituisce un impedimento assoluto a comparire, in quanto fronteggiabile con medicinali e non ostativa al trasporto con mezzi adeguati, oltre che non idonea a determinare una incapacità di stare in giudizio ex art. 70 c.p.p. (Cass. V, n. 44369/2015).

Il riferimento all'art. 70 c.p.p. è giustificato dal fatto che la comparizione in udienza non va vagliata esclusivamente con riferimento alla capacità di recarsi fisicamente in udienza, ma soprattutto avuto riguardo alla partecipazione attiva che, sola, consente l'esercizio del diritto costituzionale di difesa (Cass. III, n. 10482/2015, che nell'annullare l'ordinanza dichiarativa della contumacia di un'imputata affetta da “cardiopatia ischemica cronica con angioplastica coronarica ed episodi di ipertensione e recente dolore toracico” motivata con il carattere cronico della malattia e per la mancata attestazione dell'incapacità di deambulare, ha sottolineato che l'impedimento a comparire dell'imputato di cui all'art. 420-ter c.p.p. sussiste anche in relazione ad una malattia a carattere cronico, purché determinante un impedimento effettivo, legittimo e di carattere assoluto, riferibile ad una situazione non dominabile dall'imputato e a lui non ascrivibile).

Il certificato medico attestante il ricovero in ospedale che sia privo di specifiche indicazioni sulla patologia e, comunque, sulla effettiva e assoluta impossibilità di comparire o di partecipare lucidamente ed attivamente al processo, è stato ritenuto insufficiente a sostenere la richiesta di rinvio per legittimo impedimento, sussistendo un onere del giudice procedente di disporre d'ufficio gli accertamenti necessari per verificare la veridicità dell'impedimento nel solo caso di ricovero d'urgenza dell'imputato che abbia impedito al difensore l'esibizione della documentazione medica (Cass. V, n. 44317/2019).

Con riguardo alla necessità che il certificato medico contenga la specificazione della patologia che impedisce allo stesso di presenziare, con una pronuncia riferita al difensore ma evidentemente estensibile anche all'imputato, è stato chiarito che le disposizioni previste dalla normativa in tema di “privacy” mirano a tutelare il paziente, e non possano essere eccentricamente invocate in tutti i casi in cui sia proprio questi a richiedere la certificazione medica che ne attesti lo stato di salute onde avvalersene per gli usi che liberamente intende fare, quale quello di esibizione in sede giudiziaria per dimostrare il proprio impedimento a comparire in udienza (Cass. V, n. 8415/2019).

Il rigetto dell'istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento a comparire presentata dall'imputato e documentata da un certificato medico è stata ritenuta legittima qualora l'indicazione nell'istanza della reperibilità dello stesso imputato in un luogo diverso da quello in cui egli effettivamente si trovi abbia impedito l'esecuzione della visita fiscale di controllo (Cass. I, n. 26762/2020). Secondo la Corte chi deduce un impedimento a comparire ex art. 420-ter c.p.p., ma di fatto si sottrae alla verifica della concreta sussistenza dello stesso, indicando un luogo di presenza diverso da quello reale, e precisato nell'istanza, pone in essere una condotta che è intesa consapevolmente a vanificare, da parte del giudice, la soluzione del dubbio sulla qualità, entità e grado del dedotto impedimento a sensi ed agli effetti del rinvio ad una nuova udienza. Né può sostenersi che, a fronte della impossibilità della visita fiscale, basti la mera attestazione dell'impedimento contenuta nella richiesta di rinvio, con scorretta indicazione del luogo di presenza dell'imputato, posto che in tal modo si farebbe dipendere dalla volontà del deducente l'impedimento la possibilità o meno della verifica fiscale, ritenuta opportuna dal giudice di merito. Nella stessa ottica, secondo la Corte, è legittimo il rigetto dell'istanza dell'imputato di rinvio dell'udienza senza che sia eseguita la visita fiscale, se la detta istanza si basa su un certificato medico che attesta l'impedimento a comparire ma non indica il luogo di degenza, non potendo ipotizzarsi per il giudice, una volta che abbia disposto la visita fiscale di controllo per il luogo di abitazione, l'obbligo di svolgere d'ufficio ulteriori ricerche per rintracciare l'imputato sulla base delle informazioni fornite “in loco” da un familiare.

L'impedimento può consistere anche nella concomitante celebrazione di due processi dinanzi a diverse autorità giudiziarie in cui è prevista la presenza dell'imputato.

La Corte ha ritenuto non sussistere l'impedimento qualora l'imputato deduca di non poter presenziare dovendo intervenire presso altra autorità giudiziaria come consulente o testimone, ricordando che deve ritenersi prevalente il diritto di difesa dell'imputato rispetto al dovere di rendere una deposizione come testimone, consulente tecnico o perito in un processo nei confronti di altri, anche considerato che il giudice del secondo giudizio non potrà non ritenere la prevalenza dell'impegno del testimone/consulente/perito a presenziare nel processo a suo carico (Cass. VI, n. 49538/2016).

Diversamente nel caso di processi entrambi a carico, in cui la Corte ha, da un lato, affermato la sussistenza dell'impedimento legittimo senza necessità di preventiva giustificazione della scelta in favore dell'uno o dell'altro processo e, dall'altro, la necessità della preventiva comunicazione: si vedano, in tal senso, Cass. IV, n. 12224/2015, secondo cui in tema di legittimo impedimento a comparire sussiste a carico dell'imputato l'onere di tempestiva comunicazione della sua concomitante citazione per altro processo dinanzi a diversa autorità giudiziaria, così da consentire al giudice di effettuare gli accertamenti necessari e di organizzare l'eventuale rinvio della propria udienza senza disagi per le altre parti coinvolte, in coerenza con i principi costituzionali di ragionevole durata dei processi ed efficienza della giurisdizione; Cass. III, n. 40199/2014, che nel ritenere corretta la decisione del giudice di merito che aveva rigettato un'istanza di rinvio per un concomitante impegno processuale noto quasi tre mesi prima dell'udienza e in data antecedente a quella in cui era stato disposto il differimento, ha sottolineato che in caso di concomitante celebrazione di due dibattimenti dinanzi a diverse autorità giudiziarie, sussiste un impedimento assoluto dell'imputato a comparire nel giudizio diverso da quello in cui il medesimo ha deciso di essere presente anche quando non è offerta giustificazione della scelta in favore dell'uno o dell'altro processo, purché la comunicazione dell'impedimento sia prontamente documentata e si rappresenti l'interesse a parteciparvi, nuovamente facendo riferimento alla esigenza per il giudice di effettuare gli accertamenti necessari e di organizzare l'eventuale rinvio della propria udienza senza disagi per le altre parti coinvolte.

Anche la partecipazione ad altro procedimenti nelle vesti di magistrato onorario è stata di recente ritenuta un legittimo impedimento, come affermato dalla Corte di Cassazione (Cass. II, n. 14097/2024) nel caso di concomitante impegno professionale in diverso procedimento o l'impegno come GOT, riconosciuto come legittimo impedimento per il difensore ma estensibile anche all'imputato.

Conseguenze processuali

Quando risulta che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, come anticipato, ai sensi della nuova formulazione dell'art. 420-ter, comma 1, c.p.p., l giudice, anche d'ufficio, rinvia con ordinanza ad una nuova udienza e dispone la notificazione dell'ordinanza medesima all'imputato. Parimenti quando appare solamente probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore (art. 420-ter, comma 2, c.p.p.). La Riforma Cartabia ha abrogato infine il comma 3 dell'art. 402-ter c.p.p., che consentiva la replica di tale meccanismo senza limiti anche alle successive udienze, ogni qual volta l'imputato non compaia e risulti o appaia probabile che la comparizione era impossibile per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.

Per tutti coloro che sono o che devono considerarsi presenti (art. 420-bis, comma 3 c.p.p.) la lettura dell'ordinanza che fissa la nuova udienza sostituisce gli avvisi (art. 420-ter, comma 4 c.p.p.).

Va segnalato che laddove il giudice disponga il rinvio ad altra udienza e la rinnovazione dell'avviso all'imputato perché abbia il dubbio che la mancata presenza dell'imputato in udienza sia stata determinata da un'impossibilità a comparire per caso fortuito o forza maggiore, tale giudizio è di fatto insindacabile, prevendo la seconda parte del comma 2 dell'art. 420-ter c.p.p. che la probabilità è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione. Da ciò discende che soltanto nella ipotesi descritta nel comma 1 dell'art. 420-ter c.p.p. – in cui “risulta” che l'assenza è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento – la decisione del giudice di procedere in assenza dell'imputato, pur in presenza di notifica regolare della citazione e degli altri presupposti di cui all'art. 420-bis c.p.p., è passibile di denuncia per violazione di legge (Cass. V, n. 40848/2017 citata). Secondo la motivazione della pronuncia citata non è sufficiente che il difensore di fiducia ponga la questione della mancata conoscenza del processo in termini di mera probabilità o possibilità – ad esempio perché precedentemente assistito da un difensore di ufficio presso cui aveva eletto domicilio – senza dedurre che l'imputato versi in concreto nella condizione prevista dall'art. 420-ter, comma 1, c.p.p. perché in tali casi non può dirsi integrata, per il giudice che procede così come per il giudice dell'impugnazione, l'ipotesi del processo che non avrebbe dovuto celebrarsi in “assenza” dell'imputato perché fuori dei casi consentiti e comunque con violazione dei diritti difensivi derivante da una situazione processuale di fatto parificabile a quella conseguente alla omessa citazione.

L'omessa adozione dell'ordinanza di rinvio di cui all'art. 420-ter c.p.p. determina una nullità assoluta e insanabile di tutti gli atti successivi.

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