Esercizio dell'azione civile da parte del Pubblico Ministero nell'interesse del danneggiato incapace (art. 77, comma 4)InquadramentoNei casi di assoluta urgenza assoluta il Pubblico Ministero può esercitare l'azione civile nell'interesse del danneggiato che sia incapace per infermità di mente o per età minore. La titolarità del Pubblico Ministero dell'azione civile per conto del danneggiato è provvisoria, essendo previsto che essa perduri sino a quando non subentri colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza ovvero il curatore speciale. I casi di maggiore frequenza dell'eccezionale potere sostitutivo del Pubblico Ministero – non estensibile a casi diversi da quelli tassativamente indicati - sono ragionevolmente individuabili in situazioni in cui non è possibile attendere il completamento della procedura della nomina del curatore speciale per l'imminente formazione di preclusioni o di decadenze ovvero per altre circostanze fattuali incompatibili con l'attesa o che in ogni caso impediscano l'intervento della persona che ha la rappresentanza o l'assistenza. La recente l. n. 4/2018 (“Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici”) ha introdotto in via generalizzata la legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere in ogni stato e grado del procedimento il sequestro dei beni mobili o immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento, a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli delle vittime nei casi di delitto di omicidio commesso contro il coniuge, anche legalmente separato o divorziato, o contro l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione civile è cessata, o contro la persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, qualora venga rilevata dallo stesso Pubblico Ministero la presenza di figli della vittima minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti. FormulaPROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ... Proc. pen. n. ... R.g.n.r. Esercizio dell'azione civile nell'interesse dell'incapace (art. 77 c.p.p.) Al Giudice dell'udienza preliminare ... Sede ... Il P.M., visti gli atti del procedimento penale di cui in epigrafe nei confronti di 1. ..., nato a ..., il ..., residente in ..., con domicilio eletto/dichiarato presso ..., difeso di ufficio/di fiducia dall'Avv. ... del foro di ...; rilevato che in data ... è stata presentata richiesta di rinvio a giudizio – con fissazione dell'udienza preliminare per il giorno ... - con formulazione delle seguenti imputazioni: a) ... (riportare capo di imputazione) b) ... (riportare capo di imputazione) osservato che ... (indicare le generalità), persona da intendersi danneggiata dal reato, è incapace per infermità di mente, come comprovato dalla ... (descrivere la documentazione medica o altra documentazione che attesta lo stato di infermità) [ovvero] è persona minorenne; che ad oggi manca la persona a cui spetta la rappresentanza/assistenza della persona danneggiata dal reato, atteso che ... (indicare le ragioni della mancanza) [1]; che l'incapace, quale destinatario e soggetto passivo delle condotte descritte nel capo di imputazione sopra riportato, come ben emerge dalla semplice lettura delle accuse ha subito evidenti danni patrimoniali e non patrimoniali in seguito alla commissione da parte dell'imputato del reato contestato, la cui natura ed entità sarà oggetto di prova nel corso del procedimento penale; che sussistono le ragioni di assoluta urgenza previste dall'art. 77, comma 4, c.p.p., in considerazione del fatto che ... (indicare le ragioni dell'urgenza assoluta) [2]; considerato che ai sensi dell'art. 77, comma 4, c.p.p. in caso di assoluta urgenza, l'azione civile nell'interesse del danneggiato incapace per infermità di mente o per età minore può essere esercitata dal Pubblico Ministero, finché subentri a norma dei commi precedenti colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza ovvero il curatore speciale; ritenuto, in definitiva, che ricorrano le condizioni di cui all'art. 77, commi 1 e 4, c.p.p., dichiara di esercitare l'azione civile nell'interesse di ..., e nei confronti dell'imputato sopra generalizzato, per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti dallo stesso per i fatti reato indicati e le restituzioni dovute, sino a quando non subentri colui al quale spetta la rappresentanza/l'assistenza/il curatore speciale. Manda la Segreteria per gli adempimenti di competenza. Luogo e data ... Il P.M. ... 1. Indicare se sia già stata presentata dal Pubblico Ministero o dalle altre persone legittimate ai sensi dell'art. 77, comma 2, c.p.p. la richiesta di nomina nel curatore speciale. 2. Stante la tassatività delle ipotesi e l'eccezionalità dell'istituto è necessario ben specificare le ragioni che rendono opportuno l'esercizio da parte del Pubblico Ministero dell'azione civile nell'interesse del danneggiato incapace, se del caso facendo riferimento alla richiesta eventualmente già presentata per la nomina di un curatore speciale – circostanza peraltro imposta dalla provvisorietà della legittimazione del Pubblico Ministero – e alla necessità di procedere ad eventuali iniziative processuali a tutela dell'incapace che sono insuscettibili di attesa (es. richiesta sequestro conservativo). CommentoPremessa Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1173 c.c., secondo cui le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico, e 185 c.p., a mente del quale ogni reato obbliga a norma delle leggi civili alle restituzioni e al risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale che ne siano diretta conseguenza, può affermarsi che, in linea generale e salvo i reati c.d. senza vittime, ad ogni reato può corrispondere potenzialmente un'obbligazione risarcitoria o restitutoria. L'azione civile risarcitoria o restitutoria relativa ai danni patrimoniali o non patrimoniali cagionati dal reato o alle attribuzioni patrimoniali che devono essere retrocesse in ragione dell'assenza di una causa lecita può essere esercitata nel processo penale mediante la costituzione di parte civile, attività che non deve essere rinnovata a seconda delle varie occorrenze processuali ma che produce i propri effetti in ogni stato e grado del processo (art. 76 c.p.p.). La legittimazione passiva spetta all'imputato (soggetto che ha tenuto la condotta penalmente illecita fonte di danno) e al responsabile civile (soggetto che è tenuto a risarcire il danno cagionato dall'autore del reato in virtù di una espressa norma di legge civile che a ciò lo obbliga, es. art. 2049 c.c.). Anche ove l'imputato sia interdetto mantiene piena capacità e legittimazione processuale per resistere alla domanda restitutoria e/o risarcitoria proposta nei suoi confronti dalla parte civile (Cass. II, n. 35616/2007). La legittimazione attiva spetta al c.d. danneggiato dal reato, ossia al soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero ai suoi successori universali (art. 74 c.p.p.). Sul punto merita ricordare come la legittimazione attiva all'azione civile nel processo penale vada verificata esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell'azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è collegato all'adempimento dell'onere deduttivo e probatorio incombente sull'attore (Cass. VI, n. 14768/2016). In altri termini, ai soli fini della positiva valutazione da parte del Giudice della ricorrenza delle condizioni per ammettere la costituzione di parte civile, è sufficiente che la parte si limiti ad affermare di essere stata danneggiata dal reato, non anche che dimostri di esserlo stato realmente, essendo rimessa tale secondo aspetto alla fase istruttoria del giudizio e ai profili di merito attinenti all'accoglibilità della domanda restitutoria o risarcitoria. L'indicato principio è applicabile anche nell'incidente cautelare reale avverso l'ordinanza con cui il Giudice abbia disposto il sequestro conservativo di immobili dell'imputato su richiesta della parte civile (vds. in motivazione Cass. V, n. 47087/2019 relativamente al procedimento di riesame, laddove la contestazione degli imputati in ordine alla legittimazione a chiedere la misura adottata per difetto di titolarità del credito azionato è stata respinta valorizzando la consolidata giurisprudenza secondo cui ai fini della legittimazione alla costituzione di parte civile per l'esercizio di un'azione risarcitoria, è sufficiente la prospettazione da parte del preteso danneggiato di un fatto astrattamente idoneo a cagionare un pregiudizio, giuridicamente apprezzabile, alla sua sfera di interessi). I risarcimenti e le restituzioni Il danno risarcibile è quello rientrante nella tradizionale dicotomia danno patrimoniale-danno non patrimoniale e nelle rispettive declinazioni interne di danno emergente, lucro cessante, danno da perdita di chance, danno biologico, danno non patrimoniale per lesione di diritti costituzionalmente protetti e danno morale soggettivo. Quanto alle indicate accezioni di danno non patrimoniale, va precisato che esse non vanno intese quali autonome categorie di danno, trattandosi di mere denominazioni classificatorie dell'unica categoria del danno non patrimoniale, come chiaramente indicato da Cass. civ. III, n. 1361/2014, secondo cui la categoria generale del danno non patrimoniale - che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio - presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti o voci aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale (identificabile nel patema d'animo o sofferenza interiore subìti dalla vittima dell'illecito, ovvero nella lesione arrecata alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana), quello biologico (inteso come lesione del bene salute) e quello esistenziale (costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato), dei quali - ove essi ricorrano cumulativamente - occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno in ossequio al principio dell'integralità del risarcimento, senza che a ciò osti il carattere unitario della liquidazione da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto o voce venga computato due o più volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni. Non è necessario che la parte civile specifichi le voci di danno e quantifichi il quantum preteso dall'imputato e dal responsabile civile, ben potendo limitarsi ad allegare genericamente di avere subito un danno dal reato senza con ciò incorrere in alcuna nullità, in quanto il Giudice ha sempre la possibilità di pronunciare condanna generica laddove ritenga che le prove acquisite non consentano la liquidazione del danno con conseguenti effetti sull'onere di allegazione e prova spettante alla parte civile (Cass. IV, n. 6380/2017). Né il Giudice è tenuto a precisare a quale genere di danni faccia riferimento la condanna del responsabile civile al risarcimento in favore delle parti civili, perché ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni ed il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose. In tali casi la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera “declaratoria juris” da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al Giudice della liquidazione. Ne deriva che il Giudice penale che disponga il risarcimento dei danni in favore della parte civile, rinviando al Giudice civile per la determinazione del quantum, non ha l'obbligo di specificare la tipologia di danno al cui risarcimento è tenuto l'imputato (Cass. IV, n. 12175/2016). Si veda anche Cass. III, n. 36350/2015, secondo cui la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il Giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, restando perciò impregiudicato l'accertamento riservato al Giudice civile sulla liquidazione e l'entità del danno, ivi compresa la possibilità di escludere l'esistenza stessa di un danno eziologicamente collegato all'evento illecito. Il Giudice non ha l'onere di motivare la decisione con cui, condannato l'imputato e il responsabile civile al pagamento di una provvisionale, rimetta le parti dinanzi al Giudice civile per la liquidazione definitiva del danno (Cass. V, n. 42987/2016). Il nostro ordinamento consente infatti nello stesso processo civile la proposizione di un'autonoma domanda di condanna generica al risarcimento dei danni, sia in materia contrattuale che extracontrattuale, senza che sia necessario il consenso - espresso o tacito - del convenuto, in ragione del principio di autonoma disponibilità delle forme di tutela offerte dall'ordinamento e della configurabilità di un interesse giuridicamente rilevante dell'attore (Cass. civ. II, n. 5551/2016; Cass. civ. S.U., n. 12103/1995) e una simile conclusione è peraltro coerente con la funzione del processo penale, in cui l'innesto della pretesa civilistica al risarcimento del danno e alle restituzioni è meramente eventuale rispetto all'accertamento del reato. Laddove il Giudice abbia optato per una condanna generica al risarcimento del danno con assegnazione alla parte civile di una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva, la decisione di condanna alla provvisionale non è impugnabile per cassazione in quanto per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall'effettiva liquidazione dell'integrale risarcimento (Cass. II, n. 49016/2014). Ove la parte civile non abbia impugnato la sentenza di primo grado di condanna dell'imputato al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, il Giudice del gravame non può procedere alla liquidazione definitiva del danno, in quanto ne risulterebbe violato il principio devolutivo dell'appello (Cass. V, n. 12725/2019). Per converso, non incorre nel vizio di ultrapetizione il Giudice che, disattendendo la richiesta della parte civile di rimettere la liquidazione del danno al Giudice civile, provveda alla liquidazione immediata (Cass. V, n. 12722/2019). Nella liquidazione del danno non patrimoniale il Giudice deve tenere conto di tutti gli aspetti che caratterizzano la gravità del reato compiuto, ivi compreso il fatto ingiusto posto in essere dalla vittima, che, anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 62, n. 5, c.p., rileva sul piano oggettivo creando l'occasione o determinando l'insorgere del movente dell'azione delittuosa commessa nei suoi confronti (Cass. I, n. 4821/2018, relativa ad una Fattispecie di omicidio commesso dal proprietario di un fondo ai danni di soggetto ivi introdottosi nottetempo al fine di perpetrare un furto, in tal modo dando origine allo scontro con l'imputato). Sempre in tema di liquidazione del danno, la parte civile ha interesse a partecipare al giudizio di legittimità attivato dall'imputato in ordine alla ravvisabilità delle circostanze attenuanti, in quanto tale giudizio può incidere sulla stessa liquidazione del danno da risarcire, cui si perviene tenendo conto anche della gravità del reato, suscettibile di acuire i turbamenti psichici, e della entità del patema d'animo sofferto dalla vittima, che può risultare ridotto qualora il fatto sia considerato di minore gravità (Cass. III, n. 15218/2016). Una volta che la sentenza di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile sia passata in giudicato, la successiva azione volta alla quantificazione del danno non è soggetta al termine di prescrizione breve ex art. 2947 c.c., ma a quello decennale ex art. 2953 c.c. decorrente dalla data in cui la sentenza stessa è divenuta irrevocabile, atteso che la pronuncia di condanna generica, pur difettando dell'attitudine all'esecuzione forzata, costituisce una statuizione autonoma contenente l'accertamento dell'obbligo risarcitorio in via strumentale rispetto alla successiva determinazione del "quantum" (Cass. civ. III, n. 16289/2019 che ha pure precisato che il termine prescrizionale più lungo è invocabile anche nei confronti di un soggetto rimasto estraneo al processo nel quale è stata pronunciata la stessa sentenza quale il coobbligato in solido, a meno che non si tratti di diritti che non furono oggetto di valutazione o di decisione). Se la sentenza passata in giudicato non contiene alcuna espressa limitazione del danno, l'actio iudicati di cui all'art. 2953 citato si estende a tutte le pretese risarcitorie comunque correlate al reato, senza possibilità di ritenere soggette al termine di prescrizione quinquennale pretese relative a danni che, sebbene non specificamente dedotti nell'atto di costituzione di parte civile, siano comunque conseguenti al reato (Cass. civ. III, n. 4318/2019). Oltre ad avere cagionato un danno risarcibile il reato può avere determinato attribuzioni patrimoniali – e, dunque, spostamenti di ricchezza – che dal punto di vista civilistico non sono sorrette da causa lecita. In tali casi – si pensi ad esempio a trasferimenti immobiliari nell'ambito di ipotesi delittuose di usura, estorsione, truffa, circonvenzioni di incapace ecc. – in ragione del principio causale che informa il nostro ordinamento, secondo cui ogni spostamento patrimoniale deve essere sorretto a pena di nullità da una ragione giustificativa lecita (artt. 1325, comma 1, n. 2 e 1343 c.c.), la conseguenza è l'insorgenza di un obbligo restitutorio. L'art. 1418 c.c. disciplina le cause di nullità del contratto, prevendo che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente, nonché negli altri casi previsti dal comma 2 in cui è rinvenibile la illiceità della causa. È principio consolidato nella giurisprudenza civile della Corte di Cassazione che qualora la stipulazione del contratto integri reato sussiste nullità del negozio giuridico per contrarietà a norme penali ai sensi dell'art. 1418 c.c. (Cass. civ. I, n. 16706/2020 in tema di insinuazione al passivo fallimentare; Cass. civ. II, n. 18016/2018; Cass. civ. I, n. 14234/2003. In tema di circonvenzione di incapace, si veda Cass. civ. II, n. 10609/2017 in cui è stata affermato che il contratto stipulato per effetto diretto del reato di circonvenzione d'incapace è nullo, ai sensi dell'art. 1418 c.c., per contrasto con norma imperativa, dovendosi ravvisare una violazione di disposizioni di ordine pubblico in ragione delle esigenze d'interesse collettivo sottese alla tutela penale, trascendenti quelle di mera salvaguardia patrimoniale dei singoli contraenti perseguite dalla disciplina sull'annullabilità dei contratti; (per l'affermazione del medesimo principio in relazione ad un contratto stipulato per effetto del reato di estorsione si veda Cass. civ. II, n. 17959/2020, in cui le esigenze d'interesse collettivo sono state ravvisate nell'inviolabilità del patrimonio e della libertà personale). Ove pertanto, ove la parte che abbia dato causa alla nullità chieda l'adempimento di quel contratto, il Giudice è tenuto a rilevare tale nullità d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio e, dunque, anche in appello, dovendo, da un lato, verificare l'esistenza delle condizioni dell'azione e, dall'altro, rilevare le eccezioni che, senza ampliare l'oggetto della controversia, tendono al rigetto della domanda e possono configurarsi come mere difese del convenuto. Seppure rilevabile d'ufficio, la nullità non può tuttavia essere accertata sulla base di una "nuda" eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l'intimato sarebbe costretto a subire il "vulnus" delle maturate preclusioni processuali. (Cass. civ. II, n. 21243/2019, in relazione ad una fattispecie in cui, richiesto il pagamento del compenso per l'attività di mediazione espletata, è stata sollevata solo in sede di legittimità l'eccezione relativa alla mancata iscrizione del mediatore nel relativo albo professionale). Qualora la domanda restitutoria venga avanzata nel processo penale mediante la costituzione di parte civile, il sindacato del Giudice penale deve estendersi alla verifica del rispetto dei precetti di cui agli artt. 1325, 1418 e 1343 c.c., ben potendo essa concludersi, in caso di giudizio negativo, con la stessa dichiarazione di nullità del contratto e con la condanna alla restituzione. Per un'ipotesi in cui era stata acquisita la proprietà di un immobile a seguito della consumazione del delitto di estorsione, si veda Cass. II, n. 54561/2016, Quagliata, ove è stato affermato che il Giudice penale, nel condannare l'imputato alla restituzione in favore della parte civile del bene immobile il cui trasferimento ha costituito l'oggetto della condotta criminosa, può dichiarare la nullità del contratto di compravendita che lo riguarda per violazione di disposizioni di ordine pubblico, in ragione delle esigenze di interesse collettivo sottese alla tutela penale. A ben vedere il potere del Giudice penale di dichiarare la nullità del contratto quale statuizione autonoma ed accessoria della sentenza penale non è previsto espressamente da alcuna norma, contrariamente a quanto avviene, ad esempio, in tema di falso documentale (art. 537 c.p.p.). In una sentenza relativamente recente la Suprema Corte ha diffusamente trattato la questione relativa ai limiti dei poteri del Giudice penale investito della domanda restitutoria e risarcitoria avanzata dalla parte civile costituita, con particolare riferimento alle modalità satisfattorie delle pretese della parte civile (Cass. IV, n. 27412/2008). Dopo avere ricostruito l'evoluzione giurisprudenziale in tema di risarcibilità di situazioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela (diritti assoluti-diritti di credito-interessi legittimi) e avere ricordato la carenza di pronunce sulla specifica questione dei poteri del Giudice in relazione al negozio giuridico traslativo, la Corte ha ricordato che il risarcimento del danno non mira solamente alla tutela di un interesse eminentemente privato, valendo esso anche come mezzo di lotta contro il delitto, trovando sempre maggiore riscontro una concezione del sistema penale in cui la tutela degli interessi della vittima è considerata come condizione necessaria dell'efficienza del sistema giustizia. Le forme della riparazione sono essenzialmente la restituzione (o restitutio in integrum) o il risarcimento in denaro, consistendo la prima nel ristabilimento in forma specifica della situazione esistente prima del compimento del reato. Essa può essere materialmente impossibile o eccessivamente onerosa rispetto al vantaggio che ne deriverebbe al danneggiato ed in questo caso non è esigibile, ma in ogni altra situazione la legge non pone limitazioni. La Corte ha poi sottolineato che in sede penale non può essere disconosciuta la restituzione delle cose mobili, che anzi è regolata anche al di fuori della costituzione della parte offesa o danneggiata in parte civile, cosicché la precisazione contenuta nell'art. 185 c.p. non può riferirsi solo a questa fattispecie che non necessita di questo tipo di domanda processuale, potendo la restituzione sempre essere richiesta da parte dell'avente diritto. Perché l'indicazione del legislatore svolga una sua funzione ad abbia una sua coerenza interna al sistema processualistico penale è così necessario che con il termine “restituzione” si voglia intendere una statuizione più ampia, conseguente alla presenza della vittima nel processo con una domanda di tipo civilistico, atta a ristabilire la situazione antecedente. Posto che non sussiste alcun dubbio che il Giudice penale possa annullare un contratto quando esso riguarda il trasferimento di una cosa mobile, attraverso la restituzione della stessa all'avente diritto (si pensi al reato di truffa), non vi è alcuna ragione per escludere la restitutio quando essa presuppone la dichiarazione di nullità di un contratto con effetto estintivo del diritto di proprietà sul bene immobile. La natura immobiliare del bene non contempla un'apprensione materiale del bene che può essere annullata attraverso un ordine di restituzione (materiale) del bene, cosicché affinché l'ordine restitutorio possa permettere il raggiungimento della funzione principale della riparazione – ossia la cancellazione di tutte le conseguenze del fatto illecito quale forma privilegiata attraverso cui si riconosce la valenza del diritto violato - esso non può che presuppore la dichiarazione di nullità del contratto ad effetti reali. La Corte, nel ribadire l'importanza che il Giudice penale eserciti pienamente questo tipo di potere per il principio di economia che deve governare il processo penale e i rapporti tra quest'ultimo e il processo civile nell'ottica di un superiore principio di efficienza del sistema giustizia, ha tuttavia fissato come limiti ad un suo corretto e valido esercizio le circostanze che vi sia piena sovrapponibilità tra fattispecie civile e fattispecie penale e che non si profilino interessi di terzi rimasti estranei al processo penale: ove ricorra tale eventualità la dichiarazione di nullità del contratto per contrarietà a norme imperative deve essere meglio valutata nel processo civile, sede in cui costoro possano intervenire per difendere le proprie ragioni. La capacità processuale L'art. 76 c.p.p. dispone che l'azione civile è esercitata, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la costituzione di parte civile. La persona danneggiata che si costituisce parte civile deve nominare un difensore ma non anche un procuratore speciale qualora si costituisca personalmente, avendo la Corte chiarito che l'obbligo di nomina del procuratore speciale - che ben può essere lo stesso difensore nominato con il medesimo atto - sussiste solo nel caso in cui la parte civile non si costituisca personalmente (Cass. III, n. 35187/2009). La procura, da unire agli atti, a pena di inammissibilità deve essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata (con sottoscrizione autenticata dal difensore se rilasciata al medesimo) e contenere la determinazione dell'oggetto per cui è conferita e dei fatti ai quali si riferisce (art. 122, comma 1, c.p.p.). Il d.lgs. n. 150/2022, c.d. Riforma Cartabia, ha introdotto nel testo dell'art. 122 c.p. il nuovo comma 2-bis, ai sensi del quale, la procura speciale è depositata, in copia informatica autenticata con firma digitale o altra firma elettronica qualificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, con le modalità di deposito telematico, previste dall'art. 111-bis c.p.p. (anch'esso introdotto dalla Riforma), salvo l'obbligo di conservare l'originale analogico da esibire a richiesta dell'autorità giudiziaria. L'esercizio delle azioni civili risarcitorie e restitutorie presuppone tuttavia la piena capacità processuale del danneggiato: le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti lesi e da far valere – e dunque la capacità di agire secondo le leggi civili - non possono costituirsi parte civile se non sono rappresentate, autorizzate o assistite nelle forme prescritte per l'esercizio delle azioni civili (art. 77, comma 1, c.p.p.). Laddove nel caso concreto la persona danneggiata si trovi nell'impossibilità giuridica o fisica di assumere le proprie determinazioni in ordine all'esercizio dell'azione civile nel processo penale si prevede un intervento del Pubblico Ministero che trova giustificazione e copertura nell'art. 73, r.d. n. 12/1941, c.d. legge di ordinamento giudiziario, secondo cui il Pubblico Ministero veglia alla pronta tutela delle persone giuridiche e degli incapaci, richiedendo nei casi di urgenza i provvedimenti cautelari che ritiene necessari. Il livello di intensità dell'intervento dell'organo pubblico varia a seconda del grado dell'urgenza e della natura dell'impedimento. Ove manchi la persona a cui spetta la rappresentanza (es. genitore esercente la potestà genitoriale, tutore) o assistenza (es. curatore dell'inabilitato o del minore emancipato), ovvero ricorra una situazione di conflitto di interessi tra il danneggiato e chi lo rappresenta – evenienza di grande frequenza statistica nei delitti contro l'assistenza familiare - l'art. 77, comma 2 assegna al Pubblico Ministero un ruolo di impulso per la nomina di un curatore speciale per la successiva costituzione di parte civile, in co-legittimazione alternativa con la stessa persona che deve essere rappresentata o assistita ovvero con suoi prossimi congiunti e, in caso di conflitto di interessi, con il rappresentante. La disposizione normativa in parola individua come presupposto legittimante - nel caso della sola mancanza della persona cui spetta la rappresentanza o l'assistenza - anche la sussistenza di una situazione di urgenza. Il comma 4 individua altre condizioni in presenza delle quali l'intervento del Pubblico Ministero è maggiormente incisivo oltre che esclusivo. Nei casi di urgenza assoluta, il Pubblico Ministero può esercitare provvisoriamente l'azione civile nell'interesse del danneggiato che sia incapace per infermità di mente o per età minore. Il riferimento generico all'incapacità per infermità di mente richiama un'incapacità di tipo naturale, anche se transitoria. La titolarità del Pubblico Ministero dell'azione civile per conto del danneggiato è provvisoria, essendo previsto che essa perduri sino al subentro a norma dei precedenti commi dell'art. 77 c.p.p. di colui al quale spetta la rappresentanza o l'assistenza o del curatore speciale. I casi di maggiore frequenza dell'eccezionale potere sostitutivo del Pubblico Ministero – non estensibile a casi diversi da quelli tassativamente indicati - saranno ragionevolmente individuabili in situazioni in cui non è possibile attendere il completamento della procedura della nomina del curatore speciale per l'imminente formazione di preclusioni o di decadenze ovvero per altre circostanze fattuali incompatibili con l'attesa o che in ogni caso impediscano l'intervento della persona che ha la rappresentanza o l'assistenza. Secondo la relazione al progetto preliminare del codice di rito la legittimazione provvisoria del Pubblico Ministero all'esercizio dell'azione civile nell'interesse dell'incapace poteva trovare applicazione, ad esempio, in tema di giudizio direttissimo che per l'immediatezza della procedura non avrebbe consentito di adottare i meccanismi previsti dai commi 2 e 3. Nella relazione al testo definitivo si menzionava anche la possibile decadenza per l'incapace dalla possibilità di esercitare l'azione civile in sede penale (Relazioni al progetto preliminare e al testo definitivo del c.p.p., pubblicate nella G.U. n. 250 del 24 ottobre 1988 - Suppl. Ordinario n. 93), tutte circostanze che sono esplicative della condizione di assoluta urgenza contenuta nell'art. 77, comma 4, c.p.p. L'esercizio provvisorio dell'azione civile può essere finalizzato alla richiesta di emissione al Giudice di un sequestro conservativo ai sensi dell'art. 316, comma 2, c.p.p. In alcune pronunce la Corte, nell'accogliere dei ricorsi che si dolevano del sequestro conservativo emesso su richiesta del Pubblico Ministero a tutela delle obbligazioni civili nascenti dal reato, ha infatti ricordato che il Pubblico Ministero è legittimato a chiedere il sequestro conservativo solo a garanzia del pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario, ma non anche a tutela di interessi civili, salvo il caso che ricorrano i presupposti di cui all'art. 77 c.p.p., perché al di fuori dei casi e dei limiti segnati dalla disposizione indicata il Pubblico Ministero non può sostituirsi ai soggetti interessati e chiedere il sequestro conservativo a tutela di interessi civili, costituendo tale richiesta esplicazione dell'azione civile esercitata nel giudizio penale la legittimazione alla medesima è riservata a coloro cui il reato ha recato danno ovvero ai loro eredi che possono agire per le restituzioni ed il risarcimento (Cass. VI, n. 18975/2016; Cass. VI, n. 7532/2013; Cass. VI, n. 3565/1996). La l. n. 4/2018 (“Modifiche al codice civile, al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in favore degli orfani per crimini domestici”, pubblicata nella Gazz. Uff. 1° febbraio 2018, n. 26) ha peraltro introdotto in via generalizzata la legittimazione del Pubblico Ministero a chiedere in ogni stato e grado del procedimento il sequestro dei beni mobili o immobili dell'imputato o delle somme o cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento, a garanzia del risarcimento dei danni civili subiti dai figli delle vittime nei casi di delitto di omicidio commesso contro il coniuge, anche legalmente separato o divorziato, o contro l'altra parte dell'unione civile, anche se l'unione civile è cessata, o contro la persona che è o è stata legata da relazione affettiva e stabile convivenza, qualora venga rilevata dallo stesso Pubblico Ministero la presenza di figli della vittima minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti (art. 316, comma 1-bis, c.p.p.). |